Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata all'intervista fatta insieme ad altri blogger a Massimo Polidoro a Milano, in occasione dell'uscita di "Non guardare nell'abisso", edito da Piemme (rilegato a 18,50€):
È una notte di luna piena. In un cimitero di campagna, una piccola processione guidata da un anziano sacerdote impaurito entra in una cripta. Ma non si tratta di un morboso rito esoterico: da una buca nascosta sotto l'altare riemergono mitragliatori, munizioni ed esplosivi. Un vero arsenale di guerra sepolto da chissà quanti anni. "Questi cambieranno ogni cosa" dice il leader del gruppo, estraendo il coltello che metterà fine alla vita del prete. È una tranquilla mattina estiva, a Milano. Bruno Jordan esce di casa per la solita corsa nel parco: è un periodo piuttosto piatto, nella vita dell'inquieto cronista di nera, dopo le vicende che l'anno prima lo hanno portato al clamoroso ritrovamento di una donna scomparsa. Forse anche per questo, di fronte all'irrituale e insistente richiesta di un ex senatore in pensione di aiutarlo a rintracciare la nipote che non ha mai conosciuto, Jordan cede e accetta l'incarico. Per questo, e perché Publio Virgilio Strazzi non è un ex senatore qualunque: è uno dei nomi più quotati per l'imminente elezione del prossimo presidente della Repubblica italiana. Cominciando le indagini, però, Jordan si rende conto ben presto che l'uomo gli ha raccontato solo una parte della verità. Dietro il nonno tormentato dai rimpianti si allunga l'ombra inquietante di un complotto che affonda le radici negli anni più tragici e del dopoguerra. E dietro il vicino della porta accanto potrebbe annidarsi un nemico che aspetta solo il momento giusto per seminare morte e terrore.
Massimo Polidoro è stato disponibilissimo e ha risposto a moltissime domande, quindi partiamo subito e buona lettura!
1) Come mai questa scelta di tornare al periodo degli “anni di piombo”?
Da un lato mi affascina sempre, anche nei miei libri di saggistica, l’idea del passato e di tutto ciò che è nascosto in esso, e che potrebbe trovare oggi una risposta. Se il primo romanzo parlava di una vicenda criminale che riguardava un individuo, in questo secondo volume c’è sicuramente il crimine, con gente che ragiona in maniera aberrante, però è una vicenda molto più vasta, che richiama un periodo in cui c’erano due tentativi contrapposti di sovvertire la repubblica. La destra cercava di prendere il potere con la forza, magari con un golpe, mentre la sinistra cercava di fare la rivoluzione con il terrorismo delle Brigate Rosse. Due forze quindi, contrapposte, che scatenavano il loro desiderio utopico d’imporre il proprio sogno, il tutto giocato sulla pelle dei cittadini. È una storia che la maggior parte di noi ritiene chiusa, a differenza di certe persone che erano vive allora, come ci hanno dimostrato eventi anche recenti, tra cui il tentativo incredibile di pochi anni fa di riportare in vita le Brigate Rosse.
Immaginare che ancora oggi ci sia qualcuno che possa pensare di rivivere quegli anni con lo stesso spirito, riportando quel clima e realizzando ciò che avrebbe voluto fare allora, non è così lontano dalla realtà. I fatti storici a cui faccio riferimento sono tutti autentici, alla fine del libro c’è anche una vasta bibliografia per chi volesse approfondire.
2) In passato hai scritto molti saggi sul mistero e sul paranormale.
Come mai per i tuoi romanzi ha scelto, invece, dei contesti molto realistici, legati alla storia e alla politica?
Mi piaceva l'idea di raccontare delle storie di cui non potevo occuparmi nei miei saggi. Questo è un romanzo in cui la parte storica è importante, ma scrivere un saggio è una cosa molto diversa.
Per il momento non ho ancora scritto thriller con elementi psicologici o paranormali semplicemente perché volevo iniziare a scrivere quel tipo di romanzi che mi aveva appassionato come lettore, restando con i piedi per terra.
Era da tantissimo tempo che avrei voluto scrivere un romanzo di suspence, ma mi rendevo conto che non si tratta di una cosa semplice, che si possa improvvisare. C’è chi lo fa tanto per provare, come certi personaggi famosi, specie televisivi, ma non credo che basti essere famosi per saper scrivere un bel thriller. Prima di tutto, ho voluto impadronirmi degli strumenti, analizzando i libri che mi erano piaciuti, e solo quando ho capito che tipo di romanzo avrei potuto scrivere mi ci sono cimentato.
