Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Oggi vi propongo la chiacchierata con Tracy Chevalier, arrivata a Milano lunedì per presentare il suo nuovo romanzo, I frutti del vento, edito da Neri Pozza (brossurato a €17):
Nella prima metà del XIX secolo James e Sadie Goodenough giungono nella Palude Nera dell'Ohio dopo aver abbandonato la fattoria dei Goodenough nel Connecticut. La legge dell'Ohio prevede che un colono possa fare sua la terra se riesce a piantarvi un frutteto di almeno cinquanta alberi. Una sfida irresistibile per James Goodenough che ama gli alberi più di ogni altra cosa, poiché gli alberi durano e tutte le altre creature invece attraversano il mondo e se ne vanno in fretta. In quella terra, dove gli acquitrini si alternano alla selva più fitta, James pianta e cura con dedizione i suoi meli. Un frutteto che diventa la sua ossessione; la prova, ai suoi occhi, che la natura selvaggia della terra, con il suo groviglio di boschi e pantani, si può domare. La malaria si porta via cinque dei dieci figli dei Goodenough, ma James non piange, scava la fossa e li seppellisce. Si fa invece cupo e silenzioso quando deve buttare giù un albero. Finché, un giorno, la natura selvaggia non della terra, ma della moglie di James, Sadie, esplode e segna irrimediabilmente il destino dei Goodenough nella Palude Nera. Romanzo che si iscrive nella tradizione della grande narrativa americana di frontiera, "I frutti del vento" è un'opera in cui Tracy Chevalier penetra nel cuore arido, selvaggio e inaccessibile della natura e degli uomini, là dove crescono i frutti più ambiti e più dolci che sia dato cogliere.
L'autrice ha risposto a tantissime domande sul suo libro, ma anche sul suo lavoro e sui suoi progetti futuri: via alla carrellata!
Come primissima cosa, come le è venuto in mente di inserire nel suo romanzo un personaggio disturbante come quello di Sadie, che non ha davvero nulla delle donne idealizzate?
L'idea per questo romanzo mi è venuta leggendo libri sugli alberi di mele in Ohio nel 1800, mentre scoprivo che venivano coltivati per due motivi: le mele dolci venivano mangiate, ma le mele aspre venivano utilizzate per il sidro ed il brandy, bevuti per raggiungere l'ebbrezza e sopportare meglio le condizioni difficili e la fatica derivate da quella vita.
Da qui l'idea di un marito e una moglie impegnati in una lite furibonda, perchè uno preferisce le mele dolci (per mangiarle) e l'altro quelle aspre (per bere).
La terribile Sadie è arrivata così: l'aspettativa comune vorrebbe che la donna volesse la dolcezza e l'uomo fosse schiavo dell'alcol, così ho deciso di rovescare i ruoli rendendo lei quella bisognosa di ubriacarsi per andare avanti: se non fosse che in realtà lei non è terribile, perchè quello che ho cercato di fare (e non so se ci sono riuscita) è costringere il lettore a simpatizzare per lei, anche mentre si comporta male sia nei confronti del marito che nei sonfronti dei suoi figli.
Ho un'amica scrittrice, Lionel Schriver ("Dobbiamo parlare di Kevin", ndr), che mi ha detto che il romanzo senza Sadie sarebbe stata quasi dolce, ma non lo è proprio grazie alla sua presenza.
A volte credo di aver creato lei, e di aver poi cercato per l'intero libro di bilanciare la sua bruttezza con altri personaggi ed altre storie.
Un altro modo per leggere il personaggio di Sadie è anche quello di vederla come una donna del 1800, povera, che probabilmente non aveva nessun altro mezzo per uscire dalla sua situazione se non quella di perdersi nel sidro.
Sadie è una donna in trappola, questo sì, sia letteralmente nella Palude nera, sia metaforicamente in un matrimonio che non fa per lei.
Questo è l'inizio della mia storia, e mano a mano si mettono in luce gli effetti di questo matrimonio sbagliato anche sui figli.
