giovedì 28 gennaio 2016

Chiacchierata con Virginia Baily, a spasso nella "sua" Roma in una mattina di Ottobre

Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
La scorsa settimana ho avuto modo di incontrare Virginia Baily, e di farle qualche domanda sul suo romanzo "Una mattina di Ottobre", appena uscito per Nord. Qui tutte le informazioni sul libro.
E' stata una chiacchierata improvvisata, perchè l'autrice è una persona squisita che ha accettato d'incontrarmi al termine di una lunga giornata di impegni e ha risposto a tutte le mie domande in perfetto italiano: abbiamo parlato di "Una mattina di ottobre", ma anche di scrittura, di famiglia...

1) Partiamo da questa splendida copertina, e dal fatto che parli di Roma in modo tale da portare letteralmente il lettore a passeggio con te.
La camminata di Chiara per le strade del ghetto al mattino presto è riuscita davvero a portarmi là, sebbene io non sia di Roma.
So che tu hai vissuto a Roma: dovendo dire a qualcuno "ti porto a Roma con me", dove lo porteresti?
Di sicuro lo porterei in tutti gli angoli di Roma che ho inserito nel romanzo.
Sono i luoghi che preferisco, soprattutto perchè la zia che mi ospitava quando venivo in Italia abitava proprio in un appartamento nel ghetto: quella di Chiara è anche la "mia" camminata, che arrivava fino a Campo dei Fiori.
Prima di completare il romanzo volevo trovare la casa perfetta per Chiara e sua sorella, e girando qua e là finalmente ho trovato quella giusta in via dei Cappellari.
Ho immaginato l'interno dell'appartamento, ovviamente.
Ho fatto quel percorso davvero tante volte, ben prima di pensare di poterne trarre una storia.
Durante la stesura del romanzo ho abitato per tre mesi a Roma e ho abitato in un appartamento vicino alla chiesa di San Giovanni, e pensavo che l'appartamento di Simone nel romanzo fosse esattamente come il mio.
Quindi questo viaggio a Roma, fatto per arricchire il tuo romanzo, ha arricchito anche te stessa.
Sì, mi ha fatto scoprire angoli nuovi della città e mi sono sicuramente innamorata un po' di più.

2) Un aspetto decisamente importante del tuo romanzo è il modo in cui affronti e tratti il tema della famiglia. E' un po' il punto centrale della storia: Daniele non è figlio di Chiara ma a un certo punto lo diventa, perchè è stata lei a crescerlo. Anche per il ragazzo si crea una situazione di conflitto nel momento in cui si rende conto che questa mamma "è sua ma non è sua".
C'è qualcosa della tua esperienza personale o di persone vicine a te?
Ho sicuramente pensato molto ai miei figli, perchè il mio ex-marito era già stato sposato prima di me e aveva delle figlie da un'unione precedente. Quindi i miei figli hanno queste sorelle che lo sono solo in parte. Queste ragazze, da parte loro, hanno anche altri fratelli con i quali non hanno un legame di sangue.
Penso che questo abbia sicuramente influito sul mio modo di vedere la famiglia come qualcosa che cambia. In Inghilterra sicuramente è più facile incontrare situazioni come la mia, rispetto a quanto lo sia in Italia.
Tutto questo si accompagna al fatto che mi piaceva l'idea di un'amicizia che superasse ogni ostacolo: nel romanzo, due eprsone come Simone e Chiara si trovano malgrado tutto ciò che potrebbero separarle.
Si dice che tutti abbiamo due famiglie, quella in cui nasciamo e quella che ci costruiamo da soli.
In un certo senso per Chiara la sua famiglia d'origine è ridotta ai minimi termini: i genitori sono già morti quando la storia inizia, c'è una nonna della quale però viene detto che abita "da qualche parte in collina" e poi c'è una sorella della quale deve occuparsi anche da adulta, come una mamma.
Sì, e soprattutto la loro madre non era una donna veramente all'altezza del suo ruolo di genitore, quindi quello delle figlie è un lutto difficile da gestire. Anche il padre, invece molto amato, è scomparso e con lui il suo amore.
Quindi salvando Daniele, per Chiara si apre la possibilità di avere una nuova famiglia. Salva anche se stessa salvando lui.
Assolutamente, e poi con Simone questa piccola famiglia si allarga ulteriormente.

