Puntuale come ogni anno, Disney invade ogni rete e piattaforma per intrattenere grandi e piccini fino a Natale. Dai live-action ai grandi classici, ce n'è davvero per tutte le età e per tutti i gusti!
La programmazione è in costante cambiamento e aggiornamento, ma ecco cosa ci aspetta da qui all'Epifania:
12 dicembre
Pretty Princess, in onda alle 21:20 su Rai2
13 dicembre
14 dicembre
Il cowboy con il velo da sposa, in onda alle 20:10 su Paramount Channel
15 dicembre
16 dicembre
17 dicembre
La spada nella roccia, in onda alle 21:10 su Paramount Channel
Il libro della giungla (live-action), in onda alle 21:30 su Canale 5
18 dicembre
19 dicembre
Principe azzusso cercasi, in onda alle 21:20 su Rai2
20 dicembre
21 dicembre
22 dicembre
23 dicembre
Film Disney, in onda alle 21:20 su Rai
24 dicembre
La bella e la bestia (live-action), in onda alle 21:20 su Rai1
25 dicembre
Oliver & Company, in onda alle 18:30 su TV2000
Film Disney, in onda alle 21:20 su Rai
26 dicembre
Film Disney, in onda alle 21:20 su Rai
27 dicembre
28 dicembre
Basil l’investigatopo, in onda alle 21:15 su TV2000
29 dicembre
30 dicembre
Film Disney, in onda alle 21:20 su Rai
31 dicembre
Film Disney, in onda alle 21:20 su Rai
1 gennaio
2 gennaio
3 gennaio
4 gennaio
5 gennaio
6 gennaio
Film Disney, in onda alle 21:20 su Rai
giovedì 12 dicembre 2019
mercoledì 11 dicembre 2019
La vita gioca con me: intervista a David Grossman
David Grossman è tornato in libreria a novembre con il suo ultimo romanzo, La vita gioca con me (Mondadori). Una storia intergenerazionale, animata da un profondo conflitto al femminile che ha conquistato ancora una volta i lettori. Abbiamo incontrato David Grossman a Milano, ed ecco cosa ci ha raccontato sul romanzo, sulla scrittura e sul rapporto tra memoria e dolore.
Non possiamo non partire da una riflessione sulla lingua ebraica, e sull’importanza della sua tradizione millenaria: da autore, ne sente il peso scrivendo?
L’ebraico è una lingua antica, ha più di quattromila anni: questo significa che c’è una memoria che si tramanda da migliaia di anni. E non si tratta solo di memoria: c’è un’identità profonda, e profondamente radicata in coloro che parlano ebraico. C’è un’enorme differenza tra l’ebraico in cui è scritta la Bibbia e la lingua corrente: molti giovani, oggi, faticano a leggere la Bibbia, per esempio. Io faccio parte di una generazione che ha studiato a lungo la Bibbia, e persino per me ci sono passaggi difficili da comprendere.
C’è una grande stratificazione, che va dalla Bibbia al medioevo, passando per lIlluminismo e la contemporaneità (in cui subentra ad esempio anche lo slang, come in ogni altra lingua correntemente parlata), ma non la vedo come un peso, come un fardello: considero un privilegio poter scrivere in una lingua così stratificata, con così tanti echi dal passato.
Al centro del romanzo c’è appunto il tema della memoria, nelle sue diverse sfaccettature: da un lato una memoria dolorosa, che forse è lo stesso cervello a cercare di modificare e cancellare come meccanismo di autodifesa, dall’altro una memoria che vuole a ogni costo essere preservata, in modo in più possibile veritiero. Quello che ricordiamo modella sicuramente quello che diventiamo, e che siamo. Pensando alle tre protagoniste di questa storia, come potremo riassumere il modo in cui la memoria le modella e condiziona la loro vita?
È sicuramente al centro dell’intero romanzo, pensando alle tre generazioni di questa famiglia e a come ricordano il passato, e il modo in cui reagiscono e gestiscono il segreto doloroso dietro la decisione di Vera. È qualcosa che richiede molto impegno, trovare il modo giusto di ricordare: cosa ricordiamo e ciò a cui ci attacchiamo di più nel ricordo, ciò che forse dovremmo dimenticare per poter vivere in modo pieno e sereno le nostre vite.
Conosco persone e paesi che sono quasi prigionieri della loro stessa memoria, che rifiutano di lasciare andare, e ciò diventa un freno al muoversi liberamente in avanti, verso il futuro. Conosco persone che hanno sofferto molto, soprattutto durante l’infanzia, e hanno scelto di attaccarsi in modo quasi morboso all’umiliazione e al dolore subiti, ma così facendo hanno dedicato la vita intera al ricordo doloroso, incapaci di permettersi di vivere appieno il presente, di dirsi «forse posso lasciare andare questo dolore, forse posso distaccarmene».
La vita gioca con me è la storia di una ferita, una ferita mentale che condiziona questa famiglia da tre generazioni. Quando accade qualcosa di simile in una famiglia, una parte di essa ne resta quasi paralizzata, ma si può sempre scegliere di prendere la ferita, lasciarla nel passato (senza negarla), e iniziare a muoversi più liberamente attorno alla ferita. Tornando così a respirare a pieni polmoni, e a sentirsi più liberi.
Quanto è stato difficile prestare la voce a tre protagoniste così forti, animate da un forte conflitto intergenerazionale, e lasciare quasi sempre in secondo piano i protagonisti?
So scrivere da uomo, ma non da donna, e la mia intenzione era quella di scrivere questo romanzo da persona che sa di non poter scrivere “da donna”. Volevo essere in grado di comprendere un modo di essere e di pensare diverso dal mio, e nel romanzo se ne trovano tre, uno per ogni protagonista. Ovviamente non esiste un modo univoco di essere “donna”, e nei miei romanzi ho scritto più volte da un punto di vista femminile: non è un processo semplice, perché credo che di solito il nostro animo preferisca il conforto e la sicurezza di essere se stessa. L’animo preferisce continuare a muoversi a modo suo, senza interruzioni, e se provo a imporre al mio animo un’altra esistenza si ribella, non è facile. Anni fa, quando stavo scrivendo A un cerbiatto somiglia il mio amore (processo duranti diversi anni), ricordo di aver fatto fatica ad afferrare il carattere e la personalità di Orah, la protagonista. Ho deciso di sedermi e scriverle una lettera per chiederle come mai fosse così ostinata e resistente, come se fosse una persona reale, e appena ho finito ho compreso di aver affrontato il problema nel modo sbagliato: non era Orah a doversi arrendere a me, ero io a dovermi arrendere a lei. Dovevo abbandonare ogni mio meccanismo di difesa e permetterle di allagare la mia anima con la sua personalità: appena l’ho fatto, è stato come se iniziasse a scriversi da sé.
Sul conflitto intergenerazionale, è vero: in questa famiglia abbiamo ripetuti abbandoni dei figli da parte delle madri, e questo fa sì che il conflitto sia aspro. Quello a cui ero interessato era il movimento delle tre donne, che riescono ad avvicinarsi in modo quasi insopportabile l’una all’altra per poi distaccarsi violentemente, come in una danza che solo in una famiglia può manifestarsi con così tanta energia.
Se le tre donne protagoniste sono animate da emozioni violente, e spesso preda del dolore e dell’odio, Rafael sembra più stabile ed incline ad accoglierle di volta in volta, a essere il loro punto fermo.
Avevo bisogno di Rafael, che da un lato dipende totalmente dalle tre donne, e che dall’altro è ciò di cui tutte e tre hanno bisogno per sentirsi più stabili. Come se lui creasse un modo alternativo di “essere famiglia”: è come un figlio per Vera, anche se non lo è di sangue, così come sa essere un buon marito per Nina nonostante lei scappi da lui, e riesce a essere un buon padre per Ghili, dandole ciò che non le dà sua madre. La verità è che Rafael ha paura di molte cose, ed è emotivamente fragile: a priva vista potremmo considerarlo un fallito, pensando ai sogni non realizzati o a come vive la sua vita nell’età più avanzata. Eppure rappresenta il luogo in cui le tre donne possono riposare, e trovare conforto, nel mezzo della guerra emotiva che le sconvolge.
Trovo emblematico ciò che dice a Ghili al telefono, confessando che nella vita non ha saputo fare granché, ma una cosa sì: ha saputo e sa amare Nina, e tutta la sua vita è dedicata a questo. È un amore che rispecchia quello che Vera ha provato a sua volta.