Apriamo una piccola parentesi sul nome della famiglia, Goodenough. È molto curioso.
Il modo in cui scelgo i nomi per i miei personaggi parte dal mio trascriverli tutti sul retro del mio quaderno delle ricerche.
Non ricordo dove ho scovato Goodenough ("non è poi così male", buono in modo accettabile ma non di più) ma ricordo di aver pensato di adorarlo per la sua natura comprometttente. Mi faceva sorridere, ma anche pensare che quel nome dovesse essere un bel fardello da portare perchè da te non ci si aspetta granchè in nessun caso.
Ho voluto darlo ai miei protagonisti per vedere se sarebbero riusciti a superarne i limiti impliciti.
Dietro a romanzo di questo tipo c'è un lavoro di ricerca enorme, soprattutto dal punto di vista storiografico e sociologico. Non ama essere definita una romanziera storica, anche se, in realtà, il suo lavoro è proprio quello di un ricercatore.
Trovo che le ettichette siano un limite. Se si dice "romanzo storico" questo si traduce in un posizionamento preciso in libreria e il mio romanzo non viene trovato da chi lo cerca ma non cerca un romanzo storico.
Però sono stata definita così per molto tempo e mi sto abituando, o almeno credo.
Di mio, preferisco pensare ai miei romanzi come storie che sì, sono ambientate nel passato, ma nei quali a contare sono le interazioni tra personaggi e il loro sviluppo, a prescindere dal luogo e dal tempo in cui si trovano.
Per quanto riguarda la ricerca, ho iniziato dove inizio sempre: in biblioteca.
Ho letto libri sulle mele, sui frutteti, sul'Ohio e sulla Palude Nera, ma anche sulla California perchè una parte del libro è ambientata tra le sequoie presenti in quello Stato.
Ovviamente dopo tutto questo ricercare e leggere sono andata fisicamente negli Stati Uniti, visitando la Palude nera di cui resta solo una piccola parte e vedendo le sequoie di cui volevo raccontare.
La cosa bella della ricerca, però, è che mi dà costantemente nuove idee che non avrei mai potuto avere da sola. Quando sono andata in California e mi sono trovata davanti quelle sequoie gigantesche, ho deciso di recarmi a Calaveras Grove, dove furono viste per la prima volta nel 1852.
Qui ho scoperto che nel 1853 ne venne abbattuta una da chi arrivò e reclamo la terra per sè, e la base dell'albero era vasta a sufficienza da poter essere trasformata in pista da ballo.
Con il tronco invece venne realizzata una pista da bowling: o almeno questo è ciò che fecero nel 1853 e mai, in un milione di anni, avrei potuto pensare a una cosa del genere da sola.
In California seguiamo Robert, uno dei figli di Sadie Goodenough. Quando lascia la casa di famiglia, la vita lo porta a seguire le orme di un personaggio che, sebbene abbia un ruolo minore nel romanzo, ha invece avuto per l'autrice un ruolo importante. Si tratta di John Chapman (nel romanzo appare con il suo nomignolo "Appleseed"), un commerciante di semi realmente esistito che forniva le sementi agli agricoltori che cercavano poi disperatamente di far attecchire le colture.
Robert si trova a fare lo stesso tipo di lavoro, anche se non con i semi di mele ma con le sequoie giganti. Che ruolo ha avuto questa figura del folklore americano, sia durante la ricerca che durante la stesura del romanzo?
Anche se la grande maggioranza dei personaggi sono frutto della mia fantasia, ci sono due di loro a cui spetta il ruolo di fondamenta dell'intero romanzo: uno di loro è John "Appleseed" Chapman, l'altro è William Lobb (botanico inglese, il cui mestiere è spedire semi in Inghilterra per far sì che vi si possano arricchire i giardini con piante esotiche, seguendo la moda del momento). Mi è piaciuto avere due persone "vere" nel mio romanzo, prima di tutto perchè è un trucchetto utilizzato dai romanzieri storici: se inserisci nella tua opera almeno due personaggi realmente esistiti, tutto il resto sembrerà ugualmente reale. Ma anche perchè il romanzo parla di persone in viaggio, e di alberi che le seguono: gli alberi migrano esattamente come le persone, e per sì che questo accada hai bisogno di persone che commercino in semi. William Lobb e John Chapman rappresentano questo, uno nell'Est e l'altro nell'Ovest.
