lunedì 29 aprile 2019

Intervista ad Andrea Scanzi, su "La politica è una cosa seria", e sulla necessità di un cambiamento

Nel 2018 Andrea Scanzi pubblicava Con i piedi ben piantati sulle nuvole (Rizzoli), e a quel periodo risale il nostro primo incontro sulla terrazza del Mondadori Store di via Marghera a Milano.
Un anno dopo, incontriamo nuovamente Andrea Scanzi ma per parlare di politica, e in particolare del perchè La politica è una cosa seria (Rizzoli), come recita il titolo del suo ultimo volume.
Una lettura appassionante, della quale abbiamo potuto discutere con l'autore all'ultimo piano della libreria Feltrinelli in piazza Piemonte a Milano, ed ecco cosa ci ha raccontato!


Quali sono stati i criteri di scelta, nel bene e nel male, che ti hanno portato a parlare di questi politici e non di altri?
Li ho scelti tenendo presenti due aspetti. Il primo è un po' stilistico o letterario, perché ho scelto di parlare di quei personaggi che stimolavano la mia penna e non di quelli che non la stimolavano per niente: quando scrivi un libro devi avere degli stimoli, un'ispirazione. Pensando a Pertini, ad esempio, potevo immaginare un capitolo che si sarebbe scritto praticamente da solo, mentre pensando a uno come Fanfani, anche se io sono aretino come lui, sapevo che avrei fatto molta fatica a parlarne.
La prima motivazione è stata dunque letteraria, ma poi ce n'è stata una superiore, del tutto emotiva, empatica e passionale. Questo è un libro in cui io mi racconto più che in altre occasioni perché dichiaro apertamente quali siano i personaggi che mi mancano, quelli che ho amato, quelli che a volte mi hanno deluso, perciò sono andato a cercare chi mi ha smosso tanto – Pertini, Rodotà, Berlinguer, Parri – oppure i personaggi nettamente respingenti. Volevo creare una netta separazione tra "politici belli", che hanno giustificato l'amore per la cosa pubblica e ci hanno fatto appartenere a un ideale, e quelle figure respingenti che finiscono per farci rimpiangere ancora di più i politici che ci mancano. Guardi i politici attuali, poi ti volti indietro, vedi Pertini e ti chiedi "come abbiamo fatto a diventare così?"

Anche per questo non parli del Movimento Cinque Stelle?
So che me lo chiederanno spesso, parlando di questo libro, soprattutto perché io ero stato uno dei primi a parlare dei Cinque Stelle anche prima che vincessero le elezioni, per cui può sembrare strano che li abbia esclusi. C'è una motivazione temporale: quando racconti un personaggio politico devi avere a disposizione tanti anni da raccontare, deve esserci qualcosa da dire.
I Cinque Stelle sono fugaci, a partire dal fatto che sono vincolati dal limite del doppio mandato. Emergono un po' solo Di Maio e Di Battista, ma il secondo si è in pratica già ritirato uscendo di scena, mentre per il primo appare una seconda motivazione: sebbene io sia stato uno dei pochi a capire fin dall'inizio pregi e difetti del movimento Cinque Stelle, adesso faccio un po' fatica a fotografarli. Se racconto Renzi, so che incarna una politica che mi è estranea. Se racconto Salvini, lo stesso, Berlusconi non ne parliamo. Se racconto Berlinguer, parlo di uno che mi manca.
Se oggi racconto Di Maio, parlo di uno che non sono in grado di fotografare, di mettere a fuoco con precisione. È un mio limite: a volte li vedo chiari nelle loro idee, il giorno dopo li trovo repellenti e non riesco a considerarli.
Ma non sono diventati meno leggibili da quando sono al governo?
Senza dubbio. Fino al 2018 avevo delle idee chiare su di loro, tendevo a collocarli tra i buoni, o quasi buoni, ma adesso tutto mi appare molto confuso. Il cambiamento che gli italiani volevano con le elezioni del 4 marzo 2018 ha determinato l'unione di due forze politiche molto distanti tra loro, col rischio di deludere una buona parte dei loro elettori.
A volte mi capita, quando partecipo ai dibattiti televisivi, di pensare di sapere bene cosa dire, ma in altre occasioni mi rendo conto di non avere per nulla le idee chiare riguardo a ciò di cui si parla. E se non le ho io, non oso pensare allo smarrimento del cittadino comune.
Ho scritto questo libro proprio per chiedermi, e chiedervi, cosa stia succedendo alla politica, se sia sempre stata così o se in passato fosse più facile dire "noi" invece di "io". Oggi mi sembra che tutti dicano "io", ma senza mitizzare troppo il passato mi sembra che prima ci fossero delle persone più belle di oggi. Prendete Berlinguer: potevate non essere d'accordo con le sue idee, ma è stato una figura straordinaria, eroica e romantica. Lui è il più alto, ma forse ci mancano anche le mezze figure di una volta.


