lunedì 30 settembre 2019

Segreti e ipocrisie: intervista a Sveva Casati Modignani

Il suo nuovo romanzo Segreti e ipocrisie (Sperling & Kupfer) si appresta a scalare le classifiche: abbiamo incontrato Sveva Casati Modignani a Milano, e ci ha raccontato qualcosa di più sulla genesi del suo ultimo libro, secondo di una serie che prevede altri due volumi.


Segreti e ipocrisie inizia dal finale di Festa di famiglia, e questa è la prima volta che lei scrive un seguito di un suo romanzo. Come è successo?
È nato per caso. Io alterno da anni un romanzo più corposo a una storia più breve. Quando ho iniziato la storia delle quattro amiche a un certo punto mi sono accorta che dovevo chiuderla, ma ne veniva fuori solo la storia di una delle quattro, Andreina. E le altre? E le questioni rimaste aperte? Inevitabilmente è nato un seguito, e ce ne saranno anche un terzo e un quarto, uno per ogni protagonista. Ma non era un’operazione voluta, è arrivata per caso.

Pensando a tutte le donne che lei ha raccontato nel corso della sua lunga carriera, mi chiedevo: come si fa a raccontare ogni volta donne così diverse? È vero che la natura femminile ha infinite sfaccettature, però è anche vero che ogni autore magari mette qualcosa di sé nei personaggi, e aumenta anche il rischio di ripetersi. Come nascono quindi le sue donne?
Non lo so. Io adesso sto molto con i giovani - perché le donne della mia età mi rattristano - e ascolto le loro storie, i loro linguaggi. Osservo il loro modo di vivere e di comportarsi di fronte ai problemi della vita, al lavoro, alle relazioni sentimentali e parentali. Se devo fare un confronto tra la mia biografia, che è quella di una donna cresciuta ancora secondo schemi ottocenteschi e vittoriani, e le donne di oggi, provo tanta invidia: beate loro, che vivono molto meglio! Qui, in particolare, volevo raccontare com’è importante l’amicizia tra donne, perché io sono cresciuta in un tipo di civiltà che desiderava tenere le distanze tra le donne rendendole aggressive tra loro, quindi nessuna fiducia nella donna ma piuttosto negli uomini. Le donne erano percepite come inferiori, quindi loro stesse si fidavano più degli uomini che delle altre donne: si andava da un medico maschio, si votava un candidato politico maschio. Quand’ero giovane non c’erano quasi donne in parlamento.
Invece di mettersi le dita negli occhi, le donne dovrebbero imparare a fare squadra come gli uomini, perché la squadra ti rafforza. L’idea di partenza era la solidarietà, con quattro caratteri diversi che sono nati dalle storie che ascolto dalle mie nipoti e dalle loro amiche.
Perché le donne fanno ancora fatica ad instaurare dei rapporti d’amicizia sinceri?
Ci sono tante gelosie e invidie, soprattutto negli ambienti lavorativi. Se invece le donne si coalizzassero ne avrebbero tutte dei grandi vantaggi. Bisogna imparare a fare squadra!
L’invidia è un sentimento costruttivo se sai usarlo bene, ma paghiamo il conto di un’educazione tramandata dai secoli per mettere le donne una contro l’altra.

Negli anni si è affezionata a un personaggio che ha creato più che ad altri?
No: li amo finché li racconto, ma quando la storia finisce ci diciamo addio e io parto per un’altra avventura.

Mi ha incuriosito il titolo, e volevo sapere perché è stato scelto proprio per questo romanzo. Segreti e ipocrisie in fondo sono dei temi costanti nei suoi romanzi, perciò avrebbero potuto chiamarsi così anche altri usciti in precedenza.
Qui più che mai c’è la volontà di nascondere delle verità che alla fine sarebbero normali, banali. La moglie che tradisce il marito e viceversa non è una novità per nessuno, però la famiglia in questione ha una rispettabilità da ostentare ed è ancorata al perbenismo imperante. Maria Sole e suo fratello Filippo crescono in una famiglia che è piena di ombre, di segreti, di cose non dette. Il perbenismo impedisce di accettare la diversità del marito di Maria Sole, che madre e suocera non arrivano a comprendere. Per loro è un sacrilegio ammettere l’esistenza dell’omosessualità, che non è una malattia ma una condizione normale come l’eterosessualità.

Le protagoniste vengono da quattro mondi, età e livelli sociali diversi, però ad un certo punto si ritrovano più o meno nella stessa condizione sociale e lavorativa. C’è davvero tra le donne una volontà di coltivare amicizie che uniscano età diverse?
Non sono poi così diverse, perché una donna di trent’anni e una di quarantaquattro oggi sono quasi coetanee. A una certa età le differenze non sono più così rilevanti. Unendosi si rafforzano, spalleggiandosi ma anche criticandosi. L’amicizia tra donne è bella, quando è vera. Gli uomini sono molto più grezzi e superficiali, danno per scontato che ci sia un’amicizia anche con persone che conoscono poco, le donne pretendono qualcosa di più profondo.
Tutte le sue protagoniste, oppure le loro madri, partono da un ceto sociale non altissimo e poi, con la voglia di fare e con la tenacia raggiungono grandi obiettivi. Però è anche vero che hanno quasi sempre la fortuna di incappare in qualche principe azzurro: è una forma di incoraggiamento?
Certo, potrei anche raccontare la storia di un uomo e una donna nati nella ricchezza e poi caduti in miseria, ma poi m’intristisco: io devo vivere per mesi in compagnia dei miei personaggi e devo tenermi su il morale.

