Oggi il blog ha un ospite speciale, che non credevo avrei mai incontrato: Nicholas Sparks!
In occasione del suo passaggio a Milano e della sua partecipazione a Panorama d'Italia, abbiamo potuto incontrarlo e fare colazione con lui, chiacchierando del suo ultimo romanzo, della sua routine di scrittura e molto altro.
Ecco cosa ci ha raccontato, tra un caffè e una fetta di torta:
Partiamo da "La vita in due". Quanto c'è di te e delle tue esperienze personali?
È ispirato al mio rapporto con le mie figlie, e le mie paure legate alla paternità.
Che padre sei?
Sono un padre fantastico! Scherzi a parte, credo che uno degli obbiettivi di ogni genitore sia quello di crescere figli sani nel corpo e nello spirito, che diventino adulti ugualmente sani ed equilibrati.
A volte realizzo di essere meno in difficoltà di altri genitori, ma perchè il mio atteggiamento è quello di credere che si impari più dai propri errori che dai propri successi.
Ricordo ai miei figli che la vita non è giusta, e che ciò che vuoi e ciò che ottieni spesso sono cose molto diverse. Ovviamente ci sono regole, il "niente droghe" vale anche per me, ma a parte questo so che l'influenza di un genitore va scemando e che dai quindici/sedici anni in poi devono fare le loro scelte e vivere con le conseguenze.
Come mai in "La vita in due" hai scelto di raccontare il rapporto tra padre e figlia e non tra padre e figlio?
Credevo funzionasse meglio, per questa storia.
Ci hai abituati a protagoniste che ci rubano il cuore, ma Vivian è veramente insopportabile. Come mai questo personaggio femminile così sgradevole?
Devo dire che conosco donne come Vivian, ad essere sincero.
Volevo che Russ fosse credibile come personaggio, che la sua storia lo fosse, e se il romanzo parlava del processo di guarigione dopo la fine di un matrimonio doveva essere chiaro anche tutto il percorso antecedente, con la dissoluzione del matrimonio.
In questo modo il lettore avrebbe compreso il dolore e la confusione di Russ, e la sua rabbia e le sue paure sarebbero sembrate autentiche.
Inoltre, Vivian era davvero una buona madre, che amava tantissimo sua figlia: semplicemente, non amava più suo marito. Succede.
Nel romanzo non abbiamo solo Russ e Vivian, come coppia di genitori. Anche ai genitori di Russ spetta un ruolo molto importante. Sono simili ai tuoi? Che rapporto avevi con loro?
I miei genitori non erano come quelli di Russ, che invece sono molto simili ai miei nonni materni.
Mia madre era assistente in uno studio optometrico, mio padre un professore: ci hanno cresciuti con amore, ci hanno resi indipendenti e sono stati ottimi genitori. Mi ritengo molto fortunato.
È impossibile non chiedertelo: a quale dei tuoi romanzi ti senti più legato?
Sicuramente a "I passi dell'amore", perchè Landon è l'unico dei miei protagonisti che posso dire di "essere stato". Sono stato un ragazzo di diciassette anni, e quindi mi sono potuto sentire davvero in sintonia con lui. Se pensiamo invece a Noah, di "Le pagine della nostra vita", parliamo di un uomo di ottant'anni: non li ho, non sono ancora anziano. Quindi non so davvero come sarà.
È anche il mio preferito! Puoi raccontarci com'è nata la storia di "I passi dell'amore"?
Il personaggio di Jamie è ispirato a mia sorella, e alla sua battaglia contro il cancro.
Persino il finale del romanzo è molto simile alla storia di mia sorella, che ha sposato il suo compagno quando la malattia è peggiorata e realizzato così il suo sogno.
Credo sia stato il gesto più dolce che lui potesse fare, per lei.
Pensando a Jamie... nei tuoi romanzi, spesso un personaggio ci lascia. Da scrittore, ti affezioni abbastanza a un personaggio da soffrire quando decidi di farlo morire?
Ci sono personaggi che creo perchè siano amati, e altri che invece sono fatti apposta per non esserlo.
La maggior parte, però, sono creati per essere apprezzati, e sono loro affezionato quanto spero lo saranno i lettori. In questo senso sì, mi dispiace quando muoiono.
Parliamo di scrittura. Quando inizi un nuovo romanzo, hai già in mente una scaletta precisa, o sono i personaggi a prendere la loro strada e, magari, a sorprenderti?
Il processo che mi porta ad avere tra le mani una storia da scrivere può durare una settimana o cinque anni, e inizio a scrivere solo quando sono sicuro di come inizia, finisce e di quei quattro/cinque accadimenti principali nel mezzo.
Devo anche sapere chi sono i miei personaggi e conoscere i tratti principali del loro carattere: solo a questo punto posso cominciare a scrivere, e a sviluppare la mia storia.
Ti senti sotto pressione quando scrivi? Hai mai paura che il tuo nuovo lavoro non sarà apprezzato come i precedenti?
Mi sento sotto pressione nel senso che voglio scrivere al meglio delle mie possibilità, e credo di conoscere abbastanza bene i miei lettori e sapere ciò che amano: cerco di tenerlo a mente, e di andare in quella direzione.
Una scena di "I passi dell'amore" |
È eccitante! Credo di essere il secondo autore, subito dopo Stephen King, per numero di film tratti dai suoi lavori, e da autore scrivo le mie storie sperando che alle persone piacciano.
Ovviamente sogno che leggano il libro, ma se non sono lettori mi piace sapere che possano comunque apprezzarle sul grande schermo: quello che mi interessa e che mi emoziona è sapere che le mie storie raggiungono i cuori delle persone, in un modo o nell'altro.
Quando scrivi un romanzo hai già in mente una possibile sceneggiatura successiva, o quello viene dopo?
Tutto il processo di elaborazione della storia di cui ho parlato prima lo metto in pratica solo quando, tra le tante idee, trovo quella che funziona sia come romanzo che come sceneggiatura.
Quando ho un'idea che credo possa funzionare inizio a scrivere, e in quel momento penso solo al romanzo. Appena consegnata l'ultima bozza del libro, penso solo alla sceneggiatura.
Uno dei tempi a te più cari è quello della scuola e dell'importanza dell'istruzione, e ne è prova anche la tua fondazione.
L'istruzione è qualcosa che ha cambiato la mia vita: se non avessi frequentato l'università forse non sarei mai diventato lo scrittore che sono oggi.
Credo che imparare ad amare l'apprendere è la più grande lezione che puoi insegnare ai tuoi figli, perchè è qualcosa che ti servirà per tutta la vita e in qualsiasi settore.
La lezione più importante che impari a scuola è che a volte devi fare qualcosa che non vuoi fare, e devi farlo bene.
Grazie a Sperling & Kupfer e a Nicholas Sparks per la bellissima opportunità: è stato davvero emozionante incontrare l'autore di tanti romanzi che ho amato - e che mi hanno fatta piangere, ma questo lo sapete meglio di me!
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
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