Tempo fa mi è capitato di ascoltare il tuo direttore Marco Travaglio in televisione, mentre si discuteva sul caso Diciotti e sulla mancanza di dissenso della base dei Cinque Stelle riguardo al salvataggio di Salvini. Lui ha detto che questa è una questione di principio e che sembra che ultimamente dei principi non importi più nulla a nessuno, né ai politici, né ai cittadini. Ci ho ripensato leggendo il tuo libro e mi sembra che si parli proprio di persone che procedevano seguendo i principi.
È una lettura corretta?
Più che una domanda, la tua mi sembra una meravigliosa recensione, per cui faccio fatica ad aggiungere altro: questo è esattamente quello che penso. I politici di oggi quasi sempre non hanno a cuore l'etica, la cosiddetta "questione morale", mentre in passato c'era chi, anche se non tutti, naturalmente,  era mosso da valori altissimi.
I principi sono decaduti, sono fuori moda. Il voto sulla Diciotti è emblematico, perché i Cinque Stelle hanno vinto le elezioni insistendo sulla questione morale, che è qualcosa di più alto dell'onestà. Poi però li vedi far assolvere Salvini per un puro tornaconto, per restare al potere, e una persona che ha seguito il loro percorso, come me o Marco Travaglio, non può non sentire molti campanelli d'allarme. Molti cittadini sono rimasti male, come me, anche del fatto che questa decisione dei Cinque Stelle non abbia generato un grande dibattito. La loro base, la stessa che sei anni fa voleva Rodotà presidente, non ha detto nulla.
Ma come s'inverte questa tendenza? Io ho trent'anni e sono molto preoccupata per questo paese. Venendo dagli studi classici parto purtroppo dalla Grecia antica, dove la politica è un onore che ti avvicina agli dei, e confrontare un politico di quel mondo con quelli attuali genera un contrasto stridente.
Gaber, che io cito spesso e volentieri, in una delle sue canzoni dice "vorrei dire a Platone che un politico è sempre meno un filosofo e sempre più un coglione". E lo diceva nel 1980! Non che stessero benissimo nemmeno ai tempi della Prima Repubblica, fra stragi di stato e vicende come Ustica, però adesso c'è davvero tanta confusione.
Io non ho una ricetta, se l'avessi sarei il primo a consegnarla e mi piacerebbe se qualcuno sapesse dirmi come si fa ad uscirne. Nel libro racconto un episodio che mi ha colpito molto perché è stato uno dei momenti importanti della mia vita.
Il giudice Antonino Caponnetto, dopo aver creato e guidato il pool antimafia e aver visto morire in due mesi Falcone e Borsellino, uscendo dalla camera mortuaria di quest'ultimo disse "è finito tutto".
Quella frase fu devastante, ma Caponnetto se ne rese conto e sentendosi in colpa decise di fare un tour andando a incontrare almeno una scuola in ogni città italiana, pur avendo ormai settantacinque anni. Venne anche nella mia scuola e fu un incontro emozionante per tutti noi. Alla fine ci disse "ragazzi, adesso tocca a voi prendervi in carico questo paese". In quel momento, eravamo nel 1993, pur in mezzo agli attentati, si percepiva una spinta al cambiamento, una volontà di uscirne, anche se durò poco perché l'anno successivo Berlusconi vinse le elezioni.
Adesso non c'è nemmeno una lotta tra una volontà di cambiamento e la negatività, mi sembra che siamo in una fase di stanca e di rassegnazione. La politica appare involuta e servirebbe una spinta che sparigli le carte, ma io non la vedo all'orizzonte. Le elezioni possono portare solo a una crescita dell'astensione. La maggior parte delle persone ha la sensazione di non capire più nulla della politica attuale. Montanelli diceva ai giovani "l'unica battaglia della vostra vita che potrete vincere è la battaglia con il vostro specchio. Quando vi piacerete e sarete soddisfatti di voi stessi avrete vinto".
Questa però è una vittoria privata, una rinuncia alla collettività, che oggi purtroppo non è così distante.

