lunedì 2 luglio 2018

Intervista a Jean Echenoz su "Inviata speciale", la scrittura e il ruolo del narratore

Buongiorno a tutte fanciulle (e fanciulli)!
Jean Echenoz è tornato in libreria con "Inviata speciale", edito Adelphi (brossurato a 18€), e ho avuto l'incredibile opportunità di incontrarlo da Walden, a Milano, per scoprire qualcosa di più sul romanzo:
Trentaquattro anni, camicetta azzurra attillata, pantaloni skinny antracite, corto caschetto alla Louise Brooks – in una parola, incantevole. È così che ci appare Constance, poco attiva e poco qualificata, ma in compenso duttile, molto incline alle disavventure sentimentali e misteriosamente capace di scatenare, con la sua morbida svagatezza, l'imprevedibile. Una quindicina di anni fa, fra l'altro, Constance è stata l'interprete di un successo planetario, "Excessif", una di quelle canzoni che fanno ballare il mondo intero, dalla Lapponia allo Yemen, e assicurano a chi le compone – nella fattispecie il suo ex marito, Lou Tausk – un'esistenza oziosa e dorata. Una canzone che tutti ricordano ma che continua a essere popolarissima, guarda caso, fra gli apparatcik della Corea del Nord, incluso uno dei consiglieri più influenti del Leader supremo, Gang Un-ok. Giovane, charmant, educato in Svizzera e presumibilmente aperto al dialogo con l'Occidente, Gang è insomma il bersaglio ideale del languido fascino di Constance, che dopo varie, e per noi irresistibili, peripezie finirà – agente segreto suo malgrado – in una opulenta villa di Pyongyang con la missione quanto mai rischiosa di sedurre Gang, e destabilizzare la Corea del Nord.
Con "Inviata speciale" Jean Echenoz torna alla narrazione pura, e insieme al noir e alla spy story, di cui è da sempre appassionato, mettendo la sua impareggiabile ironia e tutte le scintillanti risorse della sua scrittura al servizio della più affettuosa celebrazione: «Sabotare per espandere, potrebbe essere il mio slogan» ha del resto dichiarato. Quel che è certo è che seguendo Constance da Parigi alla Creuse alla baia di Wonsan, dov'è ormeggiato lo yacht di Kim Jong-un, ritroveremo, miracolosamente, l'euforia della lettura.

"Inviata speciale" è un romanzo avvincente, che si legge con curiosità e trepidazione, seguendo Constance dai caffè parigini alla baia di Wonsan,

Rompo il ghiaccio partendo proprio da Constance: nonostante il romanzo presenti i tratti della spy story, in esso ho trovato soprattutto un personaggio femminile potente, e l'avvincente storia di una donna. Com'è nata questa donna così singolare, e quanto delle donne della sua vita è finito in lei?
A volte uno scrittore ha voglia di costruire un personaggio femminile, ed è quello che è successo a me. Volevo che la protagonista di questo romanzo fosse una donna, soprattutto perchè i miei romanzi precedenti ruotavano attorno a personaggi maschili (è così nella "Suite di tre vite" e in " '14", ndr) e mi era stato detto che dai miei scritti traspariva una visione misogina. Rimpiango di non avere avuto la presenza di spirito di replicare, a chi mi ha accusato di non trattare particolarmente bene le donne nei miei romanzi, che in realtà agli uomini va molto peggio!
Per tratteggiare Constance ho fatto quello che fa ogni scrittore prima di posare la penna sul foglio: ho osservato. Ci sono stati pensieri e commenti di amiche e di donne che ho incontrato, per esempio, che mi hanno dato idee e sono finiti, in parte, nel romanzo.
Una curiosità che posso condividere è questa, per esempio: uno dei piatti preparati nel romanzo, a base di lenticchie, è un piatto che mia moglie prepara spesso.