Solo quando ho finito il primo l’ho fatto leggere al mio agente, a differenza dei saggi, per cui, di solito, prima firmo un contratto e poi mi metto a scrivere.
3) Quanto di te stesso hai messo nel tuo protagonista? E poiché comunque, quando si scrive un romanzo, ci si muove nella storia insieme al proprio personaggio, quanto di Bruno Jordan è invece rimasto in te?
È inevitabile che le tue esperienze e la tua vita finiscano in qualche modo in quello che scrivi, soprattutto in un romanzo. Bruno Jordan ha in comune con me il fatto di essere un giornalista, avere la mia stessa età, venire da Milano, correre…
Però ha un carattere molto ironico e un po’ aggressivo, e un tipo di vita, che non sono i miei.
Credo che scrivendo un romanzo l’autore debba in qualche modo immedesimarsi in tutti i personaggi, anche in quelli cattivi.
Se il cattivo di turno è qualcosa di inspiegabile, di esterno e lontano, non è credibile. I
l cattivo ha comunque le sue motivazioni, per quanto non condivisibili: bisogna cercare di mettersi anche nella sua testa, e provare a dare un senso a quello che succede.
4) Visto che hai detto di aver analizzato i libri che ti piacciono per capire come scrivere un thriller, quali sono quelli che non toglieresti mai dal tuo comodino?
Difficile limitarsi, soprattutto per quanto riguarda Stephen King. Se dovessi sceglierne uno direi forse, soprattutto per il ritmo, "Misery". Poi mi è indispensabile il Thomas Harris di "Red Dragon" (uscito in Italia come "Il delitto della terza luna", ndr).
Come terzo libro, direi forse uno di Dennis Lehane, ma non tra i suoi più famosi: ha scritto una serie con protagonisti due detective, Patrick Kenzie e Angela Gennaro (irlandese lui e italiana lei) che sono divertentissimi, molto ironici (edita in Italia da Piemme, ndr).
Nessun autore italiano?
Rischio di fare torto a qualche amico… Diciamo Camilleri che va bene sempre.
Cos’hanno in più gli americani?
Adesso, per la verità, tanti italiani si leggono con lo stesso piacere e lo stesso gusto per la velocità. Prima, il giallo italiano era in realtà un romanzo in cui un delitto fungeva da pretesto per fare una critica sociale, mentre adesso c’è più intrattenimento, e sono aumentati gli autori di qualità.
Del resto, anche i giallisti svedesi sono “americani” come stile e ritmo.
5) Indaghi abitualmente sul mistero: perché secondo te siamo così affascinati dai romanzi thriller, dalla ricerca della soluzione di misteri?
Una delle molle che muove l’uomo da quando esiste è la curiosità per l’ignoto e il mistero: è ciò che ci ha costretto ad alzarci su due gambe e ad andare per il mondo, e che permette allo scienziato di fare le sue scoperte. Ci piace che un libro ci sorprenda e ci apra delle porte su mondi sconosciuti.
6) Ora che hai sperimentato di scrivere romanzi oltre che saggi, qual è la forma di scrittura che preferisci?
È tutto molto diverso. Nei saggi ho la possibilità di andare a studiare e ad approfondire un argomento che magari mi ha sempre incuriosito ma che non ho avuto ancora tempo di esaminare. Prima di iniziare a scrivere devi leggere tantissimo e documentarti. Che poi, in realtà, anche certi libri che ho scritto in passato erano più delle docu-fiction che veri saggi, come quando ho raccontato la storia della banda Vallanzasca o la vicenda della Uno bianca, per cui ho incontrato tutti i detective che avevano lavorato a quel caso.
Il romanzo mi piace perché creo qualcosa: non racconto una storia che esiste già e che aspetta di essere messa per iscritto, ma che non posso cambiare.
Avevo scritto una terribile storia di bambini successa anni fa a Roma cresciuti da una ex suora, Maria Diletta Pagliuca, la quale abusava ripetutamnte di loro, ricostruita solamente grazie alle memorie di uno dei bambini cresciuti lì e poi diventato Cavallo Pazzo. Quello in pratica era un romanzo, costruito come tale, ma la storia non potevo cambiarla.
