Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata alla chiacchierata con Chiara Gamberale, fatta in occasione dell'uscita di "Adesso", edito da Feltrinelli (brossurato a 16€):
Esiste un momento nella vita di ognuno di noi dopo il quale niente sarà più come prima: quel momento è adesso. Arriva quando ci innamoriamo, come si innamorano Lidia e Pietro. Sempre in cerca di emozioni forti lei, introverso e prigioniero del passato lui: si incontrano. Rinunciando a ogni certezza, si fermano, anche se affidarsi alla vita ha già tradito entrambi, ma chissà, forse proprio per questo, finalmente, adesso... E allora Lidia che ne farà della sua ansia di fuga? E di Lorenzo, il suo "amoreterno", a cui la lega ancora qualcosa di ostinato? Pietro come potrà accedere allo stupore, se non affronterà un trauma che, anno dopo anno, si è abituato a dimenticare? Chiara Gamberale stavolta raccoglie la scommessa più alta: raccontare l'innamoramento dall'interno. Cercare parole per l'attrazione, per il sesso, per la battaglia continua tra le nostre ferite e le nostre speranze, fino a interrogarsi sul mistero a cui tutto questo ci chiama. Grazie a una voce a tratti sognante e a tratti chirurgica, ci troviamo a tu per tu con gli slanci, le resistenze, gli errori di Lidia e Pietro e con i nostri, per poi calarci in quel punto "sotto le costole, all'altezza della pancia" dove è possibile accada quello a cui tutti aspiriamo ma che tutti spaventa: cambiare. Mentre attorno ai due protagonisti una giostra di personaggi tragicomici mette in scena l'affanno di chi invece, anziché fermarsi, continua a rincorrere gli altri per fuggire da se stesso...
Sono state fatte tantissime domande, ma c'erano anche tanti spoiler del romanzo quindi stavolta ho effettivamente tagliato un po', per non rovinarvi la lettura.
Via alla chiacchierata!
1) Già all'inizio del romanzo ci imbattiamo in qualcosa di conosciuto: l’elemento del “gioco delle cose”, che è affine a quello già presente in "Per dieci minuti": è una cosa che tu senti e fai nella vita, oppure l’hai scritto come omaggio ai tuoi lettori, che hanno amato il romanzo precedente?
Direi entrambe le cose. Io ho fatto davvero questo gioco nella mia vita, in un particolare momento di rottura. Fare per un mese una cosa nuova per dieci minuti ogni giorno, da quelle più insignificanti a quelle più complesse, scoprendo nuovi no e nuovi sì dopo essersi fatti molto male. Nel romanzo precedente voleva affermare che si può sopravvivere a una perdita, mentre in "Adesso" si vuole raccontare come tornare a vivere, oltre che sopravvivere.
Tutti i miei romanzi sono un unico grande romanzo, ma penso che sia così per tutti gli scrittori.
Io non mi fido molto degli scrittori che passano in continuazione da un genere all’altro, perché non sento in loro un’urgenza di esprimere qualcosa. Prendete il mio scrittore preferito, Philip Roth: da un libro all’altro, il suo personaggio non cambia.
Lidia comincia prendendo in giro il gioco dei dieci minuti, ma quell’esperienza è importante: non si tratta di cambiare tutti i giorni ma di imparare a cambiare, a mostrare curiosità verso le esperienze nuove.
2) Anche lei, come già la protagonista di "Per dieci minuti", vive con un gruppo di amici, che in questo caso si sono definiti “Arca senza Noè”. Sono persone confuse indecise, irrisolte, in pratica degli adolescenti che non crescono mai: non è proprio per questo modo di vivere che nessuno di loro riesce a trovare la persona giusta per arrivare a un rapporto di coppia forse più tradizionale, ma anche più stabile?
A me interessano molto i personaggi che fanno fatica, che hanno necessità di sentire col cuore e pensare con la loro testa, e che ci provano continuamente. Forse il fare famiglia alternativo ci porta, anziché a condividere paure, a crearne di nuove? Non so se siamo tutti chiamati a storie non convenzionali, oppure se capiti solo ad alcuni. Io vengo da una famiglia assolutamente convenzionale, ma le mie amicizie formavano un nucleo creativo e originale.
Forse tanti danni in amore li facciamo quando non conosciamo abbastanza noi stessi.
Da questo punto di vista, Lidia e Pietro si conoscono un po’ di più perché hanno percorso un tratto di strada da soli, anche se Pietro ha passato molto tempo a nascondersi, mentre Lidia appare più risolta e più aperta.
Anche una volta i romanzi parlavano delle difficoltà dell’amore, però le scelte erano ovvie e limitate. Oggi le “cime tempestose” sono tra le pareti di casa: proviamo a raccontare le possibilità dell’amore in un mondo dove ci sono poca attenzione al capitale umano e molta superficialità. Se accettiamo di stare anche male possiamo cercare qualcosa di cui abbiamo davvero voglia, e non solo bisogno.
