lunedì 20 novembre 2017

"La principessa che aveva fame d'amore" di Maria Chiara Gritti

Buongiorno a tutte, fanciulle!
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata a "La principessa che aveva fame d'amore" di Maria Chiara Gritti, edito Sperling & Kupfer (rilegato a 15,90€):
Belle, buone, brave e obbedienti: quante donne hanno imparato fin dall'infanzia che questo è l'unico modo per essere amate? Come succede ad Arabella, la protagonista di questa favola: pur essendo capace, intraprendente e piena di talenti, è pronta a sacrificare la sua allegria, la sua curiosità e i suoi stessi bisogni per compiacere i genitori e sentirsi apprezzata. Ma c'è qualcosa che grida dentro di lei, un grumo di insoddisfazione che le lacera lo stomaco e la rende irrequieta e vorace: è la sua fame d'amore. Si convince che solo un uomo potrà placarla e va dritta nella Città degli Incontri. Ma come può una ragazza poco nutrita d'affetto riconoscere il sapore del vero amore? È sin troppo facile accontentarsi di un riempitivo qualunque. Per fortuna c'è qualcuno pronto a darle una bella svegliata e guidarla a trovare la giusta ricetta. In questa favola, la psicoterapeuta Maria Chiara Gritti affronta con ironia e delicatezza la "love addiction", quella strana cecità del cuore che porta a scambiare ogni rospo per un principe, a cui dare tutto in cambio di... niente. Troppe principesse ne soffrono, si aggrappano a rapporti squilibrati nei quali perdono autostima, fiducia e sorriso. Basta, non dobbiamo più accontentarci delle briciole, insegna la favola di Arabella: l'unico modo di nutrire il vero amore è imparare a nutrire noi stesse. E dovrà essere il principe a mostrarsi degno di noi.

Una favola senza tempo, quella di Arabella, che soltanto favola non è.
Quello della ragazza è un vero e proprio percorso di crescita, che tocca tutte le fasi di una vita che potrebbe sicuramente essere la nostra: da quando ha come unico scopo quello di "essere una brava bambina", a quando scopre quanto questo non le basti più per avere dai genitori tutto l'amore che le serve per essere felice, arrivando alla ricerca del compagno di vita pronto a dare esattamente quel tipo di amore. Certo che non è affatto semplice trovarlo... in fondo di principi là fuori ce ne sono davvero tantissimi! Quale sarà quello giusto?
Di sicuro non quello che prende senza dare mai, o quello che la riempie di oggetti ma le nega l'affetto. No, quello giusto non può essere un uomo così!
La svolta, però, non arriva sotto forma di principe: a fare la differenza per Arabella (e per noi) è diventare consapevole di sè, imparando a identificare i suoi bisogni e le sue necessità e a comportarsi di conseguenza. Imparando a non buttarsi sul primo panino che passa, ma cercando quello impastato a dovere, insomma.

Pensateci: non è successo a tutti di uscire con qualcuno che chiaramente non andava bene per noi, insistendo nel voler cambiare qualcosa che non poteva essere cambiato, solo perchè l'alternativa era stare da soli e la cosa ci spaventava a morte?
A me sì, ho continuato a uscire con un ragazzo del tutto inadatto a me - così come io ero inadatta a lui - ben oltre il momento in cui era chiaro a tutti quanto fossimo male assortiti, e solo perchè la routine e il semplice fatto di avere qualcuno accanto erano rassicuranti.
Forse è anche per questo che "La principessa che aveva fame d'amore" mi è piaciuto così tanto: ci ho davvero ritrovato alcuni pezzi del mio personalissimo puzzle affettivo.
Ci ho trovato una bellissima riflessione sul rapporto genitori-figli, e su quanto il rapporto di coppia dei primi influenzi i secondi, oltre a pagine bellissime sulla complicità e il supporto tra donne.
Ci ho anche trovato quei consigli che vorrei ricevere da un'amica fidata in un momento di difficoltà, ed è per questo che la mia copia è al sicuro sul mio comodino, pronta all'uso in caso di necessità.

