Due anni dopo Non oso dire la gioia, un nuovo incantevole romanzo di di Laura Imai Messina è in libreria, pronto a trasportare i lettori in un angolo del Giappone che sa di dolore e di sollievo, di addii e di nuovi inizi. Si tratta di Quel che affidiamo al vento (Piemme).
Sul fianco scosceso di Kujira-yama, la Montagna della Balena, si spalanca un immenso giardino chiamato Bell Gardia. In mezzo è installata una cabina, al cui interno riposa un telefono non collegato, che trasporta le voci nel vento. Da tutto il Giappone vi convogliano ogni anno migliaia di persone che hanno perduto qualcuno, che alzano la cornetta per parlare con chi è nell'aldilà.
Ed è questa cabina telefonica, dalla sua scoperta casuale al viaggio per raggiungerla, che la storia di Yui ha inizio.
La donna che i lettori incontrano tra le pagine di Quel che affidiamo al vento è una donna che la perdita e il dolore hanno cambiato, indebolito e spento: lo tsunami che si è abbattuto sul Giappone l'11 marzo 2011 le ha portato via la madre e la figli piccola, che credeva al sicuro in uno dei rifugi.
Un crudele scherzo del destino ha fatto sì che alcuni rifugi fossero costruiti troppo in basso, e diventassero prigioni per coloro che vi avevano cercato riparo, ed è qualcosa che Yui non riesce ad accettare. Da quel momento la sua vita è priva di uno scopo, e colma solo di rimpianti, di ciò che non potrà mai esserci.
Scoprire dell'esistenza del telefono di Bell Gardia la porta ad affrontare il viaggio per raggiungere quel giardino che sembra dare sollievo a così tante persone, veri e propri pellegrini che a quella cornetta affrontano ultimi addii, chiacchiere, confidenze e confessioni.
Solo che lei proprio non ci riesce, a parlare in quella cornetta. Per questo, quando annunciano che su quella zona sta per abbattersi un uragano di immane violenza, Yui accorre, pronta a proteggere il giardino a costo della sua vita. E per salvare, almeno in parte, anche se stessa.
Sono tante le emozioni che Laura Imai Messina racconta attraverso le pagine di Quel che affidiamo al vento, e quella che arriva più forte e dirompente al lettore è la sindrome del sopravvissuto, che consiste anche in un profondo e radicato senso di colpa («perchè io sono viva, e loro no?»).
Yui non riesce a trovare una giustificazione razionale per la morte di sua figlia, così piccola einnocente, con una vita intera da vivere, e la verità è che una giustificazione è impossibile da trovare. Non esiste.
Quello che si può trovare, però, e che i lettori scopriranno insieme a lei pagina dopo pagina, è la forza di alzare la testa e tornare a vivere quella vita che, dolore incluso, resta sempre un regalo prezioso.
E la forza di dire addio, ognuno a modo suo. Anche parlando in una cornetta scollegata, in una vecchia cabina telefonica in mezzo a un giardino, affidando al vento le proprie parole.
Quel che affidiamo al vento di Laura Imai Messina (Edizioni Piemme) è in libreria, al prezzo di copertina di 17,50€.
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martedì 14 gennaio 2020
martedì 26 febbraio 2019
Intervista ad Antonio Paolacci e Paola Ronco su "Nuvole barocche", Genova e la scrittura a quattro mani
Antonio Paolacci e Paola Ronco firmano, per la prima volta a quattro mani, Nuvole barocche (Piemme), la prima indagine di Paolo Nigra.
Un giallo profondamente italiano, che porta il lettore tra le strade di Genova a fianco di un protagonista inusuale: il vicequestore aggiunto Paolo Nigra, quarantenne gay dichiarato (ma il cui compagno Rocco, non ha ancora fatto coming out).
Abbiamo incontrato gli autori a Milano, ed ecco cosa ci hanno raccontato sulla genesi del libro, la scrittura a quattro mani, la città di Genova e... molto altro!
Due aspetti di questo romanzo hanno catturato la mia attenzione.
Innanzitutto la città, pienamente protagonista della storia e che rispecchia in più di una scena ciò che accade a livello narrativo: mi interessava sapere quanto della "vostra" Genova c'è nel libro, e come sia stato gestire durante la scrittura questa città che è anche personaggio oltre ambientazione.
Noi siamo degli outsider, a Genova. Ci siamo trovati a viverci, ma non è la nostra città d'origine.
È però una città che amavamo da prima in maniera istintiva, viscerale. Una volta trasferiti, ci siamo sentiti a casa. Abbiamo fatto in modo che il nostro protagonista fosse come noi, che venisse da fuori.
I genovesi sono molto gelosi della loro città, e volevamo fare in modo che lo sguardo fosse esplicitamente esterno.
Per noi Genova è assolutamente protagonista, come hai colto tu: da sempre ci sembra il luogo ideale per far muovere al suo interno dei personaggi. È ricca di contrasti, di luci e di ombre.
Ha un carattere spigoloso, ma è anche una città profondamente schietta.
Sembra una città più esclusiva che inclusiva.
Apparentemente è così, ma in realtà non è così. Quella genovese è una scontrosità che sembra respingente, ma non ha quello scopo.
Il secondo aspetto interessante del vostro libro è la scelta di un protagonista omosessuale, anche se mi rendo conto che nel 2019 non dovremmo più pronunciare una frase del genere. In ogni categoria professionale troviamo persone omosessuali dichiarate e non, e nella finzione letteraria non dovrebbe essere diverso. Da autori, com'è nato questo personaggio, e quando avete deciso di renderlo omosessuale? E perchè?
Paolo Nigra è nato per reazione, tra le altre cose. Abbiamo creato questo personaggio nel 2017, e l'anno prima c'era stato questo dibattito, a tratti surreali, sulle unioni civili.
Trovevo incredibile che nel 2016 stessimo ancora valutando se permettere o no alle persone di avere gli stessi diritti.
Il problema della rappresentazione omosessuale in letteratura è che, in Italia, spesso tende a due estremi: abbiamo la macchietta, che diventa caricaturale, oppure il personaggio tormentato che soffre per la sua condizione.
Manca l'omosessuale sereno che fa l'avvocato, fa la spesa, va in posta.
Esatto, come invece troviamo senza troppa fatica nei prodotti culturali e d'intrattenimento inglesi o americani.
Poi certo, nel far scontrare il nostro protagonista con un'aggressione omofobica volevamo che esplodesse un tormento, un conflitto interiore, una sofferenza... ma motivata.
Un tormento che però non fosse dovuto alla sua sessualità, con la quale è in pace.
Pensando alla scrittura, l'omosessualità di Paolo è uno dei primi tratti che abbiamo deciso.
Una figura come la sua mancava nella letteratura italiana di genere, mentre ne abbiamo trovate nella letteratura straniera.
Siete entrambi autori pubblicati, ma stavolta firmate un romanzo a quattro mani.
È stata un'esperienza strana, nata d'impulso. Abbiamo trovato un metodo senza cercarlo, e per noi funziona benissimo: stendiamo una scaletta, e uno di noi inizia a scrivere un capitolo.
Viene poi letto e sistemato dall'altro, e ripassato al primo.
Poi ovviamente parliamo del libro in stesura in ogni momento, quindi il lavoro sul testo è costante ed è davvero una scrittura a quattro mani.
C'è un personaggio al quale vi sentite più legati?
Per entrambi Paolo Nigra ormai è una persona vera: spesso ci chiediamo cosa ne penserebbe di una determinata situazione, per esempio!
Aggiungiamo che Paolo e Rocco riflettono alcuni aspetti del nostro rapporto di coppia.
È finito molto di voi, nei vostri personaggi?
Assolutamente, anche se in questo primo libro non è molto evidente. Nei successivi lo è molto di più.
Paola, per esempio, come Paolo perde spesso di vista il suo cellulare.
Parliamo di influenze letterarie: quanto di tutto quello che èil vostro universo letterario di riferimento è finito nel lavoro di scrittura?
Abbiamo voluto fare un omaggio a Lucarelli perchè siamo molto affezionati ai suoi lavori, così come, tra gli italiani, ammiriamo molto Manzini. Non possiamo non citare i gialli classici, soprattutto inglesi e americani.
La serialità ci appassiona, perchè ci piace poter seguire un personaggio, vederlo crescere e invecchiare. Volevamo creare qualcosa che avremmo amato da lettori.
Poi nella scrittura è confluito anche tutto il bagaglio personale che abbiamo legato anche, per esempio, all'aver seguito per anni diverse serie televisive. Anni in cui abbiamo passato ore in compagnia di personaggi e immersi in mondi che si sono sviluppati con noi.
È anche un passo ulteriore rispetto alla serialità del giallo classico che citavate prima.
Se pensiamo a una su tutti, Agatha Christie, nelle sue serie il tempo è fermo: Miss Marple, Hercule Poirot non invecchiano. Sono sempre uguali a se stessi. Il personaggio non evolve.
La vostra è una serialità che possiamo invece accostare a quella di Camilla Läckberg.
È bello anche per l'autore poter sviluppare un personaggio, farlo crescere, invecchiare.
Inoltre siamo molto attenti all'attualità, alla quale sarà legato ogni nostro romanzo: non si può prescindere dal tempo che passa, se si vuole restare legati a precisi eventi e momenti storici.
Nuvole barocche di Antonio Paolacci e Paola Ronco (Piemme) è in libreria, al prezzo di copertina di 17,90€.
Un giallo profondamente italiano, che porta il lettore tra le strade di Genova a fianco di un protagonista inusuale: il vicequestore aggiunto Paolo Nigra, quarantenne gay dichiarato (ma il cui compagno Rocco, non ha ancora fatto coming out).
Abbiamo incontrato gli autori a Milano, ed ecco cosa ci hanno raccontato sulla genesi del libro, la scrittura a quattro mani, la città di Genova e... molto altro!
Due aspetti di questo romanzo hanno catturato la mia attenzione.
Innanzitutto la città, pienamente protagonista della storia e che rispecchia in più di una scena ciò che accade a livello narrativo: mi interessava sapere quanto della "vostra" Genova c'è nel libro, e come sia stato gestire durante la scrittura questa città che è anche personaggio oltre ambientazione.
Noi siamo degli outsider, a Genova. Ci siamo trovati a viverci, ma non è la nostra città d'origine.
È però una città che amavamo da prima in maniera istintiva, viscerale. Una volta trasferiti, ci siamo sentiti a casa. Abbiamo fatto in modo che il nostro protagonista fosse come noi, che venisse da fuori.
I genovesi sono molto gelosi della loro città, e volevamo fare in modo che lo sguardo fosse esplicitamente esterno.
Per noi Genova è assolutamente protagonista, come hai colto tu: da sempre ci sembra il luogo ideale per far muovere al suo interno dei personaggi. È ricca di contrasti, di luci e di ombre.
Ha un carattere spigoloso, ma è anche una città profondamente schietta.
Sembra una città più esclusiva che inclusiva.
Apparentemente è così, ma in realtà non è così. Quella genovese è una scontrosità che sembra respingente, ma non ha quello scopo.
Il secondo aspetto interessante del vostro libro è la scelta di un protagonista omosessuale, anche se mi rendo conto che nel 2019 non dovremmo più pronunciare una frase del genere. In ogni categoria professionale troviamo persone omosessuali dichiarate e non, e nella finzione letteraria non dovrebbe essere diverso. Da autori, com'è nato questo personaggio, e quando avete deciso di renderlo omosessuale? E perchè?
Paolo Nigra è nato per reazione, tra le altre cose. Abbiamo creato questo personaggio nel 2017, e l'anno prima c'era stato questo dibattito, a tratti surreali, sulle unioni civili.
Trovevo incredibile che nel 2016 stessimo ancora valutando se permettere o no alle persone di avere gli stessi diritti.
Il problema della rappresentazione omosessuale in letteratura è che, in Italia, spesso tende a due estremi: abbiamo la macchietta, che diventa caricaturale, oppure il personaggio tormentato che soffre per la sua condizione.
Manca l'omosessuale sereno che fa l'avvocato, fa la spesa, va in posta.
Esatto, come invece troviamo senza troppa fatica nei prodotti culturali e d'intrattenimento inglesi o americani.
Poi certo, nel far scontrare il nostro protagonista con un'aggressione omofobica volevamo che esplodesse un tormento, un conflitto interiore, una sofferenza... ma motivata.
Un tormento che però non fosse dovuto alla sua sessualità, con la quale è in pace.
Pensando alla scrittura, l'omosessualità di Paolo è uno dei primi tratti che abbiamo deciso.
Una figura come la sua mancava nella letteratura italiana di genere, mentre ne abbiamo trovate nella letteratura straniera.
Siete entrambi autori pubblicati, ma stavolta firmate un romanzo a quattro mani.
È stata un'esperienza strana, nata d'impulso. Abbiamo trovato un metodo senza cercarlo, e per noi funziona benissimo: stendiamo una scaletta, e uno di noi inizia a scrivere un capitolo.
Viene poi letto e sistemato dall'altro, e ripassato al primo.
Poi ovviamente parliamo del libro in stesura in ogni momento, quindi il lavoro sul testo è costante ed è davvero una scrittura a quattro mani.
C'è un personaggio al quale vi sentite più legati?
Per entrambi Paolo Nigra ormai è una persona vera: spesso ci chiediamo cosa ne penserebbe di una determinata situazione, per esempio!
Aggiungiamo che Paolo e Rocco riflettono alcuni aspetti del nostro rapporto di coppia.
È finito molto di voi, nei vostri personaggi?
Assolutamente, anche se in questo primo libro non è molto evidente. Nei successivi lo è molto di più.
Paola, per esempio, come Paolo perde spesso di vista il suo cellulare.
Parliamo di influenze letterarie: quanto di tutto quello che èil vostro universo letterario di riferimento è finito nel lavoro di scrittura?
Abbiamo voluto fare un omaggio a Lucarelli perchè siamo molto affezionati ai suoi lavori, così come, tra gli italiani, ammiriamo molto Manzini. Non possiamo non citare i gialli classici, soprattutto inglesi e americani.
La serialità ci appassiona, perchè ci piace poter seguire un personaggio, vederlo crescere e invecchiare. Volevamo creare qualcosa che avremmo amato da lettori.
Poi nella scrittura è confluito anche tutto il bagaglio personale che abbiamo legato anche, per esempio, all'aver seguito per anni diverse serie televisive. Anni in cui abbiamo passato ore in compagnia di personaggi e immersi in mondi che si sono sviluppati con noi.
È anche un passo ulteriore rispetto alla serialità del giallo classico che citavate prima.
Se pensiamo a una su tutti, Agatha Christie, nelle sue serie il tempo è fermo: Miss Marple, Hercule Poirot non invecchiano. Sono sempre uguali a se stessi. Il personaggio non evolve.
La vostra è una serialità che possiamo invece accostare a quella di Camilla Läckberg.
È bello anche per l'autore poter sviluppare un personaggio, farlo crescere, invecchiare.
Inoltre siamo molto attenti all'attualità, alla quale sarà legato ogni nostro romanzo: non si può prescindere dal tempo che passa, se si vuole restare legati a precisi eventi e momenti storici.
Nuvole barocche di Antonio Paolacci e Paola Ronco (Piemme) è in libreria, al prezzo di copertina di 17,90€.
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venerdì 23 novembre 2018
Intervista a Massimo Polidoro su Leonardo, tra natura, pittura e Milano
Si fa presto a dire Leonardo.
Un genio, un artista senza pari, un ingegnere e uno scienziato troppo aventi rispetto alla sua epoca, ma anche vegetariano, omosessuale, pacifista, figlio illegittimo in un tempo in cui questo poteva solo porlo in una condizione di svantaggio.
L'idea era di raccontare, con "Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle" (Piemme) un Leonardo diverso, senza limitarsi al Leonardo inventore, scienziato artista di cui tanto è stato scritto e tanto verrà scritto in futuro. Per questo a dare voce alla storia è Francesco Melzi, braccio destro e pupillo di Leonardo, nella tradizione letteraria consolidata che vuole un discepolo raccontare il suo maestro, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Massimo Polidoro vuole raccontare l'uomo, in ogni sua sfaccettatura, luminosa o meno brillante che fosse, e proprio da questo ha inizio la conversazione.
Se penso a Leonardo, penso alla dicotomia perfezionismo/ossessione.
Da un lato la ricerca costante, i rotoli di pergamena con schizzi di mani, dita, dettagli di arti di animali; dall'altro il rischio di non arrivare mai a realizzare l'opera.
Dal tuo punto di vista, quanto queste due caratteristiche della sua personalità hanno influenzato ciò che ci è arrivato del suo lavoro?
Sono d'accordo con la tua analisi. L'idea che mi sono fatto è che Leonardo non lavorasse pensando di creare opere da lasciare ai posteri: spesso la pittura gli serviva per sostenersi, e il compenso per i ritratti era ciò che gli permetteva di poter fare le sue ricerche scientifiche.
Utilizzava la pittura per approfondire la sua ricerca, dallo studio dell'anatomia umana a quella animale, passando per l'acqua e la natura nel suo complesso che non smettono mai di affascinarlo.
Se guardiamo ai suoi scritti, notiamo la sua evidente difficoltà nel tirare le fila di una ricerca, chiudendo un discorso: questo ha fatto sì che, alla sua morte, non ci fosse altro che una ricchissima collezione di materiali che il suo pupillo e braccio destro, pur mettendosi d'impegno, non è riuscito a organizzare in più libri, portandone a termine uno soltanto.
Leonardo e l'omosessualità: quanto ha subito questa sua condizione (pensando soprattutto all'epoca in cui ha vissuto), e quanto ha influito su ciò che ci è effettivamente arrivato a livello di informazioni sulla sua vita privata?
