Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Oggi sul blog arriva la chiacchierata che ho avuto l'opportunità di fare insieme ad altre blogger a inizio mese con Alice Basso, in occasione dell'uscita di "Scrivere è un mestiere pericoloso", edito da Garzanti (rilegato a 16,40€):
Un gesto, una parola, un’espressione del viso. A Vani bastano piccoli particolari per capire una persona, per comprenderne il modo di pensare. Una dote speciale di cui farebbe volentieri a meno. Perché Vani sta bene solo con sé stessa, tenendo gli altri alla larga. Ama solo i suoi libri, la sua musica e i suoi vestiti inesorabilmente neri. Eppure, questa innata empatia è essenziale per il suo lavoro: Vani è una ghostwriter di una famosa casa editrice. Un mestiere che la costringe a rimanere nell'ombra. Scrive libri al posto di altri autori, imitando alla perfezione il loro stile. Questa volta deve creare un ricettario dalle memorie di un’anziana cuoca. Un’impresa più ardua del solito, quasi impossibile, perché Vani non sa un accidente di cucina, non ha mai preso in mano una padella e non ha la più pallida idea di cosa significhino termini come scalogno o topinambur. C’è una sola persona che può aiutarla: il commissario Berganza, una vecchia conoscenza con la passione per la cucina. Lui sa che Vani parla solo la lingua dei libri. Quella di Simenon, di Vázquez Montalbán, di Rex Stout e dei loro protagonisti amanti del buon cibo. E, tra un riferimento letterario e l’altro, le loro strambe lezioni diventano di giorno in giorno più intriganti. Ma la mente di Vani non è del tutto libera: che le piaccia o no, Riccardo, l’affascinante autore con cui ha avuto una rocambolesca relazione, continua a ripiombarle tra i piedi. Per fortuna una rivelazione inaspettata reclama la sua attenzione: la cuoca di cui sta raccogliendo le memorie confessa un delitto. Un delitto avvenuto anni prima in una delle famiglie più in vista di Torino. Berganza abbandona i fornelli per indagare e ha bisogno di Vani. Ha bisogno del suo dono che le permette di osservare le persone e scoprirne i segreti più nascosti. Eppure la strada che porta alla verità è lunga e tortuosa. A volte la vita assomiglia a un giallo. È piena di falsi indizi. Solo l’intuito di Vani può smascherarli.
È stato bellissimo incontrare Alice Basso perchè è una donna frizzante ed energica, che ci ha regalato un pomeriggio di chiacchiere ma soprattutto di risate, e quindi ecco qui il frutto di quelle ore insieme!
1) Entrambi i tuoi romanzi hanno un incipit che fa riferimento alla carta. Perché questa scelta?
Il primo è nato per caso, perché in quel momento non ne potevo più di tutta la gente che continuava a parlarmi dell’odore della carta. Io avevo cominciato da poco a occuparmi di ebook, nella casa editrice per cui lavoro: mi avevano incaricato di trasformare i vecchi pdf in ebook, cosa che me li aveva fatti odiare immediatamente perché rappresentavano per me un impegno in più. Poi è subentrata la sindrome di Stoccolma, e gli ebook in realtà hanno iniziato a piacermi. Da quel momento ho iniziato a maturare una certa insofferenza verso chi mi parlava sempre dell’odore della carta, per cui l’incipit mi sembrava sufficientemente dissacrante.
Nel secondo libro c’era bisogno di un incipit all’altezza del primo. La carta ha tante caratteristiche oltre all’odore, come il peso o il fatto che sia infiammabile, che abbia una superficie più o meno ruvida, e mi è sembrato carino ricordarlo.
2) Cosa ti ha portata a scrivere proprio romanzi gialli?
A me piace tanto leggere i gialli, e soprattutto quelli enigmistici, in cui tutti gli elementi s’incastrano alla perfezione (come la pistola di Cechov che compare nel primo capitolo e poi spara nel terzo), però io non sono capace di scrivere libri così. Secondo me ci vogliono una struttura mentale particolare e un interesse specifico. A me piaceva l’idea di usare i gialli come pretesto per altre storie: tu hai comunque un motivo per restare attaccato alla trama e vedere come va a finire, ma anche la scusa per indagare nella psicologia dei personaggi e nei loro affari personali.