Lei scrive e pubblica dagli anni Ottanta. Come crede che sia cambiato il suo modo di scrivere da allora ad oggi? È cambiato qualcosa da quando scriveva con suo marito?
La modalità è sempre la stessa. Io racconto i personaggi come sono oggi e poi torno indietro a raccontare da dove vengono, com’è stata la loro storia. Anche in principio ero solo io a scrivere, mio marito si limitava a criticare e a suggerire modifiche. Da quando non c’è più lui ho comunque la mia editor, Donatella Barbieri, con cui lavoro da tanti anni ed è lei a darmi suggerimenti. Chi scrive ha bisogno di qualcuno che legga, giudichi e suggerisca, anche se ci sono autori che rifiutano i consigli degli editor pensando di essere bravissimi in prima persona. Io penso che si facciano del male.

Nel libro viene citato un romanzo di Rosa Teruzzi, che tra l’altro ha dato il nome Cairati alle sue protagoniste. In generale, che cosa legge?
Con Rosa Teruzzi siamo amiche e ci facciamo questi piccoli scherzi.
Io sono onnivora: io leggo di tutto, ma in prevalenza gialli, polizieschi. Camilleri è morto lasciandomi nel dolore perché adesso so che ci sarà ancora solo un libro che chiuderà la saga di Montalbano. Mi è mancato tantissimo anche Simenon.
I polizieschi sono i libri che mi fanno rilassare la sera prima di dormire, anche se può sembrare paradossale rilassarsi leggendo di omicidi. Non ho amato troppo il commissario Ricciardi di De Giovanni, mentre mi piace molto la serie dei Bastardi di Pizzofalcone.

Grazie a Sperling & Kupfer e a Sveva Casati Modignani per quest'incontro.


Segreti e ipocrisie di Sveva Casati Modignani (Sperling & Kupfer) è in libreria, al prezzo di copertina di 15,90€.

"Come far perdere la testa al capo" di Max Monroe

Al suo debutto italiano, il duo di autrici celate dietro allo pseudonimo Max Monroe ha incontrato le lettrici a Roma in occasione del RARE 2019, e firmato in anteprima le copie di Come far perdere la testa al capo (Always Publishing).


Nel primo volume di questa frizzante serie, incontriamo Georgia e Kline, la prima coppia destinata a rubare il cuore delle lettrici.
Georgia lavora come capo del marketing per TapNext, la app per incontri più popolare del momento. Ha una carriera invidiabile, è spumeggiante e simpatica, eppure, quando si tratta di uomini non ha proprio fortuna. È persino obbligata a tenere un profilo suTapNext, rigorosamente anonimo, e da allora ha praticamente perso del tutto le speranze di trovare un uomo che non pensi che mandare foto di parti intime sia un modo gentile di fare conversazione. Anzi, quando riceve la quarta foto oscena in un solo giorno, decide che è il momento di rispondere a tono al profilo Sporco_Ruck. Inaspettatamente, superato "l’incidente", l’uomo dietro il profilo si rivela brillante, divertente, persino piuttosto galante, e Georgia si trova sempre più in confidenza con lui.

Fino a che Kline Brooks, il suo bellissimo,ultra affascinante e ricchissimo capo, che ha tutti i numeri per essere il gentiluomo perfetto, non le chiede di accompagnarlo a un evento. Georgia non riesce a crederci, ma gli esiti di un solo esilarante appuntamento, di un quasi bacio e di una dose eccessiva di antistaminici, possono essere davvero imprevedibili. Kline viene colto completamente impreparato dalla connessione istantanea che lo lega alla spumeggiante Georgia.
E soprattutto viene colto impreparato quando capisce che è proprio Georgia a nascondersi dietro il profilo di Rose, la donna brillante con cui ha cominciato a scambiare messaggi su TapNext sotto il nome di Sporco_Ruck.  Sarà il caso, per Kline, di rivelare questa fortunata coincidenza... o sfruttarla per conquistare una volta per tute il suo adorabile capo del marketing?
Quando la vita virtuale e la vita reale si scontrano, gli sviluppi possono essere imprevedibili!

Max Monroe riescono nel difficile intento di costruire un romanzo rosa romantico al punto giusto, piccante quanto basta ma, soprattutto, molto divertente.
Lo scambio di battute costante tra Rose e Sporco_Ruck è uno specchio perfetto del flirt appassionato che lega Georgia e Kline, e vedere il loro rapporto evolversi su questo doppio binario (online e nella vita di tutti i giorni) è emozionante, oltre che esilarante.

Dimenticate quelle prime volte perfette, in cui manca solo la capra che suona il violino citata da Julia Roberts in "Notting Hill" (rom-com per eccellenza): la prima volta di Georgia e Kline è un vero disastro, ma nulla su cui non si possa ridere insieme, concedendosi una seconda possibilità.
Del resto provateci voi, a vivere una prima volta da sogno quando siete in overdose involontaria da antistaminico!
Si ride, ci si emoziona e si assiste con il batticuore al crescere del sentimento che lega Kline e Georgia, e al loro trovare ciò che non credevano di volere, o di meritare: quell'amore destinato a durare per sempre.

Come far perdere la testa al capo è una lettura imperdibile per le fan di film come Notting Hill e Love Actually, di Quattro matrimoni e un funerale e Il diario di Bridget Jones: se per voi amore e divertimento sono l'accoppiata vincente, quella di Max Monroe è la penna che fa per voi!


Come far perdere la testa al capo di Max Monroe (Always Publishing) è in libreria dal 3 ottobre, al prezzo di copertina di 13,90€.

venerdì 20 settembre 2019

"L'altra metà di Dio" di Ginevra Bompiani

«È questa natura monca dell'amore,
il suo ondeggiare fra immortalità e fugacitá,
fra eccesso e miseria,
a rendere insieme vitale e impossibile trattenerlo.»