Si rende conto della sua omosessualità da ragazzo, e del pericolo legato a questa condizione nel momento in cui lo arrestano. Il suo sentirsi responsabile nei confronti del padre, del Verrocchio, dei suoi amici lo costringe al silenzio e alla riservatezza, al punto da scrivere apertamente che «bisogna evitare di rendere esplicite le proprie passioni» e di farlo per tutta la vita. Si concede solo di ritrarre alcuni modelli maschili.
Leonardo è un uomo diviso: la necessità di lavorare e di mantenersi, così come quella di studiare, lo porta verso le città e le corti dei signori, ma il Leonardo bambino amante della natura che osservava il volo degli uccelli e le foglie degli alberi è di fatto lo stesso Leonardo che fino alla fine studia il volo, schizzo dopo schizzo. Posso chiederti un approfondimento sul rapporto tra Leonardo e la natura?
Ne era sicuramente innamorato, e incantato: non è un caso che il primo schizzo datato di Leonardo sia un paesaggio della sua Toscana, che è anche considerato il primo paesaggio dell'arte occidentale. È la prima volta che si disegna un paesaggio non in funzione di un ritratto, o di una battaglia, ma come scopo dell'opera.
L'amore per la natura lo accompagna tutta la vita: il volo degli uccelli, le rocce, l'acqua, le piante hanno per lui un significato profondo e lo portano a farsi delle domande che, in parte, conosciamo grazie alla sue liste di "cose da fare", di curiosità da soddisfare e di domande da porre agli esperti dei vari ambiti per saperne di più.
Avrebbe potuto vivere in campagna, nel podere ereditato dallo zio, ma i suoi studi e le sue ricerche gli impongono di vivere in città, e da qui la necessità di dipingere su commissione e di dedicarsi anche alla messa in scena di spettacoli per le corti italiane e francesi.
Anche il suo rapporto con le città è sintomatico: a Firenze si sente in trappola, a Milano ritrova il respiro e la possibilità di muoversi.
Pensi che il teatro gli abbia permesso di realizzare il più grande sogno di un pittore e di uno scultore, ovvero l'opera d'arte in movimento?
E secondo te la sua esperienza con la messa in scena teatrale ha a sua volta influenzato il suo mdo di rappresentare i corpi vivi dipingendo o scolpendo?
Può essere. Indubbiamente amava questa forma d'arte.
Chi scrive dei suoi spettacoli, ne parla come di qualcosa di mai visto: Leonardo sapeva che lo scopo dello spettacolo era di essere sorprendente, e questo lo porta a inventarsi delle soluzioni originalissime. Dei veri e propri effetti speciali, come un vulcano che erutta in scena, un cavallo che scende dall'alto, i pianeti che ruotano.
La pittura, e le sue competenze artistiche, sicuramente influenzano le sue scelte per quanto riguarda le scenografie, i costumi, l'inquadratura di ogni scena, così come la possibilità di disporre di attori in movimento lo influenzerà nella pittura e nella scultura come suggerivi.
Siamo a Milano, e non si può non chiudere parlando di Leonardo e del suo rapporto con la nostra città. La città del respiro, come l'hai definita prima, e anche una città che gli deve moltissimo, dal Cenacolo ai Navigli tornati proprio negli ultimi anni navigabili come li aveva immaginati. Cos'ha dato Leonardo a Milano, e cosa la città gli ha restituito?
Milano per Leonardo è la città più importante: gli dona la possibilità di esprimersi, realizzarsi e diventare ciò che voleva essere. È più grande e ricca di stimoli e commissioni di Firenze, ed è governata da una persona che lo cerca, a differenza di quanto accaduto con Lorenzo il Magnifico (che, a sua discolpa, aveva a disposizione molti grandi pittori e che quindi non sentiva il bisogno di tenere a corte Leonardo). A Milano Leonardo resta più di vent'anni, ed è da Milano che viene portato in Francia. Alla città lombarda lascia opere rimaste qui, altre che sono state portate via (La vergine delle rocce, una tra tutte), inclusi i codici che sono stati portati quasi tutti in Francia.
Certo, questo "trasloco" dei codici è ciò che ci ha permesso di conoscerli davvero: in Francia venivano studiati, in Italia erano chiusi in una biblioteca, senza che venissero divulgati.
Per quanto riguarda i Navigli, provava per essi una grande passione: li ammirava e studiava, progettando ad esempio il sistema delle conche che garantiva la navigazione nonostante i dislivelli.
Aveva le idee molto chiare sulla necessità di mantenere la città pulita, e di smaltire nel modo corretto i rifiuti, anche per eliminare il rischio di epidemie. Precursore dei tempi anche in questo!
Non posso non ringraziare Massimo Polidoro e Piemme per la splendida opportunità di confronto, e consiglio a tutti la lettura di Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle: vi conquisterà!
Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle di Massimo Polidoro (Piemme) è in libreria, al prezzo di copertina di 18,50€.
Un genio, un artista senza pari, un ingegnere e uno scienziato troppo aventi rispetto alla sua epoca, ma anche vegetariano, omosessuale, pacifista, figlio illegittimo in un tempo in cui questo poteva solo porlo in una condizione di svantaggio.
L'idea era di raccontare, con "Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle" (Piemme) un Leonardo diverso, senza limitarsi al Leonardo inventore, scienziato artista di cui tanto è stato scritto e tanto verrà scritto in futuro. Per questo a dare voce alla storia è Francesco Melzi, braccio destro e pupillo di Leonardo, nella tradizione letteraria consolidata che vuole un discepolo raccontare il suo maestro, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Massimo Polidoro vuole raccontare l'uomo, in ogni sua sfaccettatura, luminosa o meno brillante che fosse, e proprio da questo ha inizio la conversazione.
Se penso a Leonardo, penso alla dicotomia perfezionismo/ossessione.
Da un lato la ricerca costante, i rotoli di pergamena con schizzi di mani, dita, dettagli di arti di animali; dall'altro il rischio di non arrivare mai a realizzare l'opera.
Dal tuo punto di vista, quanto queste due caratteristiche della sua personalità hanno influenzato ciò che ci è arrivato del suo lavoro?
Sono d'accordo con la tua analisi. L'idea che mi sono fatto è che Leonardo non lavorasse pensando di creare opere da lasciare ai posteri: spesso la pittura gli serviva per sostenersi, e il compenso per i ritratti era ciò che gli permetteva di poter fare le sue ricerche scientifiche.
Utilizzava la pittura per approfondire la sua ricerca, dallo studio dell'anatomia umana a quella animale, passando per l'acqua e la natura nel suo complesso che non smettono mai di affascinarlo.
Se guardiamo ai suoi scritti, notiamo la sua evidente difficoltà nel tirare le fila di una ricerca, chiudendo un discorso: questo ha fatto sì che, alla sua morte, non ci fosse altro che una ricchissima collezione di materiali che il suo pupillo e braccio destro, pur mettendosi d'impegno, non è riuscito a organizzare in più libri, portandone a termine uno soltanto.
Leonardo e l'omosessualità: quanto ha subito questa sua condizione (pensando soprattutto all'epoca in cui ha vissuto), e quanto ha influito su ciò che ci è effettivamente arrivato a livello di informazioni sulla sua vita privata?
Si rende conto della sua omosessualità da ragazzo, e del pericolo legato a questa condizione nel momento in cui lo arrestano. Il suo sentirsi responsabile nei confronti del padre, del Verrocchio, dei suoi amici lo costringe al silenzio e alla riservatezza, al punto da scrivere apertamente che «bisogna evitare di rendere esplicite le proprie passioni» e di farlo per tutta la vita. Si concede solo di ritrarre alcuni modelli maschili.
Leonardo è un uomo diviso: la necessità di lavorare e di mantenersi, così come quella di studiare, lo porta verso le città e le corti dei signori, ma il Leonardo bambino amante della natura che osservava il volo degli uccelli e le foglie degli alberi è di fatto lo stesso Leonardo che fino alla fine studia il volo, schizzo dopo schizzo. Posso chiederti un approfondimento sul rapporto tra Leonardo e la natura?
Ne era sicuramente innamorato, e incantato: non è un caso che il primo schizzo datato di Leonardo sia un paesaggio della sua Toscana, che è anche considerato il primo paesaggio dell'arte occidentale. È la prima volta che si disegna un paesaggio non in funzione di un ritratto, o di una battaglia, ma come scopo dell'opera.
L'amore per la natura lo accompagna tutta la vita: il volo degli uccelli, le rocce, l'acqua, le piante hanno per lui un significato profondo e lo portano a farsi delle domande che, in parte, conosciamo grazie alla sue liste di "cose da fare", di curiosità da soddisfare e di domande da porre agli esperti dei vari ambiti per saperne di più.
Avrebbe potuto vivere in campagna, nel podere ereditato dallo zio, ma i suoi studi e le sue ricerche gli impongono di vivere in città, e da qui la necessità di dipingere su commissione e di dedicarsi anche alla messa in scena di spettacoli per le corti italiane e francesi.
Anche il suo rapporto con le città è sintomatico: a Firenze si sente in trappola, a Milano ritrova il respiro e la possibilità di muoversi.
Pensi che il teatro gli abbia permesso di realizzare il più grande sogno di un pittore e di uno scultore, ovvero l'opera d'arte in movimento?
E secondo te la sua esperienza con la messa in scena teatrale ha a sua volta influenzato il suo mdo di rappresentare i corpi vivi dipingendo o scolpendo?
Può essere. Indubbiamente amava questa forma d'arte.
Chi scrive dei suoi spettacoli, ne parla come di qualcosa di mai visto: Leonardo sapeva che lo scopo dello spettacolo era di essere sorprendente, e questo lo porta a inventarsi delle soluzioni originalissime. Dei veri e propri effetti speciali, come un vulcano che erutta in scena, un cavallo che scende dall'alto, i pianeti che ruotano.
La pittura, e le sue competenze artistiche, sicuramente influenzano le sue scelte per quanto riguarda le scenografie, i costumi, l'inquadratura di ogni scena, così come la possibilità di disporre di attori in movimento lo influenzerà nella pittura e nella scultura come suggerivi.
Siamo a Milano, e non si può non chiudere parlando di Leonardo e del suo rapporto con la nostra città. La città del respiro, come l'hai definita prima, e anche una città che gli deve moltissimo, dal Cenacolo ai Navigli tornati proprio negli ultimi anni navigabili come li aveva immaginati. Cos'ha dato Leonardo a Milano, e cosa la città gli ha restituito?
Milano per Leonardo è la città più importante: gli dona la possibilità di esprimersi, realizzarsi e diventare ciò che voleva essere. È più grande e ricca di stimoli e commissioni di Firenze, ed è governata da una persona che lo cerca, a differenza di quanto accaduto con Lorenzo il Magnifico (che, a sua discolpa, aveva a disposizione molti grandi pittori e che quindi non sentiva il bisogno di tenere a corte Leonardo). A Milano Leonardo resta più di vent'anni, ed è da Milano che viene portato in Francia. Alla città lombarda lascia opere rimaste qui, altre che sono state portate via (La vergine delle rocce, una tra tutte), inclusi i codici che sono stati portati quasi tutti in Francia.
Certo, questo "trasloco" dei codici è ciò che ci ha permesso di conoscerli davvero: in Francia venivano studiati, in Italia erano chiusi in una biblioteca, senza che venissero divulgati.
Per quanto riguarda i Navigli, provava per essi una grande passione: li ammirava e studiava, progettando ad esempio il sistema delle conche che garantiva la navigazione nonostante i dislivelli.
Aveva le idee molto chiare sulla necessità di mantenere la città pulita, e di smaltire nel modo corretto i rifiuti, anche per eliminare il rischio di epidemie. Precursore dei tempi anche in questo!
Non posso non ringraziare Massimo Polidoro e Piemme per la splendida opportunità di confronto, e consiglio a tutti la lettura di Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle: vi conquisterà!
Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle di Massimo Polidoro (Piemme) è in libreria, al prezzo di copertina di 18,50€.
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martedì 20 novembre 2018
"La segretaria" di Renée Knight
É la tua segretaria: conosce ogni tua abitudine, ogni tuo impegno, ogni tua preferenza.
Ma tu, la conosci davvero? E sei sicura al cento per cento della sua totale lealtà?
O è forse giunto il momento di iniziare a guardarti le spalle?
Questa l'intrigante premessa di La segretaria, ultima fatica letteraria di Renée Knight (Piemme): un thriller psicologico inquietante e sofisticato, un vero e proprio passo a due della paura tra Mina Appleton e Christine Butcher, la sua assistente personale (segretaria è così demodè).
Dieci anni di lavoro a stretto contatto, e dieci anni in cui Mina ha legato sempre più la sua vita lavorativa e, di riflesso, privata, a quella della solo apparentemente semplice Christine: la donna sembra sempre stare tre passi indietro, in disparte così come si addice al suo ruolo, ma allo stesso tempo ha avuto modo di seguire con lo sguardo ogni tuo gesto, di scoprire ogni tua debolezza, di soppesare ogni tua esitazione.
Dicono di non sottovalutare mai le acque chete, eppure Mina lo ha fatto.
Lei, così aggressiva e vincente sul lavoro, al punto da mettere fuori gioco persino il suo stesso padre, ha lasciato che Christine conoscesse ogni suo segreto, dandole un potere difficile da contrastare qualora la sua lealtà venisse meno.
Renée Knight torna a stupire i lettori con un romanzo nero dalla prosa raffinata e dalla costruzione pressoché perfetta, al punto che sembra quasi riduttivo definirlo semplicemente un thriller psicologico. Lo scontro tra Christine (presentata, nelle prime pagine del romanzo, come una giovane moglie e madre in cerca di lavoro) e Mina (alla quale la definizione di "avida vipera" si accosta alla perfezione) è ciò che permettere all'autrice di fare la sua magia, regalando ai lettori una situazione senza eroine, ma con al contrario due potenti anti-eroine.
Una favola senza principessa, ma con due streghe cattive: se la natura approfittatrice di Mina è chiara dal primo capitolo, quella oscura di Christine emerge pagina dopo pagina, ed è impossibile non restarne totalmente affascinati.
Leggere La segretaria è un'esperienza paragonabile alla contemplazione di una calamità naturale in atto: impossibile distogliere lo sguardo, anche quando la situazione precipita e ogni fibra del proprio essere spinge in quella direzione. Un ritorno in libreria da cinque stelle, imperdibile per tutti.
La segretaria di Renée Knight (Piemme) è in libreria, al prezzo di copertina di 19,50€.
Ma tu, la conosci davvero? E sei sicura al cento per cento della sua totale lealtà?
O è forse giunto il momento di iniziare a guardarti le spalle?
Questa l'intrigante premessa di La segretaria, ultima fatica letteraria di Renée Knight (Piemme): un thriller psicologico inquietante e sofisticato, un vero e proprio passo a due della paura tra Mina Appleton e Christine Butcher, la sua assistente personale (segretaria è così demodè).
Dieci anni di lavoro a stretto contatto, e dieci anni in cui Mina ha legato sempre più la sua vita lavorativa e, di riflesso, privata, a quella della solo apparentemente semplice Christine: la donna sembra sempre stare tre passi indietro, in disparte così come si addice al suo ruolo, ma allo stesso tempo ha avuto modo di seguire con lo sguardo ogni tuo gesto, di scoprire ogni tua debolezza, di soppesare ogni tua esitazione.
Dicono di non sottovalutare mai le acque chete, eppure Mina lo ha fatto.
Lei, così aggressiva e vincente sul lavoro, al punto da mettere fuori gioco persino il suo stesso padre, ha lasciato che Christine conoscesse ogni suo segreto, dandole un potere difficile da contrastare qualora la sua lealtà venisse meno.
Renée Knight torna a stupire i lettori con un romanzo nero dalla prosa raffinata e dalla costruzione pressoché perfetta, al punto che sembra quasi riduttivo definirlo semplicemente un thriller psicologico. Lo scontro tra Christine (presentata, nelle prime pagine del romanzo, come una giovane moglie e madre in cerca di lavoro) e Mina (alla quale la definizione di "avida vipera" si accosta alla perfezione) è ciò che permettere all'autrice di fare la sua magia, regalando ai lettori una situazione senza eroine, ma con al contrario due potenti anti-eroine.
Una favola senza principessa, ma con due streghe cattive: se la natura approfittatrice di Mina è chiara dal primo capitolo, quella oscura di Christine emerge pagina dopo pagina, ed è impossibile non restarne totalmente affascinati.
Leggere La segretaria è un'esperienza paragonabile alla contemplazione di una calamità naturale in atto: impossibile distogliere lo sguardo, anche quando la situazione precipita e ogni fibra del proprio essere spinge in quella direzione. Un ritorno in libreria da cinque stelle, imperdibile per tutti.
La segretaria di Renée Knight (Piemme) è in libreria, al prezzo di copertina di 19,50€.
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venerdì 28 settembre 2018
Il pane del diavolo: Valeria Montaldi si racconta, in occasione dell'uscita del suo nuovo romanzo
Una trama che entusiasmerà i lettori de La randagia (Edizioni Piemme, 2016), tra passato e presente, sulle tracce di antiche ricette e di segreti da svelare: Valeria Montaldi è tornata, e lo ha fatto con Il pane del diavolo (Edizioni Piemme), 500 pagine che ci ha raccontato a Milano.
Iniziamo proprio da questa struttura ricorrente negli ultimi romanzi, che vede una doppia trama tra passato e presente, e la coesistenza di una forte connotazione storica e di un'indagine appassionante.
Ho fatto questa scelta perchè ritengo che parlare del passato sia come parlare del presente.
