Tra la Sicilia di oggi e la Piccola Sicilia, quartiere di Tunisi, del 1941, il nuovo romanzo di Daniel Speck (già autore di Volevamo andare lontano, un successo da mezzo milione di copie in Germania, ndr) racconta la storia di due famiglie tra passato e presente, le cui sorti sono spezzate e unite a loro insaputa.
Piccola Sicilia (Sperling&Kupfer) è già in libreria, e abbiamo incontrato l'autore a Milano: ecco cosa ci ha raccontato!
Partiamo dal principio: com'è nata questa storia?
Da una ricerca storica, e dalla scoperta di una storia vera che mi ha colpito: quella di un soldato tedesco, di nome Richard Habel, che in Tunisia nel 1943 ha salvato la vita di cinque ebrei italiani, ed è una storia rimasta sconosciuta. La cosa bella è che poi i genitori di uno dei cinque ebrei hanno salvato lui. Richard doveva custodire questi cinque ebrei fatti prigionieri perché erano della Resistenza. Lui parlava un po' l'italiano e per questo il suo rapporto con i prigionieri si era fatto più umano. Quando gli hanno detto che i prigionieri sarebbero stati fucilati il giorno dopo, li ha fatti scappare. Uno dei cinque prima di scappare gli ha dato un biglietto con l'indirizzo dei suoi genitori a Tunisi, sperando che potesse dire loro che si era salvato. I cinque riescono ad arrivare a Parigi, mentre a Tunisi dopo tre mesi arrivano gli Alleati. Habler si ricorda del biglietto e raggiunge la casa dei genitori del prigioniero, che lo accolgono e lo tengono con loro per due anni fino alla fine della guerra. Quando ho scoperto questa storia mi sono chiesto come mai nessuno ne avesse ancora ricavato un libro o un film, per cui ne ho fatto la base del romanzo. Sono stato a Tunisi e ho visto tutti i luoghi di cui parlo, a partire dall'Hotel Majestic che era effettivamente la base della Whermacht, e poi il quartiere chiamato Piccola Sicilia, poi ho fatto le mie ricerche. Attorno alla storia del soldato tedesco ho costruito tutto il resto: la vita in quel quartiere com'era fino all'arrivo dei tedeschi, la convivenza tra persone molto diverse. Dove finisce la storia vera inizia la mia storia letteraria, molto drammatica, complicata e anche scandalosa.
Visiti sempre i luoghi di cui parli?
Sì, assolutamente. Potrei scrivere un romanzo anche restando in camera mia, però non riuscirei a descrivere i luoghi allo stesso modo, perché per me è fondamentale "sentirli". Io mi espongo ai luoghi, alla realtà, e la descrivo come la sento sperando che poi il lettore lo avverta nello stesso modo. Del resto questa per me è la differenza tra scrivere romanzi e sceneggiature, che sono molto più asciutte.
Come autore tedesco, puoi avere delle difficoltà a raccontare le vicende dei militari tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, visto che in genere nei film e nei libri i tedeschi sono quasi sempre i cattivi della situazione? Com'è stato mettersi nei panni di un tedesco buono?
Mio nonno, che è ancora vivo, è stato un giovanissimo militare negli ultimi due anni di guerra, dai sedici ai diciotto anni, ed è stato un soldato buono. Il suo modo di raccontarmi la guerra mi ha aiutato a mettermi nei panni di Moritz, un tedesco normale che non è nazista e si pone molte domande su ciò che è giusto che è sbagliato. La difficoltà non stava tanto nel personaggio di Moritz quanto nel capire le regole dell'esercito. Io non ho nemmeno fatto il militare, ho scelto il servizio civile, per cui per me è difficile comprendere certe cose.
Conosci bene la Sicilia, visto che ne hai parlato in entrambi i romanzi?