3) Saltiamo una generazione, adesso, perchè un ruolo chiave nel romanzo spetta a Maria, la figlia biologica di Daniele. Mi ha fatto davvero sorridere la scena con la quale introduci il suo personaggio, parlando di lei e del suo primo amore, Brian.
E' divertente vedere come la ragazza passi dall'infatuazione alla consapevolezza che forse non sia quello giusto, passando dalle citazioni di Keats sulle stelle a "No, a lui non piace leggere" e "No, ma poi studia Chimica! Come si fa con uno che studia Chimica?!".
C'è qualcosa dei tuoi figli, in questo amore giovane e un po' indeciso?
No, è un ricordo mio. C'è stato un Brian nella mia adolescenza, che non si chiamava così ma avrebbe potuto.
In Maria c'è l'egoismo dei sedici anni, quando lascia perdere Brian così senza nemmeno una spiegazione. Ma a sedici anni siamo davvero così, si passa da "lui è quello giusto" a "Brian? Chi era Brian?" Le idee assurde che vengono a Maria in quelle pagine sono quelle che ricordo di aver avuto alla stessa età.
Certo non sarebbe stato bello scoprire di avere un padre biologico diverso dal mio, e per fortuna non mi è successo, ma quello che trovavo e trovo attraente è come a quell'età si scopra a volte di essere qualcosa di più, di essere diversi da come si credeva.
Trovo questa scoperta di sè molto attraente.
Ma in fondo lo vogliamo anche da adulti, no?
Siamo sempre alla ricerca del momento in cui scoprirci speciali, e forse trovare la persona giusta è anche trovare quella che te lo fa vedere. Simone è questo per Chiara, è questa persona che aiuta Chiara a vedere che lei non è solo la custode della sorella.
Sì, ed è una persona che mette lì uno specchio e le dice "Guardati, sei una persona bella. Fai quello che puoi, e per i motivi giusti." Simone è questo perchè, semplicemente, la ama: per questo riesce a esserci per Chiara.

4) Parliamo un po' di te, per non rovinare il romanzo a chi ancora deve leggerlo.
Oltre a scrivere, dirigi anche una rivista letteraria ("Riptide", ndr) che pubblica racconti di autori esordienti. Come cambia il tuo approccio, nel momento in cui sei una scrittrice a tua volta e quindi sei abituata a veder giudicato il tuo lavoro, quando ti trovi a giudicare quello dei tuoi "aspiranti colleghi"?
Questo è interessante, perchè penso che essere abituata a stare dall'altra parte qualche volta mi renda più dura nell'esprimere un giudizio.
Se mi spediscono un racconto ed è pieno di errori faccio davvero fatica ad affrontarlo a cuor leggero.
Per fortuna ho una collega con la quale svolgere questo lavoro di lettura e selezione, e confrontarmi con lei mi aiuta.
Però c'è una cosa che faccio sempre, e che trovo utile: ogni volta che qualcosa non è di mio gusto, mi fermo a chiedermi se l'errore che mi infastidisce non sia uno che commetto io stessa.
Mi rende più obbiettiva.
In generale, posso dire che si verificano due situazioni: riceviamo racconti che son o scritti benissimo,  ma nei quali manca "la storia" (succede molto di rado), opure racconti scritti in modo imperfetto, ma con una bellissima idea dietro. Ho capito che posso aiutare questi scrittori ad esprimere al meglio la loro idea.
Lavorare alle idee altrui stimola anche la tua creatività personale?
Sì, e mi insegna in modo profondo come editare il mio stesso lavoro.
Mi ha insegnato per esempio a togliere il superfluo, e a cancellare completamente me stessa dal mio lavoro.