Alessandro Manzoni, scrivendo i suoi Promessi sposi ha dato alle stampe sì una storia ambientata nel '600, dove però parlava della sua contemporaneità, di due secoli successiva.
Studiando l'epoca che più mi appassiona ho riscontrato moltissime concordanze, per lo più negative, con quello che accade oggi, ed è per questo che mi sono decisa a mettere su carta due vicende, e rendere più chiaro e immediato il cogliere queste somiglianze.
1416, Castello di Fénis. Marion è una cuoca straordinaria. Le sue origini saracene ne hanno forgiato il gusto: le spezie, gli aromi, i condimenti insoliti con cui arricchisce i piatti entusiasmano il palato dei nobili commensali riuniti a banchetto. Talento e inventiva, tuttavia, non bastano a farle ottenere rispetto e considerazione: vessata da Amizon Chiquart, il celebrato maestro di cucina del duca Amedeo di Savoia, è costretta a subire umiliazioni continue, accettate sotto l'amara maschera della deferenza. Sì, perché lei è solo una donna e non potrà mai ambire a un ruolo superiore a quello di sguattera. O almeno così crede Chiquart, sottovalutando la tenacia, il coraggio e la rabbia che animano Marion. E soprattutto ignorando che un' inutile saracena sappia leggere e scrivere. L'ultima scelta di una donna coraggiosa, la sua vendetta. 2016, Fénis. Il cadavere ritrovato nel bosco è quello di Alice Rey: la gola squarciata, il sangue che intride ancora la neve. L'indagine sul delitto è affidata al maresciallo Randisi del Comando dei carabinieri di Aosta. Da subito, gli indizi convergono sul marito della vittima, Jacques Piccot, chef stellato del ristorante di proprietà della moglie e appassionato collezionista di antichi ricettari. Le indagini sembrano confermare i primi sospetti, ma un secondo omicidio scoperchia un calderone pieno di segreti, rancori e ricatti che coinvolge l'intero ristorante. E a Randisi non resta che scavare a fondo fra presente e passato per scoprire di quanti veleni sia fatto un pane che ha il sapore del diavolo.
Iniziamo proprio da questa struttura ricorrente negli ultimi romanzi, che vede una doppia trama tra passato e presente, e la coesistenza di una forte connotazione storica e di un'indagine appassionante.
Ho fatto questa scelta perchè ritengo che parlare del passato sia come parlare del presente.
Alessandro Manzoni, scrivendo i suoi Promessi sposi ha dato alle stampe sì una storia ambientata nel '600, dove però parlava della sua contemporaneità, di due secoli successiva.
Studiando l'epoca che più mi appassiona ho riscontrato moltissime concordanze, per lo più negative, con quello che accade oggi, ed è per questo che mi sono decisa a mettere su carta due vicende, e rendere più chiaro e immediato il cogliere queste somiglianze.
Quanto è difficile gestire la stesura di due storie che devono sia incastrarsi alla perfezione, come tessere di un puzzle, sia mantenere entrambe il ritmo che fa sì che siano accattivanti per il lettore?
Non è facile, anzi!
Sia durante la stesura de La randagia, sia mentre lavoravo a questo romanzo, mi sono detta «e se provassi a scrivere prima tutta la parte storica, e poi tutta quella contemporanea, sistemandole a posteriori?» Non funziona. La storia cresce a mano a mano, e le due parti devono svilupparsi in parallelo perchè l'intreccio funzioni. È impegnativo, ma molto appagante.
Quanto conosce della sua storia, prima di iniziare a scrivere?
Redigo una scaletta, per fissare personaggi ed eventi salienti.
La fine, invece, non la conosco quasi mai.
Lavoro a un libro per circa due anni, o tre: dipende dall'argomento, e dalla sua difficoltà.
Da dove nasce la passione per il medioevo?
Per caso. Ero una giornalista, e intervistavo artisti, architetti, fotografi.
L'editore del giornale per cui scrivevo mi ha chiesto un pezzo su edifici storici e religiosi di Milano, e il lavoro di ricerca mi è piaciuto immensamente.
Da qui, dopo un po', è venuta la voglia di buttarmi e scrivere un romanzo, in cui è fluito anche il mio attaccamento alla Valle d'Aosta.
Il medioevo è un periodo lungo e ricco di contraddizioni, e il suo studio mi ha coinvolta sempre più, abbracciando nuovi luoghi e nuove storie.
Una circostanza curiosa? L'esame di Storia Medievale all'università è stato quello in cui ho preso il voto più basso.
Addentriamoci, senza svelare troppi particolari, nel libro. Il pane del diavolo vede, tra i suoi elementi principali, un ricettario alquanto curioso.
Esiste davvero, conservato in una biblioteca svizzera, ed è uno dei più importanti del periodo (prima metà del 1400). Innanzitutto perchè era il ricettario del maestro di cucina di Amedeo VIII di Savoia, e quindi dà testimonianza di banchetti importanti, per ospiti di spicco.
È difficile da leggere, in franco-provenzale, ma sono riuscita a leggerlo tutto grazie a un colpo di fortuna: è stato disponibile online fino a poco tempo fa, poi è stato ritirato.
Contiene ricette particolari, riprese in parte oggi dagli chef stellati, e riporta con dovizia di particolari sia la preparazione dei piatti sia la loro corretta presentazione.
Ad esempio, veniva portato in tavola un cigno, dopo averlo svuotato, arrostito e farcito nuovamente, e richiuso. Con le sue penne, e tutto. Anzi, si ha notizia anche di un meccanismo pensato per far muovere il cigno e farlo sembrare vivo, in una particolare occasione.
Nel romanzo cito anche il cinghiale sputafuoco, ma vi lascio scoprire di cosa si tratta.
Tutto questo ricorda molto la ricerca e la voglia di stupire degli chef dei nostri giorni.
Anche parlando delle donne, queste concordanze tra passato e presente sono evidenti agli occhi del lettore. Ambientare i suoi libri, o parte di essi, nel Medioevo le permette di raccontare donne le cui vite solo in apparenza sono molto diverse da quelle delle donne contemporanee.
È infatti facilissimo ritrovare le lotte e le ambizioni "nostre", dei nostri giorni.
Da autrice, ma anche da donna, cosa le dà e cosa pensa di poter dare alle donne raccontandone le storie?
Essendo una donna e scrivendo, ritengo che il minimo contributo che io possa dare, a me stessa ma anche al lettore, sia quello di spiegare come la donna sia stata vessata per secoli, ridotta a forza lavoro, fattrice, strega. Un oggetto o poco più. Dalla nostra parte del mondo abbiamo sicuramente una vita migliore, ma non del tutto. La donna, tutt'ora, potrebbe stare meglio di come sta: pensiamo alla parità di stipendi, o alla maternità che ancora oggi penalizza sul lavoro.
Nel suo romanzo le donne vincono in fondo, quasi tutte. Alcune più di altre.
Ma non sveliamo il perchè. Diciamo solo che non è una vittoria spudorata: le sue donne vincono attraverso loro stesse, essendo ciò che sono.
Ringraziando la casa editrice e l'autrice per la splendida occasione di confronto, vi consiglio la lettura di Il pane del diavolo, già in libreria:
1416, Castello di Fénis. Marion è una cuoca straordinaria. Le sue origini saracene ne hanno forgiato il gusto: le spezie, gli aromi, i condimenti insoliti con cui arricchisce i piatti entusiasmano il palato dei nobili commensali riuniti a banchetto. Talento e inventiva, tuttavia, non bastano a farle ottenere rispetto e considerazione: vessata da Amizon Chiquart, il celebrato maestro di cucina del duca Amedeo di Savoia, è costretta a subire umiliazioni continue, accettate sotto l'amara maschera della deferenza. Sì, perché lei è solo una donna e non potrà mai ambire a un ruolo superiore a quello di sguattera. O almeno così crede Chiquart, sottovalutando la tenacia, il coraggio e la rabbia che animano Marion. E soprattutto ignorando che un' inutile saracena sappia leggere e scrivere. L'ultima scelta di una donna coraggiosa, la sua vendetta. 2016, Fénis. Il cadavere ritrovato nel bosco è quello di Alice Rey: la gola squarciata, il sangue che intride ancora la neve. L'indagine sul delitto è affidata al maresciallo Randisi del Comando dei carabinieri di Aosta. Da subito, gli indizi convergono sul marito della vittima, Jacques Piccot, chef stellato del ristorante di proprietà della moglie e appassionato collezionista di antichi ricettari. Le indagini sembrano confermare i primi sospetti, ma un secondo omicidio scoperchia un calderone pieno di segreti, rancori e ricatti che coinvolge l'intero ristorante. E a Randisi non resta che scavare a fondo fra presente e passato per scoprire di quanti veleni sia fatto un pane che ha il sapore del diavolo.
martedì 26 giugno 2018
"La moglie tra di noi" di Greer Hendricks e Sarah Pekkanen
Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata a "La moglie tra di noi" di Greer Hendricks e Sarak Pekkanen, edito Piemme (rilegato a 19,90€):
Quando leggerai questo romanzo, farai molte supposizioni. Supporrai che sia la storia di una ex moglie gelosa, ossessionata dalla donna che l'ha rimpiazzata nel cuore del suo ex marito. Oppure penserai che sia quella della ragazza che sta per sposare l'uomo dei suoi sogni, ancora piena di tutte le speranze di una giovane sposa. O ancora ti chiederai se non sia, in fondo, la storia di un triangolo in cui è difficile capire di chi fidarsi. Ti dirai che è una storia d'amore e odio, di seduzione e paura, di tradimento e giochi di potere. Supporrai di aver capito tutto di Vanessa ed Emma e dell'uomo che amano, le motivazioni dietro le loro azioni, l'anatomia delle relazioni che legano l'uno alle altre. Supporrai di sapere chi sono e che cosa muove, davvero, i loro cuori.
Ma ti sbaglierai.
Perché questo romanzo è proprio come la realtà. E nella realtà non c'è niente di vero. Nessuna relazione è senza ombra. Nessun amore è senza segreti. Ci sono solo gli sprazzi di verità dietro le bugie. O le piccole bugie che, insieme, fanno una verità. E la verità è l'unico modo per voltare pagina.
Raccontarvi questo romanzo senza rovinarvelo è molto, molto difficile.
Ma ci proviamo lo stesso, perchè quando ho iniziato a leggerlo lo scorso Gennaio (senza sapere che sarebbe arrivato anche in Italia nel giro di pochi mesi) è stato il primo thriller psicologico a catturare davvero la mia attenzione dopo tanto tempo.
Da lettrice, mi sembrano davvero tutti uguali ormai, ma... e qui c'è un grande ma, questo è diverso.
È diverso perchè ci si trova spesso a chiedersi quanto di ciò che si è appena letto sia reale, e si è tentati di tornare indietro, rileggere e analizzare ogni parola, tentando di capire quale sia la verità, e chi stia invece mentendo.
Ha ragione Vanessa, divorziata e in uno stato di annebiamento alcolico quasi costante, in piena crisi d'identità dopo le difficili cure per la fertilità e la fine del suo matrimonio con Richard, gestore di fondi più che benestante? Ha ragione a ritenere che la fidanzata di Richard - e promessa sposa - sia in pericolo?O il suo è solo desiderio di vendetta, di anientare quella donna che riesce a essere ciò che lei non poteva?
Quella di Vanessa diventa una vera e propria missione: impedire che Richard faccia soffrire la nuova fidanzata, Nellie, perchè questa conclusione sembra inevitabile.
Ma è davvero Richard il cattivo della storia?
E come può Nellie fidarsi di Vanessa, una perfetta estranea?
Dirvi di più sulla storia vorrebbe dire rischiare di anticipare uno dei tanti colpi di scena del romanzo (il principale, ahimè, lo avevo anticipato, ma solo perchè avevo già letto un libro simile e quindi ho riconosciuto il meccanismo), ma qualcosa sulla superba scrittura di Greer Hendricks (alla sua prima prova da romanziera dopo una carriera ventennale da editor) e Sarah Pekkanen, autrice già nota e della quale avevo letto solo "Things You Won't Say" qualche anno fa.
Questa coppia di autrici è pronta a conquistare il pubblico, e non solo grazie a una storia potente, intensa e con due protagoniste capaci di dominare la scena, relegando Richard in un angolo: a rendere il romanzo uno di quelli da avere in libreria è soprattutto la prosa di alta qualità, non scontata quando si parla di romanzi di genere.
Anzi, l'etichetta di thriller per "La moglie tra di noi" è forse riduttiva perchè tra le sue pagine racchiude tanto, tanto di più.
A cominciare da una riflessione (portata all'estremo, ma il signficato profondo resta immutato) sul ruolo della donna all'interno del matrimonio, sulla maternità voluta, non voluta o negata, sull'amore che dura e su quello che, invece, appassisce come un bouquet nuziale poche ore dopo la festa.
"La moglie tra di noi" è il romanzo che avrei voluto leggere subito dopo "Gone Girl" di Gillian Flynn o dopo "La coppia perfetta" di B.A. Paris e anzi, se avete amato i titoli che ho appena citato correte in libreria e acchiappate una copia di "La moglie tra di noi".
Non vi deluderà.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata a "La moglie tra di noi" di Greer Hendricks e Sarak Pekkanen, edito Piemme (rilegato a 19,90€):
Quando leggerai questo romanzo, farai molte supposizioni. Supporrai che sia la storia di una ex moglie gelosa, ossessionata dalla donna che l'ha rimpiazzata nel cuore del suo ex marito. Oppure penserai che sia quella della ragazza che sta per sposare l'uomo dei suoi sogni, ancora piena di tutte le speranze di una giovane sposa. O ancora ti chiederai se non sia, in fondo, la storia di un triangolo in cui è difficile capire di chi fidarsi. Ti dirai che è una storia d'amore e odio, di seduzione e paura, di tradimento e giochi di potere. Supporrai di aver capito tutto di Vanessa ed Emma e dell'uomo che amano, le motivazioni dietro le loro azioni, l'anatomia delle relazioni che legano l'uno alle altre. Supporrai di sapere chi sono e che cosa muove, davvero, i loro cuori.
Ma ti sbaglierai.
Perché questo romanzo è proprio come la realtà. E nella realtà non c'è niente di vero. Nessuna relazione è senza ombra. Nessun amore è senza segreti. Ci sono solo gli sprazzi di verità dietro le bugie. O le piccole bugie che, insieme, fanno una verità. E la verità è l'unico modo per voltare pagina.
Raccontarvi questo romanzo senza rovinarvelo è molto, molto difficile.
Ma ci proviamo lo stesso, perchè quando ho iniziato a leggerlo lo scorso Gennaio (senza sapere che sarebbe arrivato anche in Italia nel giro di pochi mesi) è stato il primo thriller psicologico a catturare davvero la mia attenzione dopo tanto tempo.
Da lettrice, mi sembrano davvero tutti uguali ormai, ma... e qui c'è un grande ma, questo è diverso.
È diverso perchè ci si trova spesso a chiedersi quanto di ciò che si è appena letto sia reale, e si è tentati di tornare indietro, rileggere e analizzare ogni parola, tentando di capire quale sia la verità, e chi stia invece mentendo.
Ha ragione Vanessa, divorziata e in uno stato di annebiamento alcolico quasi costante, in piena crisi d'identità dopo le difficili cure per la fertilità e la fine del suo matrimonio con Richard, gestore di fondi più che benestante? Ha ragione a ritenere che la fidanzata di Richard - e promessa sposa - sia in pericolo?O il suo è solo desiderio di vendetta, di anientare quella donna che riesce a essere ciò che lei non poteva?
Quella di Vanessa diventa una vera e propria missione: impedire che Richard faccia soffrire la nuova fidanzata, Nellie, perchè questa conclusione sembra inevitabile.
Ma è davvero Richard il cattivo della storia?
E come può Nellie fidarsi di Vanessa, una perfetta estranea?
Dirvi di più sulla storia vorrebbe dire rischiare di anticipare uno dei tanti colpi di scena del romanzo (il principale, ahimè, lo avevo anticipato, ma solo perchè avevo già letto un libro simile e quindi ho riconosciuto il meccanismo), ma qualcosa sulla superba scrittura di Greer Hendricks (alla sua prima prova da romanziera dopo una carriera ventennale da editor) e Sarah Pekkanen, autrice già nota e della quale avevo letto solo "Things You Won't Say" qualche anno fa.
Questa coppia di autrici è pronta a conquistare il pubblico, e non solo grazie a una storia potente, intensa e con due protagoniste capaci di dominare la scena, relegando Richard in un angolo: a rendere il romanzo uno di quelli da avere in libreria è soprattutto la prosa di alta qualità, non scontata quando si parla di romanzi di genere.
Anzi, l'etichetta di thriller per "La moglie tra di noi" è forse riduttiva perchè tra le sue pagine racchiude tanto, tanto di più.
A cominciare da una riflessione (portata all'estremo, ma il signficato profondo resta immutato) sul ruolo della donna all'interno del matrimonio, sulla maternità voluta, non voluta o negata, sull'amore che dura e su quello che, invece, appassisce come un bouquet nuziale poche ore dopo la festa.
"La moglie tra di noi" è il romanzo che avrei voluto leggere subito dopo "Gone Girl" di Gillian Flynn o dopo "La coppia perfetta" di B.A. Paris e anzi, se avete amato i titoli che ho appena citato correte in libreria e acchiappate una copia di "La moglie tra di noi".
Non vi deluderà.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
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martedì 5 giugno 2018
Intervista a Paola Barbato su "Io so chi sei", la scrittura... e gli inetti!
Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Oggi arriva in libreria "Io so chi sei" di Paola Barbato, edito Piemme (rilegato a 18,50€) e quindi perchè non festeggiare condividendo con voi la nostra chiacchierata di ieri?
