martedì 30 ottobre 2018

Intervista a Benedetta Cibrario su "Il rumore del mondo", l'emancipazione femminile e la scrittura

Incontrare Benedetta Cibrario a dieci anni di distanza dal Premio Campiello (vinto nel 2008, con Rossovermiglio, ndr) per saperne di più sul suo nuovo romanzo, Il rumore del mondo (Mondadori), è un'esperienza emozionante.
Abbiamo potuto scoprire qualcosa in più su Anne, la protagonista del romanzo, e sul processo di scrittura che ha impegnato l'autrice per quasi quattro anni.

Quella di Anne è una storia di emancipazione femminile. In questo senso, nel raccontarla ha buttato un occhio anche sul presente?
A me interessava molto partire da una domanda: cosa succede quando pensi che la tua vita sia sulla rampa di lancio, perché tutto va meravigliosamente bene, ma poi arriva una battuta d'arresto?
Volevo che Anne fosse giovane, ma che avesse un'educazione particolare, con un'infanzia piena di affetto e di accessibilità alla cultura perchè se dai a qualcuno gli strumenti per cavarsela, poi in qualche modo verranno utili.
Anne è bella, ricca e trova l'amore, e quando la sua situazione cambia trova in sè la forza di non tornare indietro, di non tornare a casa come forse sarebbe più semplice per lei.
Nelle donne in generale, del resto, il senso del dovere è molto forte: davanti alle difficoltà, o alle malattie, gli uomini si spaventano di più. L'emancipazione di Anne coincide con una serie di difficoltà che lei affronta, che alla fine le donano una nuova bellezza interiore, fatta di forza e coraggio. Ma Il rumore del mondo racconta tante donne, e tutte le donne del romanzo vivono una storia di emancipazione.

Di solito il periodo del Risorgimento nei romanzi storici viene affrontato dal punto di vista politico. Come mai qui invece l'accento è puntato sullo sviluppo economico? È stata una scelta voluta o dettata dagli sviluppi della storia di Anne?
È stata una scelta. Quando ho iniziato a leggere e a studiare un po' di libri sul Risorgimento, uno dei primi libri letti è stata la raccolta dei diari di viaggio di Cavour. A 23 anni, Cavour ha fatto un viaggio in Inghilterra, notando che, in un paese con un'economia che funziona e soldi che girano, lo stato sociale funziona di più, ma che non basta per raggiungere il benessere economico.
Volevo che Anne venisse da un mondo economicamente forte come l'Inghilterra per arrivare in un paese più debole come il Piemonte, dove prima di arrivare alle riforme politiche ci sono stati vent'anni di lente riforme economiche e commerciali, che hanno preparato e mostrato la necessità di riformare anche la politica. Oggi per noi è ovvio considerare politica ed economia strettamente legate: ci era meno chiaro quando studiavamo a scuola il Risorgimento.
I temi importanti oggi lo erano anche allora: la ricerca di fonti di energia alternative, ad esempio. Cavour si rendeva già conto del fatto che un problema del Piemonte era la mancanza di materie prime, ma vedeva il futuro nell'industria manufatturiera, come dovrebbe essere anche oggi.
C'è anche il tema attualissimo delle vaccinazioni, di cui si discuteva al principio dell'Ottocento.

Conosci bene i luoghi in cui è ambientato il romanzo?
Sì, mi è venuto naturale scrivere di luoghi che conosco, come ho fatto anche negli altri miei romanzi. Non sono uno di quegli scrittori che hanno una meravigliosa immaginazione, come Salgari che descriveva la giungla senza averla mai vista. Io ho bisogno di sapere, di conoscere.
Vivendo in Inghilterra, e tornando spesso in Italia. Mi è venuto naturale appaiare i due paesi.

Ci sono molte contrapposizioni, nel tuo romanzo, a partire da quelle tra i luoghi: quella tra Londra, città viva, moderna, e Torino che appare un po' più indietro; quella tra la figura femminile e quella maschile.
Da cosa sei partita per raccontarle?
Mi è venuto spontaneo scrivendo. Uno scrittore mette i suoi personaggi in una situazione di conflitto, e se all'inizio le loro posizioni sono molto distanti, quello che interessa è vedere cosa succede.
Nel romanzo ci sono distanze culturali importanti tra la ragazza inglese, figlia di un mercante fatto da sè, e il marito, membro di una famiglia di antica nobiltà. Poi c'è la differenza tra il paese più democratico dell'epoca, l'Inghilterra, e il Piemonte, più chiuso. Infine, c'è la distanza tra le generazioni. Sperimentare come, anche quando c'è una grande differenza di età, come tra Anne il suocero o tra lei e il nonno inglese, in realtà non solo la gioventù abbia molto da imparare dagli anziani, ma anche il contrario. Mi sembrava interessante questo scambio.

Ora però la domanda è d'obbligo: qual è il rumore del mondo?
Il rumore prima di tutto di pensieri, speranze, delusioni: quello che accompagna tutti noi. Poi in questo caso c'è il rumore esterno, come quello delle industrie, o il ticchettio dei telai; i mormorii di chi cerca una nuova forma politica e rischia di essere messo in galera per questo.
Anche il rumore dell'energia del cambiamento, e dello sgretolamento di una società.
Nella contemporaneità di Anne, cominciano a sentirsi gli scricchiolii di una società che nel giro di qualche decennio si sgretolerà completamente.

