Da quest'anno, il blog ospita le recensioni e le interviste di Veronica Lempi, già collaboratrice de Gli Amanti dei Libri. Ha intervistato per noi Lia Piano, autrice de Planimetria di una famiglia felice (Bompiani), ed ecco cosa le ha svelato!
Una famiglia non convenzionale, una casa da film ed una scansione del tempo del tutto personale e un modo di vivere così teatrale che sembra scritto a copione.
Lia Piano approda nel mondo dell’editoria con un libro in cui spazio, tempo, e ordine non hanno confini solidi. Planimetria di una famiglia felice è un romanzo in cui la liquidità regna sovrana e tutto ciò che conta, per davvero, sono i rapporti umani e le loro conseguenze.
Una storia che unisce autobiografia e invenzione.
Un esordio di penna che lascia già il sapore di ritorno.
Quando hai iniziato a recuperare i ricordi della tua infanzia per scrivere questo libro?
La scintilla è sicuramente autobiografica, e lo specifico anche brevemente in una nota d’autore che introduce il romanzo. Mi sono trovata qualche anno fa, nel 2015, ad aiutare mia madre nell’apparente trasloco - perché alla fine non c’è stato! - dalla nostra casa di famiglia, una casa molto grande con spazi davvero ampi, che non finiscono mai. Una casa che, nonostante cinque abitanti e un numero incalcolabile di animali, non siamo mai riusciti a riempire in quarant’anni, ma che ci siamo trovati a dover svuotare in qualche settimana. A quel punto ho sentito proprio la necessità di salutarla.
La prima idea in realtà non era di raccontarla, ho solo visto davanti a me, improvvisamente, quello spazio che ho sempre visto pieno. Una visione che mi ha dato la stessa sensazione che provavo da piccola quando uno spazio mi sembrava immenso e poi, qualche anno dopo, la percezione delle dimensioni cambiava completamente. Per cui la scintilla è stata il desiderio di salutare e ringraziare quella casa, che è stata teatro di un periodo estremamente felice della mia vita. E poi il senso di disorientamento: da qui è nata l’idea di raccontarla come la vedevo da piccola, perché parlarne con la visione dei miei quarant’anni e tutte le consapevolezze che la vita mi ha insegnato nel frattempo, non sarebbe stata la stessa cosa.
È proprio qua che ho tratto lo spunto per raccontare tutto con la visione di una bimba alta un metro, infatti il libro inizia con la protagonista alta esattamente 1m e finisce, con la piccola che misura 1.15m, il cambiamento dell’arco dei tre anni. Per farcela ho fatto l’esperienza fisica di posizionarmi varie volte ad altezza metro, esercitandomi a guardare tutto ad altezza di bambino. Cambia tutto, sia il modo di vedere le cose, sia il modo poi di raccontarle.
Partire da un ricordo ed arricchirlo o completarlo, per necessità, con l’invenzione, non comportava il rischio che la tua memoria, poi, venisse contaminata e quindi che alla tua mente non rimanesse la versione autentica di un fatto accaduto?
È una domanda sottile questa, ma ti dico la verità: me lo sono spesso chiesta anche io. Quello che secondo me, però, impedisce questa confusione, è il fatto che i sentimenti che racconto sono veri. Poi li trasfiguro, ed infatti questo è decisamente un romanzo. Ma i sentimenti e le immagini sono reali. Ho preso qualche punto fermo, uno è sicuramente la casa, ovvero l’unico personaggio realmente esistito e gestito per quello che è; l’altro è il fatto che sono sentimenti che davvero io ho provato e poi le immagini. Per cui anche per me diventa molto difficile discernere e dire quali dettagli sono veri e quali no: è veramente "non sbrogliabile", come se si trattasse di un capo fatto a maglia, ho costruito tutto punto per punto intersecando realtà e invenzione.
Come ha reagito la tua famiglia a questo libro?
