lunedì 29 ottobre 2018

Intervista a Bianca Pitzorno su "Il sogno della macchina da cucire", le donne e la scrittura

Bianca Pitzorno: come riassumere l'impatto che la voce di questa scrittrice ha avuto su lettori di ogni età dal 1973 a oggi in una frase? Impossibile.
In libreria con Il sogno della macchina da cucire (Bompiani), ci ha raccontato a Milano com'è nata la storia della sartina al centro del romanzo, e quella delle donne che le gravitano attorno.
E proprio da loro ha inizio la nostra conversazione.

Questo è un romanzo di donne, di ogni estrazione sociale e di ogni età, e anche il punto di vista è quello di una giovane donna.
Sì, e vi dirò di più: ogni storia che trovate nel romanzo è vera.
Sono donne vicine alla mia famiglia (per esempio, nel libro è racchiusa anche la storia della sorella della mia bisnonna), o donne la cui storia mi è stata raccontata, o che ho scoperto leggendo e facendo ricerca. Poi ovviamente ci ho aggiunto del mio.

Ed è vero anche il sogno della macchina da cucire, che dona il titolo al tuo libro.
Il sogno della macchina da cucire è quello dell'indipendenza economica: per una ragazza povera, senza un marito o una famiglia a occuparsi di lei, era fondamentale poter dimostrare di essere in grado di provvedere a se stessa, e possedere una macchina da cucire voleva dire poter esercitare una professione in autonomia.
Grazie alla macchina da cucire, molte ragazze si sono liberate: nonostante l'analfabetismo, sono riuscite a passare da semplici operaie a padrone di se stesse, artigiane a tutti gli effetti.

Avere una sarta al centro della storia offre un punto di vista peculiare: pur essendo estranea e alla famiglia, vede ogni cliente (ricca o povera, nobile  o borghese) nella massima vulnerabilità, priva di qualsiasi ornamento o di qualsiasi scudo. È uno dei motivi per cui ha scelto di raccontare queste storie dal suo punto di vista?
Questo libro mi si è srotolato tra le mani come un gomitolo: non avevo molte idee, prima di iniziare a scrivere. L'unica che sentivo "forte", era questa, che una sartina povera vivesse la sua intera esistenza come sotto la minaccia di un coltello puntato: una sola settimana senza lavoro poteva farla finire prigioniera in una casa di tolleranza.
Ho cercato di evocarla, di darle una voce, e questo è stato il seme da cui è nato il libro.
Mi ha anche imposto l'uso di una lingua semplice, chiara, per rispettare quello che poteva essere il modo di esprimersi e di pensare di una sartina.
Però quello che dici è vero, ed è qualcosa di cui mi sono resa conto scrivendo.
La sarta è quella che vede il sovrappeso che di solito nascondi, che scopre che sei invidiosa dell'amica o della sorella perchè più benestanti di te, che svela ogni tua insicurezza.
Questo è emerso di capitolo in capitolo.

In tutte le storie che vengono raccontate, di tutte le donne che la sartina incontra, è evidente come, anche quando si tratta di incontri fugaci, si possa vedere non solo il momento presente delle loro vite, ma anche il loro futuro. Poche azioni e poche parola sono sufficienti a delinearle alla perfezione, e quindi è inevitabile chiedersi come sia stato scelto il momento dell'incontro, e quanto lavoro di limatura e pulizia ci sia stato sul testo prima di arrivare alla forma finale.
La scelta del momento dipende essenzialmente dalle storie che ho deciso di raccontare, che vengono da racconti  che mi sono stati fatti nel tempo o da ritagli di giornale.
Quello che volevo raccontare era la scoperta, da parte della sartina, che in fondo lei è la più libera: le sue clienti sono più ricche, sì, ma i loro matrimoni e la loro estrazione sociale sono spesso una prigione. Persino la donna più libera di tutte, la giornalista americana, si trova legata dalla passione e dallo stereotipo del grande amore... e il suo finale non è felice, anzi.
Volevo fotografare il momento in cui l'invidia della sartina nei confronti di ognuna di queste donne scemasse, con l'affiorare della consapevolezza della sua maggiore libertà.
Per la scrittura, non ho scritto due volte.