Se scavare nel passato ci permette di comprende l’origine della nostra vita, e quindi anche chi siamo e la nostra identità, come possiamo invece avvicinarci al perdono? Sembra quasi che Nina inizi a perdonare Vera solo nel momento in cui inizia a dimenticare e quindi a lasciarsi alle spalle una parte della sua vita fatta di sofferenza dei dolore.
Perdonare: riusciamo a perdonare davvero chi ci ha ferito profondamente? Non ne sono sicuro. Non ho certo la capacità di perdonare di un santo Quello che so è che nei momenti della mia vita in cui ho sentito di essere troppo influenzato dal “non perdonare”, dal mantener vivo il fuoco della vendetta, ho iniziato a realizzare che facendo così sarei rimasto sospeso. Oggi, anche se non riesco a perdonare ciò che mi è stato fatto, ho trovato un modo migliore per conviverci, e a liberare me stesso dal dolore che mi è stato inflitto. Non è facile, anzi! Invidio che riesce a perdonare tutto. Penso però di aver imparato qualcosa, negli ultimi anni, soprattutto a non diventare dipendente dal desiderio di vendetta.
Ghili è la voce narrante del romanzo, e il suo è il punto di vista principale, ma lei continua a mettere come filtro il documentario. A un certo punto, possiamo dire che il filtro sia l’arte stessa, che si manifesta attraverso la ripresa documentaristica e la scrittura (del diario, ndr), e attraverso la quale forse anche noi raccontiamo le nostre vite persino a noi stessi.
Volevo che a raccontare la storia fosse uno dei quattro protagonisti. Non poteva essere Vera, perché il suo linguaggio è talmente peculiare che un intero romanzo così impostato sarebbe risultato quasi caricaturale. Le avrei fatto un torto. Allo stesso modo non poteva essere Nina, che è troppo distante dagli altri personaggi, troppo avvolta su se stessa. Ghili mi dava leggerezza: dopotutto è lontana dal dolore di Vera, a differenza di Nina che ne ha assorbito una parte patendone le conseguenze. Mi permetteva di usare un linguaggio più moderno, oltre a essere un personaggio che da un lato è profondamente ironico, e dall’altro è portatore di una parte del dolore narrato in La vita gioca con me.
Sul ruolo dell’arte, alla tua interpretazione voglio aggiungere che l’arte per me è ciò che ci permette di sentire il nulla e il vuoto della morte e allo stesso tempo la totalità piena della vita.
La vita gioca con me di David Grossman (Mondadori) è in libreria, al prezzo di copertina di 21€.
Non possiamo non partire da una riflessione sulla lingua ebraica, e sull’importanza della sua tradizione millenaria: da autore, ne sente il peso scrivendo?
L’ebraico è una lingua antica, ha più di quattromila anni: questo significa che c’è una memoria che si tramanda da migliaia di anni. E non si tratta solo di memoria: c’è un’identità profonda, e profondamente radicata in coloro che parlano ebraico. C’è un’enorme differenza tra l’ebraico in cui è scritta la Bibbia e la lingua corrente: molti giovani, oggi, faticano a leggere la Bibbia, per esempio. Io faccio parte di una generazione che ha studiato a lungo la Bibbia, e persino per me ci sono passaggi difficili da comprendere.
C’è una grande stratificazione, che va dalla Bibbia al medioevo, passando per lIlluminismo e la contemporaneità (in cui subentra ad esempio anche lo slang, come in ogni altra lingua correntemente parlata), ma non la vedo come un peso, come un fardello: considero un privilegio poter scrivere in una lingua così stratificata, con così tanti echi dal passato.
Al centro del romanzo c’è appunto il tema della memoria, nelle sue diverse sfaccettature: da un lato una memoria dolorosa, che forse è lo stesso cervello a cercare di modificare e cancellare come meccanismo di autodifesa, dall’altro una memoria che vuole a ogni costo essere preservata, in modo in più possibile veritiero. Quello che ricordiamo modella sicuramente quello che diventiamo, e che siamo. Pensando alle tre protagoniste di questa storia, come potremo riassumere il modo in cui la memoria le modella e condiziona la loro vita?
È sicuramente al centro dell’intero romanzo, pensando alle tre generazioni di questa famiglia e a come ricordano il passato, e il modo in cui reagiscono e gestiscono il segreto doloroso dietro la decisione di Vera. È qualcosa che richiede molto impegno, trovare il modo giusto di ricordare: cosa ricordiamo e ciò a cui ci attacchiamo di più nel ricordo, ciò che forse dovremmo dimenticare per poter vivere in modo pieno e sereno le nostre vite.
Conosco persone e paesi che sono quasi prigionieri della loro stessa memoria, che rifiutano di lasciare andare, e ciò diventa un freno al muoversi liberamente in avanti, verso il futuro. Conosco persone che hanno sofferto molto, soprattutto durante l’infanzia, e hanno scelto di attaccarsi in modo quasi morboso all’umiliazione e al dolore subiti, ma così facendo hanno dedicato la vita intera al ricordo doloroso, incapaci di permettersi di vivere appieno il presente, di dirsi «forse posso lasciare andare questo dolore, forse posso distaccarmene».
La vita gioca con me è la storia di una ferita, una ferita mentale che condiziona questa famiglia da tre generazioni. Quando accade qualcosa di simile in una famiglia, una parte di essa ne resta quasi paralizzata, ma si può sempre scegliere di prendere la ferita, lasciarla nel passato (senza negarla), e iniziare a muoversi più liberamente attorno alla ferita. Tornando così a respirare a pieni polmoni, e a sentirsi più liberi.
Quanto è stato difficile prestare la voce a tre protagoniste così forti, animate da un forte conflitto intergenerazionale, e lasciare quasi sempre in secondo piano i protagonisti?
So scrivere da uomo, ma non da donna, e la mia intenzione era quella di scrivere questo romanzo da persona che sa di non poter scrivere “da donna”. Volevo essere in grado di comprendere un modo di essere e di pensare diverso dal mio, e nel romanzo se ne trovano tre, uno per ogni protagonista. Ovviamente non esiste un modo univoco di essere “donna”, e nei miei romanzi ho scritto più volte da un punto di vista femminile: non è un processo semplice, perché credo che di solito il nostro animo preferisca il conforto e la sicurezza di essere se stessa. L’animo preferisce continuare a muoversi a modo suo, senza interruzioni, e se provo a imporre al mio animo un’altra esistenza si ribella, non è facile. Anni fa, quando stavo scrivendo A un cerbiatto somiglia il mio amore (processo duranti diversi anni), ricordo di aver fatto fatica ad afferrare il carattere e la personalità di Orah, la protagonista. Ho deciso di sedermi e scriverle una lettera per chiederle come mai fosse così ostinata e resistente, come se fosse una persona reale, e appena ho finito ho compreso di aver affrontato il problema nel modo sbagliato: non era Orah a doversi arrendere a me, ero io a dovermi arrendere a lei. Dovevo abbandonare ogni mio meccanismo di difesa e permetterle di allagare la mia anima con la sua personalità: appena l’ho fatto, è stato come se iniziasse a scriversi da sé.
Sul conflitto intergenerazionale, è vero: in questa famiglia abbiamo ripetuti abbandoni dei figli da parte delle madri, e questo fa sì che il conflitto sia aspro. Quello a cui ero interessato era il movimento delle tre donne, che riescono ad avvicinarsi in modo quasi insopportabile l’una all’altra per poi distaccarsi violentemente, come in una danza che solo in una famiglia può manifestarsi con così tanta energia.
Se le tre donne protagoniste sono animate da emozioni violente, e spesso preda del dolore e dell’odio, Rafael sembra più stabile ed incline ad accoglierle di volta in volta, a essere il loro punto fermo.
Avevo bisogno di Rafael, che da un lato dipende totalmente dalle tre donne, e che dall’altro è ciò di cui tutte e tre hanno bisogno per sentirsi più stabili. Come se lui creasse un modo alternativo di “essere famiglia”: è come un figlio per Vera, anche se non lo è di sangue, così come sa essere un buon marito per Nina nonostante lei scappi da lui, e riesce a essere un buon padre per Ghili, dandole ciò che non le dà sua madre. La verità è che Rafael ha paura di molte cose, ed è emotivamente fragile: a priva vista potremmo considerarlo un fallito, pensando ai sogni non realizzati o a come vive la sua vita nell’età più avanzata. Eppure rappresenta il luogo in cui le tre donne possono riposare, e trovare conforto, nel mezzo della guerra emotiva che le sconvolge.