3) Oggi è sempre più difficile scrivere d’amore senza scivolare nel banale, però il tuo romanzo non lo è. Ci sono degli errori che hai cercato consapevolmente di evitare? Hai mai avuto paura di cadere nell’autobiografico?
No, la paura dell’autobiografico non ce l’ho. Certe cose succedono a tutti, ma quando capitano a te diventano qualcosa di diverso. L’unico consiglio che do quando tengo lezioni nelle scuole di scrittura è: scrivete qualcosa che v’interessi, che volete dire o capire. Si riconoscono i libri che esprimono un’urgenza dello scrittore: magari hanno cento pagine in più o in meno di come dovrebbero essere, ma li apprezzi comunque.
Stavo lavorando a un altro romanzo in realtà, qualcosa di più simile a "Le luci nelle case degli altri": una struttura corale, un affresco per cui avevo bisogno di molto tempo per inventare diversi personaggi, ma ad un certo punto mi è nata l’esigenza di scrivere questa storia.
Sento che una storia è giusta per me quando mi faccio poche domande su di essa. Qui devo dire che le maggiori domande me le sono poste sul linguaggio da usare. In "Per dieci minuti" il linguaggio doveva essere molto semplice, e per avere come protagonista principale il gioco anche i personaggi erano semplificati. Qui la lingua è più complessa perché lo richiedono le psicologie dei personaggi.
4) Ho visto un'evoluzione, leggendo le tue opere: sei partita con romanzi che parlavano dell’io con protagonisti che dovevano conoscere se stessi, poi sei passata a personaggi che dovevano risolvere i loro rapporti con la famiglia. Una volta capita la famiglia, ti sei messa a esplorare la coppia. Vorrei sapere se questo percorso riflette una tua evoluzione personale singolo-famiglia-coppia-condivisione.
Già in "Le luci nelle case degli altri" la vicenda si faceva sempre più incessante: l’inizio era quello di un’infanzia noiosa, perché da bambini spesso ci si annoia un po’, in cui la protagonista cercava di capire chi fosse suo padre. Ma quando cresceva, abbandonava quella domanda “chi è mio padre?” perché crescendo si innamorava e aveva altre esigenze.
Tutti noi prima ci chiediamo chi sono i genitori, poi ci concentriamo su di noi come figli, poi scopriamo che gli esseri chiamati mamma e papà non si esauriscono in quel ruolo, ma sono un uomo e una donna con altri bisogni, e infine andiamo incontro noi stessi a una nuova persona. Se siamo fortunati avremo anche un figlio con cui instaurare un nuovo conflitto.
5) Le diverse paure dei due protagonisti esprimono quelle che potrebbero essere due parti di te?
C'è più di Lidia o più di Pietro, in te?
Lidia somiglia senza dubbio alla mia parte più superficiale, alla ricerca continua di emozioni forti. Per un periodo della mia vita ho preferito addirittura il dolore alla noia. Nei personaggi maschili ho messo invece in scena qualcosa che mi ha sempre attratto fin da bambina, cioè l’introspezione.
La vita mi ha insegnato a capire che spesso dietro a un atteggiamento diverso dal mio si nascondono anche dei vizi, dei difetti. Una persona che mi sembra forte, in realtà, magari, non è del tutto in contatto con se stessa. I personaggi non sono persone ma caratteri, temperamenti, e quindi abbastanza intercambiabili.
Non è stato difficile quindi calarsi nei panni del personaggio maschile, se li consideri intercambiabili?
È stato difficile calarmi nei panni di un padre, ma mettersi dall’altra parte è il bello della scrittura. Essendo cresciuta con un fratello e un padre importanti, oltre che con genitori curiosi di capire dove andavano i figli, ho potuto esplorare la mia identità. Per certi versi capisco più come ragiona un uomo di una donna convenzionale. Mi immedesimo molto per dimenticare i miei problemi: per me diventa quasi una perversione. Comunque mi piacciono gli uomini e cerco di capirli. È innegabile che un uomo pensi a modo suo.
Del resto mi piace raccontare anche personaggi negativi o in eccesso, che devono pensare in modo molto diverso tra loro. Scrivendo devi spesso lasciare le tue idee per cercare di capire cosa possano pensare gli altri.
6) Come si fa a non cadere nel banale, nei cliché? Non solo riguardo all'amore, visto che nei tuoi lavori c'è molto più di questo.
Come fa la vita a non essere banale? Io non trovo mai banale ciò che accade nella vita di tutti i giorni. Quando senti l’esigenza di scrivere, non avverti più la banalità del quotidiano.
Succedono tante cose quando le persone sono molto attratte tra loro, e si può provare a raccontare cosa c’è sotto quei gesti, in apparenza banali: incontrarsi, amarsi, e poi improvvisamente sentire questo come un attentato alla tua vita, e vedere l’altro come un nemico. Si tratta di trovare parole nuove per capire cosa succede ai nostri corpi, avvertire la tensione a migliorare se stessi, cercare soluzioni diverse. Del resto, il rapporto di coppia tanto banale non è, se nessuno riesce più a stare insieme per sempre.