Benedetta Cibrario

Al principio Anne viene spesso rimessa al suo posto: le viene ricordato che come figlia di un bottegaio non può pensare di compiere determinate azioni, per esempio. Eppure siamo in un momento in cui il mondo sta cambiando, e da borghese può conquistarsi una posizione al di là dei titoli. Oggi discutiamo invece di un'altra trasformazione sociale, su chi è italiano e chi non lo è, lo è in parte o non lo è ancora. Stiamo forse andando verso un nuovo Risorgimento?

Quella delle continue trasformazioni sociali non è una caratteristica solo del Risorgimento.
Pensate all'Impero Romano, in cui per diventare cittadini bastava aderire alle regole e persino molti imperatori non erano romani in senso stretto. Pensate agli Stati Uniti, costruiti da persone arrivate da decine di paesi diversi. Dall'Italia sono passati tutti: se andassimo a fare l'esame del DNA chissà cosa verrebbe fuori! La mescolanza per me è una forma di arricchimento. Suscita diffidenza nel diverso, ma studiando il passato, e comprendendo che le nuove immissioni sono state quasi sempre frutto di arricchimento culturale, arroccarsi su delle posizioni negative significa andare in controtendenza rispetto a quello che la storia ci insegna.

Quanto tempo ha impiegato per scrivere questo romanzo?
Circa quattro anni. Oltre ad ambientarlo nell'Ottocento, volevo anche usare il modo ottocentesco di raccontarsi, usando molto anche le lettere e i diari. Volevo calarmi e far calare il lettore per un po' di tempo nel mondo di quasi duecento anni fa, vincendo la scommessa di farglielo sentire come vivo.
Le lettere hanno la funzione di interrompere la narrativa in terza persona che è più articolata e densa, di riportare l'immediatezza della storia. I toni molto colloquiali e freschi che i personaggi hanno nelle lettere sono una caratteristica dell'Ottocento: l'ho scoperto leggendo diversi epistolari. La stessa cosa ho cercato di farla andando a vedere, per esempio, come si vestivano. Un inciso: non avrei potuto comunque scrivere questo romanzo in quattro anni, se non ci fosse l'enorme disponibilità di materiale in digitale. Americani e francesi hanno digitalizzato quasi tutto, e grazie a loro ho potuto documentarmi moltissimo. Andare per musei, soprattutto quelli di storia del costume, mi è servito: vedere quegli abiti pieni di costrizioni mi ha fatto pensare che per le donne anche far uscire la propria interiorità fosse faticoso. Un giorno mi sono perfino fatta acconciare i capelli per una festa come usavano allora, con un mare di forcine e altro: ho resistito mezz'ora. Nessuna di noi oggi riuscirebbe a vestirsi come allora: non potremmo nemmeno muoverci con il peso di quegli abiti addosso.
E come ci si sente quando si scrive la parola fine di un romanzo così impegnativo?
È una sensazione molto strana: da un lato sei felicissima di esserci riuscita, perché ogni libro che si inizia a scrivere è un'avventura, una navigazione con infiniti incidenti di percorso, compreso il rischio di un'interruzione dell'energia creativa (cosa che non puoi prevedere in partenza), dall'altro provi un enorme senso di vuoto. Sei stata chiusa nella tua immaginazione con questi personaggi per molto tempo - perché quando sei immerso in una storia ci pensi tutto il giorno, anche quando non stai scrivendo e tutto il resto lo fai a bassa tensione - e di colpo tutto questo sparisce, e il tuo libro va per il mondo, che poi è la ragione per cui ti sei messo a scriverlo.
Si scrive per comunicare qualcosa e per avere un rapporto coi lettori.
Quando mi è arrivato il libro stampato a casa ho fatto veramente fatica a capire che quell'oggetto con la copertina celeste racchiudeva le mie parole e i miei pensieri.
Devo abituarmi a questo libro stampato, tant'è vero che non lo prendo nemmeno in mano.
Il senso di vuoto è grande: meno male che c'è la fase di lancio e ci sono le presentazioni, perché subito dopo averlo finito non sapevo più cosa fare delle mie giornate.
Non ero nemmeno più abituata a uscire di casa!

E l'energia creativa, da dove ti viene?
Mi sono sempre raccontata storie, come credo facciano tanti bambini, quando giocano a "facciamo che io ero", ma sono andata avanti a farlo anche da adulta. Ho un'enorme passione per le storie: mi piace immaginarle guardando la gente intorno a me, su un treno o su un tram. Mi diverto a inventarle e a confezionarle, mi sento una cantastorie.
Einstein diceva che «la creatività è il momento in cui l'intelligenza si diverte», e mi piace pensare che siamo tutti creativi in qualche cosa. Io, ad esempio, quando smetto di scrivere devo cucinare, ma le donne hanno bisogno in modo particolare di impegnare il cervello in qualcosa.

Quanto t'influenza quello che leggi quando poi scrivi, e cosa leggi?
Quando scrivo leggere altri romanzi mi è praticamente impossibile, perché non sono più capace di affrontarli da lettrice: li leggo da scrittrice, e mi mancano il divertimento e l'abbandono alla lettura. Mi deprimo pensando che gli altri scrittori siano più bravi di me, oppure trovo pessimi romanzi che hanno avuto successo e mi chiedo come mai. Ovviamente non sono stata quattro anni senza leggere romanzi, però leggevo così tanto altro materiale ogni giorno che ho un po' lasciato da parte la narrativa. La mia lingua è abbastanza articolata, ogni volta che ho provato a semplificarla, ho scoperto di non esserne capace. Anche parlando uso tantissime subordinate: in casa impazziscono quando mi metto a raccontare qualcosa. Risento sicuramente dell'influenza delle mie letture, che sono soprattutto classici.


Il rumore del mondo di Benedetta Cibrario (Mondadori) è in libreria, al prezzo di copertina di 22€.

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