Trovo emblematico ciò che dice a Ghili al telefono, confessando che nella vita non ha saputo fare granché, ma una cosa sì: ha saputo e sa amare Nina, e tutta la sua vita è dedicata a questo. È un amore che rispecchia quello che Vera ha provato a sua volta.
Se scavare nel passato ci permette di comprende l’origine della nostra vita, e quindi anche chi siamo e la nostra identità, come possiamo invece avvicinarci al perdono? Sembra quasi che Nina inizi a perdonare Vera solo nel momento in cui inizia a dimenticare e quindi a lasciarsi alle spalle una parte della sua vita fatta di sofferenza dei dolore.
Perdonare: riusciamo a perdonare davvero chi ci ha ferito profondamente? Non ne sono sicuro. Non ho certo la capacità di perdonare di un santo Quello che so è che nei momenti della mia vita in cui ho sentito di essere troppo influenzato dal “non perdonare”, dal mantener vivo il fuoco della vendetta, ho iniziato a realizzare che facendo così sarei rimasto sospeso. Oggi, anche se non riesco a perdonare ciò che mi è stato fatto, ho trovato un modo migliore per conviverci, e a liberare me stesso dal dolore che mi è stato inflitto. Non è facile, anzi! Invidio che riesce a perdonare tutto. Penso però di aver imparato qualcosa, negli ultimi anni, soprattutto a non diventare dipendente dal desiderio di vendetta.
Ghili è la voce narrante del romanzo, e il suo è il punto di vista principale, ma lei continua a mettere come filtro il documentario. A un certo punto, possiamo dire che il filtro sia l’arte stessa, che si manifesta attraverso la ripresa documentaristica e la scrittura (del diario, ndr), e attraverso la quale forse anche noi raccontiamo le nostre vite persino a noi stessi.
Volevo che a raccontare la storia fosse uno dei quattro protagonisti. Non poteva essere Vera, perché il suo linguaggio è talmente peculiare che un intero romanzo così impostato sarebbe risultato quasi caricaturale. Le avrei fatto un torto. Allo stesso modo non poteva essere Nina, che è troppo distante dagli altri personaggi, troppo avvolta su se stessa. Ghili mi dava leggerezza: dopotutto è lontana dal dolore di Vera, a differenza di Nina che ne ha assorbito una parte patendone le conseguenze. Mi permetteva di usare un linguaggio più moderno, oltre a essere un personaggio che da un lato è profondamente ironico, e dall’altro è portatore di una parte del dolore narrato in La vita gioca con me.
Sul ruolo dell’arte, alla tua interpretazione voglio aggiungere che l’arte per me è ciò che ci permette di sentire il nulla e il vuoto della morte e allo stesso tempo la totalità piena della vita.
La vita gioca con me di David Grossman (Mondadori) è in libreria, al prezzo di copertina di 21€.
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venerdì 6 dicembre 2019
Natale in casa Netflix
Le coperte sono state spiegate, le tazze di cioccolata preparate e gli abbonamenti pagati: è il momento di mettersi comodi e godersi il mese più magico dell'anno... firmato Netflix!
Ecco tutto, ma proprio tutto, ciò che di nuovo, festivo e festoso ha da offrire la piattaforma di streaming più amata.
Iniziamo con due programmi che vi faranno venire voglia di infornare torte e biscotti: Sugar Rush e Nailed It!, entrambi in veste natalizia con un'intera stagione dedicata alla festività.
Sugar Rush vede squadre di pasticceri provetti sfidarsi nella creazione di dolci fantasiosi, e tra alberi di Natale e strumenti musicali d'altri tempi c'è davvero di che trarre ispirazione!
Nailed It!, da parte sua, è invece il campionato dei non-pasticceri, dove a vincere non è un dolce particolarmente riuscito ma è, sostanzilamente, premiato l'entusiasmo di chi di pasticceria sa poco ma è disposto a mettersi in gioco.
Arriviamo poi ai film, dove per i più romantici ci sono novità davvero imperdibili!
A cominciare da Un safari per Natale, che vede Kristin Davis e Rob Lowe innamorarsi in Africa (e scusate se è poco...), rilasciato a inizio novembre 2019.
Piacerà anche alle più giovani Un cavaliere per Natale, che vede un cavaliere del XIV secolo catapultato nell’attuale Ohio e innamorarsi di una giovane (e bellissima) professoressa di scienze.
Josh Whitehouse e Vanessa Hudgens pronti a spezzare cuori, anche questo Natale.
La serie iniziata con Un principe per Natale si arricchisce del terzo capitolo, Royal Baby: la coppia formata dalla nostra aspirante giornalista preferita e dal principe più affascinante dello streaming attende il primo figlio, e come può il Natale essere più magico di così?
Natale con uno sconosciuto è appena arrivato sulla piattaforma, ed è una delle proposte da vedere assolutamente questo weekend: Johanne ha solo 24 giorni per trvare un uomo da portare a casa a Natale, ed evitare così il fuoco di domande e commenti della sua famiglia sul suo essere ancora single. Ci riuscirà?
È per tutta la famiglia Natale, folle Natale, che vede un dj vedovo e i suoi quattro figli (viziatelli) costretti a ridimensionare la loro vita agiata proprio a Natale, quando l'emittente cancella il programma da lui condotto. ma non è mai troppo tardi per ricordarsi di ciò che conta davvero...
Let it snow - trasposizione dell'antologia di racconti di John Green, Maureen Johnson e Lauren Miracle - è esattamente ciò che ci vuole per gli adolescenti di casa, che si ritroveranno nel vivace cast protagonista di questa vigilia di Natale in cui una bufera i neve stravolge ogni piano, con esiti inaspettati.
Stesso pubblico di riferimento per A Cinderella Story. Christmas Wish, in cui Kat, tormentata dalla famiglia acquisita, trova l'amore proprio a Natale grazie all'incontro con il bellissimo Nick. Non mancano abiti da aspirante principessa e costumi natalizi assortiti.
Per una nota divertente, Buon quel che vi pare (con Dennis Quaid e Bridgit Mendler) è il classico racconto del ritorno a casa per le feste di una figlia con il nuovo fidanzato, e gli altrettanto collaudati spunti di comicità creati da un padre che non approva, un fidanzato un po' imbranato, una famiglia sopra le righe. Intrattiene senza impegno, e si ride.
E per i piccoli di casa?
La novità di quest'anno è Klaus, che racconta la storia di (indovinate un po'?) un giocattolaio solitario, che si ritroverà - grazie anche all'amicizia con un postino "peculiare" - a realizzare giocattoli per tutti i bambini... vi suona familiare?
Ecco tutto, ma proprio tutto, ciò che di nuovo, festivo e festoso ha da offrire la piattaforma di streaming più amata.
Iniziamo con due programmi che vi faranno venire voglia di infornare torte e biscotti: Sugar Rush e Nailed It!, entrambi in veste natalizia con un'intera stagione dedicata alla festività.
Sugar Rush vede squadre di pasticceri provetti sfidarsi nella creazione di dolci fantasiosi, e tra alberi di Natale e strumenti musicali d'altri tempi c'è davvero di che trarre ispirazione!
Nailed It!, da parte sua, è invece il campionato dei non-pasticceri, dove a vincere non è un dolce particolarmente riuscito ma è, sostanzilamente, premiato l'entusiasmo di chi di pasticceria sa poco ma è disposto a mettersi in gioco.
Arriviamo poi ai film, dove per i più romantici ci sono novità davvero imperdibili!
A cominciare da Un safari per Natale, che vede Kristin Davis e Rob Lowe innamorarsi in Africa (e scusate se è poco...), rilasciato a inizio novembre 2019.
Piacerà anche alle più giovani Un cavaliere per Natale, che vede un cavaliere del XIV secolo catapultato nell’attuale Ohio e innamorarsi di una giovane (e bellissima) professoressa di scienze.
Josh Whitehouse e Vanessa Hudgens pronti a spezzare cuori, anche questo Natale.