L'altra metà di Dio di Ginevra Bompiani (Feltrinelli) è un libro difficile da etichettare - come succede solo con quelle letture talmente ricche da rendere qualsiasi classificazione riduttiva.
È un saggio? Assolutamente sì, ed è un saggio curato, approfondito, scritto meravigliosamente.
È un racconto? Altrettanto vero: dalla prima all'ultima pagina, è un lento ripercorrere millenni di storia (religiosa, sociale, persino artistica grazie alle opere a colori incluse nel volume), la nostra storia, quella che ci ha portati ad essere qui, oggi.

E così come al passato, L'altra metà di Dio è inevitabilmente legato al presente: in un momento storico di profonda crisi, in cui assistiamo al declino apparentemente inarrestabile del pianeta che ci ha ospitati per millenni (e del quale avremmo dovuto avere miglior cura) e all'ascesa, in un odioso parallelo, di quei sentimenti id odio, rifiuto e distruzione che già in passato hanno più volte accecato la nostra capacità di giudizio, sembra fondamentale tornare indietro, per meglio comprendere come andare avanti.
«Nel momento in cui la terra sembra occupata a distruggere e distruggersi per mano dei suoi abitanti, mi è sembrato urgente cercare di capire dove è nata questa corsa suicida», e non è forse un interrogativo che ognuno di noi dovrebbe porsi?

È impossibile affrontare questa lettura senza ritrovarsi più volte a riflettere su quanto leggiamo ogni giorno, soprattutto online, e su ciò a cui assistiamo, spesso incapaci di intervenire.
Uno degli interrogativi a cui Ginevra Bompiani cerca di trovare una risposta è da dove nasca «questo nostro bisogno di punire ed essere puniti. La punizione ha sostituito il destino, vediamo perfino la malattia e la morte come punizioni ineluttabili», e non si può non chiedersi dove siano finite la nostra empatia e la nostra comprensione.
Siamo meno umani? Forse sì, ma non è tardi per invertire la rotta.

Ma qual è, l'altra metà di Dio? Il femminile. Un femminile inedito, esplorato partendo dal ruolo della donna nelle grandi narrazioni (religiose, filosofiche, letterarie) che hanno formato i paesi occidentali nel corso dei secoli e portato, oggi, allo scontro tra i sessi che sembriamo incapaci di risolvere.
Se il maschile non avesse sopraffatto il femminile sin dall'antichità, il mondo sarebbe diverso? Sarebbe migliore? E a cosa ci porterà, questo scontro costante, fatto di giuste rivendicazioni (questo sì) ma anche di violente sopraffazioni?

Freud, Dante, Kafka, Sofocle e ancora Socrate, D'Acquino e Stravinskij: sono solo alcuni dei nomi che fanno capolino paragrafo dopo paragrafo, e che guidano i lettori verso una migliore comprensione del loro stesso immaginario, che, come sottolinea l'autrice nelle ultime pagine del volume, «è fatto di storie. Sono loro che edificano il pensiero e, con l'aiuto della scrittura, lo codificano». Da millenni a questa parte.
L'altra metà di Dio è un'immersione nelle storie, nelle "nostre" storie, quelle che ci hanno raccontato sin da bambini e che ci hannor esi le persone che siamo oggi, con un occhio di riguardo per il loro lato rimasto a lungo "in ombra", oggi finalmente illuminato dalla scrittura attenta e puntuale di Ginevra Bompiani.
Consigliatissimo.

L'altra metà di Dio di Ginevra Bompiani (Feltrinelli) è in libreria, al prezzo di copertina di 19€.

giovedì 12 settembre 2019

Strange but true: al cinema e in libreria!

Da oggi nelle sale, Strange but true (diretto da Rowan Athale) è un film riuscito a metà.
Se la premessa era infatti accattivante - cinque anni dopo la tragica morte di un ragazzo, la sua allora fidanzata bussa alla porta della famiglia di lui con un annuncio sconcertante: è incinta, e il padre è il defunto fidanzato - , il risultato è una pellicola non troppo coinvolgente e con personaggi ridotti a figure monodimensionali, con ben poco da trasmettere al pubblico.


L'interpretazione più riuscita è quella di Margaret Qualley, che nei panni di Melissa trasmette agli spettatori ogni sua emozione e sensazione, reggendo più di un lungo primo piano e arrivando quasi a convincerli della reale possibilità che quel bambino in arrivo possa, effettivamente, essere del defunto fidanzato Ronnie.
Non si può dire lo stesso per Nick Robinson, che nei panni del fratello di Ronnie, Philip, conserva per 96' la stessa espressione e al quale la sceneggiatura regala solo un paio di minuti di conversazione con Melissa (Qualley) per dare profondità al suo personaggio. Non sono sufficienti.

Il secondo tempo piacerà al pubblico amante dei thriller, che troverà in un inseguimento nei boschi e una quasi riuscita sepoltura di Philip (ancora vivo) pane per i suoi denti, ma resta una virata troppo brusca rispetto al mood che pervade i primi quaranta minuti della pellicola.
Questi sono dedicati alla famiglia di Ronnie, a mostrarne lo stato di semi-rottura seguito a un lutto mai superato, e anche in questo caso sembra che si abbia quasi timore ad andare fino in fondo, limitandosi a poche scene a effetto che non arrivano a essere emblematiche. O sufficienti.

Il romanticismo della scena del ballo a due di Ronnie e Melissa, scelta per la locandina, è assente in ogni altro minuto del film, e persino il trailer sembra più una reclame del "puoi credere a qualcosa di incredibile?" e "l'amore supera tutto, anche la morte", davvero distante dal prodotto arrivato nelle sale.