Invece, in un romanzo, fino a pochi giorni prima di consegnare posso ancora cambiare qualcosa: di "Il passato è una terra straniera" ho deciso di cambiare il finale dopo averlo già consegnato.
Quindi non è tanto rigido nella stesura di un libro?
No, ma non sono nemmeno come King: se avete presente quello che dice in "On writing", per lui scrivere un libro è lo stesso che per un archeologo estrarre dalla terra un pezzettino, e partendo da quello arrivare a ricostruire un tirannosauro.
Io, invece, prima di partire devo avere presente fin dall’inizio tutta la storia, anche se poi, scrivendola, mi può capitare di cambiarla. Ad esempio anche per dare più o meno spazio ad un personaggio.
Come affronta allora il processo di scrittura?
Ancora oggi ci sono autori e autrici che scrivono a mano, a blocchi che poi compongono e scompongono come i pezzi di un puzzle.
Altri invece scrivono tutto in fila, con poche correzioni.
Tu come scrivi?
Cerco di partire pensando a un’idea forte, e a tutto quello che potrebbe accadere collegato ad essa. Quando mi sono costruito una serie di scene, inizio a dar loro un ordine e mi creo una scaletta, scritta a mano, che poi passo al computer. Poi vado più a fondo in ciascuno di questi momenti, e questo lavoro porta via parecchio tempo, fino a quando mi sembra che tutto stia in piedi.
Stavolta ho evitato parte del lavoro preliminare, perché partivo dal personaggio del romanzo precedente. Avevo già la sua voce.
Il mio protagonista però ha una voce piuttosto forte e molto autoironica che non volevo perdere, anche se era necessario che in alcune scene lui non ci fosse, per far progredire la storia. Per questo a tratti la narrazione passa in terza persona. Ad alcuni questa scelta sembra curiosa, ma non è una cosa che mi sono inventato io. L’importante è che il racconto sia fluido.
Preferisco completare subito la prima stesura senza fermarmi a correggere, perché se lo faccio rischio di non finire più. Come diceva anche Hemingway, la prima stesura è sempre spazzatura, qualcosa che nessuno pubblicherebbe mai. Dopo, rileggendo, posso correggere, modificare, persino eliminare un personaggio.
7) Quando ha iniziato a scrivere il romanzo precedente, pensava già di fare di Bruno Jordan un personaggio seriale? Aveva già un’idea che si sviluppava su più libri?
Sì, volevo un personaggio che mi desse la libertà di farlo tornare, anche se il libro precedente ha una chiusura che mi avrebbe permesso di fermarmi lì.
Quindi ha già immaginato la sua evoluzione nel lungo periodo, cosa diventerà e cosa vorrebbe fargli accadere?
Ci sono elementi che ricorrono in entrambi i libri e che restano senza risposta, e non sono inseriti a caso: so cosa deve succedere la prossima volta, e volendo anche più volte.
8) Vita da scrittore?
Facendo il mio mestiere cerco di alzarmi ogni giorno alle otto del mattino e mettermi subito a scrivere.
Lascio la freschezza e la lucidità della mattina per il libro che sto scrivendo, e magari nel pomeriggio mi dedico a tutto il resto: sempre attività legate alla scrittura, ma molto diverse, come ad esempio gli articoli che scrivo per “Focus”.
Ascolta musica scrivendo?
Ci sono dei momenti in cui la musica mi fa piacere e l’ascolto volentieri, ma deve essere musica strumentale, non cantata, altrimenti mi distraggo.
Nel lavoro di revisione e riscrittura mi serve il silenzio assoluto.
C’è quindi una playlist o una canzone legata ai suoi romanzi?
Per il primo libro abbiamo creato una playlist riferita agli anni Ottanta.
In questo ci sono riferimenti a David Bowie, dovendo scegliere una canzone potrebbe essere "Life from Mars".
9) Un ultima domanda sul suo protagonista: Bruno Jordan è ironico anche nel pericolo.
È solo una caratteristica del personaggio o anche un modo per stemperare la tensione narrativa?
Lui è così, come forma di autodifesa: non essendo poi così dotato fisicamente, cerca di ferire con la parola. C’è però anche il sorriso in un momento di tensione, anche se a un certo punto anche l’ironia deve scomparire.