Ha scritto "Inviata speciale", quando la situazione in Corea era diversa da quella attuale: abbiamo visto di recente un'apertura maggiore di questo paese nei confronti del mondo occidentale.
Detto questo, ha mai pensato di mandare nuovamente Constance in Corea?
Quando ho iniziato a lavorare sul libro che sarebbe diventato "Inviata speciale" era il 2013, e la Corea era un paese estremamente chiuso, isolato, un buco nero che esiste ma del quale sappiamo molto molto poco.
Mi affascinava questo contrasto tra l'esistenza certa del paese e il mistero che lo avvolgeva.
Non ho però mai pensato di dare un seguito al mio romanzo.
Uno degli elementi più curiosi del romanzo è quello della voce narrante. Il narratore onniscente, che interviene spesso, svolge due funzioni: da un lato ci ricorda che, nonostante tutto, siamo davanti a un'opera di finzione, dall'altro sembra quasi voler cercare una giustificazione per alcuni degli eventi a cui assistiamo.
Gli interventi del narratore servono sicuramente a confermare al lettore che ci troviamo in un contesto di finzione narrativa ma, in fondo ce ne sarebbe bisogno?
Il suo vero ruolo è quello di introdurre uno sguardo ulteriore sulla vicenda, che potrebbe essere sia quello di chi racconta ma anche quello di un semplice testimone. Inoltre, l'uso del "noi" coinvolge ancora di più il lettore, evitando che ci sia una distanza tra lui e l'oggetto della narrazione.

Ho un'altra curiosità sul testo: una delle espressioni più curiose, che mi hanno colpita, è quella scelta per descrivere il muro che attraversa la Corea, "appiccicoso come la carta moschicida".
Per scrivere questo romanzo ho affrontato un lavoro di documentazione che ha spaziato dagli articoli di giornale alla saggistica, alle fotografie, basandomi innanzitutto su quello ce ritenevo materiale "serio".
Questo fino al momento in cui mi sono imbattuto in questa storia dei nastri adesivi, che ho trovato su un sito e inserito nel romanzo senza rendermi conto che si trattava, in realtà, di una burla: in Francia non l'ho mai ammesso pubblicamente!
Quello di cui possiamo renderci conto, d'altra parte, è che la Corea è un luogo in cui avvenivano e avvengono cose talmente inimmaginabili che, tutto sommato, anche questa storia sembra perfettamente credibile. È il luogo dell'assurdo.
Sono caduto in trappola, ritenendo vera quella che ho scoperto essere una fake news, ma in fondo perchè no? Non è più assurda di ciò che accade realmente in questo paese.
In un'intervista ha dichiarato di avere sempre sulla scrivania un dizionario, quando scrive.
Non ha però parlato di un vero e proprio rituale di scrittura: esistono un luogo e un tempo per la scrittura, quindi?
Non seguo un vero e proprio rituale, no, e non c'è nemmeno una disciplina.
Posso dire che lavoro di mattina, e che mi bastano un tavolo e un dizionario.
La mia vera ossessione è quella della lingua, della verifica costante del significato delle parole che scelgo di utilizzare: devo essere sicuro che siano quelle giuste.

Com'è invece Jean Echenoz lettore? Ci sono autori che rilegge spesso, o che l'hanno influenzata particolarmente?
Ci sono sicuramente autori che rileggo, da Marcel Proust a Gustave Flaubert, perchè a seconda del momento della vita in cui li si affronta sanno dare al lettore qualcosa di diverso.
Sono invece soprattutto autori inglesi ed americani quelli che mi hanno segnato maggiormente, durante gli anni della mia formazione: Charles Dickens, Robert Louis Stevenson, Fëdor Dostoevskij, Vladimir Nabokov, Nikolaj Vasil'evič Gogol', Aleksandr Sergeevič Puškin e molti altri.
Nel momento in cui si scrive, naturalmente, è naturale voler vedere "come se la cavano gli altri scrittori" del proprio paese, ed è per questo che ora leggo più autori francesi.

Ringrazio Adelphi e Jean Echenoz per la bellissima opportunità di confronto e approfondimento, e vi consiglio la lettura di "Inviata speciale" perchè è un romanzo strepitoso, con una protagonista a dir poco indimenticabile.

Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto

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