Il romanzo omonimo di John Searles, Strange but true, da cui è stata tratta la pellicola, è ben più riuscito e da consigliare, ed è in libreria edito Dea Planeta:


In seguito a una misteriosa caduta nel suo appartamento di Manhattan, Philip Chase è tornato a vivere a casa della madre, Charlene, una donna corrosa dall'incapacità di accettare la tragica morte del figlio minore, Ronnie, avvenuta cinque anni prima. Impacciato dal gesso e irritato dalle continue frecciate della madre, Philip passa le giornate sul divano, sprofondato nel vuoto brusio della tv. Tutto cambia una sera d'inverno, quando la fidanzata di Ronnie si presenta sulla soglia di casa per annunciare di essere incinta. E il padre, sostiene, è proprio Ronnie, il defunto fratello di Philip. Comincia così, con quella che pare a tutti gli effetti la fantasia malata di una giovane donna distrutta dal dolore, il viaggio attorno ai segreti e ai fantasmi di una famiglia. Alla scoperta di menzogne, omissioni, segreti e crimini inconfessabili. E di un pugno di personaggi in bilico tra debolezza e redenzione.

Il romanzo rende giustizia al personaggio di Philip, a quello della madre Charlene (esiste dolore più grande, per una madre, della eprdita del figlio?) e anche a quello di Melissa - ben lontana dall'essere la ragazzina ammaliata da una sensitiva che ci presenta il film di Rowan Athale.
Un'occasione sprecata al cinema, ma una storia da scoprire in libreria.

martedì 10 settembre 2019

"La città delle ragazze" di Elizabeth Gilbert

Lo scorso giugno è stato un mese dorato per i lettori: sugli scaffali di tutto il mondo è arrivato City of girls, attesissimo romanzo di Elizabeth Gilbert, che arriva ora anche in Italia grazie a Rizzoli: La città delle ragazze esce il 17 settembre, e vi trasporterà nella New York degli anni quaranta tra spettacoli teatrali, costumi luccicanti e feste da sogno. Indossate un paio di scarpe comode, perchè sarà una nottata travolgente che vi lascerà senza fiato.


New York degli anni quaranta: la guerra è lontana, ma presente. I giovani ansiosi di sentirsi uomini si arruolano, le ragazze sono impegnate a scegliere il marito giusto (o almeno, quello in grado di occuparsi di loro e dei figli che verranno in modo adeguato).
Ma Vivian Morris è diversa: non sogna la vita matrimoniale, sogna di avere qualcosa di più.
Quando l'ottimo college (Vassar) che frequenta la invita a non ripresentarsi, i genitori decidono di mandarla dalla zia a New York, dove potrà riflettere sul suo comportamento e schiarirsi le idee - senza imbarazzarli oltre con il suo comportamento indisciplinato.
Zia Peg gestisce (o meglio, tiene faticosamente a galla) la Lily Playhouse, un teatrino di periferia dove gli spettacoli costano poche monete e il cui pubblico è costituito da braccianti, operai e meno abbienti impossibilitati a frequentare i teatri del centro.
I copioni sono ripetitivi, gli attori sono mediocri o peggio che mediocri, e i costumi...
Ma qui Vivian può dare sfogo alla sua creatività, e mettersi alla prova facendo qualcosa che ama davvero: cucire. Sua nonna, abile sarta, le ha trasmesso il suo sapere e la sua passione, e Vivian diventa ben presto la mascotte del teatro, capace di scovare piccoli, preziosi tesori nelle ceste degli scampoli in merceria e trasformarli in costumi sfavillanti.
Celia, Gladys, Roland... tutto il cast di sconclusionati attori e ballerine adora Vivian, e la ragazza si fa ben presto trascinare nei locali, nei bar notturni, sulle piste da ballo.
Ma non è tutto oro ciò che luccica, e quando si vive in una città che non dorme mai bisogna semrpe tenere gli occhi aperti.

Romanzo di formazione nel senso più profondo del termine, La città delle ragazze è la storia di un percorso. Di un cammino irto di ostacoli, di amori sbocciati in fretta per sfiorire altrettanto velocemente, di scandali. Vivian è un gattino gettato nel recinto dei leoni: deve imparare a sopravvivere, e a non aver paura del ruggito altrui.
È anche un romanzo profondamente femminista, che vede Vivian fare il suo ingresso come studentessa svogliata ma appassionata di moda e diventare una donna di successo, con una sua attività e una storia pazzesca da raccontare.
È lei stessa, a raccontare ai lettori le sue vicende: ormai anziana, Vivian Morris scrive a una certa Angela (il cui ruolo verrà chiarito solo nelle ultime pagine del romanzo) per raccontarle la sua storia, che vede le due donne legate da un rapporto unico e impossibile da descrivere senza svelare troppo.

La città delle ragazze è un lascito, una traccia di Vivian nel mondo, e una volta giunti all'ultima pagina è impossibile non sentirsi come se, chiudendo il volume, si stesse perdendo un'amica.
Un'amica che ha fatto molti errori, amato gli uomini sbagliati, deluso la sua famiglia, ma anche un'amica che ha lottato per la sua indipendenza, per i suoi sogni, che ha perso un fratello (era sulla USS Franklyn nel marzo del 1945, durante l'attacco aereo giapponese che costò la vita a circa 800 membri dell'equipaggio, ndr) e per l'unico amore che valga la pena vivere: quello sincero.

Sebbene la prima parte del romanzo sia la più trascinante e scanzonata, è la seconda a restare incisa a fondo nel cuore del lettore. È la Vivian che, a guerra finita, si rimbocca le maniche e trova la sua strada quella dalla quale si fa fatica a separarsi a lettura ultimata.
La stessa Vivian che, da giovane, descriveva se stessa come capace di fare solo due cose (il sesso e il cucito), e che da anziana aggiunge a quelle due misere voci la più importante: essere una buona amica, soprattutto per le altre donne. Ed è questo a rendere il romanzo speciale.