La serie iniziata con Un principe per Natale si arricchisce del terzo capitolo, Royal Baby: la coppia formata dalla nostra aspirante giornalista preferita e dal principe più affascinante dello streaming attende il primo figlio, e come può il Natale essere più magico di così?
Natale con uno sconosciuto è appena arrivato sulla piattaforma, ed è una delle proposte da vedere assolutamente questo weekend: Johanne ha solo 24 giorni per trvare un uomo da portare a casa a Natale, ed evitare così il fuoco di domande e commenti della sua famiglia sul suo essere ancora single. Ci riuscirà?
È per tutta la famiglia Natale, folle Natale, che vede un dj vedovo e i suoi quattro figli (viziatelli) costretti a ridimensionare la loro vita agiata proprio a Natale, quando l'emittente cancella il programma da lui condotto. ma non è mai troppo tardi per ricordarsi di ciò che conta davvero...
Let it snow - trasposizione dell'antologia di racconti di John Green, Maureen Johnson e Lauren Miracle - è esattamente ciò che ci vuole per gli adolescenti di casa, che si ritroveranno nel vivace cast protagonista di questa vigilia di Natale in cui una bufera i neve stravolge ogni piano, con esiti inaspettati.
Stesso pubblico di riferimento per A Cinderella Story. Christmas Wish, in cui Kat, tormentata dalla famiglia acquisita, trova l'amore proprio a Natale grazie all'incontro con il bellissimo Nick. Non mancano abiti da aspirante principessa e costumi natalizi assortiti.
Per una nota divertente, Buon quel che vi pare (con Dennis Quaid e Bridgit Mendler) è il classico racconto del ritorno a casa per le feste di una figlia con il nuovo fidanzato, e gli altrettanto collaudati spunti di comicità creati da un padre che non approva, un fidanzato un po' imbranato, una famiglia sopra le righe. Intrattiene senza impegno, e si ride.
E per i piccoli di casa?
La novità di quest'anno è Klaus, che racconta la storia di (indovinate un po'?) un giocattolaio solitario, che si ritroverà - grazie anche all'amicizia con un postino "peculiare" - a realizzare giocattoli per tutti i bambini... vi suona familiare?
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giovedì 5 dicembre 2019
Classic Blue 19-4052 è il colore dell'anno 2020
La società americana Pantone ha scelto il classico blu, universalmente apprezzato, o Pantone 19-4052, come colore dell'anno per il 2020. Annunciato il 4 dicembre, Classic Blue è descritto da Pantone come «una presenza rassicurante che infonde calma e sicurezza», aggiungendo che è un colore abitualmente «associato all'arrivo di un nuovo giorno, e facile da accogliere nella propria vita».
È forse l'augurio per un 2020 sereno? Di sicuro è una tonalità che «porta un senso di pace e tranquillità allo spirito umano, offrendo rifugio», secondo l'azienda.
È forse l'augurio per un 2020 sereno? Di sicuro è una tonalità che «porta un senso di pace e tranquillità allo spirito umano, offrendo rifugio», secondo l'azienda.
Si dice anche che la tonalità blu cobalto sia associata alla comunicazione, all'introspezione e alla chiarezza. Altri benefici della tonalità includono la concentrazione e l'aiuto a centrare i pensieri, in particolare alla luce degli sviluppi in accelerazione della tecnologia.
«Un blu sconfinato evocativo del vasto e infinito cielo serale, Pantone 19-4052 Classic Blue ci incoraggia a guardare oltre l'ovvio per espandere il nostro pensiero, sfidandoci a pensare più profondamente, aumentare la nostra prospettiva e aprire il flusso di comunicazione», ha dichiarato Leatrice Eiseman, direttrice esecutiva del Pantone Color Institute.
«Stiamo vivendo in un tempo che richiede fiducia e fede», ha aggiunto.
«È questo tipo di costanza e fiducia che viene espresso da Pantone 19-4052 Classic Blue, una tonalità blu solida e affidabile su cui possiamo sempre contare.»
Scoprite la tonalità sul sito ufficiale Pantone.
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martedì 3 dicembre 2019
La bella addormentata del Royal Ballet, in diretta da Londra a gennaio 2020
Arriva al cinema in diretta via satellite da Londra La Bella Addormentata del Royal Ballet, in programma giovedì 16 gennaio 2020 alle 20:15.
La produzione del Royal Ballet dedicata a La Bella Addormentata, originariamente coreografata da Marius Petipa, propone anche coreografie di Frederick Ashton, Anthony Dowell e Christopher Wheeldon. Il pubblico cinematografico avrà così modo di scoprire le performance di Lauren Cuthbertson nei panni della principessa Aurora e di Federico Bonelli in quelli del principe Florimund. La Bella Addormentata propone alcuni dei più celebri passi del balletto, come gli iconici Adagio della Rosa e il Pas De Deux. La musica è firmata da Tchaikovsky.
La storia è quella dell'omonima fiaba. La malvagia fata Carabosse è furiosa perché non è stata invitata al battesimo della principessa Aurora (Lauren Cuthbertson) e scaglia così la sua maledizione: quando crescerà, Aurora si pungerà un dito con un fuso e morirà. La fata dei Lillà riesce però a modificare il maleficio: invece di morire Aurora cadrà in un sonno profondo dal quale potrà essere svegliata da un principe. Al compimento del sedicesimo compleanno, Aurora si punge in effetti il dito e cade in un sonno incantato assieme a tutta la corte. La fata dei Lillà conduce però il principe Florimund (Federico Bonelli) a svegliarla con un bacio. Aurora e la corte riprendono conoscenza e si celebra così il matrimonio tra la giovane e il principe.
La Bella Addormentata sarà trasmesso al cinema in diretta via satellite giovedì 16 gennaio alle 20:15, ma è solo uno degli eventi imperdibili della stagione 2019/2020 della Royal Opera House, distribuita nei cinema da Nexo Digital in collaborazione con la Repubblica, MYmovies.it, Classica HD, Danza&Danza e Danzadove, Sipario - La Rivista dello Spettacolo, British Council e il progetto UK Italy Partners for Culture.:
Tutti i dettagli sul programma e i cinema aderenti qui, e qui.
Lauren Cuthbertson as Princess Aurora and artists of The Royal Ballet in The Sleeping Beauty. (c) ROH Tristram Kenton, 2014 |
La produzione del Royal Ballet dedicata a La Bella Addormentata, originariamente coreografata da Marius Petipa, propone anche coreografie di Frederick Ashton, Anthony Dowell e Christopher Wheeldon. Il pubblico cinematografico avrà così modo di scoprire le performance di Lauren Cuthbertson nei panni della principessa Aurora e di Federico Bonelli in quelli del principe Florimund. La Bella Addormentata propone alcuni dei più celebri passi del balletto, come gli iconici Adagio della Rosa e il Pas De Deux. La musica è firmata da Tchaikovsky.
The Sleeping Beauty. Artists of The Royal Ballet. (C) ROH, 2016. Photographed by Bill Cooper |
Lauren Cuthbertson as Princess Aurora and artists of The Royal Ballet in The Sleeping Beauty. (c) ROH Tristram Kenton, 2014 |
Royal Ballet
Coppélia
martedì, 10 dicembre
Royal Ballet
Lo Schiaccianoci
martedì, 17 dicembre
Royal Ballet
La Bella Addormentata
giovedì, 16 gennaio
Royal Opera
La Bohème
mercoledì, 29 gennaio 2020
Royal Ballet
The Cellist / Dances at a Gathering
martedì, 25 febbraio 2020
Prima mondiale
Royal Opera
Fidelio
martedì, 17 marzo 2020
Royal Ballet
Il lago dei cigni
mercoledì, 1 aprile 2020
Royal Opera
Cavalleria Rusticana / Pagliacci
martedì, 21 aprile 2020
Royal Ballet
The Dante Project
giovedì, 28 maggio 2020
Prima mondiale
Royal Opera
Elektra
giovedì, 18 giugno 2020
Tutti i dettagli sul programma e i cinema aderenti qui, e qui.
Natale 2019: come organizzare la perfetta movie-night!
Non è Natale senza una serata a base di film e popcorn caldi, e vederne solo uno proprio non si può.
Nell'articolo di oggi, quattro possibili temi cinematografici e uno televisivo da seguire, più la ricetta a prova di bomba per preparare i popcorn più gustosi nella propria cucina.
Mamma ho perso l'aereo e Mamma ho riperso l'aereo: mi sono sperduto a New York sono un vero must di questo periodo dell'anno.