5) Compatibilmente con le altre tue attività, come organizzi il tuo lavoro da scrittrice?
Seguo una rotuine precisa, o meglio, ne ho due: una vera e una ideale.
Raccontaci quella vera.
Ma quella ideale è bellissima!
Scherzo. Quello che cerco di fare è far sì di iniziare la mia giornata con la scrittura.
A volte non riesco perchè sto viaggiando per promuovere il mio romanzo, o sto lavorando a "Riptide" o a "Africa Research Bulletin" (una rivista sull'Africa di cui Virginia Baily è editor da anni, ndr), e quindi non trovo molto tempo per scrivere.
Cerco comunque di dedicare almeno mezz'ora alla scrittura, per mantenere "fluida" la mia storia.
Quando posso permettermi davvero di scrivere, allora inizio subito la mia giornata così, in modo da avere la mente sgombra.
Anche prima del caffè o del tè?
Sì, io inizio la giornata con un bicchiere d'acqua calda e limone, e poi scrivo.
In piedi, perchè sono abituata così.
Te lo chiedo perchè io al mattino non funziono se non ho bevuto almeno il tè o il caffè.
Era così anche per me, ma adesso mi butto subito a scrivere.
L'idea che non ho ancora concretizzato è quella di avere un "vestito da scrittrice", da infilarmi proprio per sottolineare cosa sto facendo.
Come Jo in "Piccole donne"?
Sì, proprio come lei! Non me lo ricordavo, sono passati tantissimi anni da quando ho letto "Piccole donne". Mi ricordo la molletta sul naso di Amy, però!

6) Restiamo in tema "libri": c'è qualche volume  a cui sei particolarmente legata, magari perchè senti di aver imparato molto leggendolo?
In questo mi trovi d'accordo, perchè io non riesco a leggere un libro se non sento di stare imparando qualcosa. Faccio parte di un club del libro, e a volte scelgono dei titoli che io per me stessa non sceglierei mai di leggere. Fare parte di questo gruppo però mi ha fatto scoprire questo lato di me, che non conoscevo: non ero consapevole del mio bisogno di imparare da ciò che leggo.
Non mi viene in mente un titolo specifico, ma sicuramente ad affascinarmi sono quei libri in cui la struttura dell'opera è singolare, da cui posso imparare qualcosa di utile per me stessa come scrittrice.

7) Oltre a ciò che ti è stato insegnato dai libri, nel momento in cui hai affrontato il periodo storico di "Una mattina di Ottobre" avevi anche storie di guerra personali a cui rifarti?
Sì e no. Mio padre ha combattuto durante la guerra, ma in Inghilterra.
Volendo parlare anche della Resistenza, che mi affascinava molto, ho fatto ricerche sull'argomento in Francia e in Italia, cercando opere scritte durante l'occupazione. Esistevano in Francia, ma non in Italia, e allora sono andata a fare ricerche all'istituto Gramsci. Ho letto i giornali dei partigiani, e i loro racconti sugli eroi della Resistenza: ora che ci penso, ne ho letti davvero moltissimi.
Non è stato tanto un avere delle storie di famiglia a cui rifarmi, quanto a qualcosa di cui avevo letto molto e con interesse quando ero giovane.
Inoltre all'istituto Gramsci c'erano dei vecchi partigiani, ed erano pronti a chiacchierare e a raccontarmi le loro esperienze, forse anche incuriositi dal fatto che una studentessa inglese fosse davvero interessata.
Però mio padre nel romanzo c'è: nel padre di Chiara c'è sicuramente qualcosa del mio.
Ah, e nel gatto di Chiara c'è il carattere del gatto di mia zia. Lei l'ha riconosciuto subito, appena ha letto il romanzo.

8) L'ultima domanda, poi ti lascio andare a riposare. C'è stato un momento in cui hai pensato a un finale diverso?
Sì! Ho scritto un finale diverso, anzi, più di uno. Ho fatto fatica a trovare quello giusto.
In un momento precedente, ho cercato di scrivere l'epilogo dal punto di vista di Daniele: non funzionava, però, perchè in fondo l'essenza di Daniele è che resti sconosciuto per buona parte del libro.
Avevo anche previsto un finale decisamente più triste, ma che per fortuna non ho scelto.
Senza scendere nel dettaglio, del tuo finale è bello che dia la giusta chiusura ai tuoi personaggi senza però rivelare al lettore cosa effettivamente succederà dopo nelle loro vite.
Tu ci hai pensato?
Ci sono delle cose che so, su Daniele e su Chiara, su ciò che hanno imparato nel corso degli anni.
Io non lo so, cosa succederà dopo, anche se ho provato ad immaginarlo. Non l'ho scritto, però.
Lascio anche ai lettori la possibilità di immaginarlo.
Grazie davvero per questa chiacchierata, e ti faccio tantissimi auguri per i tuoi prossimi lavori!
Grazie a te per essere venuta!

Spero che la chiacchierata vi faccia scoprire qualcosa di più su Virginia Baily e sul suo splendido romanzo, "Una mattina di Ottobre", di cui trovate qui la recensione.

Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3

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