Nessuna città potrà mai essere delle regazze, se le ragazze non la costruiranno insieme, e una volta riposto il volume in libreria si ha la sesnazione che Vivian, qualche mattone di quella città, lo abbia posato.
Consigliatissimo.


La città delle ragazze di Elizabeth Gilbert (Rizzoli) sarà in libreria dal 17 settembre, al prezzo di copertina di 20€.

lunedì 9 settembre 2019

«È più interessante leggere di qualcuno che fa fatica»: intervista ad Anna Dalton

Da quest'anno, il blog ospita le recensioni e le interviste di Veronica Lempi, già collaboratrice de Gli Amanti dei Libri. Ha intervistato per noi Anna Dalton, autrice de La ragazza con le parole in tasca (Garzanti), ed ecco cosa le ha svelato!


In perfetto tempismo con la ripresa dell’anno scolastico, è uscito giovedì 5 settembre il nuovo libro di Anna Dalton: La ragazza con le parole in tasca, seguito de L’apprendista geniale (entrambi editi Garzanti), secondo capitolo della trilogia in cui racconta le avventure della determinata Andrea Doyle con una contemporaneità disarmante.
Leila, Doyle o "Carota", come siamo abituati a leggerla, è al secondo anno di College e studia per diventare giornalista, una passione quasi “genetica” tramandata dalla mamma scomparsa ormai molti anni prima, ma sempre presente attraverso la passione per la scrittura.
«Scrivi, scrivi, scrivi» è il suo mantra quotidiano, la medicina a tutti i mali, la sola e unica soluzione alla confusione mentale, nonché tre semplici parole scritte su un pezzetto di carta che Doyle tiene sempre in tasca e si porta ovunque.
Andrea è diversa dal resto dei ragazzi della sua età, ama stare sola o con pochi amici, adora leggere, scrivere - appunto, partecipare con sana competizione ai giochi di ruolo con i pensionati di San Neri, ed infine ama Joker, e poi Zen. O Joker? Forse Zen è l’uomo della sua vita. Però quando vede Joker.... ma Zen le ha creato un blog su cui può pubblicare la versione online del Doyle News... «Scrivi, scrivi, scrivi».
Tra le acque salate e qualche volta burrascose di Venezia, e più precisamente dell’isola dei Santi, dove frequenta il Longjoy College, Doyle affronta le sue incertezze sull’oggi e le sue sicurezze sul domani. Perché di cosa vuole dal futuro non ha il minimo dubbio, è quello che sta accadendo nel presente che la turba. Ma per questo ci sono George, Marilyn, Andre, Uno, Leo e tutti gli altri compagni che la vita le ha donato.

Abbiamo incontrato Anna Dalton per rivolgerle qualche domanda in merito all’ultimo libro ed ecco cosa ci ha rivelato!

Da cosa è nata l'dea che ha dato origine alla trilogia?
La prima idea è stata quella di parlare di amicizia. Volevo proprio parlare di un gruppo di amici e di interdipendenza tra amici. Volevo parlare di un gruppo in cui l’amicizia fosse fondamentale, non una cosa "in più" per la vita della protagonista. E a quell’età è fondamentale avere amici attorno che la i mostrano nuove scelte, nuove opportunità per il corso della tua vita, perché sono proprio gli anni in cui decidi cosa vuoi fare della tua vita.

Il personaggio di Andrea rappresenta la tipica ragazza che fino a ieri sarebbe rientrata nel prototipo della studentessa considerata un po’ "sfigata", mentre oggi è esattamente una di noi, con la sua normalità. Forse sarebbe stato molto più strano se nel libro avessi raccontato di Barbie (la ragazza più popolare del college, ndr). È proprio questo che fa sì che la amiamo così tanto? Perché possiamo immedesimarci perfettamente in lei?
Sì, è vero. Quella dell’underdog che poi si fa rivalere è una figura che torna spesso. Io credo che sia fondamentalmente più interessante leggere di qualcuno che fa fatica. Personalmente amo quei personaggi che arrivano nelle situazioni e dicono o pensano «e ora? Che ne sarà di me?». E tra l’altro trovo che sia un tema sempre attuale, perché proprio in questi giorni, girando sui social si notano tantissimi post di mamme famose come Julia Roberts, per fare un esempio, che accompagnano i bambini per il primo giorno di scuola e si raccomandano di rivolgere sempre una parola ai nuovi compagni, o a coloro che stanno da soli, perché non si sa mai cosa stanno vivendo. In realtà sembra un cosa normalissima ma ancora accade, e molto anche. Soprattutto tra i più giovani.

Se si presta attenzione durante la lettura, si nota come tu abbia inserito molti temi importanti, a volte sdrammatizzando con un pizzico di ironia.
Mi fa piacere che si sia notato, ci ho provato. Ovviamente senza alcuna pretesa di aver scritto cose profonde o che cambino la vita di qualcuno, ma per me sono temi davvero importanti. Ho scelto bene di cosa parlare, ho dedicato molta attenzione all’individuazione di questi argomenti. Per esempio il fatto di aver inserito a pagina 2 il migliore amico gay come compagno di stanza al College, perché per me è una cosa ovvia, per molti no. Come altre. Non mi sognerei mai di fare del proselitismo, però per me sono davvero temi importanti.

