Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Daniela Mattalia vi aspetta in libreria con un romanzo davvero molto, molto piacevole da leggere: "La perfezione non è di questo mondo", edito Feltrinelli (brossurato a 15€), e abbiamo avuto la possibilità di incontrare l'autrice e scoprirne di più:
Torino, tra le Molinette e il Valentino. Adriano, professore ottantaduenne che ha appena perso la moglie, ha un segreto di cui si vergogna un po': da quando la sua compagna non c'è più, continua a rivederla tra le corsie delle Molinette, anche se sa che non può essere vero. O forse sì? A soccorrerlo dal dubbio di essere sull'orlo della pazzia intervengono uno stravagante tassista, certo che sia più che normale che i morti continuino ad abitare accanto ai loro cari, e altre tre persone, che incrociano la sua strada. Gemma, libraia trentenne che nel fine settimana fa la volontaria al Filo d'Argento, un call center per anziani. Olga, un'arzilla zitella settantaseienne ricoverata con una gamba rotta. E Fausto, un giovane grafico precario fidanzato a una ragazza della Torino bene e padrone di Archibald, un bracco che ha il vizio di darsi alla macchia proprio nel parco dove fa jogging Gemma. Le vite di questi quattro personaggi si intrecciano, come in una danza, tra il parco e l'ospedale, dove si aggirano altre due inafferrabili presenze. Perché chi l'ha detto che morendo si deve per forza andare nell'aldilà, in un paradiso perfetto, algido e lontano? Non è forse più consolante - e infinitamente più divertente - immaginare di poter restare nell'aldiquà, invisibili a tutti tranne a chi ci vorrà vedere, fantasmi della porta accanto con tutte le nostre stupende imperfezioni?
Abbiamo incontrato l'autrice nella bellissima libreria tutta lilla di Cristina Di Canio, ed ecco cosa ci ha raccontato, mentre ci sventolavamo con foga con i creativi ventagli di carta creati dalla libraia e ci riprendavamo dalla temperatura tropicale del pomeriggio:
"La perfezione non è di questo mondo" è un romanzo davvero singolare, in cui questo mondo è un al di là non meglio precisato si toccano e si incontrano a più riprese.
Come nasce una storia come questa?
La risposta più sincera e più immediata è «non lo so nemmeno io!», ma in realtà non è mai così, non l’ho certo scritto in trance! Evidentemente avevo dentro di me un mondo di cose che volevano venir fuori. Tra l’altro io sono una giornalista scientifica, con una parte razionale ipertrofica. Al novanta per cento serenamente atea, non credo nei fantasmi, negli extraterrestri, nell’omeopatia, ma per il dieci per cento che resta... allora credo ai fantasmi, a un aldilà autogestito, e credo che davvero tutto possa succedere. Da questo dieci per cento è nata questa storia, ambientata a Torino (dove sono nata), città che è rimasta il luogo dell’infanzia: da bambini tutto può succedere e nessuno si stupisce, crediamo a mostri, draghi e fantasmi con estrema naturalezza.
Torino è quindi un luogo un po’ magica?
Sì, perché è la mia infanzia. Se poi conoscete Torino sapete che non è né sfacciatamente bella come Roma né efficiente e un filo arrogante come Milano (che peraltro adoro), ma è una città discreta, un po’ sommersa e un po’ nascosta, dove i fantasmi possono convivere facilmente con i miei personaggi.
Nel romanzo ci sono quattro personaggi in carne e ossa, due diversamente visibili, un tassista da scoprire e un cane, un bracco italiano, tonto come mi serviva.
È una Torino primaverile, in quella stagione di mezzo che non è più inverno e non è ancora estate, che ci lascia sulla soglia. Si parla principalmente di due luoghi: il grande ospedale delle Molinette e il parco del Valentino, che è “il parco” di Torino. Due luoghi in qualche modo antitetici, ma che sono diversi da quelli che frequentiamo nella nostra vita quotidiana. Il parco è benessere, immersione nella natura, mentre l’ospedale ci parla di nascita, di malattie, di dolore e di morte.
Vivi e “vivi a modo loro”, giovani e vecchi, umani e cani: sono tanti i mondi che s’intrecciano tra loro in questo romanzo.
Ha detto che la storia è nata da sola. Ma una volta finita la prima stesura, ha pensato a un messaggio che avrebbe voluto mandare ai lettori?
Non è nato come un romanzo a tesi. La prima immagine era quella di una donna in ospedale, che a un certo punto si alzava dal letto con la sensazione di non provare più dolore, perché era morta ma non lo sapeva, e iniziava a vagare per l’edificio. Poi però la storia è andata da tutt’altra parte, perché dietro di lei c’erano tutti gli altri personaggi. Spesso iniziavo a scrivere un capitolo senza sapere come sarebbe finito.
E poi il mio privato si è un po' infilato nel romanzo: quando è mancato mio padre è successo in fretta, io non ho nemmeno fatto in tempo a salutarlo, e la cosa ha continuato a tormentare me e mia madre, così come Adriano è tormentato dalla scomparsa improvvisa della moglie.