Ecco le domande che ho potuto fare all'autrice in occasione del nostro incontro a Milano, in occasione del quale Maria Chiara Gritti ci ha raccontato il suo libro, parlato del suo lavoro e svelato qualche piccolo retroscena!
La prima cosa che ci tengo a chiederti è una riflessione sul linguaggio che hai scelto per il tuo racconto. Mi è piaciuta moltissimo l'idea di raccontare una favola invece di scrivere "l'ennesimo manuale di auto-aiuto", ovvero il libro in cui prima o poi una donna inciampa, dopo un certo uomo o una certa delusione. Hai giocato molto con il tema della favola anche attraverso le tue scelte lessicali, ad esempio utilizzando i tempi verbali tipici di quella che è la nostra immaginazione sin da bambini. I bambini giocano al presente indicativo e all'imperfetto, dove il gioco "facciamo che io ero..." costituisce il primo esercizione di immedesimazione.
È anche per riportare le tue lettrici alla loro bambina interiore, che hai scelto di raccontare loro la favola di una principessa?
Assolutamente sì, e anzi, vi svelo una cosa del perché nasce questa favola. Tre anni fa divento mamma e inizio a leggere favole su favole a mio figlio e leggendole anche la mia bambina interiore si è risvegliata e mi sono ricordata di com’era bello quando mia mamma mi raccontava queste storie. E mi sono resa conto che in fondo mi sono scelta una professione che ha fatto si che non smettessi mai di ascoltare queste storie, solo che invece che essere dei personaggi inventati sono i miei pazienti e molto spesso ci diciamo che quando arrivano da me lo fanno perché in qualche modo non riescono più a proseguire la loro favola; cioè è successo qualcosa per cui la storia sta andando in un modo diverso e non riescono a essere le protagoniste della loro favola. E io penso che questo sia qualcosa che arriva in modo molto forte alle persone e spesso lo utilizzo in terapia.
Io chiedo di raccontarmi la loro vita come se fosse una favola e così facendo rievoco la bambina che poi si ritrova nel libro perché alla fine quando qualcosa non funziona nella favola, è sempre perché quella bimba ha qualcosa che le è mancato quindi sicuramente l’intento è di evocare le bambine o i bambini proprio con l’uso della favola.

Qual è la più grande paura che riscontri nelle donne con cui ti relazioni nel tuo lavoro (e che hanno ispirato il libro, ndr)?
La paura di essere abbandonate. Siccome non hanno mai avuto un legame sicuro, non hanno mai creato un legame in cui potevano rilassarsi e pensare «basta che io sia me stessa e mia mamma e mio papà mi amano e io sono tranquilla, loro non vanno via.»Tutta la loro vita, invece, è stata: «mi devo tenere legata alla persona, devo fare questo se no questa persona non mi ama.»
Quindi hanno quest’ansia che cresce e quando entrano in una relazione percepiscono ogni minima distanza dall’altro come un segnale di abbandono. Classico esempio è: «lui non mi risponde al messaggio per tre ore.. quindi basta. Vuol dire che ne ha già trovata un’altra, non gli interesso più, mi ha già abbandonato.» Quindi il mostro peggiore è proprio l’angoscia d’abbandono e non poter avere fiducia di poter essere davvero amate. Per questo è importante che loro abbiano fiducia in loro stesse per calmare questa angoscia abandonica, se no la portano sempre in tutte le relazioni.
Nel 1999, in un episodio di Sex & the City, Charlotte York si sentiva proporre da Carrie Bradshaw l'idea che forse non ci fosse nessun principe azzurro da trovare, e che forse il nostro principe azzurro siamo noi e ci salviamo da sole. Devo ammettere di avere la stessa sensazione, e di credere io stessa che il principe azzurro non sia quello che ti salva da te stessa: prima devi salvarti tu, esattamente come scopre Arabella nella tua favola. Ma questo succede perchè sono cambiati i tempi, o perchè siamo cambiate noi?
Arabella si salva da sola, nel senso che cresce e impara a conoscersi e ad amarsi. Non rinuncia però a cercare il compagno giusto, e anzi, non avrei mai concluso il libro con lei da sola e felice di esserlo: non è una cosa in cui credo e non la trovo naturale. Siamo fatti per condividere e arricchirci di quello che solo una relazione può dare.
La differenza sta nello scegliere una relazione con consapevolezza di sè e di ciò che si sente come necessario, senza pensare di poter forzare ciò che non è naturale o di dover "cambiare" l'altra persona.

Ringrazio moltissimo Sperling & Kupfer e Maria Chiara Gritti (e vi rimando al suo interessantissimo blog sulla dipendenza affettiva, che trovate qui) per questa possibilità di lettura e di confronto: la mia bambina interiore è entusiasta di questa lettura, ha già perdonato tutti i principi sbagliati incontrati sul suo percorso ed è pronta ad accogliere quello giusto quando sarà il momento ;)

Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3

Nessun commento :

Posta un commento