Ieri abbiamo avuto il piacere e l'onore di incontrare Andrea Marcolongo, che ci ha raccontato il suo ultimo libro, "La misura eroica", in libreria grazie a Mondadori (brossurato a 17€):
Giasone è solo un ragazzo quando, inesperto del mare e della vita, insieme ai compagni Argonauti salpa con la nave Argo, la prima costruita da mano umana, verso la remota Colchide alla ricerca del leggendario vello d’oro. Per poi, vittorioso, fare ritorno con l’amata Medea nell’Ellade, fra le paure, le tentazioni e le insidie proprie di ogni lunga navigazione in mare aperto.
Quella narrata da Apollonio Rodio nelle Argonautiche, e magnificamente ripresa da Andrea Marcolongo in queste pagine, è la storia universale e sempre attuale del delicato passaggio all’età adulta di un ragazzo e una ragazza, che trovano la «misura eroica» attraverso il viaggio e l’amore. Ed è il racconto della difficile arte di partire, abbandonando la terraferma e varcando quel confine che siamo chiamati a superare ogni volta che qualcosa di potente ci accade e ci cambia per sempre. Per diventare grandi, non importa quanti anni si abbiano.
Poiché, però, prendere il mare significa esporsi al pericolo di naufragare, ai versi del capolavoro della poesia ellenistica l’autrice affianca, in una sorta di controcanto, la prosa disadorna ma pregnante di How to Abandon Ship. Come abbandonare una nave, un manuale inglese del 1942 che qui, a dispetto del titolo, non rappresenta un manuale di fuga, ma un compendio di strategie per resistere e superare i naufragi della vita.
Dopo il bestseller La lingua geniale, in cui ha mostrato quanto profonde siano le tracce lasciate dal mondo greco nella nostra contemporaneità, Andrea Marcolongo torna a scrivere per raccontare il suo personale viaggio verso quella agognata Itaca che è per tutti l’età adulta. Forse l’unico modo, sicuramente il più sincero, per rispondere alle domande dei suoi tanti lettori. C’è ancora posto per il passato nel nostro futuro? Perché la paura deve essere necessariamente un sentimento di cui vergognarsi? Perché non ci siamo mai sentiti così soli nella storia dell’umanità? Perché ogni giorno tutti noi – umani e contemporanei Argonauti – navighiamo attraverso i mari per diventare diversi da come eravamo quando abbiamo lasciato la riva?
"La misura eroica" ci ricorda quello che ogni viaggiatore dovrebbe sapere. Qualunque meta non è mai il punto di arrivo, ma è innanzitutto il punto di svolta: il senso di qualunque scelta, di qualunque viaggio, non è il dove si arriva, ma il perché si parte.
Ho amato profondamente il libro, che non è un romanzo che coinvolge allo stesso modo, che è un saggio ma che si legge tutto d'un fiato, e che è impossibile chiudere senza aver sottolineato paragrafi interi.
È stato bellissimo poterne incontrare l'autrice, e scoprire in lei una persona affascinante, dolce e con tantissime cose da dire: ecco cosa ci siamo raccontati!
Ho apprezzato tantissimo il fatto che il tuo libro parta da un viaggio mitico per far compiere al lettore un viaggio dentro se stesso. In questo senso, non è un libro di autoaiuto ma è un libro che ti aiuta. Qual è il viaggio che hai compiuto tu scrivendolo?Questa tua domanda sintetizza il libro, che di sicuro non è un libro di autoaiuto, ma di autodomande. Che viaggio ho fatto per scriverlo... sicuramente ho fatto un viaggio lungo, perché la verità è che, dopo il primo libro, non volevo più scrivere di cose antiche. Avrei scritto qualunque cosa, persino di botanica, pur di non scrivere più di greco, perciò ho preso tempo, ho fatto un viaggio interiore e ho cercato di capire cosa volessi. Dovevo mantenere una promessa con i miei lettori, quindi ho pensato che non potevo comunque scrivere qualcosa che non riguardasse l'antico, perché è tanta parte di me.
Alla fine ho scritto un libro che parla di contemporaneo, sì, ma attraverso l'antico.
Parlo di un viaggio che non è arrivo ma punto di svolta, e per me questo libro lo è stato.
A me è piaciuta tanto l'analisi che lei fa sulla parola: la trovo coerente con i tratti della nostra società, che ormai fa fatica a usare le parole, ma allo stesso tempo non cerca più d'interpretare il silenzio. Lei cosa ne pensa?
Stamattina ero in una scuola a presentare il libro e un ragazzino, tra l'altro di origine straniera, osservava ammirato "quante parole abbiamo, in italiano" anche se la sensazione generale è proprio che queste parole le stiamo perdendo.
La mia ricerca e il mio voler tornare all'origine delle parole non è un "salviamole" o "troviamo le parole migliori", non vuole essere nozionismo: per quello esistono i dizionari. Però vedo senza dubbio una grande difficoltà nell'esprimersi, giri di parole e neologismi inutili, perché sostituiscono parole già esistenti.