Si sente preso in giro dalla vita che non gli permette nemmeno di dire addio come si deve alla donna che è stata sempre al suo fianco, trova che non sia giusto. Ci sono tante cose della mia vita in questi personaggi, però credo di essermene resa conto solo a posteriori: il rapporto di Gemma con la madre, ad esempio, è quello che ho io con la mia. Come lei sono forse una figlia un po’ superficiale, e poi c'è mia zia Adele che ha ispirato il personaggio di Olga...
La perfezione non è di questo mondo: ci spieghi il titolo?
Questa frase è un luogo comune, e nel romanzo viene pronunciata nel corso di un dialogo tra l’anziano Adriano e il tassista che lo accompagna alle Molinette.
La perfezione per me non è di nessun mondo, neppure di quello dell’aldilà. Essere imperfetti è l’unico modo che abbiamo per essere vivi e divertirci, sbagliare, sentirci unici.
L’imperfezione è il mezzo che ha usato la natura per evolversi: le anomalie generate dall’ambiente determinano i cambiamenti degli esseri viventi fin dalla prima cellula, e così la loro evoluzione.
Tutti i miei personaggi sono imperfetti, hanno delle mancanze e delle insoddisfazioni, sono un po’ ammaccati dalla vita, ma saranno le loro imperfezioni a farli entrare in contatto tra loro.
Anche nella vita vera, se fossimo tutti costruiti a perfezione non avremmo bisogno degli altri.
Nemmeno i miei fantasmi vogliono la perfezione di un aldilà meraviglioso, perché vogliono restare in mezzo alle imperfezioni dei vivi. Se l’unica cosa perfetta perché immutabile è la morte, allora l’imperfezione è la vita.
Come si fa a trattare un argomento così impegnativo come la morte con la leggerezza che viene fuori da questo libro? È stata aiutata dalla sua professione di giornalista scientifica?
Per me, per trattare temi come il dolore, il distacco, la malattia, non c’è altro modo che usare la leggerezza e la delicatezza. Si rischia spesso di mancare di rispetto al dolore parlandone, e personalmente detesto l’eccesso di enfasi. Leggerezza non vuol dire superficialità, così come l’ironia è qualcosa che ti salva la vita. Anche la nostra morte va un po’ sdrammatizzata, anche se sembra difficile.
In fondo abbiamo bisogno di pensare che i nostri cari che non ci sono più siano comunque da qualche parte, da dove possano in qualche modo seguire le nostre vite. Se parliamo loro è ovvio che non ci rispondono, però magari ci ascoltano: questo ve lo dice il mio dieci per cento che ci crede, anche se il novanta per cento di mentalità scientifica continua a ripetere di no.
Non credo in Dio ma in un aldilà che ci possiamo gestire da soli, perché ne abbiamo bisogno.
Nel romanzo ci sono molti parallelismi tra i personaggi più giovani e quelli più anziani.
Sì, è vero. Un amico mi ha detto che si sente un po’ Fausto e un po’ Adriano: sono entrambi smarriti, indecisi, e non a caso entrano in contatto tra loro, casualmente, al parco, grazie al cane Archibald. I cani sono dei grandi traghettatori: avere un cane è come far parte di un club esclusivo, dove però nello stesso parco il cane di Obama potrebbe giocare con il cane di un senzatetto, i quali potrebbero persino scambiarsi due parole grazie ai loro animali.
Gemma, Adriano, Fausto, Olga... persino il bracco Archibald racconta la propria storia! È stato difficile scrivere un romanzo con così tante voci, e a impedire che magari una prendesse il sopravvento?
No, avrei anzi fatto fatica a mantenere un unico punto di vista, perché non c’era una storia “forte”.
Temevo che alla fine in casa editrice mi chiedessero di ampliare la storia che riguarda i personaggi giovani, ma non è stato così. L’equilibrio raggiunto andava bene anche agli altri.
Ognuno dei personaggi aveva una voce diversa, bastava ascoltarli.
È stato fatto pochissimo editing, tra l’altro.
Come ha conciliato la scrittura rigorosa da giornalista scientifica con quella più lieve che ha usato nel romanzo? È stato facile cambiare?
Sì, perché comunque, anche negli articoli che scrivo per Panorama, per non essere troppo noiosa cerco di mantenere, almeno all’inizio e alla fine, un tono più leggero e discorsivo. Il giornalismo mi ha aiutato a evitare i troppi ghirigori, la sovrabbondanza degli aggettivi, l’accumulo di parole.
Prima di scrivere di scienza, del resto, ho fatto per anni la giornalista non specializzata, e prima ancora ho scritto tante cose – poesie, racconti - che sono rigorosamente chiuse nel cassetto.
Non sono stata schizofrenica, ma ho recuperato semplicemente una parte di me.
Ed è una parte bellissima, se ha dato origine ad un romanzo delicato e intriso di magia come "La perfezione non è di questo mondo: una lettura che dovrete assolutamente fare tutti quest'estate ;)
Grazie a feltrinelli e a Daniela Mattalia per la disponibilità e la bellissima occasione di confronto.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
venerdì 23 giugno 2017
Chiacchierata con Daniela Mattalia su "La perfezione non è di questo mondo", Torino e la leggerezza
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