Sono passati solo due anni, e di tutto ciò che è stata non è rimasto nulla.
Lena era brillante, determinata, brava a detta di tutti, curata, buona. Poi nella sua vita era entrato Saverio, e tutto era stato stravolto. Quel ragazzo più giovane, che viveva per essere contro qualsiasi regola, pregiudizio, conformità, l'aveva trasformata. E non erano solo i vestiti, i capelli, le parole. Era lei, le sue sicurezze, il suo amor proprio. Tutto calpestato in nome di un amore che agli occhi di tutti gli altri era solo nella sua testa. Il giorno in cui lui era finito in Arno, dato per disperso prima e per morto poi, qualcosa in Lena si era spento definitivamente.
Sono passati due anni, e di Saverio le resta il cane Argo, che ancora la vive come un'usurpatrice, e un senso di vuoto dolente e indistruttibile. La sera in cui trova nella cassetta della posta un cellulare, Lena pensa che si tratti di uno scherzo, oppure di uno sbaglio. Ma bastano pochi minuti per rendersi conto che quell'oggetto può cambiare la sua vita. Perché i messaggi che arrivano, e a cui lei non può rispondere, parlano di cose che solo Saverio può sapere. E quindi è vivo. È tornato. Così, senza che Lena se ne accorga, quell'oggetto diventa l'unica linfa vitale a cui abbeverarsi, e non importa che i messaggi siano sempre più impositivi e le ordinino di commettere atti di cui mai si sarebbe pensata capace. Perché se lei farà la brava, lui rientrerà nella sua vita. O questo è ciò che pensa. Almeno fino a quando le persone che le stanno intorno cominciano a morire. E il gioco si fa sempre più crudele. E la prossima vittima prescelta potrebbe essere lei.
Paola Barbato, in una corsa contro il tempo, ci porta nell'abisso della mente umana, dove paure, passioni e ossessioni si legano inestricabilmente e, a volte, ci stritolano.
Abbiamo incontrato l'autrice giusto in tempo per farci raccontare qualcosa in più su "Io so chi sei" e la sua genesi, su Lena e sulla scrittura, ed ecco cosa ci ha svelato!
"Io so chi sei" è legato a un romanzo che stai scrivendo su Wattpad, "Zoo" (per molti 300): ci racconti qualcosa di più su questo progetto?
Certo! "Io so chi sei è una costola di "Zoo", la storia più terribile che io abbia mai scritto. Durante la sua stesura, mi capitava di avere dei personaggi bloccati, e chiedermi "ma fuori da lì, qualcuno li sta cercando? C'è qualcuno che li aspetta?"
Mi sono concentrata su uno di loro in particolare, e mi sono chiesta se il suo essere bloccato in quella situazione non dipendesse, forse, proprio da chi aveva fuori. E da lì ho aperto una porta, mi sono sporta oltre la soglia e ho iniziato a vedere l'altra storia.
Il punto è che le due storie non sono necessarie l'una all'altra, possono essere lette in completa autonomia e anzi, entrambe avranno un seguito: lo stesso seguito per entrambe.
Per me era importante che non venisse percepita come un'operazione che costringesse il lettori di Wattpad ad andare in libreria o chi mi acquista in libreria ad andare su Wattpad, e anzi, anche il seguito sarà un romanzo che potrà essere letto in totale autonomia.
Un tentativo simile lo ha fatto, anni fa, Stephen King con i suoi "Desperation" e "Salvation", ed è un lavoro decisamente faticoso!
Quale personaggio ti ha dato del filo da torcere?
Caparzo, senza dubbio! Il suo modo di esprimersi,sgrammaticato e singolare, non condizionava solo i suoi dialoghi, ma anche la mia narrazione nel momento in cui mostravo ciò che accadeva attraverso il suo sguardo.
In fondo, è lo stesso problema che mi ha dato Lena con il suo modo di essere spento, senza verve, senza decisione: rendeva piatta anche la narrazione, quando doveva accordarsi alla sua visione del mondo. Lena è un'inetta, e andava raccontata così, perchè anche gli inetti vanno raccontati: sono tantissimi! Lena è la classica persona che aspetta che qualcuno scenda dal cielo e risolva ogni problema, e non fa nulla che non sia stato imbeccato da terzi, che le fanno balenare l’idea che forse la loro idea possa funzionare. Persino nel suo gesto più forte, Lena non è coraggiosa: la sua è solo una forma di autotutela, di autodifesa. Non c’è una scelta razionale di fare qualcosa, nel bene o nel male. Quello di Lena è un atteggiamento che comprendo, perché ho realizzato avere tra le mie conoscenze moltissime persone così. Quelle che passano più tempo a dare ragione al prossimo piuttosto che a formarsi una posizione personale, e che poi il giorno che esplodono fanno tantissimi danni.
A questo proposito, è nato prima Caparzo, o il suo personaggio è emerso poi, come contr'altare di Lena?
Lena non è nata da subito così come la leggete oggi. Volevo un personaggio femminile indifeso, incapace di reagire, e che venisse salvato inaspettatamente da un mostro. Mi interrogavo sulle possibilità di rendere eroe della mia storia un mostro, e mi sembrava davvero intrigante. Caparzo nel suo rifiuto della gente è deciso e non fa sconti, e un odio simile per il genere umano non ti lascia moltissime strade: la soluzione è starne alla larga, il più possibile. Proprio per questa sua natura più ritirata all’inizio è quasi impossibile, per il prossimo, riconoscere in lui il mostro.
Il personaggio di Lena è sicuramente quello che accenderà di più le discussioni, perché ci sarà chi la odierà e chi la compatirà.
Ho avuto esattamente questo tipo di feedback da chi lo ha letto in anticipo, dal “la odio, la odio un sacco!” al “però poverina, è debole…”. Di mio, dico che non volevo creare un personaggio positivo: la trasformazione di Lena, alla fine, è la trasformazione in qualcosa di più mostruoso di Caparzo. Quelle che le importa è di farla franca, e anzi, nel momento in cui sente di potersela cavare va tutto bene. Fino a quando qualcosa non la danneggia personalmente, non c’è nessun controcanto interiore, nessuna voce di coscienza che le dica di fermarsi.
Mi ha incuriosita molto il tuo partire, per spaventarci tutti quanti, dall’oggetto che fa parte delle nostre vita e da cui, a modo nostro, dipendiamo: il cellulare. Già nel flusso di pensiero di Lena che apre “Io so chi sei” emerge la sua natura indecisa e confusionaria, e anche un po’ imbranata: una persona più equilibrata avrebbe o buttato la SIM per tenere il telefono per sé, o lo avrebbe gettato via senza troppi pensieri. Visto il ruolo cruciale che hanno i messaggi nel momento dell’avvio della vicenda, mi chiedevo quale fosse il tuo rapporto con il cellulare e quanto di te fosse finito nel libro.
Se esco di casa e dopo 500m realizzo di averlo dimenticato, mi viene l’ansia! Il problema del cellulare sta nel suo essere un canale, non più solo uno strumento, e nel suo essere un canale che, in entrata, possiamo controllare fino a un certo punto. Possiamo bloccare numeri e cancellare messaggi, ma la realtà è che possono arrivarci telefonate non richieste, o possiamo vedere cose che mai vorremmo sulle nostre bacheche Facebook perché all’improvviso un amico insospettabile sceglie di condividerle. Il punto è proprio questo: l’unica forma di tutela è non avere un cellulare, perché altrimenti il controllo è suo, non nostro.
La scelta del mondo animalista è interessante, da cosa è stata determinata?
L’ho frequentato per molti anni, ahimè, e se è vero che ho trovato persone ed emozioni straordinarie, ho anche trovato i talebani, che considero dei folli. Sono quelli che non vogliono trovare la situazione più accettabile, che non offrono alternative o soluzioni concrete a nessuno, perché per loro o tutto oppure… tutto. Nemmeno il niente è contemplato. Negli anni in cui ho fatto la volontaria, e ospitato io stessa dei cani per dare una mano, mi sono scontrata spesso con queste persone, che non sono in grado di vedere la realtà con lucidità.
L'anno scorso ci siamo incontrate per parlare di "Non ti faccio niente" (che troverete in libreria in formato Pickwick dal 12 Giugno) e hai definito la colpa "un cappotto scomodo, facile da ritrovarsi addosso senza rendersi conto", dicendo che "la definizione di ciò che è colpa non è uguale per tutti, e viene sempre da fuori".
Quali sono i personaggi che hanno più colpa, all'interno del romanzo?
Voglio menzionare i genitori di Lena, perchè sì, lei è un'inetta, ma loro... dio santissimo!
Sono figure marginali, però la madre è proprio una nullità. Non esiste al di fuori della casa, e anzi, non va nemmeno a trovare la figlia. Il padre ci va, sebbene lo faccia più per criticarla che per sostenerla, ma la madre...
Di fatto, quando la figlia ha bisogno d'aiuto i genitori non esistono: quando Lena non corrisponde più all'immagine di figlia perfetta, quando i loro canoni di vita non corrispondono più, per i genitori la delusione supera l'amore.
Per esempio, quando il padre le lava i piatti, non lo fa per aiutarla: lo fa per sottolineare che lei non aveva provveduto. Una critica mascherata da falsa gentilezza.
Quella di "Io so chi sei" è stata una lettura fatta in velocità, ma a voi consiglio di assaporarlo, concedendovi il tempo di entrare a fondo nella storia e nelle sue sfumature, perchè la scrittura di Paola è la dieci e lode.
Consigliatissimo, davvero.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
Oggi arriva in libreria "Io so chi sei" di Paola Barbato, edito Piemme (rilegato a 18,50€) e quindi perchè non festeggiare condividendo con voi la nostra chiacchierata di ieri?
Lena era brillante, determinata, brava a detta di tutti, curata, buona. Poi nella sua vita era entrato Saverio, e tutto era stato stravolto. Quel ragazzo più giovane, che viveva per essere contro qualsiasi regola, pregiudizio, conformità, l'aveva trasformata. E non erano solo i vestiti, i capelli, le parole. Era lei, le sue sicurezze, il suo amor proprio. Tutto calpestato in nome di un amore che agli occhi di tutti gli altri era solo nella sua testa. Il giorno in cui lui era finito in Arno, dato per disperso prima e per morto poi, qualcosa in Lena si era spento definitivamente.
Sono passati due anni, e di Saverio le resta il cane Argo, che ancora la vive come un'usurpatrice, e un senso di vuoto dolente e indistruttibile. La sera in cui trova nella cassetta della posta un cellulare, Lena pensa che si tratti di uno scherzo, oppure di uno sbaglio. Ma bastano pochi minuti per rendersi conto che quell'oggetto può cambiare la sua vita. Perché i messaggi che arrivano, e a cui lei non può rispondere, parlano di cose che solo Saverio può sapere. E quindi è vivo. È tornato. Così, senza che Lena se ne accorga, quell'oggetto diventa l'unica linfa vitale a cui abbeverarsi, e non importa che i messaggi siano sempre più impositivi e le ordinino di commettere atti di cui mai si sarebbe pensata capace. Perché se lei farà la brava, lui rientrerà nella sua vita. O questo è ciò che pensa. Almeno fino a quando le persone che le stanno intorno cominciano a morire. E il gioco si fa sempre più crudele. E la prossima vittima prescelta potrebbe essere lei.
Paola Barbato, in una corsa contro il tempo, ci porta nell'abisso della mente umana, dove paure, passioni e ossessioni si legano inestricabilmente e, a volte, ci stritolano.
Abbiamo incontrato l'autrice giusto in tempo per farci raccontare qualcosa in più su "Io so chi sei" e la sua genesi, su Lena e sulla scrittura, ed ecco cosa ci ha svelato!
"Io so chi sei" è legato a un romanzo che stai scrivendo su Wattpad, "Zoo" (per molti 300): ci racconti qualcosa di più su questo progetto?
Certo! "Io so chi sei è una costola di "Zoo", la storia più terribile che io abbia mai scritto. Durante la sua stesura, mi capitava di avere dei personaggi bloccati, e chiedermi "ma fuori da lì, qualcuno li sta cercando? C'è qualcuno che li aspetta?"
Mi sono concentrata su uno di loro in particolare, e mi sono chiesta se il suo essere bloccato in quella situazione non dipendesse, forse, proprio da chi aveva fuori. E da lì ho aperto una porta, mi sono sporta oltre la soglia e ho iniziato a vedere l'altra storia.
Il punto è che le due storie non sono necessarie l'una all'altra, possono essere lette in completa autonomia e anzi, entrambe avranno un seguito: lo stesso seguito per entrambe.
Per me era importante che non venisse percepita come un'operazione che costringesse il lettori di Wattpad ad andare in libreria o chi mi acquista in libreria ad andare su Wattpad, e anzi, anche il seguito sarà un romanzo che potrà essere letto in totale autonomia.
Un tentativo simile lo ha fatto, anni fa, Stephen King con i suoi "Desperation" e "Salvation", ed è un lavoro decisamente faticoso!
Quale personaggio ti ha dato del filo da torcere?
Caparzo, senza dubbio! Il suo modo di esprimersi,sgrammaticato e singolare, non condizionava solo i suoi dialoghi, ma anche la mia narrazione nel momento in cui mostravo ciò che accadeva attraverso il suo sguardo.
In fondo, è lo stesso problema che mi ha dato Lena con il suo modo di essere spento, senza verve, senza decisione: rendeva piatta anche la narrazione, quando doveva accordarsi alla sua visione del mondo. Lena è un'inetta, e andava raccontata così, perchè anche gli inetti vanno raccontati: sono tantissimi! Lena è la classica persona che aspetta che qualcuno scenda dal cielo e risolva ogni problema, e non fa nulla che non sia stato imbeccato da terzi, che le fanno balenare l’idea che forse la loro idea possa funzionare. Persino nel suo gesto più forte, Lena non è coraggiosa: la sua è solo una forma di autotutela, di autodifesa. Non c’è una scelta razionale di fare qualcosa, nel bene o nel male. Quello di Lena è un atteggiamento che comprendo, perché ho realizzato avere tra le mie conoscenze moltissime persone così. Quelle che passano più tempo a dare ragione al prossimo piuttosto che a formarsi una posizione personale, e che poi il giorno che esplodono fanno tantissimi danni.
A questo proposito, è nato prima Caparzo, o il suo personaggio è emerso poi, come contr'altare di Lena?
Lena non è nata da subito così come la leggete oggi. Volevo un personaggio femminile indifeso, incapace di reagire, e che venisse salvato inaspettatamente da un mostro. Mi interrogavo sulle possibilità di rendere eroe della mia storia un mostro, e mi sembrava davvero intrigante. Caparzo nel suo rifiuto della gente è deciso e non fa sconti, e un odio simile per il genere umano non ti lascia moltissime strade: la soluzione è starne alla larga, il più possibile. Proprio per questa sua natura più ritirata all’inizio è quasi impossibile, per il prossimo, riconoscere in lui il mostro.
Il personaggio di Lena è sicuramente quello che accenderà di più le discussioni, perché ci sarà chi la odierà e chi la compatirà.
Ho avuto esattamente questo tipo di feedback da chi lo ha letto in anticipo, dal “la odio, la odio un sacco!” al “però poverina, è debole…”. Di mio, dico che non volevo creare un personaggio positivo: la trasformazione di Lena, alla fine, è la trasformazione in qualcosa di più mostruoso di Caparzo. Quelle che le importa è di farla franca, e anzi, nel momento in cui sente di potersela cavare va tutto bene. Fino a quando qualcosa non la danneggia personalmente, non c’è nessun controcanto interiore, nessuna voce di coscienza che le dica di fermarsi.
Mi ha incuriosita molto il tuo partire, per spaventarci tutti quanti, dall’oggetto che fa parte delle nostre vita e da cui, a modo nostro, dipendiamo: il cellulare. Già nel flusso di pensiero di Lena che apre “Io so chi sei” emerge la sua natura indecisa e confusionaria, e anche un po’ imbranata: una persona più equilibrata avrebbe o buttato la SIM per tenere il telefono per sé, o lo avrebbe gettato via senza troppi pensieri. Visto il ruolo cruciale che hanno i messaggi nel momento dell’avvio della vicenda, mi chiedevo quale fosse il tuo rapporto con il cellulare e quanto di te fosse finito nel libro.
Se esco di casa e dopo 500m realizzo di averlo dimenticato, mi viene l’ansia! Il problema del cellulare sta nel suo essere un canale, non più solo uno strumento, e nel suo essere un canale che, in entrata, possiamo controllare fino a un certo punto. Possiamo bloccare numeri e cancellare messaggi, ma la realtà è che possono arrivarci telefonate non richieste, o possiamo vedere cose che mai vorremmo sulle nostre bacheche Facebook perché all’improvviso un amico insospettabile sceglie di condividerle. Il punto è proprio questo: l’unica forma di tutela è non avere un cellulare, perché altrimenti il controllo è suo, non nostro.
La scelta del mondo animalista è interessante, da cosa è stata determinata?
L’ho frequentato per molti anni, ahimè, e se è vero che ho trovato persone ed emozioni straordinarie, ho anche trovato i talebani, che considero dei folli. Sono quelli che non vogliono trovare la situazione più accettabile, che non offrono alternative o soluzioni concrete a nessuno, perché per loro o tutto oppure… tutto. Nemmeno il niente è contemplato. Negli anni in cui ho fatto la volontaria, e ospitato io stessa dei cani per dare una mano, mi sono scontrata spesso con queste persone, che non sono in grado di vedere la realtà con lucidità.
Quali sono i personaggi che hanno più colpa, all'interno del romanzo?
