Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Oggi voglio raccontarvi un incontro speciale, perchè da questo romanzo e da questo autore non mi aspettavo nulla di meno: "L'undicesimo comandamento" di Niccolò Zancan, edito Sperling & Kupfer, mi è piaciuto moltissimo, e non vedevo l'ora di scoprirne di più insieme al suo autore:
Andrea Marai è un giornalista in carriera. Appassionato, ambizioso, iperconnesso, vive schiacciato dal suo presente inquieto. Orfano del suo migliore amico, morto troppo presto e in circostanze poco chiare, pesca a piene mani dalle opportunità che la vita gli presenta, l'unico modo che conosce per sfuggire alla mediocrità. Francesca, sua moglie, lo ama e da lui vorrebbe un figlio, eppure fatica a capirlo, ostinandosi a leggere in questa frenesia solo insoddisfazione. Le bugie sono un velo dietro cui il loro matrimonio si sta pian piano sgretolando. Ma Andrea è distratto, perché ha appena scritto l'intervista perfetta e sta per vincere il premio più ambito. Poi, proprio lì, sul palco della consacrazione, il crollo. Il momento in cui tutto diventa nero e liquido, l'istante esatto in cui il corpo dice «no». Quello che viene dopo è una metamorfosi dolorosa come una crisi d'astinenza, e poi una fuga rocambolesca verso il mare, verso un'altra vita possibile. Forse per ritrovare se stessi. Forse per cercare qualcos'altro. Un romanzo sulle nevrosi di efficienza, successo e connessione. E sul bisogno di lasciarsi alle spalle una vita che imbriglia per abbracciarne una più autentica, riscoprendo il valore della solitudine e del silenzio.
Un protagonista, Andrea, quanto mai attuale: iperconnesso, bisognoso di conferme e talmente attento ai giudizi altrui da diventarne schiavo, incapace di rilassarsi.
La persona a cui fermarsi e annusare i fiori potrebbe fare bene, insomma.
E che a un certo punto è costretta a farlo, suo malgrado, quando, in quello che dovrebbe essere il suo momento di massimo successo, il suo corpo cede.
È proprio da questo cedimento che scatta ciò che lo porterà a ricercare una vita autenticat, il silenzio, la solitudine, attraverso un rapporto più stretto con la natura.
Dopo "Ti mando un bacio", Niccolò Zancan torna a parla di crisi, anche se stavolta si tratta di una crisi privata, alla quale segue un'altrettanto privata rivolta: dalla crisi economica a quella dell'anima.
Ecco cosa ci siamo raccontati!
Leggendo il tuo romanzo, non ho potuto non pensare a quello che era il messaggio di "Into the wild", sia pur con le dovute differenze.
In entrambi i libri ho trovato questa ricerca di silenzio e di distacco, e anche un po' il rifiuto del ritmo accelerato e dell'iperconnessione che caratterizzano la nostra vita oggi.
Quanto c'è di personale in un romanzo in cui il tuo protagonista scappa dalla sua vita frenetica per riuscire a tornare ad essere se stesso?
Innanzitutto grazie per le tue parole, perchè ho visto il film tratto da "Into the wild" in treno di notte, diretto in Svezia, e lo ricordo come emozionante ancora adesso. Splendida la musica, immagini che ti restano nel cuore. È sicuramente il grande libro del ritorno alla natura, e il mio romanzo in qualche modo tratta anch'esso questo tema.
Io purtroppo sono un metropolitano nevrotico e anzi, sento questa cosa come un grosso problema personale: la fortuna e la bellezza di poter scrivere è anche quella di immaginare qualcosa di diverso.
Ho provato ad attraversare quei boschi, a immergermi in quella natura di cui volevo poter scrivere al meglio, e forse, se è vero che resto da questo lato della barricata, con il mio smartphone accanto, è vero anche che credo che stiamo raggiungendo un punto di non ritorno.
L'undicesimo comandamento è quello che ordina di essere performanti e di successo, sempre all'altezza della situazione, e ti porta alla follia vivere così.
Un'altra cosa che faccio fatica ad accettare è che ora il concetto di felicità sia strettamente legato al successo: come se fossimo tutti davanti a un locale in cui si sta svolgendo una festa, e per la quale bisogna sempre essere in lista e sempre poter entrare, altrimenti non si è nessuno.
Credo che siamo vicini a un punto di rottura, e se è vero che sempre più persone stanno abbandonando la vita metropolitana per tornare in campagna, forse siamo vicini a una sorta di rinascita hippie.
Il problema è che ora viene commercializzato anche il ritorno alla natura...
Andrea insegue quello che lui considera il successo, e questa generale smania di farsi notare, di farsi vedere, è una caratteristica della nsotra società oggi. Non è paradossale, poi, che siano effettivamente sempre meno i casi di vere persone di successo?
Innanzitutto bisogna stabilire cosa sia effettivamente il successo, perchè ora come ora è una cosa troppo identificata con la visibilità.
Per quanto riguarda i social network, che sono il luoog in cui tutto ciò si manifesta amplificato e con effetti spesso nefasti, ho tre regole di sopravvivenza personale: non rispondo alle critiche inutili o a commenti che mi fanno capire che l'articolo a cui sono stati riferiti non è stato letto, non uso mai i social network per parlare male di qualcuno, e poi cerco di ricordarmi come la visibilità e il successo siano due cose diverse e separate.
Una scena emblematica è quella che vede Andrea in ospedale, alla disperata ricerca di un malessere fisico che giustifichi il suo crollo e il suo fastidio di fronte a un medico che gli dice che lui, fisicamente, sta benissimo. Non può accettare che sia solo una manifestazione di un disagio psicologico, perchè lo porterebbe a un esame di coscienza molto più faticoso.