Se fosse una persona reale potrebbe essere suo amico? Lo chiedo perché tanti autori di personaggi seriali alla fine ammettono di non amare questi loro personaggi, o di averli fatti morire per stanchezza.
Sì, non sarebbe un amicone ma mi starebbe simpatico.
10) Parliamo della sua attività social, che è un po’ particolare?
Quando ho esordito lo scorso anno con "Il passato è una bestia feroce", nonostante tutta la mia attività precedente, io ero un esordiente.
Non avevo un pubblico che mi conoscesse come autore di thriller e, giustamente, chi mi aveva visto solo come persona che andava in televisione per altro poteva essere dubbioso.
Siccome al mio romanzo tenevo molto ho pensato di accompagnarlo perché non si perdesse nell’oceano di sessantamila libri che esce ogni anno in Italia.
Ma come avrei potuto farlo? Le recensioni dei giornali ormai contano poco.
Oggi le recensioni che contano non sono più solo quelle dei critici affermati, ma anche, e forse soprattutto, quelle dei blogger specializzati, o anche di chi semplicemente legge il libro e ne parla sul suo blog personale, o scrive il suo parere su Amazon.
Ho pensato di fare una cosa diversa, che ho visto fare negli Stati Uniti ma non mi sembrava fosse stata ancora provata in Italia, coinvolgendo i lettori.
Io ho un sito, una pagina Facebook e una newsletter a cui sono iscritti chi segue le mie attività e legge i miei saggi: ho pensato che un centinaio di queste persone avrebbe potuto essere interessato a leggere il romanzo in anteprima, per poi commentarlo, magari parlandone sui propri blog o siti, scrivendone delle recensioni.
Quello che è successo poi è andato molto al di là delle mie previsioni, perché questi lettori-staffetta sono diventati trecento. Pur avendo mandato loro il libro un mese prima dell’uscita, nel giro di cinque giorni l’avevano già letto tutti, e mi sono ritrovato con quattro settimane di tempo da gestire con loro.
C’è chi ha creato cose pazzesche, oltre alle recensioni: video curiosissimi, playlist, immagini. Naturalmente di questo "movimento" si è finito per parlare parecchio, creando un’attesa tale che "Il passato è una bestia feroce", appena uscito, è andato subito in ristampa finendo poi per vincere il premio Nebbia Gialla, assegnato da una giuria di lettori.
Abbiamo rifatto tutto con questo secondo romanzo: ho fatto votare a questa squadra di lettori anche la copertina, tra le tre che mi erano state proposte.
Ci sono persino dei video, basati su certe scene del romanzo, realizzati da veri professionisti.
Si è creata così una bellissima squadra, e molti di loro erano l’altro giorno alla prima presentazione alla Mondadori Duomo: è molto bello poi conoscersi di persona.
Per molti lettori, in effetti, è entusiasmante poter incontrare i propri autori preferiti, anche se alcuni restano sempre inarrivabili: è una cosa a cui non siamo ancora del tutto abituati.
Sì, non sapete quanto è vera questa cosa, e per me in particolare.
Quand’ero ragazzino, ero già appassionato di misteri e avevo letto un libro che mi aveva aperto un mondo: era "Viaggio nel mondo del paranormale" di Piero Angela.
Ero così entusiasta che gli ho scritto una lettera, a mano naturalmente, solo per dirgli quanto mi fosse piaciuto il suo libro, e dicendo che sarebbe stato bello se anche in Italia avessimo potuto avere, come negli Stati Uniti, un comitato che indagasse su questi fenomeni.
Angela mi ha cercato, ci siamo conosciuti e mi ha dato la possibilità, a me che ero un ragazzino che veniva dalla provincia, di andare negli Stati Uniti a studiare con James Randi, che è il più grande cacciatore di misteri del mondo, che è diventato il mio mentore.
Pensate al potere di un libro e di una lettera!
Io ringrazio moltissimo Piemme per la possibilità di incontrare Massimo Polidoro e leggere "Non guardare nell'abisso" in anteprima, e l'autore per la sua disponibilità.
Spero che la chiacchierata vi sia piaciuta ;)
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
giovedì 30 giugno 2016
Chiacchierata con Massimo Polidoro su "Non guardare nell'abisso", Bruno Jordan e il fascino del mistero
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