Voglio menzionare i genitori di Lena, perchè sì, lei è un'inetta, ma loro... dio santissimo!
Sono figure marginali, però la madre è proprio una nullità. Non esiste al di fuori della casa, e anzi, non va nemmeno a trovare la figlia. Il padre ci va, sebbene lo faccia più per criticarla che per sostenerla, ma la madre...
Di fatto, quando la figlia ha bisogno d'aiuto i genitori non esistono: quando Lena non corrisponde più all'immagine di figlia perfetta, quando i loro canoni di vita non corrispondono più, per i genitori la delusione supera l'amore.
Per esempio, quando il padre le lava i piatti, non lo fa per aiutarla: lo fa per sottolineare che lei non aveva provveduto. Una critica mascherata da falsa gentilezza.
Quella di "Io so chi sei" è stata una lettura fatta in velocità, ma a voi consiglio di assaporarlo, concedendovi il tempo di entrare a fondo nella storia e nelle sue sfumature, perchè la scrittura di Paola è la dieci e lode.
Consigliatissimo, davvero.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
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martedì 22 maggio 2018
"La lista delle cose che non dimenticherò mai" di Val Emmich
Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata a "La lista delle cose che non dimenticherò mai" di Val Emmich, edito Piemme (rilegato a 18,50€):
La piccola Joan ricorda tutto, ma proprio tutto. Non lo fa apposta. Ha un "disturbo della memoria autobiografica". Si ricorda qualunque giorno della sua vita… in ogni minimo dettaglio. Per esempio, quante volte sua madre ha pronunciato la frase «Non sbaglia un colpo» negli ultimi sei mesi (ventisette) o che cosa indossava quel giorno di sei anni fa in cui il nonno la portò a pescare (degli orrendi calzettoni). Ma Joan non vuole essere la bambina che ricorda tutto. Vuole essere la bambina che nessuno può dimenticare. E forse l'occasione per farsi ricordare arriva quando viene a stare a casa sua Gavin, un amico di gioventù del papà e come lui cantante e musicista. Joan lo conosce da sempre, e decide di farsi aiutare da lui nell'impresa che la renderà famosa: vincere il Concorso per nuovi cantautori indetto dalla sua scuola. Ma Gavin, purtroppo, non può aiutare nessuno: ha appena perso il suo compagno, Sydney, e con lui anche la gioia di vivere. Così, sarà Joan ad aiutare Gavin. A ricordare. I momenti che lui e Sydney hanno vissuto insieme, le piccole cose, ogni dettaglio che la bambina, negli anni, ha immagazzinato nella sua portentosa memoria. E, in cambio, forse, Gavin la aiuterà a scrivere la sua canzone… Un'amicizia sorprendente e salvifica, una bambina indimenticabile, una storia piena di commozione e calore: raccontato con dolcezza, umorismo e arguzia, l'acclamato debutto di Val Emmich, cantautore americano e attore noto per ruoli ricorrenti in serie tv come Ugly Betty e Vinyl, è capace di emozionare a ogni pagina, e regalare istanti di vera e propria magia.
Ho un debole per le storia che ruotano attorno a un bambino speciale, e che permettono al lettore di vedere il mondo attraverso i suoi occhi: sul blog ve ne ho raccontate tante, nel corso degli anni.
Stavolta tocca alla piccola Joan, e chissà se sarà riuscita a rubarmi il cuore....
Joan è una bambina come tante, se non fosse che la sua mente è in grado di immagazzinare e conservare ogni singolo ricordo.
Alla sua insegnante che afferma, guardando il cielo, «è un sacco di tempo che non piove», Joan replica con sicurezza che non è vero, ha piovuto il 20 giugno, che era un giovedì.
Joan ricorda TUTTO, e vive con grandissimo disagio la consapevolezza che non solo per gli altri non è così, ma che lei stessa verrà dimenticata.
In fondo, è stata dimenticata dalla nonna quando, ormai anziana, ha iniziato a perdere la memoria, e oggi suo padre si è dimenticato di andarla a prendere all'ora giusta.
Eppure c'è qualcosa che le persone sembrano non dimenticare mai, nemmeno a decenni di distanza: le loro canzoni preferite.
Per questo la bimba ha un sogno, quello di scrivere e cantare una canzone memorabile, destinata a rimanere per sempre, come quelle di John Lennon (da cui prende il suo secondo nome: il padre, fan sfegatato del cantautore britannico, l'ha chiamata Joan Lennon).
Ma come si scrive una canzone memorabile?
Un buon punto di partenza sembra quello di partecipare a un concorso per nuovi cantautori pubblicizzato sul giornale, che prevede lo streaming sul web della canzone vincitrice.
Joan è piccola, forse, ma è molto sveglia, e sa benissimo che per vincere il concorso «serve una canzone che faccia venir voglia di ballare o di piangere. Sono le due reazioni più forti che la musica può suscitare. Quando balla, la gente si scorda di tutto, e quando piange si ricorda», quindi deve solo decidere che tipo di canzone proporre... e comporre, ovviamente.
Ed è qui che entra in gioco il mio personaggio preferito del romanzo, Gavin.
Lo incontriamo nel momento più difficile della sua vita, appena un mese dopo la morte di Sydney, il grande amore della sua vita.
Si sente come se vivesse con un "amore fantasma", che continui a percepire anche se non è più presente, e il dolore è tale da spingerlo a dare letteralmente fuoco a tutto ciò che, attorno a lui, gli ricorda l'uomo che ha perso.
Dopo averlo visto al notiziario, sconvolto e davanti a un enorme falò di quello che sostanzialmente era l'intero contenuto di casa sua, la madre di Joan lo chiama, pregandolo di andare a stare da loro per un po'.
Ed ecco che, al'improvviso, Joan trova la risposta al suo problema: sarà Gavin ad aiutarla a comporre la sua canzone!
Val Emmich trasferisce su carta ogni sfumatura ed emozione dell'atto di composizione, regalando ai lettori quella che non è solo una splendida storia di amicizia e guarigione, ma anche un omaggio alla musica "che ti salva da tutto, anche da te stesso".
"La lista delle cose che non dimenticherò mai" è un romanzo delicato, intimo e allo stesso tempo universale, perché universali sono le paure che racconta, prima tra tutte quella di dimenticare (Gavin) ed essere dimenticati (Joan). Se l'uomo soffre al pensiero di perdere anche i ricordi del compagno, e trovarsi definitivamente senza di lui, Joan teme che proprio lei, la persona che ricorda tutto, finirà nell'oblio. Non ci è dato di sapere se questo accadrà, ma ciò che entrambi imparano - e noi con loro - è sicuramente quanto sia più importante vivere, piuttosto che ricordare, e che ciò che hai dimenticato non è perso, perché lo hai ugualmente vissuto.
O almeno, questo è uno dei messaggi che io stessa, durante la lettura, ho sentito arrivare con prepotenza al mio cuore, forse perché è una questione sulla quale ho avuto modo di interrogarmi a lungo: quando mia nonna ha iniziato a dimenticare, ha smesso progressivamente di essere "la mia nonna", ma questo non ha certo cancellato gli anni in cui lo è stata. Quelli non me li ha portati via nessuno.
Un esordio a cinque stelle, e un'edizione arricchita da tenerissimi disegni capaci di trasportare il lettore nel mondo di Joan: questo dovete proprio leggerlo.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata a "La lista delle cose che non dimenticherò mai" di Val Emmich, edito Piemme (rilegato a 18,50€):
La piccola Joan ricorda tutto, ma proprio tutto. Non lo fa apposta. Ha un "disturbo della memoria autobiografica". Si ricorda qualunque giorno della sua vita… in ogni minimo dettaglio. Per esempio, quante volte sua madre ha pronunciato la frase «Non sbaglia un colpo» negli ultimi sei mesi (ventisette) o che cosa indossava quel giorno di sei anni fa in cui il nonno la portò a pescare (degli orrendi calzettoni). Ma Joan non vuole essere la bambina che ricorda tutto. Vuole essere la bambina che nessuno può dimenticare. E forse l'occasione per farsi ricordare arriva quando viene a stare a casa sua Gavin, un amico di gioventù del papà e come lui cantante e musicista. Joan lo conosce da sempre, e decide di farsi aiutare da lui nell'impresa che la renderà famosa: vincere il Concorso per nuovi cantautori indetto dalla sua scuola. Ma Gavin, purtroppo, non può aiutare nessuno: ha appena perso il suo compagno, Sydney, e con lui anche la gioia di vivere. Così, sarà Joan ad aiutare Gavin. A ricordare. I momenti che lui e Sydney hanno vissuto insieme, le piccole cose, ogni dettaglio che la bambina, negli anni, ha immagazzinato nella sua portentosa memoria. E, in cambio, forse, Gavin la aiuterà a scrivere la sua canzone… Un'amicizia sorprendente e salvifica, una bambina indimenticabile, una storia piena di commozione e calore: raccontato con dolcezza, umorismo e arguzia, l'acclamato debutto di Val Emmich, cantautore americano e attore noto per ruoli ricorrenti in serie tv come Ugly Betty e Vinyl, è capace di emozionare a ogni pagina, e regalare istanti di vera e propria magia.
Ho un debole per le storia che ruotano attorno a un bambino speciale, e che permettono al lettore di vedere il mondo attraverso i suoi occhi: sul blog ve ne ho raccontate tante, nel corso degli anni.
Stavolta tocca alla piccola Joan, e chissà se sarà riuscita a rubarmi il cuore....
Joan è una bambina come tante, se non fosse che la sua mente è in grado di immagazzinare e conservare ogni singolo ricordo.
Alla sua insegnante che afferma, guardando il cielo, «è un sacco di tempo che non piove», Joan replica con sicurezza che non è vero, ha piovuto il 20 giugno, che era un giovedì.
Joan ricorda TUTTO, e vive con grandissimo disagio la consapevolezza che non solo per gli altri non è così, ma che lei stessa verrà dimenticata.
In fondo, è stata dimenticata dalla nonna quando, ormai anziana, ha iniziato a perdere la memoria, e oggi suo padre si è dimenticato di andarla a prendere all'ora giusta.
Eppure c'è qualcosa che le persone sembrano non dimenticare mai, nemmeno a decenni di distanza: le loro canzoni preferite.
Per questo la bimba ha un sogno, quello di scrivere e cantare una canzone memorabile, destinata a rimanere per sempre, come quelle di John Lennon (da cui prende il suo secondo nome: il padre, fan sfegatato del cantautore britannico, l'ha chiamata Joan Lennon).
Ma come si scrive una canzone memorabile?
Un buon punto di partenza sembra quello di partecipare a un concorso per nuovi cantautori pubblicizzato sul giornale, che prevede lo streaming sul web della canzone vincitrice.
Joan è piccola, forse, ma è molto sveglia, e sa benissimo che per vincere il concorso «serve una canzone che faccia venir voglia di ballare o di piangere. Sono le due reazioni più forti che la musica può suscitare. Quando balla, la gente si scorda di tutto, e quando piange si ricorda», quindi deve solo decidere che tipo di canzone proporre... e comporre, ovviamente.
Ed è qui che entra in gioco il mio personaggio preferito del romanzo, Gavin.
Lo incontriamo nel momento più difficile della sua vita, appena un mese dopo la morte di Sydney, il grande amore della sua vita.
Si sente come se vivesse con un "amore fantasma", che continui a percepire anche se non è più presente, e il dolore è tale da spingerlo a dare letteralmente fuoco a tutto ciò che, attorno a lui, gli ricorda l'uomo che ha perso.
Dopo averlo visto al notiziario, sconvolto e davanti a un enorme falò di quello che sostanzialmente era l'intero contenuto di casa sua, la madre di Joan lo chiama, pregandolo di andare a stare da loro per un po'.
Ed ecco che, al'improvviso, Joan trova la risposta al suo problema: sarà Gavin ad aiutarla a comporre la sua canzone!
Val Emmich trasferisce su carta ogni sfumatura ed emozione dell'atto di composizione, regalando ai lettori quella che non è solo una splendida storia di amicizia e guarigione, ma anche un omaggio alla musica "che ti salva da tutto, anche da te stesso".
"La lista delle cose che non dimenticherò mai" è un romanzo delicato, intimo e allo stesso tempo universale, perché universali sono le paure che racconta, prima tra tutte quella di dimenticare (Gavin) ed essere dimenticati (Joan). Se l'uomo soffre al pensiero di perdere anche i ricordi del compagno, e trovarsi definitivamente senza di lui, Joan teme che proprio lei, la persona che ricorda tutto, finirà nell'oblio. Non ci è dato di sapere se questo accadrà, ma ciò che entrambi imparano - e noi con loro - è sicuramente quanto sia più importante vivere, piuttosto che ricordare, e che ciò che hai dimenticato non è perso, perché lo hai ugualmente vissuto.
O almeno, questo è uno dei messaggi che io stessa, durante la lettura, ho sentito arrivare con prepotenza al mio cuore, forse perché è una questione sulla quale ho avuto modo di interrogarmi a lungo: quando mia nonna ha iniziato a dimenticare, ha smesso progressivamente di essere "la mia nonna", ma questo non ha certo cancellato gli anni in cui lo è stata. Quelli non me li ha portati via nessuno.
Un esordio a cinque stelle, e un'edizione arricchita da tenerissimi disegni capaci di trasportare il lettore nel mondo di Joan: questo dovete proprio leggerlo.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
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martedì 15 maggio 2018
"Nel fuoco si fanno gli uomini" di Ivan Brentari
Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata a "Nel fuoco si fanno gli uomini" di Ivan Brentari, edito Piemme (rilegato a 17,50€):
Quando Alessandro Valtorta era Serpente, braccio armato di Gerlando Piscopo, il boss di spaccio e racket nel quartiere Corvetto di Milano, solo i più coraggiosi osavano salutarlo. Tutti in Corvetto sapevano che aveva la testa ma era capace di fare cose terribili. E tutti lo rispettavano, perché avrebbe potuto portar via il posto al capo, se solo avesse voluto. Tranne suo padre. Operaio da sempre, fedele al sindacato e al partito, si era spezzato la schiena per far studiare il figlio che lo ripagava sguazzando in quel covo di tossici. Poi era morto Giorgio, fratello di Alessandro, trovato con la siringa ancora infilata nel braccio. Per suo padre era Serpente il colpevole, e forse lui stesso lo credeva. C'era voluto l'ispettore De Pin, uno sbirro diverso dagli altri, coltissimo e lontano dai giochetti di carriera, per fargli cambiare vita. Lo aveva fatto entrare in polizia, prima alle Volanti, poi all'Antidroga.
Oggi Serpente è diventato il commissario Valtorta. Ha passato dieci anni a chiudere un caso dopo l'altro e a cercare di spegnere le voci dei fantasmi del suo passato. Tutto pare diverso, ora. Ma quando viene rinvenuto il cadavere di Oksana Golubeva, una prostituta, in un appartamento pieno di cocaina e soldi, Valtorta si trova davanti le ombre che pensava di essersi lasciato alle spalle. L'indagine lo coinvolge sempre più a fondo, anche quando il questore vorrebbe che si dedicasse alla sparizione di un sindacalista che sta scaldando la città e rischia di rovinare il Salone del Mobile.
Valtorta deve combattere contro ciò che è stato e ciò che è diventato. Per cercare la verità attraversa come una furia una Milano scossa da manifestazioni e insinuazioni giornalistiche. Dai bassifondi ai quartieri scintillanti. È pronto a perdere tutto, anche la parte migliore di sé.
Non sono una lettrice "forte" di thriller, ma quando incappo in uno buono ne vengo immediatamente catturata.
Quando poi tra i protagonisti c'è anche la "mia" Milano, come resistere?
E quella di Ivan Brentari, e del suo commissario Valtorta, è una Milano più che contemporanea.
Una Milano che brilla, animata da moda, tendenze e design, del quale il Salone del Mobile è forse l'espressione più patinata, e che ben si presta a fare da contraltare alla Milano periferica, violenta e ostaggio della malavita nella quale l'ora commissario si è fatto le ossa.
A salvare Valtorta da un destino apparentemente già scritto è stata proprio la polizia, "il nemico", e la consapevolezza di essere sì arrivato troppo tardi per salvare il fratello dala droga e dal brutto giro in cui era finito, ma non per dedicare la vita ad assicurare un posto al fresco a ogni criminale abbastanza sfortunato da incrociare il suo cammino.
Se non fosse che, ancora oggi, Valtorta fatica a soffocare sensi di colpa, rimpianti e rimorsi per la persona che è stato, quando il suo nome era "Serpente" e incuteva paura, oltre che rispetto, nelle stesse persone che ora fa di tutto per arrestare.
Sarà proprio il sopraggiungere di due casi (ma saranno davvero due casi distinti?) molto diversi a risvegliare in lui non solo i ricordi di un passato che ha cercato di lasciarsi alle spalle, ma anche un lato di sè che credeva di aver seppellito per sempre.
E no, non vi dico altro sull'indagine di Valtorta, perchè se no che gusto c'è?
Voglio dirvi, però, qualcosa su questo protagonista diviso tra passato e presente, conscio di dover e voler lottare anche quando non sa bene "per cosa", ma del resto glielo diceva anche suo padre, che «nel fuoco della lotta incerta si fanno gli uomini».
Questo monito (una cui parte costituisce il titolo del romanzo) accompagna Valtorta pagina dopo pagina, difficltà dopo difficoltà, ed è sicuramente un messaggio che il lettore porta con sè anche a lettura ultimata.