Credo che ci sia un forte bisogno di un ritorno alla fisicità.
Alla fine della giornata voglio sentirmi stanco a livello fisico, per qualcosa che ho fatto: non voglio sentirmi apatico e con gli occhi che bruciano per il troppo tempo passato davanti allo schermo del computer.
Fabio Geda ha fatto un bellissimo intervento a Torino sul bisogno di sentire il sudore, la fatica e la stanchezza dopo che hai camminato, ed è anche il mio pensiero.
Ma quindi il malessere che cos'è?
Credo che sia una condizione di vita. Una forma di malessere di oggi è data, ad esempio, dalla "necessità" di essere sempre rintracciabili, o di essere incapaci di andare in un posto bellissimo e non essere capaci di viverlo senza condividerlo online.
Mentre stai vivendo, non vivi.
Vero è che che uno dei messaggi di "Into the wild" era che la felicità è reale solo che è condivisa: una cosa sacrosanta, che capisco, ma ora siamo arrivati all'eccesso.
Ora sembra che nulla sia reale se non viene mostrato online, a conoscenti e, soprattutto, a sconosciuti.
Forse la soluzione non è fare il video su Snapchat dicendo "guardate dove sono", ma portarsi dietro qualcuno e vivere insieme l'esperienza della scalata. Il meglio dei due mondi.
Il meglio dei due mondi è andare in due, sono d'accordo.
Quante ore riesci effettivamente a stare con il telefono spento?
Per scrivere questo libro, ho fatto proprio questo.
Non ci sono riuscito del tutto, e anzi, questa esperienza mi ha dato modo di vedere quelli che sono sintomi di una vera e propria nevrosi: il telefono diventa un arto, e quando ce ne separiamo ci sentiamo come se ci mancasse una parte di noi.
Ho trovato molto significativo che uno dei fattori scatenanti della crisi di Andrea fosse la morte improvvisa di Martino, il suo migliore amico e collega più fidato, che aveva un ruolo molto importante: era quello che gli correggeva gli errori.
In questo senso, con la morte di Martino viene a mancare la figura di chi gli impedisce di sbagliare e proprio quando professionalmente sta per raggiungere la vetta e quindi ne avrebbe più bisogno, pensando a ciò che verrà dopo.
È stata una scelta precisa, o è qualcosa di cui ti sei reso conto una volta scritto il romanzo?
È una cosa voluta, sì. Credo che ognuno di noi abbia avuto o abbia ancora un amico di talento che si è perso. Mi domando sempre quale sia il momento in cui una persona in gamba e di talento si smarrisce, e mi interessava seguire la figura di Martino, che è pieno di talento ma che a un certo punto ha smesso di scrivere ed è scivolato nelle retrovie.
E poi gli amici sono quelli che ti dicono quando e come stai sbagliando: per Andrea, Martino era come un fratello, e non averlo più accanto è sicuramente uno dei fattori scatenanti come hai detto tu.
Non posso non farti una domanda sulla religione.
C.è una frase bellissima nel tuo romanzo in cui Andrea ricorda come da ragazzino gli avessero detto che ogni fase buia e dolorosa della vita fosse simile a una galleria: devi attraversarla tutta, e alla fine esci nella luce. Ora, chi glielo diceva da bambino quando parlava di luce si riferiva a Dio, ma per Andrea non è esattamente così, non nel nostro mondo in cui è venuta un po' a mancare l'assoluta garanzia data da tutto quell'insieme edi norme e convinzioni legate alla fede religiosa.
Siamo più liberi di scegliere, ma anche più a rischio di sbagliare e di perderci, o di non sapere davvero cosa vogliamo.
A qualcuno come Andrea, trovare una fede profonda in qualcosa di astratto come la religione, potrebbe aiutare nel suo percorso di rinascita, o forse lo disorienterebbe ancora di più?
Credo che alla fine del suo percorso Andrea trovi qualcosa di simile a cio che stai dicendo, qualcosa di simile alla fede assoluta.
Però non è qualcosa che riesco ad afferrare personalmente, e nemmeno lui ci riesce.
Possiamo dire che capisce che non si salverà mai da solo, e che anzi, se bisogna credere in qualcosa sicuramente bisogna credere negli amici e nel lor venirti a salvare.
Anch'io credo in quella che forse posso definire la religione degli amici, nel bisogno di aiutare e farsi aiutare da chi ci sta accanto.
Come hai vissuto il passaggio da giornalista a romanziere, e come continui a vivere queste due diverse forme di scrittura?
Sicuramente provare a scrivere un romanzo mi ha aiutato a essere un giornalista migliore.
È talmente più difficile scrivere un romanzo, che ora mi viene più semplice scrivere un articolo.
La sfida di riuscire a scrivere un'opera compiuta di 250 pagine è molto più difficile!
Poi, come dicevo prima, mi piace scrivere di cose che conosco e che tocco con mano, e so che gli articoli migliori che puoi scrivere sono quelli redatti dopo che ti sei immerso a lungo nell'argomento del tuo lavoro. Applico questo metodo anche ai miei romanzi, e spero di essere riuscito a trasmettere ciò che intendevo raccontare.
Niccolò Zancan aveva scritto un piccolo gioiello con "Ti mando un bacio", ma stavolta si è davvero superato: non potete assolutamente fare a meno di leggere "L'undicesimo comandamento", vi conquisterà!
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
venerdì 26 maggio 2017
Chiacchierata con Niccolò Zancan su "L'undicesimo comandamento", la crisi e l'iperconnessione
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