A questo proposito, anche la copertina vuole rendere l’idea di due persone che cadono letteralmente nell’amore. È il risultato di un lungo lavoro: volevamo qualcosa che lasciasse il dubbio riguardo all’amore visto come benedizione o maledizione. Per me resta comunque una bussola potente per orientarci tra paura e desiderio, una possibilità che abbiamo per cambiare e diventare diversi dai nostri soliti noi.
7) Quando e come scrivi? Oltre alla fuga lontano da ogni possibile distrazione, hai altre abitudini che ti va di raccontarci?
Papà ingegnere e mamma ragioniera mi hanno trasmesso un forte senso del dovere, insegnandomi la disciplina. Non ho regole per quanto riguarda le "ore di lavoro", ma sono mattiniera: mi alzo e vado a letto presto. Ogni tanto ho anche bisogno di muovermi un po’. Quando scrivo un libro, devo fare solo quello per almeno un paio di mesi, così parto per posti sperduti, dopo aver preparato in anticipo le collaborazioni con le riviste per non avere distrazioni. Avevo l'abitudine di mandare dei messaggi a me stessa sul cellulare quando avevo delle buone idee, e se c'è una cosa che ho impiegato un po’ di tempo a capire è che sarebbe stato meglio memorizzarli senza spedirli, soprattutto dopo che ho speso un sacco di soldi quando facendolo all’estero.
8) Dai moltissimo ai tuoi lettori attraverso le storie che scegli di raccontare, ma quanto prendi tu da loro?
Io imparo da tutti. Come dice Lidia a proposito del suo programma, “non vi chiedo tanto come si fa a essere felici, quanto come si faccia a stare insieme”, e io questo lo condivido con lei. Per me tutti possono insegnarti qualcosa, perciò chiedo sempre, facendo tante domande ai miei lettori.
Non nego a nessuno la patente di essere umano, e penso che si possa imparare da ogni persona, sia che rivesta un ruolo nella nostra vita oppure no. Credo di essere l’unica scrittrice a cui i lettori raccontano le loro storie, oltre a farle domande, durante le presentazioni dei suoi libri.
9) In apertura troviamo una frase splendida: “È che ci sono sette miliardi di persone, al mondo. Ma fondamentalmente si dividono in due categorie. Ci sono quelli che amiamo. E poi ci sono tutte le altre.” Senza svelare troppo, qual è il suo collegamento con la storia?
La spiego alla fine del romanzo. È uno dei grandi insegnamenti che mi ha lasciato il libro, al punto che l’avevo scritta in chiusura ma ho poi deciso di metterla anche al principio. Volevo dire che, se a tutte le altre persone possiamo non perdonare nulla, alle prime invece perdoniamo tutto. Ammetto che io ho il perdono fin troppo facile, perché penso sempre al bambino che c’è stato in noi, però, se è vero che tante persone entrano nella cronaca della nostra vita, sono poche quelle che fanno la nostra storia. Se le giudichiamo, anziché provare a comprenderle, danneggiamo soprattutto noi stessi, perché abbiamo perso un’occasione. Anche se a volte ci feriscono. Sono i nostri peggiori potenziali nemici, in grado di devastarci: se morissero, ad esempio, ci procurerebbero un dolore immenso. Però, se riflettessimo un po’ di più su questo, saremmo capaci di comprenderle meglio e di trattenerle di più vicino a noi.
10) Cosa chiedi tu all’amore?
Ognuno ha la sua scala di priorità. La mia è “stare bene, stare tranquilla, stare male”, però c’è chi mette la tranquillità al primo posto, come Pietro, ed è per questo che per me è stato faticoso entrare nella psicologia del personaggio e restarci per tutto il libro: è davvero molto diverso da me.
Io, in un periodo della mia vita, sceglievo senza esitazione di stare male piuttosto che vivere in stato di tranquillità, quasi fossi spaventata dall'idea di annoiarmi, anche se può sembrare paradossale scegliere di stare male.
Avevo una scala "stare bene, stare male, stare tranquilla". Poi le cose sono cambiate, e ho imparato ad apprezzare il valore della tranquillità.
Spero che la chiacchierata vi sia piaciuta, e che vi abbia incuriositi riguardo al romanzo (di cui trovate qui la mia recensione spoiler-free).
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
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Bellissima intervista! È stato un piacere leggerla! Grazie per queste "chicche". ���� A presto! Sara (@Withaspoonfulofsugar)
RispondiEliminaBellissima chiacchierata, quando chi intervista pone domande "giuste" le risposte trasmettono qualcosa al lettore! E questa intervista mi ha lasciato tanto
RispondiEliminaUn bacio