Si sente un po’ come il commissario Berganza, dunque?
Grazie di aver scelto proprio quel personaggio!
In realtà, è facilissimo fare quello che faccio io.
3) Ti confronterai anche con altri tipi di scrittura o continuerai a seguire questo filone?
Ho provato a scrivere un po’ per ragazzi, che secondo me è una cosa difficilissima, ma dà anche moltissima soddisfazione. Ho scritto un racconto che è apparso in una raccolta della Castoro intitolata "La prima volta che": tutti noi autori abbiamo scritto una storia ispirata a una “prima volta” della vita. Io ho utilizzato il personaggio di Ivano, che appare brevemente in "Scrivere è un mestiere pericoloso" e che a me piace tantissimo, perché è ispirato a una persona vera.
Scrivere per ragazzi è proprio bello, soprattutto istruttivo per quanto riguarda reggere il ritmo della narrazione, oppure bilanciare humour e azione. Hai una risposta dal pubblico ancora maggiore di quella che ricevi dagli adulti. So che è ridicolo dirlo adesso, visto il tipo di risposta che ho avuto per i miei romanzi, però i ragazzi amano veramente tanto gli scrittori che danno loro delle emozioni.
4) Oltre ai libri, guardi anche film e serie tv del genere thriller?
Non quanto vorrei, perché dovrei licenziarmi per farlo. Se ti appassioni a una serie va a finire che smetti di mangiare e sospendi la tua vita per stare a vedere come va a finire.
5) Hai scelto di parlare di una cuoca e di un ricettario perché in questo momento impazza la moda di scrivere libri di cucina?
Quando ho proposto "L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome" l’ho presentato subito come se dovesse diventare il primo di una serie: il mio obiettivo era di ironizzare in ogni capitolo di questa serie su una “moda” letteraria.
Nel primo c’erano le santone New Age, e nel secondo ho messo la mania della cucina, che io davvero non sopporto. Accendi la tv e c’è sempre qualcuno che spignatta: sono tutti lì a farti pensare che se non sai cucinare la tua vita è in partenza un fallimento.
Sai cucinare?
Zero. Il mio fidanzato vive di stenti. Saranno almeno due settimane che non tocco i fornelli, perciò indovinate un po’ qual è il tratto autobiografico del personaggio di Vani…
6) Qual è l’antefatto del libro? È stato scritto tanto tempo fa, oppure no?
No, io ho sempre scritto, come credo avvenga per quasi tutti quelli che amano scrivere.
Cominci da piccolo perché ti piace l’idea di mettere insieme i tuoi pensierini in una storia, però non avevo mai avuto tanto il coraggio di espormi.
Pensandoci in retrospettiva direi che ho fatto bene, perché ho scritto anche diverse cose francamente illeggibili.
Credo che i poveri beta reader a cui le avevo sottoposte mi odino ancora adesso, e credo anche che abbiano ragione. Il primo libro di Vani Sarca però mi è uscito di getto, due mesi prima di mandarlo all’editore. L’ho finito e proposto, perché mi sembrava un’idea che potesse essere un filo più promettente delle altre.
Leggi per lavoro i libri degli altri, ma a chi hai fatto leggere il tuo?
All’inizio, a due o tre persone, ma non di più. Erano persone che sapevo mi avrebbero detto la verità.
Difficile trovare i lettori giusti, lavorando in casa editrice. Mi arrivano un sacco di libri con presentazioni che recitano “la mamma ha pianto quando gliel’ho letto” e “i miei amici lo trovano meraviglioso”, e tu non sai come spiegare che questa NON è una referenza, perché i tuoi amici tendono a essere sempre gentili con te.
Fortunatamente, io ne ho due o tre che hanno anche loro il vizio di scrivere, e sono i critici migliori, perché sono quelli che ti fanno delle critiche che poi devi saper smontare, e che sono strutturate.
“Bellissimo, profondo, mi è piaciuto tantissimo, però, ecco …” e ti fanno la loro critica.
Se tu sei onesto, capisci che quello che ti è stato detto con educazione deve essere preso in considerazione per la sua gravità.
Poi l’ho mandato a un agente, perché non me la sentivo di spedirlo io a duecento editori.