Qual è il meccanismo che ha facilitato la regressione della classe politica? La cultura o la sua mancanza hanno inciso tanto? E perché le donne sembrano essere scomparse dalla politica? Non servirebbe, più ancora che qualche donna in più, una maggiore sensibilità femminile in generale?
Premesso che trent'anni fa avremmo potuto ritrovarci come oggi a criticare la classe politica di allora, perché di fronte a gente profondamente respingente come Gava, Sbardella o Cirino Pomicino persino Di Maio sembra un intellettuale, il confronto rimane: tempo fa in un dibattito mi sono ritrovato insieme a Martelli, che non ho mai amato né votato in passato, ma che quando parla rispetto ai politici attuali ha la statura di un Kennedy o di un Adenauer.
Andando in televisione, spesso ho l'impressione di parlare col nulla,  che dall'altra parte manchino proprio i fondamentali. Il livello è spesso di una bassezza di contenuti indescrivibile.
Però dobbiamo dire che, come nello sport o nel vino, ci sono annate e generazioni che vengono meglio e altre che vengono peggio, perché dipendono dall'humus culturale in cui crescono.
Pensate cos'è stato crescere nel dopoguerra: negli anni Sessanta e Settanta è stata composta la musica più bella in assoluto, almeno per me che amo i cantautori. Erano tutti più ricettivi, più stimolati...
C'è stato uno svilimento un po' di tutto, dalla musica alla letteratura, al cinema, e calando i contenuti in generale è calata anche la politica.
Cosa possono darvi come modelli culturali Salvini, Renzi o Di Maio? Ci sono tante brave persone in politica, ne conosco di destra e di sinistra, ma il livello rimane basso. Il berlusconismo ci ha segnato profondamente e non è certo scomparso.
Riguardo alle donne concordo sul fatto che manca una sensibilità femminile, però bisogna stare attenti a non sopravvalutare certe persone solo perché donne... Non possiamo paragonare la Boschi e Tina Anselmi. Mancano figure femminili notevoli, perché anche lì c'è uno svilimento. Trovatemi cinque donne in politica oggi che vi convincano davvero, ma anche cinque uomini.
Del resto, gli americani tre anni fa, inseguendo il mito della donna in politica, hanno finito per far vincere Trump.