L'indipendenza che la protagonista riesce a conquistare le fa affrontare in modo differente anche il rapporto con gli uomini. Non sogna il matrimonio a ogni costo, anzi.
È disincantata nei confronti degli uomini perchè ha fattoun errore iniziale, che ho potuto osservare nella realtà.
Con questo desiderio di emancipazione, di farsi anche, nel suo piccolo, una cultura, si è trovata a distaccarsi leggermente dalla sua classe sociale di appartenenza. Sa leggere e scrivere, apprezza l'opera. Sa che non potrà mai sposare un uomo di ceto superiore, e allo stesso tempo non si può accontentare di un garzone analfabeta.
In un certo senso, è fuori dal mercato del matrimonio.
E anche per gli uomini, il fatto che sia una donna con un minimo di cultura è pericoloso.

Raccontando una storia di inizio Novecento, si parla in realtà di un tema ancora fortemente attuale, quello dell'occupazione femminile, della parità di diritti sul lavoro. Offre numerosi spunti di riflessione sulla strada che abbiamo fatto, e su quella ancora da fare.
Posso chiederle una riflessione in questo senso, e magari un consiglio per le donne di oggi?
È molto difficile dare consigli alle donne di oggi, perchè la mia generazione è stata molto più fortunata della vostra.
Al termine degli studi trovavamo subito lavoro, e con un buono stipendio. Potevamo addirittura scartarli, i lavori. Desideri come vivere da sole, sposarci, viaggiare erano facilmente realizzabili.
Quando vedo donne competenti, piene di entusiasmo e che nonostante tutto non trovano nulla che vada oltre il tirocinio, mi sento privilegiata rispetto a loro, e purtroppo non ho consigli da dare loro.
È cambiato il mondo, sono cambiate le regole del gioco.

Non ha dato un nome al paese in cui si muovono le tue protagoniste, e se da un lato questo lo fa sembrare una scenografia teatrale, dall'altro arriva il senso di chiuso, di "nido".
Aveva in mente un luogo specifico durante la scrittura?
Non ho battezzato il luogo, ma avevo in mente la mia città, Sassari.
Nella mia città, forse più una volta rispetto ad oggi, ho avuto modo di assistere a tutte le dinamiche sociali che descrivo nel mio libro. Volevo creare un archetipo della città italiana di provincia.
Per lo stesso motivo non ho mai citato una data, anche se si riesce a capire a quale periodo mi riferisco perchè cito la nascita delle principesse, figlie della regina Elena, e un vestito realizzato in modo da assomigliare a un pezzo del corredino della principessina Mafalda.

Pensando alla scrittura, ci sono autori che sente come dei maestri, e che hanno il merito di averla ispirata? O la spinta a scrivere è venuta solo dall'interno?
Ho cominciato a scrivere nel 1970, quando leggevo da decenni, e sicuramente le mie letture mi hanno sempre influenzata.
Ci sono stati i grandi amori letterri, condivisi anche con gli amici: dal Signore degli Anelli ai lavori di Virginia Woolf, a Stephen King.
Inoltre, da bambina mi facevano spesso leggere le riduzioni, e non immaginate la mia sorpresa nello scoprire come fossero davvero quei romanzi che ero convinta di avere letto!
Ci sono i romanzi che ho riletto più volte, come La lettera scarlatta, e che ogni volta mi hanno fatto scoprire nuovi punti di vista.
Vi confesso di avere anche un mio personalissimo guilty pleasure: i thriller di Anne Perry.
Quindi la spinta a scrivere è arrivata già durante l'adolescenza? O è qualcosa che ha sentito più avanti?
Sono diventata una scrittrice per caso. Ero una grande lettrice, ma ero decisa di voler lavorare nel mondo del cinema. Un giorno, mentre uscivo dal bagno, il mio capo ufficio mi ha fermata e mi ha chiesto se me la sarei sentita di scrivere, in un mese, un romanzo per ragazzi di 120 pagine.
C'era un buco in una nuova collana, e così ecco che mi trovai ad accettare la sfida, e provare a scrivere. Scrissi Sette Robinson su un'isola matta e da qui, il resto della storia la conoscete.


Il sogno della macchina da cucire di Bianca Pitzorno (Bompiani) è in libreria, al prezzo di copertina di 16€.

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