Kevin McAllister e la sua scombinatissima famiglia strappano un sorriso a ogni visione, e i due film vanno visti insieme, uno dopo l'altro, per circa tre ore di puro divertimento.
Non ci è dato sapere se l'anno successivo siano riusciti a non perdere di vista il figlio minore, ma chissà, magari hanno capito che le feste è meglio passarle a casa (e che casa!).
Due film ormai imprescindibili a dicembre hanno in comune un irresistibile protagonista: Dan Aykroyd, che è al centro della scena in Una poltrona per due e un personaggio solo lievemente secondario nel più recente Fuga dal Natale. Il primo è ormai in proiezione stabile in chiaro ogni Natale, tra il 22 e il 24 dicembre è praticamente impossibile perderlo, ma visto seguito dal secondo offre una serata tra le più divertenti.
E che dire di Jim Carrey, attore trasformista che per Natale è diventato rispettivamente Il Grinch nella versione live-action del capolavoro del Dr. Seuss ed Ebenezer Scrooge nella trasposizione d'animazione di A Christmas Carol? Due personaggi che imparano ad amare questo giorno, ognuno a modo suo, e ai quali Carrey ha donato il suo tocco personale, contribuendo a rendere entrambi i film accattivanti e dei veri e propri classici contemporanei.
Per i più piccolo di casa, Il Grinch è disponibile anche nella recentissima trasposizione animata, e perchè non accompagnarlo a un classico disneyano come Il canto di Natale di Topolino?
Se riuscite a non commuovervi all'apparire del piccolo Timmy, avete il cuore di ghiaccio.
Infine, nessuno è mai stanco di Friends: queste sono tutte, ma proprio tutte le puntate natalizie dello show, da rivedere su Netflix, Amazon Prime o in dvd:
1x10 - 2x9 - 3x10 - 4x10 - 5x10 - 6x10 - 7x10 - 8x9 - 9x10
Impossibile non accompagnare la visione con degli ottimi popcorn, da preparare in casa evitando i prodotti confezionati. Come? È davvero semplicissimo!
Fate riscaldare dell’olio in una casseruola dal fondo largo e spesso, aggiungete i semi di mais.
Coprite con il coperchio e lasciate scaldare fino a quando i semi non scoppiano, agitando ogni tot la casseruola.
Da qui potete partire per condirli nei modi più fantasiosi: per quelli al formaggio, ad esempio, procuratevi il vostro formaggio stagionato preferito, disponete i vostri popcorn su una teglia, spolverateli con il formaggio sminuzzato e infornate. Quando il formaggio è fuso, basta una rimestata con una spatola e sono pronti per finire in una ciotola.
E se invece fossero i popcorn al caramello i vostri preferiti, iniziate con lo sciogliere dello zucchero in un pentolino con un cucchiaio d'acqua, e quando inizia a formarsi il caramello aggiungete una noce di burro. Ora basta incorporare i popcorn già scoppiati come sopra, e mescolare bene per non farli attaccare. Pronti!
Nell'articolo di oggi, quattro possibili temi cinematografici e uno televisivo da seguire, più la ricetta a prova di bomba per preparare i popcorn più gustosi nella propria cucina.
Mamma ho perso l'aereo e Mamma ho riperso l'aereo: mi sono sperduto a New York sono un vero must di questo periodo dell'anno.
Kevin McAllister e la sua scombinatissima famiglia strappano un sorriso a ogni visione, e i due film vanno visti insieme, uno dopo l'altro, per circa tre ore di puro divertimento.
Non ci è dato sapere se l'anno successivo siano riusciti a non perdere di vista il figlio minore, ma chissà, magari hanno capito che le feste è meglio passarle a casa (e che casa!).
Due film ormai imprescindibili a dicembre hanno in comune un irresistibile protagonista: Dan Aykroyd, che è al centro della scena in Una poltrona per due e un personaggio solo lievemente secondario nel più recente Fuga dal Natale. Il primo è ormai in proiezione stabile in chiaro ogni Natale, tra il 22 e il 24 dicembre è praticamente impossibile perderlo, ma visto seguito dal secondo offre una serata tra le più divertenti.
E che dire di Jim Carrey, attore trasformista che per Natale è diventato rispettivamente Il Grinch nella versione live-action del capolavoro del Dr. Seuss ed Ebenezer Scrooge nella trasposizione d'animazione di A Christmas Carol? Due personaggi che imparano ad amare questo giorno, ognuno a modo suo, e ai quali Carrey ha donato il suo tocco personale, contribuendo a rendere entrambi i film accattivanti e dei veri e propri classici contemporanei.
Per i più piccolo di casa, Il Grinch è disponibile anche nella recentissima trasposizione animata, e perchè non accompagnarlo a un classico disneyano come Il canto di Natale di Topolino?
Se riuscite a non commuovervi all'apparire del piccolo Timmy, avete il cuore di ghiaccio.
Infine, nessuno è mai stanco di Friends: queste sono tutte, ma proprio tutte le puntate natalizie dello show, da rivedere su Netflix, Amazon Prime o in dvd:
1x10 - 2x9 - 3x10 - 4x10 - 5x10 - 6x10 - 7x10 - 8x9 - 9x10
Impossibile non accompagnare la visione con degli ottimi popcorn, da preparare in casa evitando i prodotti confezionati. Come? È davvero semplicissimo!
Fate riscaldare dell’olio in una casseruola dal fondo largo e spesso, aggiungete i semi di mais.
Coprite con il coperchio e lasciate scaldare fino a quando i semi non scoppiano, agitando ogni tot la casseruola.
Da qui potete partire per condirli nei modi più fantasiosi: per quelli al formaggio, ad esempio, procuratevi il vostro formaggio stagionato preferito, disponete i vostri popcorn su una teglia, spolverateli con il formaggio sminuzzato e infornate. Quando il formaggio è fuso, basta una rimestata con una spatola e sono pronti per finire in una ciotola.
E se invece fossero i popcorn al caramello i vostri preferiti, iniziate con lo sciogliere dello zucchero in un pentolino con un cucchiaio d'acqua, e quando inizia a formarsi il caramello aggiungete una noce di burro. Ora basta incorporare i popcorn già scoppiati come sopra, e mescolare bene per non farli attaccare. Pronti!
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martedì 26 novembre 2019
Natale 2019: i classici da scoprire (e riscoprire) sotto l'albero
Non è Natale senza un libro da sfogliare. Uno che parli di Babbo Natale e dei suoi elfi, oppure di chi, come il Grinch o il vecchio Scrooge, il Natale proprio non lo sopporta.
Un classico senza tempo che inizia proprio a Natale, o perchè no, un volume illustrato che ci accompagni per tutto il mese, come un calendario dell'avvento.
Ecco sei proposte per i giovani lettori che conquisteranno anche gli adulti... perchè a Natale si è tutti bambini!
La storia delle sorelle March, protagoniste di Piccole donne di Louisa May Alcott (Il Battello a Vapore) inizia proprio a Natale, ed è il momento giusto per scoprirla - o riscoprirla -, grazie alla nuova traduzione di Laura Cangemi e alle illustrazioni di Donata Pizzato.
Tra i simpatici abitanti di Chi-non-so ce n'è uno decisamente strano che il Natale proprio non lo sopporta: è il Grinch, protagonista del racconto in rima del Dr. Seuss (Mondadori). Del Natale odia tutto: gli alberi addobbati, le luci sfavillanti, i regali e il pranzo trionfale, ma soprattutto non tollera la felicità delle persone. E così quest'anno al Grinch è venuta in mente un'idea splendidamente orrenda: ha deciso di rubare il Natale!
Una notte, tre spiriti, la possibilità di redenzione: tra le pagine del Canto di Natale di Charles Dickens (Il Battello a Vapore) si racchiude una delle storie più magiche ambientate in questo periodo dell'anno, e nella nuova traduzione di Alessandra De Vizzi, accompagnata dalle illustrazioni di Fabio Visintin, è davvero imperdibile!
Quella racchiusa tra le pagine illustrate di L'ultimo regalo di Natale di John Burningham (Mondadori) è la storia di un errore... un errore di Babbo Natale!
Era la vigilia di Natale. Babbo Natale stava per andare a letto dopo aver consegnato i doni, quando si accorse che nel suo sacco era rimasto un regalo: proprio quello di Beniamino Stamberbugio, il bambino che abitava in una casupola in cima al Monte Rotolo, lassù, molto, molto lontano.