L’ambientazione a Venezia e la descrizione dettagliata dei paesaggi che circondano il LongJoy è molto importante per la storia. Mentre di San Neri, il paese di origine di Andrea, sappiamo solo che si trova in collina, nient’altro. Ovviamente cercando su internet non si trova nulla. Come mai la differenza di ambientazione tra "la città più bella del mondo" e il paesino inventato?
In realtà sì, San Neri non esiste. Ma non esiste nemmeno l’Isola dei Santi, quindi entrambi i due specifici luoghi d’ambientazione non sono reali. San Neri è al Nord, in mezzo alle montagne, verso l’Ovest... ma è proprio dalla mia fantasia, perché mi dà molta più libertà parlare di qualcosa che ho creato io. Venezia invece é l’unico realismo e c’è perché secondo me ne vale davvero la pena. In realtà c’è molto di più nel secondo libro rispetto al primo, e poi Venezia anche nel mondo vero è sempre un po’ un misto tra fantasia e magia, nella sua particolarità.

Perché hai scelto di ambientare la tua storia nel mondo del giornalismo?
Un po’ perché l’avevo studiato all’università, quindi diciamo che avevo un fondo teorico su cui basarmi. È un po’ perché stavamo vivendo un momento storico in cui percepivo molto astio e negatività nei confronti dei giornalisti, mentre io lo reputo un lavoro importantissimo, fondamentale per la nostra quotidianità. È un lavoro per cui ci vuole moltissima passione e dedizione, non è che dopo gli studi il posto fisso in redazione arrivi subito e sarà quello per tutta la vita. C’è un po’ di parallelismo tra questo e la professione di attore (A. Dalton è anche attrice, ndr).
Personalmente, a Venezia ci sono stata una sola volta durante la Mostra del Cinema e devo dire che non fa per me. Amo Venezia il 20 di gennaio, senza nessuno in giro! Mi piace molto l’atmosfera d’inverno, nei caffè con i maglioni e la cioccolata calda. È la parte che amo veramente di Venezia.

Tu, come la protagonista che si siede ai banchi della scuola per il secondo anno, ti sei seduta alla scrivania davanti a questa storia per la seconda volta. Come è stato riprendere a scrivere qualcosa che avevi lasciato? Sempre entusiasmante o in qualche modo anche "spaventoso" o inaspettato?
Devo dire che avevo un po' paura perché come dice Caparezza «il secondo album è sempre più difficile», quindi temevo un po’. Ma in realtà poi non ci ho pensato proprio per niente e sono andata avanti veloce. Nella mia testa erano tre libri già dall’inizio, e quindi sapevo benissimo dove la protagonista sarebbe arrivata. Certo, alcune variabili non sono chiarissime, nel senso che poi vengono modificate, integrate. E poi si tratta di personaggi talmente pieni di cose che potrebbero fare, che la possibilità di sviluppo è infinita. Ed è proprio il motivo per cui io desideravo scriverne tre: volevo dargli tempo, cose da fare, persone da incontrare, che ognuno facesse il suo percorso. E poi mi affeziono, inutile dirlo!


La ragazza con le parole in tasca di Anna Dalton (Garzanti) è in libreria, al prezzo di copertina di 17,90€.

venerdì 6 settembre 2019

"Alzare lo sguardo" di Susanna Tamaro: quattro domande all'autrice!

Susanna Tamaro torna in libreria questa settimana con Alzare lo sguardo (Solferino), un'importante riflessione sulla scuola, l'istruzione e l'educazione.
Abbiamo incontrato l'autrice a Milano, ed ecco cosa ci ha raccontato sulla nascita dell'opera, e sul ruolo chiave della lettura.


In questo libro, e nell'affrontare il tema della scuola, e di ciò che non funziona nel nostra sistema educativo, è partita dalla sua stessa esperienza.
La mia esperienza scolastica è stata pessima, come racconto. Sono riuscita a prendere un "meno 17", voto che credo ben pochi abbiano potuto vedersi assegnare!
Da qui è nato il desiderio di scrivere di scuola, da qui e dal mio aver desierato a lungo di poter fare la maestra elementare: purtroppo non ce l'ho fatta, ma avrei voluto poter insegnare e impedire che altri bambini soffrissero quanto avevo sofferto io.
La scrittura mi ha permesso di portare comunque avanti un lavoro a stretto contatto con i bambini e le scuole, e ho visto tante cose non funzionare.
Vedo i bambini sempre più abbandonati a loro stessi, e le conseguenze di questo abbandono arriveranno una volta cresciuti: i bambini meritano rispetto, attenzione e fiducia. Bisogna lavorare per dare e trarre da loro il meglio, non per "portarli avanti" e buttarli fuori dalla scuola.

Nel libro parla anche del ruolo chiave della lettura. L'esperienza di molti di noi, per quanto riguarda scuola e lettura, è stata negativa: libri non adatti e ripetuti a ogni ciclo scolastico, per esempio. È possibile percorrere altre strade?
Io odiavo leggere, ai tempi della scuola. Mi proponevano libri che tutto facevano tranne rendere l'esperienza della lettura gradevole. È un problema della scuola italiana, quello di fare odiare la letteratura ai ragazzi trasformandola in un dovere, e un qualcosa di faticoso e sgradevole.
La lettura dev'essere un piacere, e per far appassionare i ragazzi bisogna proporre loro libri che li riguardino. Per esempio, io ho adorato Zanna Bianca: mi piacevano i cani, e per me è stata davvero una lettura azzeccata. L'importante è creare l'abitudine alla lettura, in modo che poi da adulti vadano a cercare anche i classici: bisogna rivedere i programmi scolastici, e trovare posto anche a letture diverse, a romanzi contemporanei scritti per i ragazzi.
Leggere dev'essere un piacere, prima di tutto: qui hanno un ruolo fondamentale anche le famiglie, perchè i figli di lettori leggono di più - con le dovute eccezioni.