Dopo che è stato preso dalla casa editrice, è stato molto istruttivo lavorare con degli editor anziché da editor come faccio di solito.
7) Enrico, il detestabile editore capo di Vani, trae ispirazione da una persona reale?
Sì, ma non da degli editori. Mi sono ispirata a un paio di capi schifosi che ho avuto prima di entrare a lavorare in editoria. È stato per me molto catartico scrivere i dialoghi in cui Vani dice a Enrico quello che pensa, cosa che nella realtà un impiegato non riesce mai a fare.
8) Nel libro Vani scrive una canzone, che abbiamo poi scoperto esiste veramente.
Ti è divertita a cantarla, ma soprattutto come fai a incastrare tutte le tue attività, compresa quella musicale?
A volte me lo chiedo anch’io. Poco tempo fa abbiamo suonato a una presentazione, con una delle mie due band, ma credo di aver sbagliato tutti gli attacchi.
Per fortuna i miei compagni sono bravi e mi sono venuti dietro.
Non so come faccio ma è troppo divertente!
9) Hai ricevuto proposte per fare adattamenti dei tuoi libri per il cinema o la tv?
Se mi vogliono io sono qui, e non romperei neanche le scatole riguardo alla scelta degli attori per i vari personaggi. Ogni tanto qualcuno me l’ha chiesto, però in realtà non è mai successo niente.
10) Quanto ha da dirci ancora Vani?
Non pensavo a un progetto lunghissimo, perché le serie troppo lunghe secondo me stancano.
11) Nei tuoi romanzi ci sono molte citazioni di libri, film, musica. Cosa consigli in particolare?
"La principessa sposa" di William Goldman è il tipo di libro che mi ha fatto capire cosa mi piace leggere e come vorrei scrivere in un mondo ideale. Ha un livello ironico e un livello avventuroso: lo puoi leggere a tredici anni, divertendoti e poi più avanti, anche a trent’anni, continuando a divertirti ma leggendo a livelli sempre più profondi.
Vani non ha proprio i miei stessi gusti, è un po’ troppo dark rispetto a me. Nel primo libro attribuivo a Riccardo, professore di letteratura americana, tutti i libri e la musica che mi piace leggere e ascoltare. È una goduria poter infarcire un libro di tutte le cose che ti piacciono, poi sfogliarlo e ritrovarle.
12) Nei tuoi romanzi le donne sono le eroine, ma gli uomini non fanno mai una bella figura.
Non lo so, anche perché io, a dire la verità, non sono una femminista sfegatata, di quelle che ritengono che tutto il bene del mondo venga dal doppio cromosoma X.
Trovo lati positivi persino in Enrico e Riccardo: per me è più una questione di simpatie personali che di genere.
13) La collaborazione di Vani con la polizia rappresenta una forma di autocompiacimento?
Vani non lo direbbe mai, ma si capisce che è contenta. A lei dà fastidio ammettere che le cose la entusiasmano, però questo accade. Scopre che c’è altro nel mondo oltre il suo schermo.
Ha pessimi rapporti familiari, e i suoi parenti sono descritti in modo pessimo.
C’è qualcosa di autobiografico? Questi rapporti miglioreranno in futuro?
Quello della famiglia è un tema importante, e non morirà, naturalmente.
No, io ho avuto una famiglia favolosa, che mi ha sempre dato il massimo supporto.
E poi sono figlia unica, per cui non me la posso neanche prendere con le sorelle che ti fanno sentire inadeguata …
Tra l’altro ho conosciuto tante coppie di fratelli o sorelle che andavano perfettamente d’accordo, oltre a quelli che proprio non si sopportavano.
Ne parlo con leggerezza proprio perché non sono rimasta traumatizzata da esperienze negative.
14) I due romanzi costituiscono un’idea unica divisa in due parti, ma sono stati pensati in momenti diversi, oppure no?
Li ho praticamente scritti a getto continuo, uno dopo l’altro, e il secondo romanzo l’ho presentato agli editor di Garzanti prima ancora che il primo venisse pubblicato.