Ma nessun viaggio è troppo difficile o troppo lungo per Babbo Natale!
Quanto manca a Natale? di Adam & Charlotte Guillain e Pippa Curnick (Il Battello a Vapore) è una storia in rima, da leggere e rileggere, per aspettare insieme la notte piu magica dell'anno.
È il primo dicembre e Orso ha preparato un gioco per gli animali del bosco. Ogni giorno porterà un regalo che servirà a preparare una sorpresa per la notte di Natale. Riuscite a resistere?
Infine, un racconto che sa di magia e di sogni che si avverano, perchè chi di voi non ha mai desiderato di prendere parte al magico lavoro di Babbo Natale e dei suoi elfi? Elfi al quinto piano di Francesca Cavallo (Feltrinelli), racconta proprio questo!
È quasi Natale quando Manuel, Camila e Shonda, insieme alle loro due mamme Isabella e Dominique, arrivano nella città di R. Prendono possesso della loro nuova casa in via dei Camini Spaziosi 10, dove i vicini sembrano accoglierli con la diffidenza che gli abitanti della città riservano a tutto ciò che gli è nuovo ed estraneo. In compenso la mattina successiva dieci simpatici elfi si presentano a sorpresa a casa loro. Sono stati incaricati da Babbo Natale in persona di trovare una base operativa del Natale per la città di R. e chiedono ai ragazzi di aiutarli a impacchettare i 230.119 regali per i bambini della città e consegnarli in tempo per il passaggio della slitta. Niente di più emozionante per i tre fratelli che si mettono subito al lavoro... ma nulla andrà come previsto!
Un classico senza tempo che inizia proprio a Natale, o perchè no, un volume illustrato che ci accompagni per tutto il mese, come un calendario dell'avvento.
Ecco sei proposte per i giovani lettori che conquisteranno anche gli adulti... perchè a Natale si è tutti bambini!
La storia delle sorelle March, protagoniste di Piccole donne di Louisa May Alcott (Il Battello a Vapore) inizia proprio a Natale, ed è il momento giusto per scoprirla - o riscoprirla -, grazie alla nuova traduzione di Laura Cangemi e alle illustrazioni di Donata Pizzato.
Tra i simpatici abitanti di Chi-non-so ce n'è uno decisamente strano che il Natale proprio non lo sopporta: è il Grinch, protagonista del racconto in rima del Dr. Seuss (Mondadori). Del Natale odia tutto: gli alberi addobbati, le luci sfavillanti, i regali e il pranzo trionfale, ma soprattutto non tollera la felicità delle persone. E così quest'anno al Grinch è venuta in mente un'idea splendidamente orrenda: ha deciso di rubare il Natale!
Una notte, tre spiriti, la possibilità di redenzione: tra le pagine del Canto di Natale di Charles Dickens (Il Battello a Vapore) si racchiude una delle storie più magiche ambientate in questo periodo dell'anno, e nella nuova traduzione di Alessandra De Vizzi, accompagnata dalle illustrazioni di Fabio Visintin, è davvero imperdibile!
Quella racchiusa tra le pagine illustrate di L'ultimo regalo di Natale di John Burningham (Mondadori) è la storia di un errore... un errore di Babbo Natale!
Era la vigilia di Natale. Babbo Natale stava per andare a letto dopo aver consegnato i doni, quando si accorse che nel suo sacco era rimasto un regalo: proprio quello di Beniamino Stamberbugio, il bambino che abitava in una casupola in cima al Monte Rotolo, lassù, molto, molto lontano.
Ma nessun viaggio è troppo difficile o troppo lungo per Babbo Natale!
Quanto manca a Natale? di Adam & Charlotte Guillain e Pippa Curnick (Il Battello a Vapore) è una storia in rima, da leggere e rileggere, per aspettare insieme la notte piu magica dell'anno.
È il primo dicembre e Orso ha preparato un gioco per gli animali del bosco. Ogni giorno porterà un regalo che servirà a preparare una sorpresa per la notte di Natale. Riuscite a resistere?
Infine, un racconto che sa di magia e di sogni che si avverano, perchè chi di voi non ha mai desiderato di prendere parte al magico lavoro di Babbo Natale e dei suoi elfi? Elfi al quinto piano di Francesca Cavallo (Feltrinelli), racconta proprio questo!
È quasi Natale quando Manuel, Camila e Shonda, insieme alle loro due mamme Isabella e Dominique, arrivano nella città di R. Prendono possesso della loro nuova casa in via dei Camini Spaziosi 10, dove i vicini sembrano accoglierli con la diffidenza che gli abitanti della città riservano a tutto ciò che gli è nuovo ed estraneo. In compenso la mattina successiva dieci simpatici elfi si presentano a sorpresa a casa loro. Sono stati incaricati da Babbo Natale in persona di trovare una base operativa del Natale per la città di R. e chiedono ai ragazzi di aiutarli a impacchettare i 230.119 regali per i bambini della città e consegnarli in tempo per il passaggio della slitta. Niente di più emozionante per i tre fratelli che si mettono subito al lavoro... ma nulla andrà come previsto!
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martedì 19 novembre 2019
Lush Perfume Library: a Firenze, la prima al mondo!
Visitare a Firenze la prima Lush Perfume Library al mondo? Fatto!
È nella città toscana, infatti, che il brand inglese ha scelto di dare vita ad un innovativo concept store
interamente dedicato ai profumi, da scoprire attraverso un’esperienza inedita e multisensoriale.
Firenze, culla della profumeria moderna dall’epoca rinascimentale, è un luogo fortemente significativo per il brand che ha tratto la propria ispirazione creativa proprio immergendosi nella storia, nell’eredità culturale e nell’energia della città.
Lo store si trova in via dei Calzaiuoli 94/96, nel centro storico della città, e una volta entrati è davvero difficile uscire... soprattutto a mani vuote!
Al suo interno, due aree distinte accolgono i visitatori: varcata la soglia, la sensazione è quella di entrare nella libreria di un profumiere, tra scaffali in legno scuro carichi di volumi (più di settanta, i titoli in vendita) su fragranze, essenze e fiori e mensole che ospitano la più grande collezione di profumi LUSH al mondo.
Lo store è anche l'unico luogo al mondo in cui reperire una nuova collezione di fragranze realizzate interamente in-house capace di trasportare i clienti in un lungo viaggio olfattivo ispirato alla
città di Firenze, che affonda le radici nel Rinascimento, con tanto di mappa da aprire e "seguire", profumo dopo profumo.
L'anima pop e tecnologica di LUSH è invece al centro della seconda area, bianca e luminosa, che racchiude la più grande collezione di Body Spray votati online dalla #LushCommunity, con nuovi prodotti disponibili qui in esclusiva assoluta. Qui, un’area multisensoriale invita poi clienti ad immergersi in un’esperienza interattiva e giocosa, dove la tecnologia si unirà alla musica e a giochi di luce per dare forma, sostanza e nuova vita alle fragranze.
Ma come scegliere la propria fragranza, con una tale scelta?
Ci si può affidare al preparatissimo personale, e a una spettacolare consultazione
personalizzata ispirata alla teoria degli umori e all’uso del profumo come medicina durante il
Rinascimento, un’epoca in cui la fragranza veniva selezionata in base a una prescrizione personalizzata per andare incontro alle necessità individuali e tenendo in considerazione il potere del profumo di riequilibrare il corpo e offrire protezione contro le malattie.
I profumi e i body spray del brand inglese sono perfetti anche da miscelare e combinare tra loro per creare ogni volta la fragranza che davvero ci appartiene, e il nuovo concept store regala ai clienti un'esperienza unica nel suo genere, assolutamente da provare!
Lush Perfume Library vi aspetta a Firenze in via dei Calzaiuoli 94/96... e insieme a lei il profumo perfetto per voi!
È nella città toscana, infatti, che il brand inglese ha scelto di dare vita ad un innovativo concept store
interamente dedicato ai profumi, da scoprire attraverso un’esperienza inedita e multisensoriale.
Firenze, culla della profumeria moderna dall’epoca rinascimentale, è un luogo fortemente significativo per il brand che ha tratto la propria ispirazione creativa proprio immergendosi nella storia, nell’eredità culturale e nell’energia della città.