Susanna Tamaro
E per quanto riguarda gli adulti? Perchè uno dei problemi, con la lettura, è che ci sono moltissimi non lettori nella fascia 18-35, persone che leggevano da bambine per poi perdere quest'abitudine e, se va bene, ritrovarla solo molti anni dopo (quando succede).
I bambini leggono moltissimo, e in genere portano con sè l'abitudine fino alle medie. Lì si apre una voragine, e se non trovano alla scuola superiore degli insegnanti che li facciano appassionare nuovamente alla lettura, restano non-lettori. Bisogna trovare il modo giusto per coinvolgerli.

È molto interessante la sua riflessione sullo smarrimento: è importante smarrirsi, e la creatività deriva proprio da temporanei smarrimenti. Ma in questo mondo che cambia così velocemente e con questa struttura scolastica così rigida, secondo lei, quanto è importante oggi smarrirsi?
Sempre di più. Questo è un mondo che richiede l'efficienza continua, e non so se in futuro ci saranno scrittori e artisti come in passato: sembra non esserci il tempo dello smarrimento che da sempre è la fonte della creatività, della poesia, della letteratura...
Si pensa alla prestazione, ma l'anima umana è più complessa di così, e ha bisogno anche di "deragliare" ogni tanto, invece di raggiungere la prossima stazione a tutta velocità.

Alzare lo sguardo affronta moltissimi altri temi "caldi" legati all'educazione e all'istruzione, e incontrare l'autrice e poterne approfondire una parte è stato un onore: grazie a Solferino e a Susanna Tamaro per quest'occasione di confronto.
Alzare lo sguardo di Susanna Tamaro (Solferino) è in libreria, al prezzo di copertina di 11,90€.

giovedì 5 settembre 2019

Presenza oscura: intervista a Wulf Dorn

«Il mio nome è Nikka. Mi hanno uccisa. Ma questo è solo l'inizio.»

Wulf Dorn torna in libreria con Presenza oscura (Corbaccio), che presenterà in anteprima alla 20° edizione di Pordenonelegge domenica 22 settembre alle 15 (Spazio Bcc), in dialogo con Luca Crovi.
La storia di Nikka, che a sedici anni si risveglia dal coma in ospedale e fatica a ricordare cosa le sia successo. Era a una festa, questo lo ricorda, insieme alla sua amica Zoe.

Ma poi? Poi, improvvisamente un blackout.
Nikka ha provato l’esperienza della morte: per ventuno terribili minuti il suo cuore ha cessato di battere, ma il suo cervello ha continuato a funzionare. E Nikka ricorda un tunnel buio in cui si intravedeva una luce e ricorda che anche Zoe era con lei. E quindi rimane scioccata alla notizia che Zoe è scomparsa proprio durante la festa e che da allora manca da casa. Che sia stata uccisa?
Nikka è convinta di no e appena riesce incomincia a cercarla...
Ma fin dove sarà disposta a spingersi per salvare la sua migliore amica?


Abbiamo incontrato l'autore a Milano, ed ecco cosa ci ha raccontato!

Partiamo dal titolo Presenza Oscura. Nonostante in letteratura e nell'arte l’oscurità sia sempre contrapposta alla luce, nel tuo romanzo c’è come un rovesciamento tra luce ed oscurità. Nella nostra concezione la luce è il bene, e l’oscurità il male: in questo caso la luce è la fine del percorso, e restare aggrappati all’oscurità vuol dire in realtà riuscire a tornare alla vita. Volevo sapere se questo rovesciamento di luce ed ombra è stata una dinamica su cui pensavi di lavorare visto che nei tuoi romanzi l’oscurità è sempre presente.
Ho pensato parecchio ad un titolo per questo libro: il mio titolo iniziale era 21. Gioco volentieri con i numeri, e il 21 in questo libro ha vari significati: sono ventuno sia i minuti di morte di Nikka, sia i celebri grammi dell'anima. Il titolo italiano mi piace moltissimo, ed è vero che c’è questo gioco tra luce ed ombra nel mio romanzo. Penso che noi tutti abbiamo in testa delle immagini fisse: la luce è sempre la cosa buona, e l'ombra quella cattiva. Questa storia gioca anche con la realtà, con quello che potremmo definire la fantasia, quello che ho imparato nei miei tanti anni di lavoro in ambito psichiatrico. Ho imparato che la nostra percezione di quello che è reale e normale rispetto a ciò che non è reale ed è falso, vede queste due realtà separate da una linea sottilissima. Proprio perché questo confine è cosi sottile non possiamo sempre distinguere bene le due cose. Può anche significare che la luce non è una cosa buona, e che ciò che è buio non è sempre una cosa cattiva. E proprio perché questo libro ruota intorno alle percezioni, è interessante vedere come queste cose possono cambiare posizione, e possono anche non essere sempre neutre.

Parlaci di Nikka, e di come è nato il suo personaggio.
Volevo scrivere una storia sulla morte e sul morire, e come in tutti i miei romanzi cercavo un protagonista che, a priori, c'entrasse il meno possibile con la storia: questo avrebbe creato dei conflitti, e sono i conflitti a portare avanti la storia. Ed è per questa stessa ragione che ho scelto una persona molto giovane: una persona giovane certamente non pensa già alla morte, ma pensa al futuro, a quello che ha da proporle, a ciò che vuole diventare.
Strappare una persona così alla propria vita crea questo conflitto, e questo dà il via a tutta la storia.
Ecco perché era importante che scegliessi una persona così giovane per questa storia: perché una persona giovane sperimenta una serie di cose per la prima volta, mentre noi adulti abbiamo già un certo bagaglio di esperienza, e sappiamo già cosa può essere pericoloso grazie all'esperienza acquisita, oltre a sapere come regolarci in certi momenti di difficoltà.