Non avendo avuto i riscontri del pubblico ero ancora dubbiosa sul fatto di andare in una direzione che i lettori avrebbero potuto apprezzare o meno. Poi, avendo uno staff di editor in gamba, abbiamo potuto parlarne e mantenere una certa purezza, facendoli andare dove volevo io senza farmi influenzare da eventuali scelte del pubblico. In realtà io ho già nella testa lo sviluppo della storia, anche se non so ancora in quanti libri si svolgerà.
15) Il triangolo amoroso è voluto, oppure Riccardo e Berganza sono due facce della stessa medaglia, che devono necessariamente compensarsi?
C’è, perché era divertente. Tu ti immedesimi nella protagonista, ti senti contesa tra due uomini e questo è positivo, no? Comunque sì, sono abbastanza due facce della stessa medaglia: uno è l’uomo serio, affidabile, maturo, col quale è bello avere una conversazione anche profonda e di cui fidarsi, l’altro è l’affabulatore che ti diverte perché è tutto fuochi d’artificio e trovate da romanzo.
Ma chi preferisci tra i due?
Che domanda cattiva: mi avvalgo della facoltà di non rispondere…
16) In questo libro Alice si confronta con un’amica molto giovane, Morgana, e con una molto vecchia, Irma. È una cosa che avevi pensato fin dall’inizio?
Sì, mi piaceva l’idea che lei avesse amici statisticamente improbabili, perché non è assolutamente comune che una donna di 34 anni abbia due sole amiche al mondo, di cui una di quindici anni e una di ottantuno. In più c’è stata anche una componente servita dal destino, dovuta al fatto che conosco personalmente sia Morgana che Irma, o perlomeno due persone che le ispirano molto da vicino. Tra parentesi, c’è stata questa circostanza curiosissima, per la quale ho presentato il libro nel posto in cui vivo, ed erano presenti sia Irma che Vale: mancava solo Morgana perché studia fuori casa.
Era come girarsi e vedere i personaggi del libro davanti a me.
Naturalmente non sono prese proprio al cento per cento: non sarei nemmeno capace di ritrarre una persona in tutte le sue realtà, soprattutto per quanto riguarda la vera Irma che è molto più tosta del mio personaggio, e naturalmente si veste molto meglio di lei.
Conosco un sacco di persone particolari e, in fondo, mi piace inserirle nelle mie storie.
Sapevano di averti ispirata?
Irma l’ha scoperto ieri, ma la più divertente è stata l’ispiratrice di Vani, che è una delle mie più care amiche, una persona tra le più riservate e diffidenti che io conosca: quando le ho detto “A proposito, ho scritto un romanzo e ci saresti dentro tu” è rimasta piuttosto perplessa.
Poi le ho fatto leggere la descrizione di Vani nell’intervista posta alla fine del primo libro e lei l’ha approvata.
Dopo, ha letto tutto il romanzo, e siccome non mi ha picchiata, non mi ha avvelenata quando sono andata a cena da lei, ma ha addirittura acquistato varie copie del libro, ho preso il tutto come il suo benestare, visto poi che ieri è anche venuta alla presentazione del secondo romanzo.
È delicato appropriarsi dell’identità di una persona.
17) In "Scrivere è un mestiere pericoloso" hanno molta importanza gli adolescenti, soprattutto il giovane Ivano che aiuta Vani in un momento particolare e lei ricambia.
Che rapporto hai con gli adolescenti?
Mi piacciono tantissimo. Sono una fascia di umanità che trovo stimolante e interessantissima.
Credo che un adolescente che sappia parlarti con cognizione di causa delle idee che pensa ed elabora sul mondo ti offra la conversazione più interessante e stimolante che tu possa fare.
Mi piace la freschezza della loro visione delle cose, ancora scevra da pregiudizi e non rassegnata, ma espressa bene. Io ho fatto fior di conversazioni con gli alter ego reali di Morgana e Ivano.
Ritroveremo anche Ivano nei libri successivi?
Certo, non m’invento un personaggio così per lasciarlo perdere subito.
Sono davvero contenta di aver partecipato all'incontro, e sono curiosissima di sapere se state seguendo le avventure di Vani, se la serie vi piace, e via dicendo!
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
martedì 21 giugno 2016
Chiacchierata con Alice Basso su "Scrivere è un mestiere pericoloso", Vani e il multitasking
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