Lo store si trova in via dei Calzaiuoli 94/96, nel centro storico della città, e una volta entrati è davvero difficile uscire... soprattutto a mani vuote!
Al suo interno, due aree distinte accolgono i visitatori: varcata la soglia, la sensazione è quella di entrare nella libreria di un profumiere, tra scaffali in legno scuro carichi di volumi (più di settanta, i titoli in vendita) su fragranze, essenze e fiori e mensole che ospitano la più grande collezione di profumi LUSH al mondo.
Lo store è anche l'unico luogo al mondo in cui reperire una nuova collezione di fragranze realizzate interamente in-house capace di trasportare i clienti in un lungo viaggio olfattivo ispirato alla
città di Firenze, che affonda le radici nel Rinascimento, con tanto di mappa da aprire e "seguire", profumo dopo profumo.
L'anima pop e tecnologica di LUSH è invece al centro della seconda area, bianca e luminosa, che racchiude la più grande collezione di Body Spray votati online dalla #LushCommunity, con nuovi prodotti disponibili qui in esclusiva assoluta. Qui, un’area multisensoriale invita poi clienti ad immergersi in un’esperienza interattiva e giocosa, dove la tecnologia si unirà alla musica e a giochi di luce per dare forma, sostanza e nuova vita alle fragranze.
Ma come scegliere la propria fragranza, con una tale scelta?
Ci si può affidare al preparatissimo personale, e a una spettacolare consultazione
personalizzata ispirata alla teoria degli umori e all’uso del profumo come medicina durante il
Rinascimento, un’epoca in cui la fragranza veniva selezionata in base a una prescrizione personalizzata per andare incontro alle necessità individuali e tenendo in considerazione il potere del profumo di riequilibrare il corpo e offrire protezione contro le malattie.
I profumi e i body spray del brand inglese sono perfetti anche da miscelare e combinare tra loro per creare ogni volta la fragranza che davvero ci appartiene, e il nuovo concept store regala ai clienti un'esperienza unica nel suo genere, assolutamente da provare!
Lush Perfume Library vi aspetta a Firenze in via dei Calzaiuoli 94/96... e insieme a lei il profumo perfetto per voi!
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lunedì 18 novembre 2019
Friendship Tour: Ken Follett, Lee Child, Jojo Moyes e Kate Mosse, insieme contro la Brexit
«Sono felice e onorato di essere qui stamattina. Ognuno di noi vi spiegherà perché siamo qui. Questo tour è stata una mia idea» esordisce Ken Follett (autore de I pilastri della terra, Mondadori) alla conferenza stampa del Friendship Tour, che lo vede protagonista accanto a Lee Child, Jojo Moyes e Kate Mosse.
«Ognuno di noi ha milioni di lettori in Europa, e io personalmente sono felice di averli e orgoglioso che persone in questi paesi mi leggano, tradotto o in lingua originale. Mi imbarazza molto, che il mio Paese rigetti il legame con gli altri paesi europei, dichiarando di non volerne più fare parte, dicendo che stiamo bene per conto nostro. Io non sto bene per conto mio, voglio far parte dello stesso paese dei miei lettori italiani, francesi, spagnoli. Sono qui per dire che io non li rifiuto, e anzi, voglio loro bene» prosegue, prima di cedere la parola a Jojo Moyes (autrice di Io prima di te, Mondadori).
«Quando mi sono svegliata il 24 giugno 2016 e ho appreso l'esito del referendum, ho pianto. Come tanti altri, ero sorpresa, ma soprattutto, sin dalla nascita mi sono sempre sentita una cittadina europea. Ho passato la vita a viaggiare da un paese europeo all'altro, senza la sensazione di essere davvero straniera, e questo rischia di cambiare. Quello che voglio dire è che i politici non parlano per noi. C'è una massa compatta di popolazione che non desidera questo, che non è d'accordo, e questo ci sembra un modo efficace di utilizzare la nostra voce per dire che la politica potrà anche separarci strutturalmente dall'Europa, ma i nostri cuori e la nostra morale, oltre che le nostre radici culturali, resteranno saldamente legate ad essa.
«La mia generazione è cresciuta con il declino dell'impero britannico e il declino dell'importanza dell'Inghilterra, e ci siamo rivolti all'Europa come comunità alla quale sentivamo di appartenere e in cui ci sentivamo a casa. In cui vogliamo continuare a sentirci a casa» interviene Lee Child (autore di Il mio nome è Jack Reacher, Longanesi).
«Non ho votato a favore della Brixit, e vorrei che tutti avessero votato nel mio stesso modo... ma del resto, è quello che mi auguro sempre! Quello che è importante che comprendiamo tutti, a livello personale, è che saremo sempre europei, e faremo sempre parte della stessa comunità.
Ho anche dei motivi prettamente personali: adoro Milano, trovo che sia una città meravigliosa di cui amo l'architettura, il cibo e, ovviamente, il caffè!»
«Le storie ci aiutano da sempre a colmare i vuoti, a costruire ponti. Alle storie non importa nulla delle differenze linguistiche: che voi leggiate un nostro libro in inglese o tradotto, è il processo di condivisione della storia ad unirci tutti. Ci rende tutti uguali» continua Kate Mosse (autrice di La città dei labirinti senza fine, Newton Compton Editori).
«Mi sento profondamente inglese, ma mi sento anche europea, perché facciamo tutti parte della stessa famiglia. La nostra storia è la vostra storia, e se c'è una cosa che abbiamo imparato tutti dalla Storia è che i confini, i Paesi, vanno e vengono, ma le persone restano.
Siamo qui per dire che i giornali e i politici non parlano per noi, e per molte altre persone.
Grazie di averci permesso di venire qui oggi, e parlare per noi e per loro.»
Esiste quindi, pensando a questo scontento, la possibilità di un nuovo referendum?
«Forse abbiamo una possibilità» afferma Ken Follett, «Credo ci sia la possibilità di un nuovo referendum, anche se molto piccola. È quello che vorrei accadesse, perché penso che il risultato sarebbe diverso» continua.
Può però la politica agire davvero sulle persone? Se penso a noi italiani, in fondo, siamo ed eravamo europei a prescindere dalla nascita dell'Unione Europea: siamo europei perché siamo in Europa. È così anche per l'Inghilterra?
«È un'ottima domanda. Non credo dipenda solo dalla politica, ma anche dai giornali, e dall'intero sistema di informazione» replica Kate Mosse, prendendo la parola.
«Quando le persone si sentono messe da parte, o non ascoltate, cercano qualcuno da incolpare. Molti si sentono europei nel cuore, e molti altri sentono che quanto di meglio c'è in Europa vada ad altri, e non a loro, e che quindi sia un'Inghilterra separata ciò di cui hanno bisogno.
Io e Ken Follett scriviamo romanzi storici, ed è qualcosa che vediamo ripetersi in ogni epoca: quando ci sono difficoltà, chi governa fagocita le masse contro un nemico esterno.
È questo che sta accadendo in Inghilterra adesso.»
Domanda provocatoria: il problema dei politici è che non leggono libri, e forse neanche i giornali?
«Il mondo sarebbe un posto migliore, se i politici leggessero più libri» interviene Jojo Moyes.
«La prima cosa che impari dalla lettura di un libro è metterti nei panni di qualcun altro: ti insegna l'empatia, valore di cui sembra esserci carenza al momento. Un altro problema è che molti di loro non solo non leggono, ma lo dichiarano con orgoglio.»
«La mia esperienza è che le brave persone - sia nel senso morale del termine, sia pensando alle loro capacità - leggono» conferma Lee Child.
«Obama è un lettore forte, anzi, fortissimo. Ogni anno stila una lista delle sue letture, ed è sempre ricca di proposte interessanti. Bill Clinton è un lettore forte, ed anche un appassionato di thriller. L'anno scorso a New York era il moderatore al lancio del mio libro, ed era preparatissimo ed entusiasta. Una delle grandi differenze tra persone come Obama e Clinton, e persone come Trump e Bush, è sicuramente data dal fatto che i primi siano lettori, e i secondi no.»
Come andrà a finire, secondo voi?
«Stai chiedendo a dei narratori di immaginare come andrà a finire» risponde Ken Follett.