Non è facile, all'inizio, cogliere ogni sfumatura di quest'uomo dal passato criminale e ora commissario puntiglioso e determinato, ma Ivan Brentari riesce a stimolare la curiosità dei lettori capitolo dopo capitolo, e a farli affezionare - nonostante il contesto ben poco romantico della vicenza - a «Alessandro, ovvero Serpente, ovvero Valtorta, [...] quello che aveva finito bene ragioneria senza mai aprire un libro. Quello che capiva sempre le cose prima degli altri, in maniera naturale. Quello che si faceva di eroina ma controllava la cosa. Quello per cui le ragazzine delle case popolari si mettevano in fila dopo aver preso il numerino. Quello che aveva stregato Gerlando Piscopo, il boss di Corvetto, uno che lavorava per conto della gente di Napoli. Stupefacenti & racket delle case popolari.»
La sua velocità di pensiero, la sua capacità di analisi, il suo essere contemporaneamente guardia e ladro in quella che sembra, a tratti, una partita all'ultimo sangue dall'esito tut'altro che certo, lo rendono un protagonista perfetto non solo per questo romanzo, ma per una serie di indagini che seguirei con il fiato sospeso, dalla prima all'ultima.
Non so se sia nelle intenzioni dell'autore realizzare un progetto simile, ma da lettrice non posso far altro che augurarmelo perchè aspetto già un ritorno di Valtorta sulle scene (del crimine, ça va sans dire).
Mi ha colpita da subito la scrittura quasi cinematografica di Ivan Brentari, e scoprire che dal suo lavoro precedente ha tratto anche una pièce teatrale non mi ha stupita: non sono molti gli autori capaci di costruire una scena trascinando il lettore al suo interno, ma lui ci riesce.
A dare forza e spessore a "Nel fuoco si fanno gli uomini" è, sicuramente, anche il forte legame con l'attualità: dal dilagare della criminalità nelle periferie, ignorate dai riflettori perchè non abbastanza sfavillati, all'emergere di una Milano che è sì una metropoli glam ma anche una città piena di lati oscuri, che troppo spesso si sceglie di non raccontare.
C'è un mondo del lavoro spesso più corrotto della malavita stessa, c'è una giustizia che non arriva e c'è la tentazione di farsi giustizia da sè, c'è una città con ancora molte storie da raccontare... e vite da salvare.
Ivan, se sei in ascolto, cogli il non tanto subliminale messaggio ;)
Consigliatissimo ai milanesi (e non solo), ma soprattutto agli amanti di storie ricche di ombre e personaggi capaci di svelarsi lentamente, senza mai mostrare del tutto la loro vera natura e stupendo il lettore in più di un'occasione.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
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La chiacchiera librosa di oggi è dedicata a "Nel fuoco si fanno gli uomini" di Ivan Brentari, edito Piemme (rilegato a 17,50€):
Quando Alessandro Valtorta era Serpente, braccio armato di Gerlando Piscopo, il boss di spaccio e racket nel quartiere Corvetto di Milano, solo i più coraggiosi osavano salutarlo. Tutti in Corvetto sapevano che aveva la testa ma era capace di fare cose terribili. E tutti lo rispettavano, perché avrebbe potuto portar via il posto al capo, se solo avesse voluto. Tranne suo padre. Operaio da sempre, fedele al sindacato e al partito, si era spezzato la schiena per far studiare il figlio che lo ripagava sguazzando in quel covo di tossici. Poi era morto Giorgio, fratello di Alessandro, trovato con la siringa ancora infilata nel braccio. Per suo padre era Serpente il colpevole, e forse lui stesso lo credeva. C'era voluto l'ispettore De Pin, uno sbirro diverso dagli altri, coltissimo e lontano dai giochetti di carriera, per fargli cambiare vita. Lo aveva fatto entrare in polizia, prima alle Volanti, poi all'Antidroga.
Oggi Serpente è diventato il commissario Valtorta. Ha passato dieci anni a chiudere un caso dopo l'altro e a cercare di spegnere le voci dei fantasmi del suo passato. Tutto pare diverso, ora. Ma quando viene rinvenuto il cadavere di Oksana Golubeva, una prostituta, in un appartamento pieno di cocaina e soldi, Valtorta si trova davanti le ombre che pensava di essersi lasciato alle spalle. L'indagine lo coinvolge sempre più a fondo, anche quando il questore vorrebbe che si dedicasse alla sparizione di un sindacalista che sta scaldando la città e rischia di rovinare il Salone del Mobile.
Valtorta deve combattere contro ciò che è stato e ciò che è diventato. Per cercare la verità attraversa come una furia una Milano scossa da manifestazioni e insinuazioni giornalistiche. Dai bassifondi ai quartieri scintillanti. È pronto a perdere tutto, anche la parte migliore di sé.
Non sono una lettrice "forte" di thriller, ma quando incappo in uno buono ne vengo immediatamente catturata.
Quando poi tra i protagonisti c'è anche la "mia" Milano, come resistere?
E quella di Ivan Brentari, e del suo commissario Valtorta, è una Milano più che contemporanea.
Una Milano che brilla, animata da moda, tendenze e design, del quale il Salone del Mobile è forse l'espressione più patinata, e che ben si presta a fare da contraltare alla Milano periferica, violenta e ostaggio della malavita nella quale l'ora commissario si è fatto le ossa.
A salvare Valtorta da un destino apparentemente già scritto è stata proprio la polizia, "il nemico", e la consapevolezza di essere sì arrivato troppo tardi per salvare il fratello dala droga e dal brutto giro in cui era finito, ma non per dedicare la vita ad assicurare un posto al fresco a ogni criminale abbastanza sfortunato da incrociare il suo cammino.
Se non fosse che, ancora oggi, Valtorta fatica a soffocare sensi di colpa, rimpianti e rimorsi per la persona che è stato, quando il suo nome era "Serpente" e incuteva paura, oltre che rispetto, nelle stesse persone che ora fa di tutto per arrestare.
Sarà proprio il sopraggiungere di due casi (ma saranno davvero due casi distinti?) molto diversi a risvegliare in lui non solo i ricordi di un passato che ha cercato di lasciarsi alle spalle, ma anche un lato di sè che credeva di aver seppellito per sempre.
E no, non vi dico altro sull'indagine di Valtorta, perchè se no che gusto c'è?
Voglio dirvi, però, qualcosa su questo protagonista diviso tra passato e presente, conscio di dover e voler lottare anche quando non sa bene "per cosa", ma del resto glielo diceva anche suo padre, che «nel fuoco della lotta incerta si fanno gli uomini».
Questo monito (una cui parte costituisce il titolo del romanzo) accompagna Valtorta pagina dopo pagina, difficltà dopo difficoltà, ed è sicuramente un messaggio che il lettore porta con sè anche a lettura ultimata.
Non è facile, all'inizio, cogliere ogni sfumatura di quest'uomo dal passato criminale e ora commissario puntiglioso e determinato, ma Ivan Brentari riesce a stimolare la curiosità dei lettori capitolo dopo capitolo, e a farli affezionare - nonostante il contesto ben poco romantico della vicenza - a «Alessandro, ovvero Serpente, ovvero Valtorta, [...] quello che aveva finito bene ragioneria senza mai aprire un libro. Quello che capiva sempre le cose prima degli altri, in maniera naturale. Quello che si faceva di eroina ma controllava la cosa. Quello per cui le ragazzine delle case popolari si mettevano in fila dopo aver preso il numerino. Quello che aveva stregato Gerlando Piscopo, il boss di Corvetto, uno che lavorava per conto della gente di Napoli. Stupefacenti & racket delle case popolari.»
La sua velocità di pensiero, la sua capacità di analisi, il suo essere contemporaneamente guardia e ladro in quella che sembra, a tratti, una partita all'ultimo sangue dall'esito tut'altro che certo, lo rendono un protagonista perfetto non solo per questo romanzo, ma per una serie di indagini che seguirei con il fiato sospeso, dalla prima all'ultima.
Non so se sia nelle intenzioni dell'autore realizzare un progetto simile, ma da lettrice non posso far altro che augurarmelo perchè aspetto già un ritorno di Valtorta sulle scene (del crimine, ça va sans dire).
Mi ha colpita da subito la scrittura quasi cinematografica di Ivan Brentari, e scoprire che dal suo lavoro precedente ha tratto anche una pièce teatrale non mi ha stupita: non sono molti gli autori capaci di costruire una scena trascinando il lettore al suo interno, ma lui ci riesce.
A dare forza e spessore a "Nel fuoco si fanno gli uomini" è, sicuramente, anche il forte legame con l'attualità: dal dilagare della criminalità nelle periferie, ignorate dai riflettori perchè non abbastanza sfavillati, all'emergere di una Milano che è sì una metropoli glam ma anche una città piena di lati oscuri, che troppo spesso si sceglie di non raccontare.
C'è un mondo del lavoro spesso più corrotto della malavita stessa, c'è una giustizia che non arriva e c'è la tentazione di farsi giustizia da sè, c'è una città con ancora molte storie da raccontare... e vite da salvare.
Ivan, se sei in ascolto, cogli il non tanto subliminale messaggio ;)
Consigliatissimo ai milanesi (e non solo), ma soprattutto agli amanti di storie ricche di ombre e personaggi capaci di svelarsi lentamente, senza mai mostrare del tutto la loro vera natura e stupendo il lettore in più di un'occasione.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
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martedì 17 aprile 2018
Simone Laudiero, e una nuova serie fantasy dal sapore... mediterraneo
Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Oggi il blog ha un ospite speciale: Simone Laudiero, autore della nuova serie fantasy "Gli eroi perduti", il cui primo volume "Le mura di Cartavel" arriva in libreria proprio oggi edito Piemme (rilegato a 16€):
C'è un canto che risuona da millenni nei Paesi affacciati sulla Croce Azzurra. È il lamento degli eroi perduti, i paladini che hanno sconfitto le creature venute dal mare dando origine all'Era degli Uomini. Ora le stesse terre salvate dagli eroi sono sotto il dominio di una terribile potenza: Sarmora, che ha creato uno sterminato impero grazie all'itri, una sostanza capace di rendere invincibili in battaglia. Solo Cartavel separa Sarmora dalla conquista del grande mare di mezzo, eppure la città resiste, protetta dalle sue mura inespugnabili. Inutili sono gli assalti della flotta sarmoriana, che da due anni la cinge d'assedio e che ora ripone le ultime speranze nell'Isola di Ferro, la più spaventosa nave da guerra mai costruita. Quando il varo è alle porte, però, voci di un imminente sabotaggio minacciano la riuscita dell'impresa. Sarà la coraggiosa e ingenua Rovaine a doverlo sventare, in una missione in cui il suo destino si intreccerà a quello di altri inconsapevoli eroi: Ronac, indomita cercatrice di tesori, Sahon, saggio tutore del futuro sovrano, e il giovane Asul, che dovrà sfuggire alla morte per consegnare una lettera in grado di salvare il mondo.
Un tuffo tra le pagine di "Le mura di Cartavel" è quello che consiglio a chiunque volesse viaggiare con la fantasia: per tre ore combatterete, viaggerete, tesserete trame... e vi emozionerete. Tantissimo.
Per me è stato così, ed è per questo che è stato splendido poter incontrare in anteprima Simone Laudiero e sentirsi raccontare proprio da lui da dove siano nati i personaggi e i luoghi di questa storia speciale, e non solo!
Partiamo proprio dai tuoi protagonisti, che sono molto originali: da dove è venuta l'ispirazione che ti ha portato a metterli su carta?
Sono un lettore forte, anzi, fortissimo: ho iniziato a leggere fantasy alle elmentari, immergendomi in questo mondo anche attraverso film, videogiochi, serie tv.
Il fantasy è un genere propriamente derivativo, poco innovativo, quindi quando sono arrivato a scrivere il mio, di romanzo fantasy, mi sono imposto di proporre personaggi che fossero diversi, almeno un po'. Volevo raccontare qualcosa di nuovo.
Se i miei personaggi sono più leggeri e brillanti, è anche perchè volevo scostarmi un po' dai personaggi cupi tipici del fantasy anglosassone: volevo che fossero più scanzonati, e anche più simpatici.
Un mondo fantasy mi permette anche di parlare di sessualità, di genere, di ruoli all'interno della coppia e della società in un modo forse più libero di quanto potrei fare con un'ambientazione contemporanea, e di inserire quindi nella mia storia personaggi e relazioni che, altrove, dovrei spiegare e giustificare in modo diverso.
Dei tuoi personaggi sono particolari anche i nomi, non solo i caratteri.
C'è un tentativo di mediare il fatto che i nomi di derivazione anglosassone "suonano meglio", e trasmettono quella sensazione di meraviglioso e di esotico che i nomi italiani non riescono a suscitare. Nel mio mondo, ho dato spazio anche a nomi arabeggianti e a nomi che richiamassero la nostra storia: Sarmora e Cartavel sono, sostanzialmente, Roma e Cartagine.
Per quanto riguarda i personaggi, Ronac è un nome femminile curdo, "rubato" alla compagna di un amico: mi piaceva moltissimo, non potevo non utilizzarlo!
Parliamo dell'itri, questa sostanza che, di fatto, dona il potere a chi la controlla (visto che rende invincibili in battaglia): qual è stata la fonte d'ispirazione?
Devo pensarci un attimo, perchè la prima idea riguardo l'itri è di circa quindici anni fa.
Credo che la fonte d'ispirazione fosse l'energia Mako di Final Fantasy VII: la scintilla era partita da lì.
Poi, ai fini della storia, mi serviva un motivo per ricreare il meccanismo dell'economia del petrolio.
Nel mio mondo, l'itri è esattamente come il petrolio: si usa per combattere, e si combatte per averne di più, senza possibilità di rompere il meccanismo. A meno che... ma lo scoprirete!
Un mondo fantasy che nasce dal mare, con il desiderio di partire proprio dal mar Mediterraneo. È un mare che, in fondo, già era protagonista dei viaggi degli eroi dell'epica classica: c'era una volontà di riagganciarti anche al mito greco e romano, ai Νόστοι, a Omero?
Assolutamente sì. Credo che, in fondo, sia tutta un questione di costume.
L'eroe greco che affronta mostri non è molto diverso dall'eroina in corsetto di pelle che affronta un drago.
Solo che l'eroe greco è sfortunato dal punto di vista del look, e questo ne riduce il fascino agli occhi del pubblico. L'elmo dorato e il sandalo non conquistano quando i mantelli e le spade.
È qualcosa di radicato, difficile da combattere.
Forse è stata una mia impressione, ma ci ho visto anche un occhiolino a Salgari, a Stevenson e alle storie di pirati. Fanno parte della tua formazione da lettore?
"L'isola del tesoro" è ancora oggi un romanzo fortissimo, molto moderno e capace di catturare l'attenzione del lettore. Però, pur avendo letto molte storie che li vedevano protagonisti, non erano i miei personaggi preferiti, i pirati: amavo di più Robin Hood.
Che era un po' il pirata delle foreste, se ci pensi.
Questo senza dubbio. Forse per me i pirati erano un po' troppo sporchi, e poi con i tatuaggi, gli uncini...
Ultima domanda: sei cresciuto a pane e fantasy, ma hai un autore che consideri il tuo preferito in assoluto?
J.R.R. Tolkien è indiscutibilmente il migliore: ha creato tutto, inventando ciò che poi tutti hanno ripreso più e più volte. A sedici anni, il mio preferito in assoluto era Tad Williams, che è diventato poi uno dei modelli di riferimento per George R.R. Martin.
Anche George R.R. Martin è indiscutibilmente un pilastro, soprattutto per quanto riguarda la distruzione del ruolo classico dell'eroe.
Ringrazio tantissimo Piemme e Simone Laudiero per quest'opportunità d'incontro e di confronto, e vi invito a scoprire la serie "Gli eroi perduti": vi conquisterà, ne sono sicura!
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
Oggi il blog ha un ospite speciale: Simone Laudiero, autore della nuova serie fantasy "Gli eroi perduti", il cui primo volume "Le mura di Cartavel" arriva in libreria proprio oggi edito Piemme (rilegato a 16€):
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Non fatevi sfuggire Ronac e Raila, il prequel del romanzo: vi aspetta in libreria a soli 1,90€ |
Un tuffo tra le pagine di "Le mura di Cartavel" è quello che consiglio a chiunque volesse viaggiare con la fantasia: per tre ore combatterete, viaggerete, tesserete trame... e vi emozionerete. Tantissimo.
Per me è stato così, ed è per questo che è stato splendido poter incontrare in anteprima Simone Laudiero e sentirsi raccontare proprio da lui da dove siano nati i personaggi e i luoghi di questa storia speciale, e non solo!
Partiamo proprio dai tuoi protagonisti, che sono molto originali: da dove è venuta l'ispirazione che ti ha portato a metterli su carta?
Sono un lettore forte, anzi, fortissimo: ho iniziato a leggere fantasy alle elmentari, immergendomi in questo mondo anche attraverso film, videogiochi, serie tv.
Il fantasy è un genere propriamente derivativo, poco innovativo, quindi quando sono arrivato a scrivere il mio, di romanzo fantasy, mi sono imposto di proporre personaggi che fossero diversi, almeno un po'. Volevo raccontare qualcosa di nuovo.
Se i miei personaggi sono più leggeri e brillanti, è anche perchè volevo scostarmi un po' dai personaggi cupi tipici del fantasy anglosassone: volevo che fossero più scanzonati, e anche più simpatici.
Un mondo fantasy mi permette anche di parlare di sessualità, di genere, di ruoli all'interno della coppia e della società in un modo forse più libero di quanto potrei fare con un'ambientazione contemporanea, e di inserire quindi nella mia storia personaggi e relazioni che, altrove, dovrei spiegare e giustificare in modo diverso.
Dei tuoi personaggi sono particolari anche i nomi, non solo i caratteri.