Hai parlato di migrazioni, e ora è un tema decisamente caldo. Anche lei, trentun anni fa ha scelto di migrare dagli Stati Uniti all'Inghilterra. Da persona che ha affrontato la condizione di migrante, come vede la situazione che l'Europa sta affrontando in questo momento?
Non sono un politico, ma credo sia cosa buona ricordare che l'uomo migra da migliaia di anni.
L'homo sapiens veniva dall'Africa e ha migrato in tutto il mondo, quindi credo sia proprio parte del nostro DNA. E' ciò che facciamo.
Spesso le persone migrano per sfuggire a qualcosa di brutto e raggiungere qualcosa di migliore, ed è ciò che sta accandendo ora.
Non ho una soluzione al problema, ma so che è una situazione orribile ed è sicuramente diverso guardare a questa situazione per me, in Inghilterra, rispetto a come lo è per voi qui in Italia perchè questo flusso arriva quasi per intero sulle vostre coste.
E' sicuramente superficiale dire, da persone esterne, "Dovreste accogliere più persone", perchè il peso e le difficoltà sono tutte di chi accoglie. E' impossibile per qualsiasi Paese assumersi il ruolo di ospite dell'intero flusso, ed è sicuramente l'Unione Europea a dover parlare del problema e trovare una situazione che coinvolga tutti. Non è una situazione temporanea, è una questione che avrà le sue conseguenze nel lungo periodo. Non possiamo pensare che la guerra in Siria finirà e tutte queste persone se ne andranno, perchè non succederà.
Quando Robert si sposta ad Ovest incontra una donna, di nome Molly, che è il contraltare di Sadie: tanto la madre era scontrosa, quanto Molly è accogliente.
Abbiamo queste due donne dalla presenza molto forte, che pur non essendo le protagoniste indirizzano la storia. E' una scelta consapevole?
Gli autori non dovrebbero mai ammettere di aver "fatto casino" (l'autrice ha usato "messed up" invece di dire "did wrong" or "made a mistake", quindi lascio la forma più vicina alla sua anche se colloquiale, ndr), ma io credo di averlo fatto.
Sapevo, anche mentre scrivevo, quanto le donne fossero più forti degli uomini, e credevo che avrei corretto questa situazione in corso d'opera. Quando non è successo, allora mi sono detta che forse Robert non era più debole, solo più sottile ed enigmatico.
E' vero che i personaggi femminili del mio lavoro sono più sviluppati e definiti, e questo perchè io sono una donna: ne comprendo la psiche in modo naturale.
Mi sono divertita molto a creare Sadie e Molly, e sicuramente loro indirizzano la trama ognuna a modo suo: mi piacciono al punto da non volermi scusare per questo.
Aggiungo un aneddoto su Robert.
Nella prima parte del romanzo è un bambino di circa 8, 9 anni e il suo è l'unico personaggio inventato basato però su una persona che ho conoscuto davvero.
Quando ho finito "L'ultima fuggitiva" sono tornata dalla famiglia di contadini Amish che mi aveva aiutata nelle mie ricerche per donare una copia del romanzo alla padrona di casa, la quale mi ha fatto fare un giro nella proprietà. Uno dei suoi undici figli aveva circa 8, 9 anni e ci ha seguite in giro per la fattoria. Aveva questi occhi castani grandi e luminosi, e mi fissava con curiosità e nervosismo, ma abbiamo trovato un punto d'incontro chiacchierando della sua gatta e dei gattini appena nati.
Lui... Lui era Robert. L'ho sentito fin dal primo momento, e anche se non lo vedrò mai più ricorderò sempre di aver pensato "Sì, sei tu!".
