Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Oggi voglio condividere con voi l'incontro con Ildefonso Falcones, autore dell'accamatissimo "La cattedrale del mare" e del seguito appena uscito, "Gli eredi della terra".
Longanesi ci ha permesso di incontrare l'autore e fargli le nostre domande, quindi lunedì ci siamo trovati all'Hotel Principe di Savoia a Milano:
Vi riporto la nostra chiacchierata, certa che ai fan dell'autore e dei suoi libri (oltre ai sopraccitati, sono usciti anche "La mano di Fatima" e "La regina scalza") farà piacere scoprire qualcosa di più sui suoi libri e sulla sua persona ;)
Cosa succede quando si torna a parlare di un mondo che ai lettori è piaciuto così tanto?
Si avverte molto la pressione di dover piacere tanto quanto la prima volta?
No, perché non credo sia possibile lavorare sotto una simile pressione, è impossibile.
Non si può pretendere sempre di superare i record già raggiunti.
Bisogna dedicarsi anima e corpo a ogni nuovo progetto, essere soddisfatti di quello che si è fatto; poi, se il nuovo progetto avrà lo stesso successo del precedente andrà benissimo, altrimenti pazienza.
Se poi andrà meglio, sarà meraviglioso.
Bisogna assolutamente dimenticarsi della pressione.
Io ho lavorato trentacinque anni come avvocato e ho imparato qualcosa da questo mestiere: puoi vincere un primo processo, poi un secondo e un terzo, ma prima o poi arriverà una causa che perderai, perché non si può vincere sempre.
Devi essere in grado di incassare anche una sconfitta, quando sai di aver dato comunque il meglio di te stesso.
Perché è difficile oggi trovare dei romanzi basati come i suoi su principi come impegno, volontà, bontà? Pensa prima ai principi su cui costruire la storia o viceversa?
I principi illuminano tutto il romanzo. I miei personaggi non potrebbero funzionare secondo quei principi che contribuiscono a creare una maggiore empatia da parte del lettore. È normale che i personaggi abbiano in sé determinate virtù come essere leali, lavorare per la famiglia e i figli, lottare per le ingiustizie, tutte cose che dobbiamo affrontare anche noi nella nostra quotidianità, ricordandoci però che i mali estremi contro cui si ritrovano a lottare i protagonisti non sono certo gli stessi con cui dobbiamo fare i conti noi oggi .
Trasferire tutte queste qualità umane in una trama è quello che io penso di fare, e non credo che potrei inventare personaggi con qualità diverse, o scrivere storie con meccanismi differenti, ma non credo nemmeno che susciterebbero lo stesso tipo di interesse in chi legge.
Penso che la maggior parte dei lettori provi una maggiore empatia per i personaggi che agiscono secondo sani principi, soprattutto se sono sfortunati.
Sempre parlando dei suoi personaggi, come mai è così cattivo con loro?
Fa succedere loro proprio di tutto e di più, fino a rischiare continuamente la vita, e a subire torture di ogni tipo.
Ai personaggi succede come nella vita normale, quando tendiamo a ricordare più gli aspetti negativi dell’ esistenza rispetto a quelli positivi Hugo ottiene una vigna, una figlia, l’amore, perde queste cose ma poi le ritrova e la storia finisce bene. In un romanzo d'avventura non possono mancare colpi di scena e disgrazie. Non voglio fare paragoni troppo forti, ma per me il romanziere d’avventura per eccellenza è Dumas e nei suoi romanzi accade di tutto e di più.
Io non voglio essere cattivo con i miei personaggi, perché alla fine le cose si chiudono sempre positivamente per loro, ma penso che senza rovesci e disgrazie la storia non sarebbe altrettanto avvincente. Non faccio mai morire i personaggi a cui tengo veramente.
Com’è nato il personaggio di Hugo, il protagonista?
In Hugo c’è molto dei tre moschettieri, che difendono a spada tratta la regina pur sapendo che è infedele al marito. Sono personaggi nobili, che lottano contro l’ingiustizia. Non so se Hugo sia un eroe a tutti gli effetti, ma possiede alcuni valori e principi come la voglia di combattere l’ingiustizia, il desiderio di vendetta.
Come mai ha scelto proprio questo preciso momento della Barcellona medievale?
Barcellona è la mia città e quindi per me era più facile studiarla.
Volevo parlare di un periodo in cui la città è stata veramente importante, e potesse quindi offrire molto ai lettori in termini di fascino e attrattiva.
Allora era una delle maggiori metropoli del mediterraneo, molto ricca, richiamava a sè abitanti da altri luoghi e questo comportava l’unione di usi e costumi diversi.
Sarebbe in grado di ritrovare nella Barcellona contemporanea i valori e i principi su cui costruire i suoi personaggi?
Sì, credo, di sì. Barcellona è una grande città, come Milano.
La trama fittizia del romanzo storico si potrebbe adattare anche al ventunesimo secolo, magari lasciando perdere le carceri che oggi non sono più come quelle che ho descritto nel quattordicesimo secolo, ma anche oggi esistono delle forme di schiavitù. Io parlo di passioni umane, d’amore, di sesso, di vendetta e di sentimenti, e tutte queste cose sono sempre le stesse anche oggi, anche se i principi del lavoro, dell’impegno, e della lotta oggi si stanno perdendo un poco. Nei giovani la necessità di lavorare e d’impegnarsi sembra aver lasciato il posto ad atteggiamenti diversi, come aspirare a creare una “app” da vendere a una società informatica per una cifra da capogiro, risolvendo così la propria vita: ma questo succede a pochissimi, mentre tutti gli altri devono comunque rimboccarsi le maniche e lavorare.
Ha mai pensato di ambientare un romanzo nell’epoca contemporanea?