C'è un tentativo di mediare il fatto che i nomi di derivazione anglosassone "suonano meglio", e trasmettono quella sensazione di meraviglioso e di esotico che i nomi italiani non riescono a suscitare. Nel mio mondo, ho dato spazio anche a nomi arabeggianti e a nomi che richiamassero la nostra storia: Sarmora e Cartavel sono, sostanzialmente, Roma e Cartagine.
Per quanto riguarda i personaggi, Ronac è un nome femminile curdo, "rubato" alla compagna di un amico: mi piaceva moltissimo, non potevo non utilizzarlo!
Parliamo dell'itri, questa sostanza che, di fatto, dona il potere a chi la controlla (visto che rende invincibili in battaglia): qual è stata la fonte d'ispirazione?
Devo pensarci un attimo, perchè la prima idea riguardo l'itri è di circa quindici anni fa.
Credo che la fonte d'ispirazione fosse l'energia Mako di Final Fantasy VII: la scintilla era partita da lì.
Poi, ai fini della storia, mi serviva un motivo per ricreare il meccanismo dell'economia del petrolio.
Nel mio mondo, l'itri è esattamente come il petrolio: si usa per combattere, e si combatte per averne di più, senza possibilità di rompere il meccanismo. A meno che... ma lo scoprirete!
Un mondo fantasy che nasce dal mare, con il desiderio di partire proprio dal mar Mediterraneo. È un mare che, in fondo, già era protagonista dei viaggi degli eroi dell'epica classica: c'era una volontà di riagganciarti anche al mito greco e romano, ai Νόστοι, a Omero?
Assolutamente sì. Credo che, in fondo, sia tutta un questione di costume.
L'eroe greco che affronta mostri non è molto diverso dall'eroina in corsetto di pelle che affronta un drago.
Solo che l'eroe greco è sfortunato dal punto di vista del look, e questo ne riduce il fascino agli occhi del pubblico. L'elmo dorato e il sandalo non conquistano quando i mantelli e le spade.
È qualcosa di radicato, difficile da combattere.
Forse è stata una mia impressione, ma ci ho visto anche un occhiolino a Salgari, a Stevenson e alle storie di pirati. Fanno parte della tua formazione da lettore?
"L'isola del tesoro" è ancora oggi un romanzo fortissimo, molto moderno e capace di catturare l'attenzione del lettore. Però, pur avendo letto molte storie che li vedevano protagonisti, non erano i miei personaggi preferiti, i pirati: amavo di più Robin Hood.
Che era un po' il pirata delle foreste, se ci pensi.
Questo senza dubbio. Forse per me i pirati erano un po' troppo sporchi, e poi con i tatuaggi, gli uncini...
Ultima domanda: sei cresciuto a pane e fantasy, ma hai un autore che consideri il tuo preferito in assoluto?
J.R.R. Tolkien è indiscutibilmente il migliore: ha creato tutto, inventando ciò che poi tutti hanno ripreso più e più volte. A sedici anni, il mio preferito in assoluto era Tad Williams, che è diventato poi uno dei modelli di riferimento per George R.R. Martin.
Anche George R.R. Martin è indiscutibilmente un pilastro, soprattutto per quanto riguarda la distruzione del ruolo classico dell'eroe.
Ringrazio tantissimo Piemme e Simone Laudiero per quest'opportunità d'incontro e di confronto, e vi invito a scoprire la serie "Gli eroi perduti": vi conquisterà, ne sono sicura!
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
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giovedì 5 aprile 2018
"Se la notte ti cerca" di Romano De Marco: due domande all'autore
Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Romano de Marco è tornato in libreria a Marzo con "Se la notte ti cerca", edito Piemme (rilegato a 17,50€), e ho avuto l'opportunità insieme ad altri blogger di fare due domande all'autore dopo aver divorato il thriller in poche ore:
Il brutale omicidio di Claudia Longo, single cinquantenne, nell'esclusivo quartiere Parioli, a Roma, sembra opera di un amante occasionale. Uno dei tanti che la donna era solita ospitare in casa. L'unica a non pensarla così è il commissario Laura Damiani, tornata nella capitale dopo una devastante esperienza lavorativa a Milano. La poliziotta scopre delle connessioni fra quell'omicidio e le morti, apparentemente accidentali, di altre donne sole. Le vittime erano tutte clienti di un raffinato locale per incontri, nel quartiere Eur, il Single. L'unico modo che Laura ha per vederci chiaro è infiltrarsi nel locale, come cliente, all'insaputa dei suoi superiori. Sarà l'inizio di un viaggio allucinante nei misteri di una vita notturna fatta di trasgressione, vizio, segreti innominabili. Laura avrà l'occasione di guardare dentro se stessa e misurarsi con la propria solitudine e i fantasmi di una esistenza perennemente al bivio fra la totale dedizione al lavoro e la scelta di una vita personale più appagante. Ma dovrà fare i conti anche con un'altra realtà: c'è ancora un assassino in circolazione. E il suo prossimo obiettivo sembra essere proprio lei...
Ringrazio Piemme e Romano De Marco per l'opportunità di leggere il romanzo in anteprima e soddisfare così due mie curiosità, e vi invito ovviamente a recuperare anche le domande poste dai miei "compagni d'avventura", ma veniamo a noi!
Leggendo il tuo romanzo, ho avuto la sensazione che uno degli elementi più forti fosse quello della solitudine. Non solo quella di Laura, nel momento in cui si isola per concentrarsi sul lavoro, ma anche quella dei clienti del Single, locale che da un lato sembra incoraggiare gli incontri ma dall'altro mette ancora più in evidenza quanto i suoi avventori siano persone profondamente sole, in cerca di un'emozione forte che colmi il vuoto che hanno dentro. Secondo te, in una società come quella di oggi in cui sembriamo essere sempre in compagnia e sempre iperconnessi agli altri, quanto è facile invece essere soli, e quanto è pericolosa questa solitudine?
L’epoca dei social e della comunicazione globale ha fatalmente contribuito ad accrescere la solitudine, proprio perché ha contribuito a ridurre sempre più rare le occasioni di socializzazione e condivisione reali. La solitudine è pericolosa perché apre la porta alla parte oscura della nostra anima (quella “notte” citata nel titolo) spingendoci a fare scelte che normalmente riterremmo sbagliate e a mortificare la nostra autostima pur di avere un qualsiasi contatto con gli altri. È proprio di questo che racconta il romanzo, di quanto la solitudine ci renda fragili e scoperti, possibili vittime di chi è pronto ad approfittare di questa debolezza. Come l’assassino col quale dovrà misurarsi la mia poliziotta Laura Damiani.
Nel tuo romanzo racconti, soprattutto, le donne. Come vittime, e attraverso il tuo commissario. Quello del femminicidio è un tema "caldo" perchè, sebbene non sia un fenomeno in crescita, non è nemmeno un fenomeno in calo. Credi che la fiction, in particola modo il thriller e il noir, possano aiutare a tenere viva la discussione sull'argomento?
Nella misura in cui oggi la narrativa di genere ha superato il concetto del puro e semplice intrattenimento, candidandosi a raccontare la realtà (pur nel contesto di una “intelaiatura” di fiction) credo che sia quasi un dovere di chi scrive non sottovalutare certe tematiche. Penso al bellissimo romanzo "Le spose sepolte" di Marilù Oliva che affronta proprio la tematica dei femminicidi rimasti senza colpevole (qui trovate la mia intervista all'autrice, se siete curiosi). Io stesso, qualche anno fa, ho partecipato a una bellissima antologia di racconti (tradotta anche in spagnolo) dal titolo "Nessuna più", nella quale quaranta autrici e autori, partendo da un caso di cronaca, costruivano una storia che raccontasse i casi di femminicidio, per sollevare il velo su una sostanziale immobilità del mondo della cultura rispetto a questo tema.
Volete saperne di più? Ecco dove trovare le altre domande rivolte all'autore, e le sue risposte:
Milanonera
50/50 Thriller
Everpop
Il giallista
E domani non perdete l'appuntamento con le due domande di Thriller Nord!
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
Romano de Marco è tornato in libreria a Marzo con "Se la notte ti cerca", edito Piemme (rilegato a 17,50€), e ho avuto l'opportunità insieme ad altri blogger di fare due domande all'autore dopo aver divorato il thriller in poche ore:
Il brutale omicidio di Claudia Longo, single cinquantenne, nell'esclusivo quartiere Parioli, a Roma, sembra opera di un amante occasionale. Uno dei tanti che la donna era solita ospitare in casa. L'unica a non pensarla così è il commissario Laura Damiani, tornata nella capitale dopo una devastante esperienza lavorativa a Milano. La poliziotta scopre delle connessioni fra quell'omicidio e le morti, apparentemente accidentali, di altre donne sole. Le vittime erano tutte clienti di un raffinato locale per incontri, nel quartiere Eur, il Single. L'unico modo che Laura ha per vederci chiaro è infiltrarsi nel locale, come cliente, all'insaputa dei suoi superiori. Sarà l'inizio di un viaggio allucinante nei misteri di una vita notturna fatta di trasgressione, vizio, segreti innominabili. Laura avrà l'occasione di guardare dentro se stessa e misurarsi con la propria solitudine e i fantasmi di una esistenza perennemente al bivio fra la totale dedizione al lavoro e la scelta di una vita personale più appagante. Ma dovrà fare i conti anche con un'altra realtà: c'è ancora un assassino in circolazione. E il suo prossimo obiettivo sembra essere proprio lei...
Ringrazio Piemme e Romano De Marco per l'opportunità di leggere il romanzo in anteprima e soddisfare così due mie curiosità, e vi invito ovviamente a recuperare anche le domande poste dai miei "compagni d'avventura", ma veniamo a noi!
Leggendo il tuo romanzo, ho avuto la sensazione che uno degli elementi più forti fosse quello della solitudine. Non solo quella di Laura, nel momento in cui si isola per concentrarsi sul lavoro, ma anche quella dei clienti del Single, locale che da un lato sembra incoraggiare gli incontri ma dall'altro mette ancora più in evidenza quanto i suoi avventori siano persone profondamente sole, in cerca di un'emozione forte che colmi il vuoto che hanno dentro. Secondo te, in una società come quella di oggi in cui sembriamo essere sempre in compagnia e sempre iperconnessi agli altri, quanto è facile invece essere soli, e quanto è pericolosa questa solitudine?
L’epoca dei social e della comunicazione globale ha fatalmente contribuito ad accrescere la solitudine, proprio perché ha contribuito a ridurre sempre più rare le occasioni di socializzazione e condivisione reali. La solitudine è pericolosa perché apre la porta alla parte oscura della nostra anima (quella “notte” citata nel titolo) spingendoci a fare scelte che normalmente riterremmo sbagliate e a mortificare la nostra autostima pur di avere un qualsiasi contatto con gli altri. È proprio di questo che racconta il romanzo, di quanto la solitudine ci renda fragili e scoperti, possibili vittime di chi è pronto ad approfittare di questa debolezza. Come l’assassino col quale dovrà misurarsi la mia poliziotta Laura Damiani.
Nel tuo romanzo racconti, soprattutto, le donne. Come vittime, e attraverso il tuo commissario. Quello del femminicidio è un tema "caldo" perchè, sebbene non sia un fenomeno in crescita, non è nemmeno un fenomeno in calo. Credi che la fiction, in particola modo il thriller e il noir, possano aiutare a tenere viva la discussione sull'argomento?
Nella misura in cui oggi la narrativa di genere ha superato il concetto del puro e semplice intrattenimento, candidandosi a raccontare la realtà (pur nel contesto di una “intelaiatura” di fiction) credo che sia quasi un dovere di chi scrive non sottovalutare certe tematiche. Penso al bellissimo romanzo "Le spose sepolte" di Marilù Oliva che affronta proprio la tematica dei femminicidi rimasti senza colpevole (qui trovate la mia intervista all'autrice, se siete curiosi). Io stesso, qualche anno fa, ho partecipato a una bellissima antologia di racconti (tradotta anche in spagnolo) dal titolo "Nessuna più", nella quale quaranta autrici e autori, partendo da un caso di cronaca, costruivano una storia che raccontasse i casi di femminicidio, per sollevare il velo su una sostanziale immobilità del mondo della cultura rispetto a questo tema.
Volete saperne di più? Ecco dove trovare le altre domande rivolte all'autore, e le sue risposte:
Milanonera
50/50 Thriller
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E domani non perdete l'appuntamento con le due domande di Thriller Nord!
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giovedì 1 marzo 2018
Libri, libri, libri a Marzo in casa Piemme!
Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Anche oggi scopriamo insieme le uscite di Marzo di una casa editrice che è molto, molto presente nella mia libreria: sto parlando di Piemme, che questo mese porta in libreria alcuni titoli davvero interessanti!
«Dieci anni dopo Cuori di Pietra, ventitré donne, scrittrici, giornaliste, esseri umani di varia foggia e sfumatura emotiva contingente, si ritrovano con un obiettivo, comune e chiaro: scrivere. E un altro obiettivo più nebuloso, velleitario, eppure bellissimo. Anzi due: impreziosire la vita di chi legge, magari sorseggiando un drink nel tinello della propria comoda casa, e migliorare quella di chi il tinello non ce l'ha, ma soprattutto non ha un piffero da bere perché dalle sue parti l'acqua è un'ipotesi avventurosa. E tutto ciò soli centocinquant'anni dopo che il dottor Semmelweis, il primo medico che un giorno disse ai suoi colleghi "stimatissimi, sarà il caso che uscendo dalla sala autopsie e dirigendoci in sala parto ci laviamo le mani?", venne obbligato a lasciare la sua città, rinchiuso in un manicomio ed escluso a vita dalla comunità scientifica, a suggello del fatto che esistono congiunture astrali per cui tra essere riconosciuto come un genio ed essere stigmatizzato come idiota il passo è davvero troppo breve e amaro. Questo libro si muove su quel crinale, affascinante e pericoloso, sfidando rassegnazione e cinismo con un rapido ed elegante battito di ciglia. Racconta storie il cui epilogo non è stato sventurato come quello del medico viennese di cui sopra, si sbatte alla ricerca di leggerezza, tallona un anelito di speranza come il viaggiatore ramingo insegue un caffè decente in autostrada. In un momento in cui l'ottimismo non è più il profumo della vita, in una stagione in cui questo mirabile concetto viene vissuto come il contrario non del pessimismo, ma del realismo, è sempre giusto e prezioso celebrare quell'istinto mai sopito che suggerisce di vedere finalmente il bicchiere mezzo pieno, badando anche a quale sia la sostanza al suo interno, dettaglio questo di discriminante importanza.» Geppi Cucciari
Con la commovente prefazione di papa Francesco - che riporta inediti e toccanti ricordi di infanzia - si racconta in questo libro l'avventura umana, spirituale e pastorale di padre Stefano Pernet, prete dei poveri, appartenente all'ordine religioso degli Agostiniani dell'Assunzione e fondatore della congregazione delle Piccole Suore dell'Assunzione.
Nella Francia post rivoluzionaria di metà Ottocento, padre Pernet dedicò la vita a sostenere le famiglie più disagiate dei quartieri più degradati di Parigi. Un modello moderno di carità, che rifuggiva il proselitismo, ponendosi come unico obiettivo la condivisione del bisogno per testimoniare Cristo. La grande intuizione fu comprendere che la figura maschile del religioso non era adatta a portare conforto ai malati e ai moribondi delle famiglie operaie, i cui padri erano sovente mangiapreti lontani da Dio: «In questa situazione il prete, anche quando vuole portare sollievo spirituale a chi è ammalato, è visto come uno spauracchio, un messaggero di morte. D'altronde, che può fare se non confortare con le parole? Ma loro non vogliono sentire. Invece, delle Piccole Suore non hanno paura. Con il loro modo garbato di agire sono guardate con riconoscenza, si fidano di loro. Attraverso semplici gesti di pulizia, di medicazione, le suore predicano Gesù Cristo meglio di qualsiasi sermone».
«Grazie a questo libro - scrive papa Bergoglio nella prefazione - agile, ma denso di racconti di vita, si può conoscere l'opera di padre Pernet, dichiarato venerabile dal mio predecessore san Giovanni Paolo II nel 1983. È una storia fatta di volti, dedizione, gesti di carità, di pura gratuità. Una storia che non ha perso la sua freschezza e la sua attualità».
Quando, nel 1978, i nerazzurri di Eugenio Bersellini sbarcano all'aeroporto di Pechino, su una pista occupata solo da velivoli militari, prima squadra occidentale a giocare in quel Paese, il destino sta già tessendo le sue trame. Con perfetta simmetria, infatti, anni dopo il FC Internazionale Milano è stata la prima società italiana ad avere un proprietario cinese.
Era un altro mondo, anche nel calcio: non c'erano procuratori, i contratti erano annuali, quindi il rinnovo bisognava sudarselo ogni volta correndo come matti, tutta la squadra era italiana doc, dai giocatori ai manager, e i ruoli in campo erano ben definiti, c'erano le ali, i terzini, i mediani. Non si regalava la maglia autografata ai tifosi, perché era una sola in dotazione per tutta la stagione. E le veline erano ancora solo fogli di carta.
I campioni che hanno fatto grande l'Inter degli anni Settanta e Ottanta, di cui cinque artefici del Mondiale 1982, rievocano con umorismo e nostalgia la stagione d'oro della squadra nerazzurra, quando la società era come la mamma, che ti allevava e ti faceva crescere, gli allenatori facevano anche la parte del papà severo, e la parola data aveva valore di contratto. E con lo stesso humour e lo stesso affetto, fanno i raggi X alla squadra di oggi.