Me ne hanno dette di ogni, persino che mi avrebbero denunciata! Ma poi si sono riconosciuti e hanno convenuto con me che siamo molto simili a quella famiglia un po' sgangherata, non così tanto come quella del libro, ma un po' sì. L’unico intervento che ho dovuto ascoltare prima della pubblicazione, è stato quello di mio padre, che è un po' impiccione e non riusciva proprio a non starne fuori: mi ha corretta in merito alle misure. Ha capito che l’unico personaggio esistito era la casa e allora lì si è scatenato.
Descrivi una casa piena di libri: quali sono state le tue letture da bambina, e poi crescendo?
Io ho imparato a leggere per invidia, perché ero piccola e analfabeta (aveva meno di 6 anni, ndr) e tutti in casa leggevano. Ti immagini la sera, quando tutti sono sul divano con il libro di fronte al viso e nessuno ti parla? Io mi ritrovavo lì in silenzio, con il mio cane, Pippo, e tutti questi lettori concentrati. Il mio amore per le parole, secondo me, deriva dal fatto che mi obbligavo a leggere pur non sapendolo fare e riconoscevo solo qualche parola qua e là. Per cui arrivavo a leggere un romanzo, inventandomi tutta un’altra storia che interpretavo a mio modo, perché non capivo nulla. E da qui deriva il grosso lavoro che ho fatto sulla scelta delle parole, per scrivere questo libro.
Subito dalle prime pagine, si nota che parli di una famiglia un po' nomade, che ha affrontato vari spostamenti. Quando finalmente approda in questa meravigliosa villa, a Genova, la piccola protagonista dice di scoprire per la prima volta tutti i colori del mondo, mentre "nel mondo prima"conosceva solo infinite sfumature di grigio: cosa volevi dire?
Mi riferivo a Parigi. Ho vissuto vent’anni e tutt’ora in parte vivo a Parigi, e non potevo non inserirla. L’ho voluta descrivere “a togliere”, ovvero dicendo quello che non c’era, non quello che c’era, perché ha talmente tanto di bello, ma di sicuro qualcosa che non le appartiene è il colore.
È un libro che parla di felicità?
È un libro che nasce con l’intenzione di raccontare un fallimento, e cioè l’obiettivo non raggiunto di una famiglia che prova in tutti i modi a diventare una famiglia normale ma non ci riesce. Certo è che, un fallimento di questo genere, raccontato e visto con gli occhi di una bambina, tutto è tranne che, appunto, un fallimento: primo, perché a lei non interessa minimamente diventare normale e secondo, perché non si rende conto che questo mancato obiettivo può essere un fallimento. Ora, mi sembra di esagerare dicendo che sono stupita che ne sia uscito un libro divertente, perché comunque mi sono divertita anche io scrivendolo. Ci tengo però che venga letto con parsimonia, con attenzione e senza divorarlo, perché è molto più profondo di quello che sembra. Molti mi dicono che è veloce e si legge in un pomeriggio: ecco, io sarei davvero felice di sapere che si riesce anche a cogliere quel qualcosa in più che va oltre il sorriso.
Come mai all’inizio il titolo del libro era Trinitina?
È un termine difficile da pronunciare, per me che ho la “r moscia” ancora di più, per questo mi piaceva. Ero a pranzo con due mie amiche e avevo portato una serie di titoli che erano in qualche modo correlati con la storia, quello è stato il prescelto perché prima di riuscire a dirlo correttamente ho dovuto ripeterlo quattro volte e siamo tutte scoppiate a ridere. Era incredibile che volessi chiamare il mio primo libro con un termine che non sapevo nemmeno pronunciare. E sono così astuta, che mi è sembrata una bellissima idea, ho subito pensato: "pazzesco!". È stata la mia editor Giulia Ichino, poi, a salvarmi da questa catastrofe!
Planimetria di una famiglia felice di Lia Piano (Bompiani) è in libreria, al prezzo di copertina di 15€.
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