Dopo aver scritto questo romanzo, ha sentito l'impulso di coltivare lei stessa qualcosa, magari influenzata dai suoi stessi personaggi?
Abitiamo in una piccola casa in campagna, con un giardino, e mentre lavoravo al mio libro abbiamo effettivamente piantato due meli.
Uno è morto, perchè è questo che sccede con me e le piante.
Poi, a romanzo finito, continuavo a pensare a un'antica varietà di mele che avevo citato, chiamata Pitmaston Pineapple, che risale al diciottesimo secolo e oggi viene coltivata raramente.
Ho deciso di volerci riprovare, e abbiamo piantato uno di quest meli a metà Dicembre.
Servono due anni prima che l'albero dia i primi frutti, e in questo caso sarebbero piccoli, gialli e con un retrogusto di ananas che mi è piaciuto quando ho potuto assaggiarle in un'occasione precedente.
Sono molto speranzosa, riguardo il mio piccolo melo.
E a questo punto è d'obbligo chiederlo: perchè le mele?
Adoro le mele, e sono arrivata a conoscerle così bene!
Ho imparato così tanto dalle ricerche fatte per il mio libro che non ho saputo resistere: dovevo avere un melo tutto mio.
Forse però dovrei precisare perchè ho scelto di parlare dei frutteti nel romanzo: all'epoca, in Ohio, quando ti stabilivi sulla terra vergine eri tenuto per legge a piantare 50 alberi da frutto entro tre anni per dichiarare la tua intenzione di rimanere.
Può anticipare qualcosa sul suo prossimo lavoro?
Un editore inglese ha creato un progetto editoriale molto interessante di nome "Shakespeare Project", che prevede il convolgimento di numerosi autori contemporanei al quali spetta la scelta di una tragedia o commedia shakesperiana e la sua trasformazione in romanzo, senza vincoli di ambientazione. Una vera e propria reinterpretazione.
Jeanette Winterson, Jo Nesbø e Margaret Atwood ne fanno parte, e anch'io, che ho scelto "Otello".
Ho scelto di ambientare la vicenda della tragedia nel cortile di una scuola nella periferia di Washington negli anni Settanta, e tutti i personaggi hanno undici anni.
La mia sensazione era che il tema centrale dell'Otello fosse il bullismo, e il significato dell'essere un outsider non realmente accettato dalla società.
Io stessa ho frequentato una scuola nella quale rappresentavo la minoranza etnica: la grande maggioranza dei miei compagni era nera, mentre io ero una dei pochissimi ragazzi bianchi dell'istituto.
Mi sto divertendeo molto a scriverlo, ed è sicuramente un'esperienza nuova non dovermi preoccupare della storia.
Ultima domanda: se Tracy Chevalier non fosse diventata una scrittrice, cos'avrebbe fatto?
Sarei una designer di imballaggi ecosostenibili.
Quando entri in un qualasiasi negozio è impossibile non notare lo spreco e il ridicolo sovrabbondare di imballaggi che ci si presentano davanti.
Ora va meglio, ma dieci anni fa era tragico.
Io ci penso sempre, chiedendomi se non esista un modo più efficiente e meno dannoso per il pianeta di distribuire ciò che ci occorre.
Spero che vi sia piaciuto leggere le risposte di Tracy Chevalier, e che il romanzo vi incuriosisca quanto incuriosiva me.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanculli)!
A presto <3
martedì 2 febbraio 2016
Chiacchierata con Tracy Chevalier, tra "I frutti del vento" e piste da ballo
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Davvero una bella intervista!! Molto interessante :) Tracy Chevalier è una scrittrice che adoro, prenderò il libro a breve :D Mi ha anche incurioista molto il progetto a cui ha aderito! Chissà cosa ne verrà fuori :D
RispondiEliminaComplimenti Eli, mi sembrava di essere lì :*
RispondiEliminaWow! E poi mi verrebbe da dire wow! Una gran bella chiacchierata <3
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