Le indagini di Sara sono arrivate al loro secondo capitolo, ed è proprio dalla protagonista che ha inizio la discussione sul romanzo, Napoli e le ispirazioni letterarie di Maurizio De Giovanni.
È evidente che Sara e Teresa vengono percepite come speculari una all'altra.
Quanto sei partito da Sara per costruire la sua controparte, e quanto pensi invece che scrivere di Teresa abbia regalato qualcosa anche a Sara?
Sara e Teresa hanno un passato professionale in comune, ma in realtà la loro amicizia resta un po' un mistero. Sara e Teresa hanno condiviso tutto ed erano complementari, Sara nella silenziosa interpretazione, Teresa nell'effervescenza delle conclusioni, come due segmenti di uno stesso processo. Si completavano, avevano bisogno una dell'altra.
Quando hanno finito di lavorare insieme si sono separate, ma si reincontrano nel terreno fragile dell'amore. L'amore ci rende fragili, e ci scopre la gola. Teresa si scopre nel momento in cui deve rinunciare a un certo tipo di avvenenza e ha bisogno di conforto: è una lupa rimansta senza branco, e ha bisogno di Sara a completarla. Sara la salva con la menzogna, perché la bugia è sempre meglio della verità, altrimenti non sarebbe necessaria. Questo libro in realtà è la storia di un'amicizia.
Rispetto al libro precedente, Sara appare un po' meno invisibile, si rivela di più al lettore.
È la nuova famiglia a cambiarla?
È l'interesse nei confronti del futuro. Prima aveva solo in mente una gestione personale della giustizia, ora si sente responsabile verso il futuro, che deve essere migliore del presente.
In realtà, più che una famiglia, attorno a Sara hai costruito una squadra di supereroi e il libro è molto più corale del precedente. Come ti sei rapportato a tutti questi personaggi?
Se vuoi affrontare un personaggio e raccontarlo gli devi volere bene, anche se è un personaggio terribile, un pedofilo, uno stragista o un omicida: se non gli vuoi bene, non sei grado di comprenderlo. Il mio coinvolgimento nei confronti di Sara e della sua cerchia è sempre maggiore perché conosco sempre di più i loro sentimenti, le paure, le fragilità.
Un autore scrivendo entra in contatto con i suoi personaggi e più ne scrive più li conosce.
Da autore, credo che Le parole di Sara sia migliore del precedente volume della serie proprio perché conosco meglio i personaggi.
Ci racconterai qualcosa di più del passato di Sara nei prossimi romanzi?
A me interessa il riflesso del passato sul presente, e anche se mi piacerebbe andare a ficcare il naso nel mistero di Ustica o in quello di Emanuela Orlandi - sarebbe pure commercialmente vantaggioso -, il mio compito è quello di raccontare il presente che non vediamo. Sara mi serve a questo, non a raccontare di papa Luciani o del delitto Moro. Anche l'invisibilità di Sara è una grossa tentazione.
Non l'ho quasi mai descritta come nonna, ad esempio.
Il grande amore può giustificare l'abbandono del figlio? Sara è forte perché ha seguito l'amore, oppure è debole perché non ha avuto la forza di rinunciare e restare in famiglia?
Sara ha un principio di fondo: io non mento. Il mio lavoro è smascherare la menzogna e la mia vita riflette tutto questo. Non mi tingo i capelli, non porto le scarpe col tacco, non mi vesto con abiti eleganti ma scomodi. Quando s'innamora, Sara capisce che non può fare altro che seguire l'amore, anche se questo contempla l'abbandono del figlio. Eticamente la sua scelta è atroce, soprattutto per me che ho vissuto nella realtà come il marito di Sara, crescendo i miei figli da solo, ma come personaggio non poteva fare altrimenti.
Teresa, donna alfa che demoliva tutte le convenzioni sul suo sesso, alla fine sembra quasi punita per le sue scelte. Perché?
Il romanzo nero racconta una cosa: le imperfezioni. Noi non raccontiamo i muri, ma le crepe, i buchi, le feritoie, l'amore che diventa odio. I personaggi sono tanto più riusciti quanto meno perfetti.
La donna alfa o l'uomo forte che restano uguali dalla prima all'ultima pagina danno un brutto libro.
La realtà non è manichea, se i personaggi non sono sbagliati non sono veri.
Teresa è fortissima ma fragile, come è giusto che sia.
Sono rimasta colpita dal modo di raccontare Napoli, che qui appare molto diversa rispetto a quella descritta in altri tuoi libri. Come sei arrivato a descriverla così fredda, grigia e anonima, tanto che porebbe essere qualsiasi altra città?
Napoli con Sara offre la migliore interpretazione di se stessa, perché in realtà è un personaggio. Interpreta un ruolo accorato, dolente, dignitoso e disperato nei romanzi di Ricciardi, così come diventa rumorosa, policroma, polifona, plirale, invadente e anche pericolosa nella serie dei Bastardi di Pizzofalcone. Con Sara è fredda, distante, borghese e ostile. Guarda l'orticello e difende se stessa.
Se venite a Napoli e andate nel Vomero, che è il quartiere dove vive Sara, lo trovate come l'ho descritto.
Anche il linguaggio secondo me è cambiato, molto scarno e meno ricco. Negli altri tuoi romanzi era più barocco. Torna più ricco quando parli della storia d'amore passata di Sara.
Quella di Sara e Massimiliano è la più bella storia d'amore che ho mai scritto. Il ricordo di un amore così è talmente vasto che colma tutti i vuoti successivi.
Nonostante il generedi appartenenza, l'amore ha un ruolo importante in entrambi i romanzi di Sara, soprattutto nel secondo. Quanto è importante parlare d'amore in un romanzo noir?
Io parlo sempre d'amore. Non c'è un mio romanzo o racconto dove non ci sia. L'amore è un inferno, perché chi s'innamora scende in un inferno, non va in paradiso. Ti fa vedere la felicità dietro un vetro, è una debolezza, un'incrinatura dalle conseguenze imprevedibili. Per me è impossibile scrivere un romanzo noir senza l'amore. Sara non mente e non si nasconde, però nasconde le sue manifestazioni d'amore. Le nasconde perché potrebbe parlarne solo in caso di necessità, ma parlarne non serve a nessuno. Ricciardi ha dentro di sè la compassione, Lojacono l'orgoglio ferito, Sara il pianto.
Quanto divertimento, invece, c'è nella tua scrittura?
Non c'è autore napoletano che, per quanto tragico, non abbia in sè vene comiche, e viceversa. Gomorra è un libro terribile, ma il capitolo in cui i camorristi si attribuiscono i soprannomi è divertentissimo. È una cifra precisa degli autori napoletani. Dai senso al nero solo se fai vedere anche il bianco.
In passato hai citato Stephen King come uno dei tuoi maestri, in cosa ti ha ispirato?
Parliamo di uno che si sente un nano di fronte a un gigante, anche se vendessi quattro volte i libri che vendo mi sentirei solo un pallido imitatore. Direi che da Stephen King ho preso la modalità narrativa dei romanzi di Ricciardi, così come McBain mi ha ispirato i bastardi di Pizzofalcone e Le Carré il mondo di Sara.
Le parole di Sara di Maurizio De Giovanni (Rizzoli) è in libreria, al prezzo di copertina di 19€.
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