Da quest'anno, il blog ospita le recensioni e le interviste di Veronica Lempi, già collaboratrice de Gli Amanti dei Libri. Ecco la sua intervista a Blue Jeans fatta a Milano, davanti a un aperitivo!
In Spagna è già caso editoriale, per l’undicesima volta, ed è già alla quinta edizione ad un solo anno dalla data di pubblicazione. Blue Jeans - nome d'arte di Francisco de Paula - atterra in Italia con il suo ultimo titolo, La ragazza invisibile (DeA Planeta).
Una sfida, oltre che un’avventura. Un undicesimo libro che sa di esordio.
Perché Blue Jeans, che da sempre scrive libri cuoriciosi - come ama descriverli lui - dedicati ad un pubblico adolescente alle prese con i temi caldi dell’età, questa volta si presenta con un Thriller.
I protagonisti sono ancora giovani, il set d’azione è di nuovo la scuola, ma il genere è totalmente distante e rivoluzionario rispetto al suo solito. Un primo titolo che si prospetta parte di una trilogia, ma che pare essere già (quasi) tutta scritta, o quantomeno in testa all’autore.
Non c’è spazio per dubbi, quindi: Blue Jeans, che del romanzo thriller /giallo è anche grande fan, desidera scalare questa nuova vetta ed evolvere in senso letterario.
Da dove deriva questa improvvisa scelta di cambiamento? Hai sempre scritto (10 ad oggi, ndr) libri romantici per adolescenti. Quando è scoccata la scintilla che ti ha portato a cambiare genere?
Questo romanzo nasce dalla necessità di un cambiamento. Dopo dieci libri con cuori in copertina, definiti romantici, percepivo la necessità di un cambiamento. Necessità da parte mia, della mia casa Editrice, dei miei lettori. Il Giallo è un genere che mi appassiona molto fin da quando ero piccolo, mi piace molto il mistero, il genere Noir, e non ho voluto abbandonare del tutto il mondo dei giovani, perciò questo libro è un mix di generi: unisce l’universo Blue Jeans con la passione di Blue Jeans.
Quanto influisce sull’ansia da prestazione di questo debutto il fatto che il thriller sia il tuo genere preferito?
Il mio più grande timore era come lo avrebbe recepito il lettore, il mio pubblico. Dopo dieci libri “con cuoricini”, questo era il mio pensiero: i miei lettori di sempre, avrebbero apprezzato questo cambiamento? Oltre tutto quei romanzi andavano benissimo! Però necessitavo a tutti gli effetti di uscire dalla mia zona di confort e di sperimentare, di crescere sia come autore, sia come persona. La seconda più grande paura era invece che fossi in grado di scrivere una storia ricca di incastri, dettagli, temevo di non riuscire a far “quadrare” il tutto alla fine. Il timore si è presentato, però, prima che iniziassi a scrivere; quando ho iniziato a scrivere, la struttura nella mia testa si era fatta ben chiara e quindi sono andato avanti. Ora il libro è scritto, è uscito, in Spagna ormai da un anno e siamo già alla sua quinta ristampa, perciò non ce n’è più motivo.
Essendo uno dei tuoi generi preferiti, possiamo dire che hai inserito un po’ di esperienza da lettore per la stesura de La ragazza invisibile?
Diciamo che mi sono ispirato a tutti i romanzi che ho letto, in particolare a uno stile, quello classico che caratterizza tutte le storie di Agatha Christie, quindi, fatti i debiti parallelismi ho adattato il suo schema alla società e al contesto in cui ci troviamo oggi, con i suoi temi caldi, problemi, tecnologia…
Un crimine all’inizio, uno svolgimento in cui tutti sono possibili sospetti ed in fine con un colpo di scena, si arriva alla rivelazione. Questo è un approccio che avevo ben chiaro nella mia testa fin da subito quando ho iniziato a stendere il libro. Ho utilizzato un vario cast di personaggi, nonostante la protagonista sia Julia la storia si svolge anche grazie ad altri soggetti.
Quanto è stato difficile adattare un classico alla nostra epoca, e soprattutto pensando di doversi poi rivolgere ad un pubblico di giovani?