Sì, ne ho anche scritti, ma sembra che nessuno li voglia. Nel corso della mia vita ho scritto diversi romanzi contemporanei e ho anche cercato di venderli, ma senza risultato, così ho deciso di provare col romanzo storico. Ci sono voluti comunque tre anni per trovare una casa editrice per La cattedrale del mare. In quel periodo avevo scritto un altro romanzo, che ho proposto poi all’editore, ma non c’è stato nessun interesse da parte sua. Visto che a me piacciono il romanzo storico e la casa editrice, e che piaccio al pubblico, non vedo più motivo per incaponirmi a scrivere romanzi contemporanei che non interesserebbero a nessuno.
Lei nei suoi romanzi parla di una Barcellona passata, ricca e indipendente, ma in una recente intervista si è espresso apertamente contro l’indipendentismo catalano.
Vorrei sapere se a Barcellona è stato in qualche modo coinvolto nella discussione politica generale.
Sì, certo. L’intervista che ho rilasciato al settimanale “Sette” è stata ampiamente ripresa da un quotidiano catalano, che ha scritto un articolo contro di me.
Tutte le opinioni vengono interpretate in modo tendenzioso, a volte ti stritolano quando fai delle dichiarazioni.
Ma se viene da me un giornalista, io preferisco raccontargli quello che penso veramente.
Ha mai pensato di ambientare un romanzo in Italia o le piacerebbe? E se sì, in quale periodo storico?
Mi piacerebbe, e credo che questo piacerebbe molto anche al mio editore italiano, ma ho due problemi: il primo è che ci sono già ottimi romanzieri storici italiani, che conoscono il paese meglio di me, e il secondo è che io lavoro con una grande quantità di documentazione, consultando fino a duecento libri per ogni romanzo, spesso scritti in uno spagnolo ormai desueto, ma non conoscendo l’italiano difficilmente potrei accedere alle informazioni contenute nei vostri libri, soprattutto se scritti in italiano antico. Comunque non escludo niente: magari potrei farmi aiutare da qualcuno nella fase di documentazione.
Parliamo del processo di scrittura, a cominciare dalla fase di ricerca.
Lei preferisce fare di persona le ricerche storiche per i suoi libri.
Segue uno schema particolare?
Come comincia, e quanto tempo impiega?
Riguardo al tempo, per Gli eredi della terra ho impiegato tre anni, comprensivi anche della parte di ricerca documentaria.
Inizio in modo semplice: in primo luogo, se mi prefiggo di raccontare una storia che dal punto di vista logico prende il via più o meno da quando finiva La cattedrale del mare, il 1387, come è stato per questo romanzo, quello devo fare è vedere cosa succede nella storiografia e attenermi a essa. Non sono io che decido cosa succederà, anche se all’interno degli avvenimenti storici mi posso concedere qualche margine di scelta, concentrandomi ad esempio su alcuni fatti più che su altri. L’importante è far coincidere storiografia e trama fittizia. M’interessa mostrare in che modo gli avvenimenti storici possono influire sulle vite delle persone: ne Gli eredi della terra la distruzione del Ghetto ebraico di Barcellona fa sì che Hugo perda Dolça, il suo primo amore. D’altra parte, m’interessa anche raccontare gli stessi eventi storici. Da questi rapporti di causa ed effetto inizio a scrivere il mio copione, per cui devo sapere già come inizierà e come andrà a finire, e quali saranno i punti fondamentali intermedi. Quando tutto questo inizia ad avere un senso posso mettermi a scrivere.
Il suo lavoro di avvocato incide su o influenza in qualche modo la sua scrittura?
Quasi per niente. Certo, mi ha fatto conoscere tante persone con i loro diversi problemi, ma la professione d’avvocato è estremamente pragmatica, lui deve far prevalere gli interessi del suo cliente su quelli degli avversari. La professione dello scrittore invece è estremamente creativa, diritto e letteratura sono due mondi diametralmente opposti e i linguaggi non coincidono: è impensabile scrivere un romanzo nello stile usato dagli avvocati per rivolgersi ai giudici. La formazione da avvocato forse mi è tornata utile come metodologia, riguardo alla consultazione e alla ricerca.
Ultima domanda: negli ultimi anni sono esplosi molti “baby scrittori”, persone che prima dei vent’anni hanno già pubblicato un bestseller e sono diventati famosi. Quanto ha influito positivamente in lei il fatto di pubblicare per la prima volta non più giovanissimo, quindi con un’altra testa, un’altra maturità? Cosa sarebbe stato diverso se avesse ottenuto prima la fama del suo primo romanzo?
Forse, se avessi avuto successo con La cattedrale del mare a vent’anni non avrei scritto altri romanzi. Più che uno scrittore tardivo, io sono stato uno che ha pubblicato tardi, perché in realtà scrivevo da sempre. Sicuramente, la stabilità emotiva che avevo a quarantasette anni, con una famiglia e quattro figli e una carriera da avvocato ben avviata, mi hanno fatto capire che come scrittore avevo una libertà totale: potevo farlo oppure no, perché il mio futuro non dipendeva da quello. Del resto, vediamo cosa succede a persone che hanno successo molto presto, come i calciatori: a volte perdono un po’ la bussola di fronte al successo.
Io mi ritengo soddisfatto per come sono andate le cose, che poi a 47 anni non ero poi così vecchio … adesso ne ho 57 e spero che me ne restino un bel po’ ancora da vivere!
Spero che l'intervista sia una lettura gradevole per tutti gli amanti dei libri dell'autore, e non mancate di lasciarmi le vostre impressioni sul libro (o sui precedenti) se lo state leggendo!
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
giovedì 13 ottobre 2016
Un pomeriggio con Ildefonso Falcones, chiacchierando di "Gli eredi della terra", di scrittura e del fascino di Barcellona
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