La verità è che il nerazzurro non si toglie con la maglia, rimane impresso sulla pelle, e infatti nessuno di loro ha mai dato l'addio alla beneamata. Quello che ancora oggi rimane invariato, e che li accomuna agli oltre quattro milioni di tifosi, è il cuore grande del popolo interista. E la sua eterna capacità di sognare.
È il 1437 quando per la prima volta Isotta degli Atti posa lo sguardo su Sigismondo Pandolfo Malatesta. Lui, ventenne, è il turbolento e ambizioso signore di Rimini e di Fano, lei, una bambina di soli cinque anni, figlia di un piccolo nobile della zona. Isotta cresce nel mito di Sigismondo e grazie alla carica del padre, consigliere economico del signore di Rimini, ha la possibilità di rivederlo.
Dopo sette anni dal primo incontro comincia a nascere in loro un sentimento fortissimo. Ma Sigismondo è sposato con Polissena Sforza, e Isotta è stata cresciuta per essere moglie e non amante. Questo il conflitto che renderà tortuoso il percorso di due anime complementari, lei nella perenne ricerca di conferme, lui disposto a dimostrarle i propri sentimenti attraverso l'arte, la parola e l'idea.
Quando, dopo la morte di Polissena Sforza, la ragion di Stato sembra volere una nuova nobile moglie accanto a Sigismondo, anche le ultime certezze dei due innamorati paiono vacillare. Inoltre, la vita e lo stesso ruolo del signore di Rimini sono ostacolati da intrighi, avidità, inganni, legami di sangue e di morte, a cui si aggiunge l'odio dei suoi due più acerrimi e potenti nemici: Federico da Montefeltro e papa Pio II, che usa lo splendore umanista del Tempio Malatestiano per condannare il signore di Rimini.
Sarà proprio nel momento più difficile della vita di Sigismondo - abbandonato anche dai più fedeli alleati - che l'amore incondizionato e gratuito di Isotta si rivelerà salvifico e porterà a cambiare il destino delle loro vite.
L'esile salvagente intorno alla vita tiene a galla Doaa e due bambine, una di pochi mesi, l'altra di nemmeno due anni, a lei affidate dai genitori prima di scomparire per sempre nelle acque, come altre centinaia di persone. Doaa ha paura, lei ha sempre odiato l'acqua, sin da piccola, e solo la guerra e la disperazione che l'accompagna l'hanno convinta a lasciare la sua famiglia e la sua casa in Siria e mettersi su quel barcone. Aveva tanti ricordi felici e tanti sogni da realizzare, che ora galleggiano intorno a lei insieme ai relitti dell'imbarcazione e ai pochi superstiti dei 500 che si erano messi in viaggio. Erano quasi arrivati, solo poche ore di mare li separavano dall'Italia, risate liberatorie cominciavano a levarsi dal ponte, quando un peschereccio si dirige contro di loro, una, due volte. Per farli affondare. Il barcone non regge e tutti si gettano in acqua. Molti annegano subito. Anche Doaa non sa nuotare e solo il salvagente che le porta il marito la tiene a galla. E lo farà per i successivi quattro giorni, in cui le voci e i lamenti intorno si spengono uno dopo l'altro. La tentazione è di lasciarsi andare, ma le due bambine che si aggrappano a lei reclamano la vita. Per loro deve lottare e resistere un'ora di più, poi un'altra, e cantare, e pregare, fino a quando qualcuno arriva. Solo undici vengono tratti in salvo. Doaa ha diciannove anni, ma la sua vita comincia da quei quattro giorni alla deriva. Perché la prima volta nasci al mondo, ma è quando capisci quanta forza si cela in te, e quanto la speranza può avere la meglio sulle circostanze più tragiche, che nasci a te stesso.
Le donne pensano che gli uomini siano creature fin troppo prevedibili. E se non fosse poi così vero? Quando incontra Jason Powell, Angela non immagina che il loro flirt possa diventare qualcosa di serio: gli uomini li conosce, e non si aspetta molto da questo professore di Economia della New York University, corteggiatissimo e con una brillante carriera davanti a sé. Eppure, pochi anni dopo, eccoli sposati, con un figlio da crescere.
Quando però Jason viene accusato da una studentessa di averla molestata, e poco dopo un'altra donna avanza accuse simili, tutto sembra sul punto di spezzarsi e Angela è costretta a guardare da vicino la persona che ha accanto, divisa tra l'istinto di proteggere la sua famiglia, e la sensazione di essere vittima di un terribile tradimento. Divisa tra la giovane poliziotta idealista che vuole aprirle gli occhi nei confronti del marito, e l'avvocatessa di Jason determinata a portare a casa una vittoria… Eppure chi è lei per giudicare? Perché anche Angela, la moglie perfetta, ha un segreto. Un segreto che nessuna donna sposata dovrebbe nascondere al proprio marito. Un segreto che potrebbe rovinare per sempre la sua vita, e quella della sua famiglia. E che a maggior ragione non deve venir fuori adesso...
Antifemministi, razzisti, intolleranti, violenti: sono i movimenti che vanno a caccia di consensi tra i ragazzi delle scuole medie e superiori. Quelli che tra qualche anno con il voto rischiano di cambiare faccia alla Repubblica. Chi vuole immaginare in che direzione andrà l'Italia, dovrà innanzitutto comprendere cos'è la politica per i ragazzi oggi. Da questa inchiesta, durata mesi, emerge la fascinazione dei giovani e giovanissimi per l'estrema destra e la facile presa che i movimenti neofascisti hanno su di loro. «Sono fascista» dichiarano senza remore tredicenni e sedicenni fuori dalle scuole e nelle piazze di ritrovo. Mentre l'antifascismo non è più percepito come valore condiviso, essere fascisti diventa una moda e crea unità. CasaPound, Forza Nuova e i vari gruppi studenteschi che a loro fanno riferimento sanno parlare ai ragazzi, conquistarli con marchi di abbigliamento, con slogan roboanti e retorici, sanno far leva sui sentimenti degli adolescenti a cui mancano anticorpi antifascisti. Il neofascismo si nutre anche dell'ambiguità dei partiti tradizionali su temi sensibili come l'immigrazione, dell'antifascismo non militante e dei populismi di destra. I gruppi neofascisti, invece, sfruttano le grandi paure della globalizzazione per offrire miti razzisti come "la grande sostituzione", incitano alla violenza sui deboli e si insinuano negli spazi democratici di scuole e università. Dalle vive voci dei ragazzi e attraverso un'analisi approfondita di testi e documenti, queste pagine sono un segnale d'allarme e uno specchio della politica di domani, che proietta una strana luce nera.
Testimoniando un Dio non solo Padre - e Madre, come già aveva rilevato Giovanni Paolo I - ma Figlio, e per questo Fratello, il messaggio di liberazione di papa Francesco attraversa il presente e disegna il futuro, per rinnovare davvero le nostre società. Con le Sue memorabili parole, il pontefice rivendica per le giovani generazioni una centralità, le indica come protagoniste della storia comune, sottraendole dai margini in cui troppo a lungo sono state relegate: i grandi scartati del nostro tempo inquieto sono in realtà "della stessa pasta" di Dio, le loro migliori caratteristiche sono le Sue, e solo costruendo un ponte tra anziani e giovani sarà possibile dar vita a quella rivoluzione della tenerezza di cui abbiamo tutti profondamente bisogno.
Nel dialogo coraggioso, intimo e diretto con Thomas Leoncini, Francesco si rivolge non solo ai giovani di tutto il mondo, dentro e fuori la Chiesa, ma anche a tutti quegli adulti che a vario titolo hanno un ruolo educativo e di guida nella famiglia, nelle parrocchie e nelle diocesi, nella scuola, nel mondo del lavoro, nell'associazionismo, nelle istituzioni più diverse.
Le Sue riflessioni affrontano con forza, saggezza e passione i grandi temi dell'oggi - da quelli più intimi a quelli maggiormente legati alla sfera sociale e pubblica - mescolando ricordi personali, annotazioni teologiche e considerazioni puntuali e profetiche, senza sottrarsi a nessuna sfida della contemporaneità.
Queste pagine profumano di avvenire e di speranza e, nelle parole stesse del pontefice, il Sinodo dei giovani 2018 rappresenta la cornice ideale per accoglierle e valorizzarle nel profondo.
Il brutale omicidio di Claudia Longo, single cinquantenne, nell’esclusivo quartiere Parioli, a Roma, sembra opera di un amante occasionale. Uno dei tanti che la donna era solita ospitare in casa. L’unica a non pensarla così è il commissario Laura Damiani, tornata nella capitale dopo una devastante esperienza lavorativa a Milano. La poliziotta scopre alcune connessioni fra quell’omicidio e le morti, apparentemente accidentali, di altre donne sole. Le vittime erano tutte frequentatrici di un raffinato locale per incontri, nel quartiere EUR, il Single. L’unico modo che Laura ha per vederci chiaro, è infiltrarsi nel locale, come cliente, all’insaputa dei suoi superiori. Sarà l’inizio di un viaggio allucinante nei misteri di una vita notturna fatta di trasgressione, vizio, segreti innominabili. Laura avrà l’occasione di guardare dentro se stessa e misurarsi con la propria solitudine e i fantasmi di una esistenza perennemente al bivio fra la totale dedizione al lavoro e la scelta di una vita personale più appagante. Ma dovrà fare i conti anche con un’altra realtà: l’assassino, è ancora in circolazione e il suo prossimo obiettivo sembra essere proprio lei...
Siamo tutti felici senza saperlo. La felicità non dipende dalle circostanze o dal destino, non è qualcosa che ci accade se siamo particolarmente fortunati, ma è una questione di scelta. Tutti, senza eccezioni, possiamo imparare a fare quella scelta e il processo non è né difficile né esclusivo, ed è indipendente dalle circostanze. Sembra un paradosso, ma è uno dei concetti rivoluzionari del Buddismo ed è un'idea che può cambiare la vita. Perché, con la pratica e l'allenamento, si può trasformare ogni momento presente in fonte di gioia, e creare un nucleo dentro di sé che sa resistere alle avversità e alle prove inevitabili della vita con equilibrio e positività. Diventeremo noi stessi generatori e propagatori di benessere e felicità, contagiando la nostra casa, il nostro posto di lavoro e, infine, il mondo.
Ormai anche la scienza riconosce che la felicità, l'armonia, la condivisione e il rispetto degli altri e della natura sono elementi essenziali per la salute dell'individuo, obiettivi che il Buddismo persegue da sempre e che sono alla portata di tutti. Anche nel frastuono della vita quotidiana, tra lavoro e impegni famigliari, è bello sapere che per essere felici basta decidere di esserlo.
Nei prossimi giorni aggiungerò i titoli in uscita a fine mese, ma già così possiamo dire che saranno 31 giorni pieni di belle letture!
Quale titolo vi incuriosisce di più?
Quale non mancherà sul vostro comodino?
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
Anche oggi scopriamo insieme le uscite di Marzo di una casa editrice che è molto, molto presente nella mia libreria: sto parlando di Piemme, che questo mese porta in libreria alcuni titoli davvero interessanti!
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6 MARZO Rilegato a 16,50€ |
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6 MARZO Rilegato a 15,90€ |
Nella Francia post rivoluzionaria di metà Ottocento, padre Pernet dedicò la vita a sostenere le famiglie più disagiate dei quartieri più degradati di Parigi. Un modello moderno di carità, che rifuggiva il proselitismo, ponendosi come unico obiettivo la condivisione del bisogno per testimoniare Cristo. La grande intuizione fu comprendere che la figura maschile del religioso non era adatta a portare conforto ai malati e ai moribondi delle famiglie operaie, i cui padri erano sovente mangiapreti lontani da Dio: «In questa situazione il prete, anche quando vuole portare sollievo spirituale a chi è ammalato, è visto come uno spauracchio, un messaggero di morte. D'altronde, che può fare se non confortare con le parole? Ma loro non vogliono sentire. Invece, delle Piccole Suore non hanno paura. Con il loro modo garbato di agire sono guardate con riconoscenza, si fidano di loro. Attraverso semplici gesti di pulizia, di medicazione, le suore predicano Gesù Cristo meglio di qualsiasi sermone».
«Grazie a questo libro - scrive papa Bergoglio nella prefazione - agile, ma denso di racconti di vita, si può conoscere l'opera di padre Pernet, dichiarato venerabile dal mio predecessore san Giovanni Paolo II nel 1983. È una storia fatta di volti, dedizione, gesti di carità, di pura gratuità. Una storia che non ha perso la sua freschezza e la sua attualità».
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6 MARZO Rilegato a 15,90€ |
Era un altro mondo, anche nel calcio: non c'erano procuratori, i contratti erano annuali, quindi il rinnovo bisognava sudarselo ogni volta correndo come matti, tutta la squadra era italiana doc, dai giocatori ai manager, e i ruoli in campo erano ben definiti, c'erano le ali, i terzini, i mediani. Non si regalava la maglia autografata ai tifosi, perché era una sola in dotazione per tutta la stagione. E le veline erano ancora solo fogli di carta.
I campioni che hanno fatto grande l'Inter degli anni Settanta e Ottanta, di cui cinque artefici del Mondiale 1982, rievocano con umorismo e nostalgia la stagione d'oro della squadra nerazzurra, quando la società era come la mamma, che ti allevava e ti faceva crescere, gli allenatori facevano anche la parte del papà severo, e la parola data aveva valore di contratto. E con lo stesso humour e lo stesso affetto, fanno i raggi X alla squadra di oggi.
La verità è che il nerazzurro non si toglie con la maglia, rimane impresso sulla pelle, e infatti nessuno di loro ha mai dato l'addio alla beneamata. Quello che ancora oggi rimane invariato, e che li accomuna agli oltre quattro milioni di tifosi, è il cuore grande del popolo interista. E la sua eterna capacità di sognare.
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13 MARZO Rilegato a 20€ |
Dopo sette anni dal primo incontro comincia a nascere in loro un sentimento fortissimo. Ma Sigismondo è sposato con Polissena Sforza, e Isotta è stata cresciuta per essere moglie e non amante. Questo il conflitto che renderà tortuoso il percorso di due anime complementari, lei nella perenne ricerca di conferme, lui disposto a dimostrarle i propri sentimenti attraverso l'arte, la parola e l'idea.
Quando, dopo la morte di Polissena Sforza, la ragion di Stato sembra volere una nuova nobile moglie accanto a Sigismondo, anche le ultime certezze dei due innamorati paiono vacillare. Inoltre, la vita e lo stesso ruolo del signore di Rimini sono ostacolati da intrighi, avidità, inganni, legami di sangue e di morte, a cui si aggiunge l'odio dei suoi due più acerrimi e potenti nemici: Federico da Montefeltro e papa Pio II, che usa lo splendore umanista del Tempio Malatestiano per condannare il signore di Rimini.
Sarà proprio nel momento più difficile della vita di Sigismondo - abbandonato anche dai più fedeli alleati - che l'amore incondizionato e gratuito di Isotta si rivelerà salvifico e porterà a cambiare il destino delle loro vite.
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13 MARZO Rilegato a 18,50€ |
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13 MARZO Rilegato a 19,50€ |
Quando però Jason viene accusato da una studentessa di averla molestata, e poco dopo un'altra donna avanza accuse simili, tutto sembra sul punto di spezzarsi e Angela è costretta a guardare da vicino la persona che ha accanto, divisa tra l'istinto di proteggere la sua famiglia, e la sensazione di essere vittima di un terribile tradimento. Divisa tra la giovane poliziotta idealista che vuole aprirle gli occhi nei confronti del marito, e l'avvocatessa di Jason determinata a portare a casa una vittoria… Eppure chi è lei per giudicare? Perché anche Angela, la moglie perfetta, ha un segreto. Un segreto che nessuna donna sposata dovrebbe nascondere al proprio marito. Un segreto che potrebbe rovinare per sempre la sua vita, e quella della sua famiglia. E che a maggior ragione non deve venir fuori adesso...
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13 MARZO Rilegato a 13€ |
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20 MARZO Rilegato a 15€ |
Nel dialogo coraggioso, intimo e diretto con Thomas Leoncini, Francesco si rivolge non solo ai giovani di tutto il mondo, dentro e fuori la Chiesa, ma anche a tutti quegli adulti che a vario titolo hanno un ruolo educativo e di guida nella famiglia, nelle parrocchie e nelle diocesi, nella scuola, nel mondo del lavoro, nell'associazionismo, nelle istituzioni più diverse.
Le Sue riflessioni affrontano con forza, saggezza e passione i grandi temi dell'oggi - da quelli più intimi a quelli maggiormente legati alla sfera sociale e pubblica - mescolando ricordi personali, annotazioni teologiche e considerazioni puntuali e profetiche, senza sottrarsi a nessuna sfida della contemporaneità.
Queste pagine profumano di avvenire e di speranza e, nelle parole stesse del pontefice, il Sinodo dei giovani 2018 rappresenta la cornice ideale per accoglierle e valorizzarle nel profondo.
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27 MARZO Rilegato a 17,50€ |
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27 MARZO Rilegato a 17,50€ |
Ormai anche la scienza riconosce che la felicità, l'armonia, la condivisione e il rispetto degli altri e della natura sono elementi essenziali per la salute dell'individuo, obiettivi che il Buddismo persegue da sempre e che sono alla portata di tutti. Anche nel frastuono della vita quotidiana, tra lavoro e impegni famigliari, è bello sapere che per essere felici basta decidere di esserlo.
Nei prossimi giorni aggiungerò i titoli in uscita a fine mese, ma già così possiamo dire che saranno 31 giorni pieni di belle letture!
Quale titolo vi incuriosisce di più?
Quale non mancherà sul vostro comodino?
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
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