venerdì 14 settembre 2018

Confessioni di un neet: intervista a Sandro Frizziero

Sapete chi sono i neet? Se ne parla poco, fatta eccezione per qualche articolo tappabuchi sulle testate web, ma quella dei neet è forse la categoria di individui più a rischio: sono coloro che non studiano, non lavorano e non cercano attivmente di fare nessuna delle due cose. Sono quelli che hanno gettato la spugna, delusi da una società che non include e da un mondo del lavoro che certo non facilita l'avvio di una carriera professionale.
Di loro (e non solo) parla anche "Confessioni di un neet", romanzo d'esordio di Sandro Frizziero (Fazi Editore), ed ecco cosa ci ha raccontato l'autore sul suo romanzo, la scrittura e l'umorismo.

Nel tuo romanzo, racconti una categoria di persone spesso trascurate dalla cronaca e dalla stampa: si parla di disoccupazione e di studenti, o di cervelli in fuga, ma non di chi non rientra in nessuna di queste caselle.
Pensi che derivi anche da questa mancanza di considerazione l’alienazione del Neet?
Ogni Neet si sente solo, questo è sicuro. Che faccia una vita da hikikomori, che decida cioè di rinchiudersi in camera davanti al pc, o che ami bighellonare in città andando da un bar all’altro, magari giocando al videopoker, il Neet si sente solo e poco considerato. Certo, qualcuno potrebbe sostenere che questa sua particolare situazione sia il risultato, oltre che di scelte fallimentari, anche di una certa indolenza, ma generalizzare è sbagliato. Alcune persone, con delle sfortunatissime se non tragiche storie alle spalle, meriterebbero certamente più empatia e comprensione.

Quello del social network usato per proiettare una versione fasulla e diversa di se stessi sul mondo è un tema caldo, anzi, caldissimo. Credo che sia facile per i lettori ritrovare, nel “tuo” Neet, almeno un paio di punti di contatto. Ma come ci si accorge che, a forza di fingere, si sta perdendo di vista il nostro io vero? Qual è il punto di rottura?
Nel momento in cui ci poniamo in relazione con gli altri in un certo modo fingiamo, tentiamo di costruirci un’immagine di noi stessi che corrisponda alle nostre aspirazioni e ai nostri modelli. Ciò avviene attraverso l’abbigliamento, il modo di parlare, la gestualità. Nei social questa dinamica è più evidente e più intenzionale. La “vetrinizzazione” di cui ha scritto il sociologo Vanni Codeluppi, è, contemporaneamente, esposizione dei momenti più intimi della vita e una sorta di marketing di se stessi. Tuttavia non è detto che il nostro “io vero” sia quello al di fuori dei social. Pensiamo a una persona pacata, educata nel parlare, apparentemente rispettosa degli altri che poi, una volta a casa, si lascia andare a commenti razzisti sui social. Qual è il suo “vero io”?


Il tema della responsabilità, nel tuo romanzo, è affrontato da un punto di vista interessante. Se all’inizio è facile pensare che sia il Neet a non volere impegni, è facile anche cambiare idea leggendo, e realizzare che la sua, in fondo, è una reazione al mondo esterno che non si prende nessuna responsabilità nei suoi confronti.
È una sensazione comune a quella dei precari, dei lavoratori con contratti fantasiosi che portano a tutto tranne che all’assunzione, e dei disoccupati.
Riesci a vedere, nel futuro, un momento in cui ci assumeremo più responsabilità in questo senso, o pensi che la strada sia ancora lunga?
Ho pensato a un personaggio del genere proprio per creare nel lettore un sentimento di attrazione e repulsione. Lui è antipatico, misantropo, fatalista, nichilista; sembra che la situazione difficile di cui è vittima sia in gran parte il risultato delle sue scelte. Proseguendo la lettura, cercando di andare oltre le sue boutade, però, bisogna riconoscergli una certa intelligenza, una certa capacità di demistificare i luoghi comuni, i valori su cui basiamo la nostra vita e che sono tutt’altro che immodificabili. Mi piacerebbe, dunque, che questo personaggio facesse nascere, più che un senso di empatia, alcuni dubbi in chi lo incontra nel mio romanzo.
Non sono un esperto del mercato del lavoro, ma ciò che vedo parlando con molti giovani è che sempre più alcune logiche di sfruttamento vengono accettate come se fossero normali, pienamente giustificabili nell’ottica del guadagno. L’incremento dei cosiddetti “lavoretti”, a cui molti si aggrappano per vivere, non mi lascia davvero ben sperare. Bisognerebbe recuperare il ruolo sociale del lavoro, ma sul come e sul quando non posso fare previsioni.

A rendere il tuo libro una lettura da consigliare è anche il tuo uso singolare dell’ironia, e quindi ti chiedo: qual è il tuo rapporto con l’umorismo, e quanto è difficile essere divertenti scrivendo?
Maneggiare il registro dell’ironia è difficilissimo e non sempre è un’operazione destinata al successo. L’ironia, soprattutto quando è sottile, può essere difficile da comprendere perché non tutti colgono le provocazioni e spesso si rischiano fraintendimenti e incomprensioni. D’altronde, ironia e umorismo producono uno spazio interessante tra il significato letterale di un testo e il suo contenuto che permette di aprire prospettive nuove.

Qual è il messaggio che vorresti trasmettere a chi scoprirà il tuo romanzo, e a tutti i Neet là fuori?
Il mio romanzo non ha certo l’ambizione di trasmettere un messaggio, soprattutto edificante, al lettore; e neppure mi sento in grado di giudicare la vita e le scelte degli altri. Posso solo dire a chi si sente sfiduciato, soprattutto se molto giovane, che ognuno trova la propria strada, prima o poi. Senza cadere nella facile retorica del successo a tutti costi, del mettersi in gioco, del credere ai propri sogni (che poi è quella che canzono nel libro), occorre credere che con pazienza e sacrifici qualcosa di buono si possa costruire e, dal mio punto di vista, ciò è vero proprio perché il momento storico è difficile. Sarei felice se, leggendo le paradossali e deliranti invettive del protagonista, il lettore vi riconoscesse qualcosa di vero, un’ulteriore chiave di lettura della realtà a cui magari non aveva pensato.

Confessioni di un neet di Sandro Frizziero (Fazi Editore) è in libreria.

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