Sì, di alcuni luoghi mi sono proprio innamorato. Ad esempio di Salina, da cui facevo provenire la famiglia Marconi protagonista del romanzo precedente: è un'isola nell'isola. Per questo secondo romanzo cercavo un luogo nel Sud della Sicilia perché cercavo il punto di collegamento tra Tunisia e Sicilia, e i tedeschi utilizzavano l'aeroporto di Trapani. Così sono andato a Marsala, dove ho trovato degli alberghi molto affascinanti, e delle spiagge desolate ma davvero ammalianti dove ho ambientato la vicenda di Nina. La sua storia è un po' come quella di Sherazade in Le mille e una notte: ogni sera si incontra con Joelle e riceve da lei un pezzo della sua storia.
Anche nel passato si parla di Sicilia perché racconto lo sbarco alleato sulla sua costa.
Il tema del pregiudizio, della razza, del rifiuto di chi non è uguale a te era già al centro del romanzo precedente e qui torna: è stata una scelta precisa? Trovi che sia importante parlarne in questo preciso momento storico?
È importantissimo parlarne oggi. L'ho scelto perché mi ha colpito durante le ricerche. Conoscevo la storia di Schindler, o dei tanti italiani che hanno salvato ebrei durante la guerra, ma nessuno sa quanti musulmani abbiano salvato ebrei. Noi pensiamo che musulmani ed ebrei siano nemici eterni, ma non è affatto vero: fino agli anni Quaranta gli ebrei stavano meglio nella società musulmano che in Europa e si sentivano più vicini ai musulmani che ai cristiani. Le due religioni sono simili, e così tante tradizioni: erano anche più frequenti i matrimoni tra ebrei e musulmani che tra ebrei e cristiani. Quando ho scoperto queste storie ho pensato che dovevamo ricordarcele per non cadere nella trappola dei nostri pregiudizi. L'odio tra musulmani ed ebrei non è affatto religioso: è nato con il conflitto tra Israele e la Palestina. È uno scontro territoriale, non religioso.
Facendo queste ricerche ho chiarito i miei pregiudizi personali. Cerco sempre di scrivere delle storie che aprano la mente e facciano scoprire al lettore qualcosa di nuovo. Il mondo della Piccola Sicilia, dove c'erano una chiesa, una mosche e quattordici sinagoghe, con un quindici per cento di popolazione ebraica (quando a Berlino gli ebrei costituivano solo il tre per cento della popolazione), era per me un mondo sconosciuto e interessante, che volevo far rivivere per superare i pregiudizi contemporanei.
Hai annunciato che questo romanzo avrà un seguito. Quando hai iniziato a scrivere Piccola Sicilia sapevi già che la storia sarebbe proseguita?
Ho iniziato a scrivere pensando a una grande storia che andasse dal 1942 ad oggi. Poi sono andato da Fisher, il mio editore tedesco, a proporla, e la storia è piaciuta, ma iniziando a scriverla mi sono reso conto che ne sarebbero venute fuori almeno mille pagine. Troppe per un unico volume, ma potevano costituire due romanzi. Ho dovuto pensare a lungo, per poter scrivere una finale che fosse compiuto ma che al tempo stesso lasciasse la possibilità di una continuazione. Adesso sto scrivendo il seguito.
Ci saranno gli stessi personaggi ma si svolgerà in luoghi diversi, a partire dalla Palestina che diventa Israele, poi si passerà in Europa e di nuovo in Sicilia e in Tunisia. Il periodo storico è quello dal dopoguerra in avanti. Parlerò di personaggi che sono in fuga, in trasferimento, che si devono reinventare.
Quali sono le storie che ti hanno formato e influenzato di più?
Prima di tutto credo quella di mio nonno, nato in Slesia, parte della Germania ormai diventata Polonia. Ha avuto un'infanzia felice, per poi essere mandato in guerra a sedici anni. Due anni dopo, al termine della guerra, non sapeva più nulla della sua famiglia, non aveva più una casa né un luogo dove tornare. Alla fine è stato ospitato da un amico a Monaco, ma ha ricordato per sempre la Slesia, il suo "paradiso perduto" al quale non poteva fare ritorno.
Poi è diventato insegnante all'orfanatrofio di Monaco, dando lui stesso accoglienza a tutti coloro che erano senza una casa, proprio come lo era stato lui.
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