Cosa puoi dirci di Sascha? Ti sei ispirato a qualcuno per il suo personaggio?
Anche Sascha ha avuto un concepimento piuttosto lungo. Doveva essere un personaggio che si combinasse bene con Nikka. Nikka ha una personalità molto forte, mentre Sascha è un giovanotto molto sensibile, ma che d'altra parte non doveva essere un fifone. La sua forza è nascosta sotto vari strati di timidezza: è un ragazzo esile e magrolino, ma nonostante questo è lui a riuscire a rianimare Nikka per 21 minuti, tenendola in vita.
Quando ho iniziato a riflettere su come mettere insieme questi due personaggi, mi sono chiesto ma come fa uno come Sascha a trovarsi lì, ad una festa, nel momento in cui succede quel che succede a Nikka? Visto che nei miei libri la musica ha sempre un ruolo importante per me, lavoro spesso tanto volentieri con citazioni di canzoni, ed è per questo che mi è venuto in mente che Sascha avrebbe potuto essere un D.J, e mi è sembrata un 'ottima idea!

Puoi parlarci del rapporto con la morte? La morte, in Presenza Oscura non è nulla di angosciante. È come se fosse un invito a vedere la morte come parte della vita.
Se Presenza Oscura spingerà i lettori a riflettere sulla loro esistenza, allora questo libro avrà già raggiunto un obbiettivo importante. Credo che finché viviamo - e le cose vanno bene - tendiamo a dare per scontato tante cose, e passare oltre ad un sacco di  piccolezze della nostra esistenza.
Ma quando riusciamo a vedere davvero la nostra vita, e a capire che tutto ha una fine, riusciamo ad essere più attenti e ad essere grati di quello che abbiamo. Forse anche essere più felici.
Quello che alcuni definirebbero un memento mori, in realtà vuole spingerci ad apprezzare di più quel che abbiamo. Se riuscissimo a vivere la nostra esistenza in armonia con noi stessi, credo che non sarebbe necessario aver paura della morte.

Cosa puoi dirci dei tuoi prossimi lavori? 
Due settimane fa ho cominciato a scrivere il mio nuovo romanzo.
Ma devo fare una premessa, ovvero che il prossimo anno sarà un anno speciale: sarà il decimo anniversario de La psichiatra in Italia, ed è il libro per il quale ricevo così tanta posta dai miei lettori.
Molti mi chiedono se un giorno ci sarà un seguito, ed è a questo che sto lavorando.
Non posso garantire che sarà pronto il prossimo anno, ma spero che sarà il prossimo romanzo di cui parlaremo!


Presenza oscura di Wolf Dorn (Corbaccio) è in libreria, al prezzo di copertina di 19,50€.

martedì 3 settembre 2019

"I ragazzi della Nickel" di Colson Whitehead

Con il suo romanzo La ferrovia sotterranea , Colson Whitehead ha vinto il National Book Award per la narrativa nel 2016, il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2017 ed il Premio Arthur C. Clarke nello stesso anno.
Torna in libreria questo mese con I ragazzi della Nickel (Mondadori), che racconta ai lettori la storia di Elwood, ragazzo pronto a diventare uomo profondamente ispirato dalle parole di King sull'uguaglianza e la giustizia, e della Nickel Academy.


Il nuovo romanzo di Colson Whitehead, I ragazzi della Nickel, si basa sulla storia di un luogo realmente esistito in Florida, e sulla violenza perpetrata tra le sue mura nell'indifferenza generale nei confronti di ragazzi come Elwood - il nostro protagonista.
Allevato da sua nonna a Tallahasee, Elwood è adolescente agli albori del movimento per i diritti civili. Assetato d conoscenza, attento a ogni problematica con la quale entra in contatto, ascolta più volte i discorsi di King sulla parità di diritti grazie a un'incisione su disco, facendo sue quelle parole e quelle idee. Ma compie un errore di giudizio, fidandosi delle persone sbagliate, e finisce così per ritrovarsi alla Nickel Academy - che si rivela presto una grottesca camera degli orrori.

Tutto ciò in cui crede sulla giustizia, le libertà individuali e i pari diritti non trova posto in un luogo come la Nickel Academy, ma questo luogo non riesce, nonostante tutto, a corrompere il suo spirito.
Vede le cose in modo molto diverso un altro ragazzo Turner, che non crede nella giustizia (almeno, non ne esiste una per loro) e sa che ciò che fa non sarà mai importante per chi comanda come quello che è (un ragazzo di colore in una società di bianchi).

Elwood e Turner rappresentano i due modi di affrontare l'ingiustizia, la crudeltà verbale e la violenza fisica (arrivando anche a percosse che richiedono un ricovero nell'ospedale locale).
Nella dimensione in cui sono intrappolati, non contano il duro lavoro o l'integrità morale: se chi è al potere ti odia perché sei diverso, le tue azioni contano molto, molto poco.

Colson Whitehead racconta l'ingiustizia e la violenza, sì, ma soprattutto parla di dignità umana, e dell'importanza di non perderla mai, a prescindere dalle condizioni in cui ci si trova.
Quella di Elwood e Turner è la storia di due ragazzi che, come tanti altri, cercano di diventare uomini. Uomini migliori. Non tutti i ragazzi della Nickel riusciranno a conservare a libertà nell'anima, ma tutti lottano per questo oltre che per la sopravvivenza e la riconquista della libertà.

È una storia straziante, raccontata magnificamente: il personaggio di Elwood è tratteggiato in modo così dolce, innocente, e allo stesso tempo coraggioso e idealista, che qualsiasi avversità pare al lettore una punizione immeritata e troppo dolorosa.
I ragazzi della Nickel è un romanzo, sì, ma al pari della saggistica ci mostra una verità.
Una verità dolorosa, ancora troppo attuale: ridurla a mera finzione sarebbe un'ulteriore violenza.


I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead (Mondadori) è in libreria, al prezzo di copertina di 18,50€.