Tu mescoli politica e cultura pop. Metti la musica in apertura di ogni capitolo, parli spesso per immagini: ad esempio, di Berlinguer parli della sua morte e del suo funerale più che della sua politica. Perché?
Tendo sempre ad associare ogni vita a una musica, per cui la musica non poteva non esserci. Per me tutto ha una colonna sonora, sono associazioni che mi vengono naturali anche perché io ho un passato da critico musicale. Detesto tutto ciò che è verboso, prolisso e autoreferenziale, per cui mi va bene essere pop. Se c'è una cosa che ha allontanato il cittadino dalla politica è l'idea che si debba usare un linguaggio da iniziati. A me fa piacere se un ragazzo che dice di non capire nulla di politica viene a dirmi di aver capito un trenta per cento in più leggendo i miei articoli.
Su Berlinguer hai ragione, ma credo che su du lui esistano almeno trecento libri e non c'era bisogno di un capitolo su di lui scritto da me. Così ho cercato di scrivere di certe persone offrendone dei flash, partendo da un particolare. Purtroppo nel caso di Berlinguer non riesco a non pensare alla sua morte in diretta: per uno come lui la politica giustificava il sacrificio fino alla fine. È morto per non tradire i suoi compagni e compagne. Ancora adesso non riesco a rivedere il filmato del suo ultimo discorso, in cui vedi tutto il suo dramma personale e la volontà di arrivare alla fine nonostante stesse male. Nessuno mi toglie dalla testa che se si fosse fermato prima avrebbe avuto qualche possibilità di salvarsi, ma lui questa possibilità se l'è negata. Ne ho parlato proprio per sottolineare il dislivello tra la politica di allora e la robetta attuale. Del resto, guardate il sottotitolo di questo libro: accostare Berlinguer a Salvini suona come accostare i Pink Floyd a Povia.
Io vengo da una famiglia di sinistra, in cui si pianse per due mesi dopo la morte di Berlinguer, ma rimane comunque un esempio totale. Pertini a sua volta ha una biografia straordinaria e non potevo non raccontarla.

Non per abbassare il livello, ma di Renzi cosa ci puoi dire?
Che è sempre stato sopravvalutato, e fin dal principio questo si poteva capire. Abbiamo la stessa età e amici comuni, veniamo da due città vicine e quindi io ho iniziato a osservarlo molto presto.
C'è una differenza tra Berlusconi, Salvini e Renzi?
Tra Berlusconi e Renzi c'è la differenza che c'è tra maestro ed allievo, ma il maestro rimane migliore dell'allievo come l'originale è sempre meglio della copia. Renzi ha fatto sue le ricette della destra pur di far vincere il pd e per un po' ha funzionato, ma poi è crollato tutto.
Del resto Berlusconi è bravo: ha vinto come imprenditore, come sportivo, come politico, mentre Renzi resta un personaggio debole e marginale.
Salvini è diverso: non ha poi molto in comune con Berlusconi, come Renzi è fanfarone  e non ammette mai di sbagliare, ma è diverso perché ha un'idea differente della destra, un'idea che bisogna comprendere pienamente per combatterla. Non è propriamente nazista o fascista, per combatterlo devi stanare e dimostrare tutte le sue lacune. È uno che sguscia come un'anguilla, sa parlare, ma concretamente non ha fatto nulla. Se guardate alle sue mosse politiche, sono nulle, a partire dal decreto sicurezza che aumenta il rischio della criminalità e della clandestinità. Per non parlare della legittima difesa, della legge Fornero che vuole smantellare da sei anni, delle accise sulla benzina che non ha tolto ... Salvini è uno che in nove mesi non ha fatto praticamente niente, ed è questo che dovrebbe essergli continuamente rinfacciato.
Quando gli italiani capiranno i bluff di Salvini?
Questo governo non è destinato a durare, perché Lega e Cinque Stelle sono diversissimi, ma è nato perché non c'erano alternative, e non ci sono nemmeno adesso. Se il governo cade, non ho più Nenni, Parri o Pertini, e rischio di beccarmi Salvini con Berlusconi e con la Meloni, ed è questa la mia grande paura. L'operazione per uscire da questa situazione sarà molto lunga, perché deve crescere una vera alternativa, che per ora non c'è. La disillusione degli italiani da Renzi è stata molto veloce, quella da Salvini temo che durerà un po' di più.


La politica è una cosa seria di Andrea Scanzi (Rizzoli) è n libreria, al prezzo di copertina di 16€.

Nessun commento :

Posta un commento