Scrivere è sempre difficile, anche dopo dodici libri lo penso. Nutro una certa ammirazione per chi riesce a riempire un foglio bianco da un momento all’altro. In questo caso poi, con un romanzo poliziesco, non è assolutamente concesso commettere errori. Non si può in termini di informazioni fornite, di descrizioni, per esempio quando racconti come avviene un processo: mi sono molto documentato per questo e mi sono venuti in aiuto anche i miei genitori che sono molto informati su questo tema. Un’ulteriore difficoltà riguarda il fatto che non ho voluto esagerare con la quantità di dati forniti, per non annoiare il lettore: rivolgendomi ad un pubblico giovane non mi sembrava il caso. È sicuramente il libro che mi ha costato più fatica. Ho anche cambiato il mio metodo di stesura: mi sono comprato una lavagna su cui segnavo la timeline dei fatti, i personaggi, i sospetti, gli incastri…
Avevi già idea di come sarebbe terminato il romanzo?
Questo è stato il romanzo per cui ho avuto più chiaro in assoluto il finale, per gli altri dieci ho sempre deciso la conclusione quattro o cinque giorni prima di scrivere la parola “fine”. Mi sono sempre fatto guidare dall’istinto del momento. Qui invece avevo bisogni di avere tutto ben chiaro dall’inizio, visto che c’era un crimine. Tuttavia, l’epilogo che troviamo nel libro oggi non è il primo che ho scritto. È la prima volta che la casa editrice mi dice di ripensare la fine di un romanzo. Per questo motivo, ho proposto quattro diversi finali possibili e insieme abbiamo scelto quello che avrebbe funzionato maggiormente. È leggermente diverso dal primo, ma devo dire che oggi sono estremamente soddisfatto e orgoglioso di come termina il libro.
Da quando hai iniziato a scrivere, lo fai tutti i giorni nello stesso Starbucks, uno dei più frequentati di Madrid. Quanto dei tuoi libri deve al luogo di scrittura e quando questo influenza le tue trame?
Ti capita mai di ispirarti alle persone che osservi entrare ed uscire dal locale?
Potrei dire di sì, ma mentirei perché un’idea può sopraggiungere in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo. Io passo otto ore al giorno, tutti i giorni dal lunedì alla domenica per nove mesi nello Starbucks di Callao. E l’idea può qualche volta nascere da una canzone che passa alla radio mentre sto scrivendo o dalla gente che entra, però non so dirtelo perché non so come funziona questo meraviglio oggetto che è il nostro cervello. Quando un’idea arriva, c’è all’improvviso e non so da dove e come arrivi. Non me lo so spiegare, e non so dire proprio come la testa produca un’idea. Immagino che la maggior parte della creatività venga dalla nostra mente, dalle esperienze e dalla vita che abbiamo vissuto. Lo Starbucks di Callao è un po’ come il mio ufficio, è il luogo che mi aiuta a seguire una disciplina mentre scrivo: quattro ore al mattino e quattro ore al pomeriggio. Ho incominciato ad andare lì a scrivere perché all’inizio vivevo in una casa così piccola che non aveva nemmeno spazio per un tavolo o una scrivania.
Continuerai a dedicarti a questo genere letterario?
Questa è una trilogia, in realtà in questo momento sto scrivendo la terza parte, benché in Spagna non sia ancora uscita la seconda parte “Il puzzle di cristallo”, che uscirà il 26 marzo. In realtà non posso proprio fermarmi: ora sono in tour in Italia, poi rientro e inizio il trasloco a casa, quindi addio allo Starbucks di Callao! Il 29 marzo inizierò un tour in 30 città diverse della Spagna per il nuovo libro, che durerà circa fino alla fine di giugno e nel mentre dovrò continuare a scrivere la terza parte. Cosa mi porterà il futuro? Diciamo che è una decisione divisa in tre: 33% è potere decisionale mio, 33% della casa editrice e 33% dei lettori. Se siamo tutti d’accordo nell’andare avanti con il genere del mistero sarà così, se invece dovrò tornare alle copertine con i cuoricini lo farò, se invece dovrò tentare un thriller un po’ più forte con dettagli più specifici proverò a cimentarmi anche in quello.
Io amo scrivere e mi reputo fortunato di poter fare ciò che mi piace come lavoro.
La ragazza invisibile di Blue Jeans (DeAPlaneta) è in libreria, al prezzo di copertina di 18€.
lunedì 4 marzo 2019
Intervista a Blue Jeans su "La ragazza invisibile", la passione per il giallo e la scrittura da Starbucks
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