Non c'è una differenza tra le parole che evitiamo nelle conversazioni reali e quelle che usiamo davanti a uno schermo, dove a volte si eccede con le parole?
Pensando al nostro momento storico e tecnologico, come cambia l'uso delle parole in rete?
È un argomento che mi tocca, visto che anch'io sono dotata di social network. Pensando a quello che scegliamo di condividere, a me viene da mettere solo le parti belle della mia vita: le foto in cui sorrido, il resoconto di momenti in cui va tutto bene. Mi verrebbe difficile postare una foto in cui piango, per esempio. Solo che a volte mi confondo tra vita privata e vita online, che è comunque la mia vita privata ma filtrata. Forse offro immagini migliori sui social network rispetto alla realtà: non sono finte, ma forse mi rappresentano come vorrei vedermi, creando una proiezione della mia parte bella. In realtà, faccio più fatica a raccontare come sto alle persone che mi sono vicine, mentre ho un dialogo meraviglioso con i lettori che incontro.
Perché a fronte di un numero sterminato di miti greci, tra cui parecchi affrontano il tema del viaggio, ha scelto proprio gli Argonauti?
In generale perché non so scrivere di quello che non amo, e ho sempre sentito di amare in modo particolare il mito degli Argonauti. Tutti conoscono la storia di Medea, ma pochi si ricordano della prima parte del mito. Mi sono laureata con una tesi sulla Medea latina di Seneca, ma evidentemente dovevo ripercorrere quel viaggio. È forse il mito più antico della letteratura greca, anteriore anche all'Iliade e all'Odissea, che racconta il viaggio della prima nave costruita al mondo. Questa esigenza della cultura greca di non dare nulla per scontato è affascinante.
Su questa prima nave viaggiano poi quaranta ragazzi, che non sono certo i più bravi marinai della storia della Grecia. Non sono supereroi. E poi cos'era mai questo vello d'oro che andavano a cercare?
E poi il motivo più emozionnte, forse: la prima nave al mondo non parte per una guerra ma per trovare l'amore, e lo trova in una terra straniera e lontana. Fuori dalla Grecia. Questo mi è sempre sembrato molto bello.
Però c'è il timoniere, leggermente più esperto.
Sì, è innegabile l'importanza della guida di un timoniere esperto: da soli non si va molto lontano, c'è sempre bisogno di una guida che ci stia accanto, senza sostituirsi a noi.
Pensate anche a Dante, che non può raggiungere il Paradiso da solo.
Mi ha sempre sorpreso la modernità dell'amore tra Medea e Giasone, perché spesso l'amore rappresentato nel mito appare un po' artefatto, cristallizzato in un modello arcaico in cui è difficile ritrovarsi nel 2018. Invece nel tuo libro l'amore tra loro due è l'amore che ha il coraggio di chiedere, di dire di cosa ha bisogno è un amore attivo. È anche per questo che hai scelto questo mito?
Sì, questo è il cuore della questione. Sono sempre stata affascinata da una donna come Medea. Tutti conosciamo com'è andata a finire e la consideriamo malvagia, anche se quello che è successo dopo è descritto nell'ambito di una tragedia, mentre qui siamo nella letteratura. È una storia d'amore eccezionale, fuori della norma, che ho ritrovato forse solo in Orhan Pamuk, nel suo "Il museo dell'innocenza". In entrambe le storie c'è il coraggio d'innamorarsi, che sia la prima volta, o la seconda, la terza... poter dire che magari non è andata bene ma ne è comunque valsa la pena.
Ripercorrendo poi le varie "versioni" di Medea nel mito e in ltteratura, si vede come sia arrivataa costituire proprio l'archetipo del personaggio femminile, e questo stupisce perchè di fatto Medea è una straniera. Nell'Iliade e nell'Odissea i personaggi femminili sono molto più semplificati – abbiamo la moglie, la madre, la brava ragazza, la ragazza cattiva, la ninfa seducente –, mentre Medea è tutte queste cose insieme, esattamente come noi. Medea non deve cercare nessun Vello d'oro, non ha una meta, parte solo per trovare l'amore. E il suo è il viaggio che richiede forse più coraggio in assoluto.
Non si può non chiedertelo, in chiusura: tornare è più difficile che partire?
Apollonio Rodio è più interessato al viaggio che a come terminerà la vita dei suoi eroi, e credo che forse sia più una nostra esigenza quella di sapere come va a finire. Di sicuro scrivere questo libro è stato un tornare indietro. Se scrivendo il mio primo libro tornavo alla me stessa quattordicenne liceale, qui torno alla me stessa venticinquenne, alla fine di una mia storia d'amore.
Sei partita da una fine per raccontare un inizio.
Esattamente, proprio così.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
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