venerdì 23 novembre 2018

Intervista a Massimo Polidoro su Leonardo, tra natura, pittura e Milano

Si fa presto a dire Leonardo.
Un genio, un artista senza pari, un ingegnere e uno scienziato troppo aventi rispetto alla sua epoca, ma anche vegetariano, omosessuale, pacifista, figlio illegittimo in un tempo in cui questo poteva solo porlo in una condizione di svantaggio.
L'idea era di raccontare, con "Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle" (Piemme) un Leonardo diverso, senza limitarsi al Leonardo inventore, scienziato artista di cui tanto è stato scritto e tanto verrà scritto in futuro. Per questo a dare voce alla storia è Francesco Melzi, braccio destro e pupillo di Leonardo, nella tradizione letteraria consolidata che vuole un discepolo raccontare il suo maestro, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Massimo Polidoro vuole raccontare l'uomo, in ogni sua sfaccettatura, luminosa o meno brillante che fosse, e proprio da questo ha inizio la conversazione.

Se penso a Leonardo, penso alla dicotomia perfezionismo/ossessione.
Da un lato la ricerca costante, i rotoli di pergamena con schizzi di mani, dita, dettagli di arti di animali; dall'altro il rischio di non arrivare mai a realizzare l'opera.
Dal tuo punto di vista, quanto queste due caratteristiche della sua personalità hanno influenzato ciò che ci è arrivato del suo lavoro?
Sono d'accordo con la tua analisi. L'idea che mi sono fatto è che Leonardo non lavorasse pensando di creare opere da lasciare ai posteri: spesso la pittura gli serviva per sostenersi, e il compenso per i ritratti era ciò che gli permetteva di poter fare le sue ricerche scientifiche.
Utilizzava la pittura per approfondire la sua ricerca, dallo studio dell'anatomia umana a quella animale, passando per l'acqua e la natura nel suo complesso che non smettono mai di affascinarlo.
Se guardiamo ai suoi scritti, notiamo la sua evidente difficoltà nel tirare le fila di una ricerca, chiudendo un discorso: questo ha fatto sì che, alla sua morte, non ci fosse altro che una ricchissima collezione di materiali che il suo pupillo e braccio destro, pur mettendosi d'impegno, non è riuscito a organizzare in più libri, portandone a termine uno soltanto.

Leonardo e l'omosessualità: quanto ha subito questa sua condizione (pensando soprattutto all'epoca in cui ha vissuto), e quanto ha influito su ciò che ci è effettivamente arrivato a livello di informazioni sulla sua vita privata?
Si rende conto della sua omosessualità da ragazzo, e del pericolo legato a questa condizione nel momento in cui lo arrestano. Il suo sentirsi responsabile nei confronti del padre, del Verrocchio, dei suoi amici lo costringe al silenzio e alla riservatezza, al punto da scrivere apertamente che «bisogna evitare di rendere esplicite le proprie passioni» e di farlo per tutta la vita. Si concede solo di ritrarre alcuni modelli maschili.


Leonardo è un uomo diviso: la necessità di lavorare e di mantenersi, così come quella di studiare, lo porta verso le città e le corti dei signori, ma il Leonardo bambino amante della natura che osservava il volo degli uccelli e le foglie degli alberi è di fatto lo stesso Leonardo che fino alla fine studia il volo, schizzo dopo schizzo. Posso chiederti un approfondimento sul rapporto tra Leonardo e la natura?
Ne era sicuramente innamorato, e incantato: non è un caso che il primo schizzo datato di Leonardo sia un paesaggio della sua Toscana, che è anche considerato il primo paesaggio dell'arte occidentale. È la prima volta che si disegna un paesaggio non in funzione di un ritratto, o di una battaglia, ma come scopo dell'opera.
L'amore per la natura lo accompagna tutta la vita: il volo degli uccelli, le rocce, l'acqua, le piante hanno per lui un significato profondo e lo portano a farsi delle domande che, in parte, conosciamo grazie alla sue liste di "cose da fare", di curiosità da soddisfare e di domande da porre agli esperti dei vari ambiti per saperne di più.
Avrebbe potuto vivere in campagna, nel podere ereditato dallo zio, ma i suoi studi e le sue ricerche gli impongono di vivere in città, e da qui la necessità di dipingere su commissione e di dedicarsi anche alla messa in scena di spettacoli per le corti italiane e francesi.
Anche il suo rapporto con le città è sintomatico: a Firenze si sente in trappola, a Milano ritrova il respiro e la possibilità di muoversi.
Pensi che il teatro gli abbia permesso di realizzare il più grande sogno di un pittore e di uno scultore, ovvero l'opera d'arte in movimento?
E secondo te la sua esperienza con la messa in scena teatrale ha a sua volta influenzato il suo mdo di rappresentare i corpi vivi dipingendo o scolpendo?
Può essere. Indubbiamente amava questa forma d'arte.
Chi scrive dei suoi spettacoli, ne parla come di qualcosa di mai visto: Leonardo sapeva che lo scopo dello spettacolo era di essere sorprendente, e questo lo porta a inventarsi delle soluzioni originalissime. Dei veri e propri effetti speciali, come un vulcano che erutta in scena, un cavallo che scende dall'alto, i pianeti che ruotano.
La pittura, e le sue competenze artistiche, sicuramente influenzano le sue scelte per quanto riguarda le scenografie, i costumi, l'inquadratura di ogni scena, così come la possibilità di disporre di attori in movimento lo influenzerà nella pittura e nella scultura come suggerivi.

Siamo a Milano, e non si può non chiudere parlando di Leonardo e del suo rapporto con la nostra città. La città del respiro, come l'hai definita prima, e anche una città che gli deve moltissimo, dal Cenacolo ai Navigli tornati proprio negli ultimi anni navigabili come li aveva immaginati. Cos'ha dato Leonardo a Milano, e cosa la città gli ha restituito?
Milano per Leonardo è la città più importante: gli dona la possibilità di esprimersi, realizzarsi e diventare ciò che voleva essere. È più grande e ricca di stimoli e commissioni di Firenze, ed è governata da una persona che lo cerca, a differenza di quanto accaduto con Lorenzo il Magnifico (che, a sua discolpa, aveva a disposizione molti grandi pittori e che quindi non sentiva il bisogno di tenere a corte Leonardo). A Milano Leonardo resta più di vent'anni, ed è da Milano che viene portato in Francia. Alla città lombarda lascia opere rimaste qui, altre che sono state portate via (La vergine delle rocce, una tra tutte), inclusi i codici che sono stati portati quasi tutti in Francia.
Certo, questo "trasloco" dei codici è ciò che ci ha permesso di conoscerli davvero: in Francia venivano studiati, in Italia erano chiusi in una biblioteca, senza che venissero divulgati.
Per quanto riguarda i Navigli, provava per essi una grande passione: li ammirava e studiava, progettando ad esempio il sistema delle conche che garantiva la navigazione nonostante i dislivelli.
Aveva le idee molto chiare sulla necessità di mantenere la città pulita, e di smaltire nel modo corretto i rifiuti, anche per eliminare il rischio di epidemie. Precursore dei tempi anche in questo!

Non posso non ringraziare Massimo Polidoro e Piemme per la splendida opportunità di confronto, e consiglio a tutti la lettura di Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle: vi conquisterà!


Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle di Massimo Polidoro (Piemme) è in libreria, al prezzo di copertina di 18,50€.

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