«Ecco uno dei possibili scenari: il Regno Unito potrebbe dividersi. La Scozia e l'Irlanda del Nord potrebbero lasciarlo, e restare in Europa. Nel prossimo futuro, anche la Cataloga potrebbe decidere di lasciare la Spagna. E cosa potrebbe accadere in Italia? Potrebbe avvenire una scissione del Nord dal Sud? È questo, il futuro del continente? Un cuore di stati liberali ricchi, e una periferia di stati poveri e populisti? È solo una storia, adesso, ma chissà...»
Come può, secondo voi, la cultura mettere un freno alla deriva alla chiusura che, come abbiamo visto, sembra emergere in diversi stati europei, non solo in Inghilterra?
«Ciò che i libri, le opere teatrali e i film possono fare è creare un ponte quando si creano situazioni che vedono due fazioni contrapporsi, incapaci di ascoltare l'altra.
Quando le persone aprono un libro leggono storie e ne vengono influenzati, anche nel momento in cui non vogliono ascoltare nessuno. È questa la ragione per cui siamo qui: le persone non ascoltano più, ma gli scrittori possono ancora raccontare loro delle storie e farci sentire.
Dipende da noi, continuare a raccontare la verità anche attraverso quelle che sono opere d'invenzione, e riuscire a farci sentire» propone Kate Mosse, sottolineando l'importante ruolo della cultura ma anche dei prodotti d'intrattenimento.
Viene da qui la scelta del tema dell'amicizia, e del nome Friendship Tour?
«Abbiamo avuto tutti la sensazione che l'amicizia fosse (e sia) l'antidoto migliore al sentimento di rottura che anima la Brexit. È una manovra che vuole dividerci, distanziarci, e quello che voglia enfatizzare è che, se sono stati fatti errori a livello politico, le persone possono ancora alzarsi e dire che siamo ancora amici, e ci sentiamo ancora europei a prescindere da ciò che dicono i governi o le manovre politiche» conclude Lee Child.
Grazie a Newton Compton Editori per la possibilità di partecipare, e agli autori per la loro disponibilità nel rispondere a tutte le domande loro rivolte.
«Ognuno di noi ha milioni di lettori in Europa, e io personalmente sono felice di averli e orgoglioso che persone in questi paesi mi leggano, tradotto o in lingua originale. Mi imbarazza molto, che il mio Paese rigetti il legame con gli altri paesi europei, dichiarando di non volerne più fare parte, dicendo che stiamo bene per conto nostro. Io non sto bene per conto mio, voglio far parte dello stesso paese dei miei lettori italiani, francesi, spagnoli. Sono qui per dire che io non li rifiuto, e anzi, voglio loro bene» prosegue, prima di cedere la parola a Jojo Moyes (autrice di Io prima di te, Mondadori).
«Quando mi sono svegliata il 24 giugno 2016 e ho appreso l'esito del referendum, ho pianto. Come tanti altri, ero sorpresa, ma soprattutto, sin dalla nascita mi sono sempre sentita una cittadina europea. Ho passato la vita a viaggiare da un paese europeo all'altro, senza la sensazione di essere davvero straniera, e questo rischia di cambiare. Quello che voglio dire è che i politici non parlano per noi. C'è una massa compatta di popolazione che non desidera questo, che non è d'accordo, e questo ci sembra un modo efficace di utilizzare la nostra voce per dire che la politica potrà anche separarci strutturalmente dall'Europa, ma i nostri cuori e la nostra morale, oltre che le nostre radici culturali, resteranno saldamente legate ad essa.
«La mia generazione è cresciuta con il declino dell'impero britannico e il declino dell'importanza dell'Inghilterra, e ci siamo rivolti all'Europa come comunità alla quale sentivamo di appartenere e in cui ci sentivamo a casa. In cui vogliamo continuare a sentirci a casa» interviene Lee Child (autore di Il mio nome è Jack Reacher, Longanesi).
«Non ho votato a favore della Brixit, e vorrei che tutti avessero votato nel mio stesso modo... ma del resto, è quello che mi auguro sempre! Quello che è importante che comprendiamo tutti, a livello personale, è che saremo sempre europei, e faremo sempre parte della stessa comunità.
Ho anche dei motivi prettamente personali: adoro Milano, trovo che sia una città meravigliosa di cui amo l'architettura, il cibo e, ovviamente, il caffè!»
«Le storie ci aiutano da sempre a colmare i vuoti, a costruire ponti. Alle storie non importa nulla delle differenze linguistiche: che voi leggiate un nostro libro in inglese o tradotto, è il processo di condivisione della storia ad unirci tutti. Ci rende tutti uguali» continua Kate Mosse (autrice di La città dei labirinti senza fine, Newton Compton Editori).
«Mi sento profondamente inglese, ma mi sento anche europea, perché facciamo tutti parte della stessa famiglia. La nostra storia è la vostra storia, e se c'è una cosa che abbiamo imparato tutti dalla Storia è che i confini, i Paesi, vanno e vengono, ma le persone restano.
Siamo qui per dire che i giornali e i politici non parlano per noi, e per molte altre persone.
Grazie di averci permesso di venire qui oggi, e parlare per noi e per loro.»
Esiste quindi, pensando a questo scontento, la possibilità di un nuovo referendum?
«Forse abbiamo una possibilità» afferma Ken Follett, «Credo ci sia la possibilità di un nuovo referendum, anche se molto piccola. È quello che vorrei accadesse, perché penso che il risultato sarebbe diverso» continua.
Può però la politica agire davvero sulle persone? Se penso a noi italiani, in fondo, siamo ed eravamo europei a prescindere dalla nascita dell'Unione Europea: siamo europei perché siamo in Europa. È così anche per l'Inghilterra?
«È un'ottima domanda. Non credo dipenda solo dalla politica, ma anche dai giornali, e dall'intero sistema di informazione» replica Kate Mosse, prendendo la parola.
«Quando le persone si sentono messe da parte, o non ascoltate, cercano qualcuno da incolpare. Molti si sentono europei nel cuore, e molti altri sentono che quanto di meglio c'è in Europa vada ad altri, e non a loro, e che quindi sia un'Inghilterra separata ciò di cui hanno bisogno.
Io e Ken Follett scriviamo romanzi storici, ed è qualcosa che vediamo ripetersi in ogni epoca: quando ci sono difficoltà, chi governa fagocita le masse contro un nemico esterno.
È questo che sta accadendo in Inghilterra adesso.»
Domanda provocatoria: il problema dei politici è che non leggono libri, e forse neanche i giornali?
«Il mondo sarebbe un posto migliore, se i politici leggessero più libri» interviene Jojo Moyes.
«La prima cosa che impari dalla lettura di un libro è metterti nei panni di qualcun altro: ti insegna l'empatia, valore di cui sembra esserci carenza al momento. Un altro problema è che molti di loro non solo non leggono, ma lo dichiarano con orgoglio.»
«La mia esperienza è che le brave persone - sia nel senso morale del termine, sia pensando alle loro capacità - leggono» conferma Lee Child.
«Obama è un lettore forte, anzi, fortissimo. Ogni anno stila una lista delle sue letture, ed è sempre ricca di proposte interessanti. Bill Clinton è un lettore forte, ed anche un appassionato di thriller. L'anno scorso a New York era il moderatore al lancio del mio libro, ed era preparatissimo ed entusiasta. Una delle grandi differenze tra persone come Obama e Clinton, e persone come Trump e Bush, è sicuramente data dal fatto che i primi siano lettori, e i secondi no.»
Come andrà a finire, secondo voi?
«Stai chiedendo a dei narratori di immaginare come andrà a finire» risponde Ken Follett.
«Ecco uno dei possibili scenari: il Regno Unito potrebbe dividersi. La Scozia e l'Irlanda del Nord potrebbero lasciarlo, e restare in Europa. Nel prossimo futuro, anche la Cataloga potrebbe decidere di lasciare la Spagna. E cosa potrebbe accadere in Italia? Potrebbe avvenire una scissione del Nord dal Sud? È questo, il futuro del continente? Un cuore di stati liberali ricchi, e una periferia di stati poveri e populisti? È solo una storia, adesso, ma chissà...»
Come può, secondo voi, la cultura mettere un freno alla deriva alla chiusura che, come abbiamo visto, sembra emergere in diversi stati europei, non solo in Inghilterra?
«Ciò che i libri, le opere teatrali e i film possono fare è creare un ponte quando si creano situazioni che vedono due fazioni contrapporsi, incapaci di ascoltare l'altra.
Quando le persone aprono un libro leggono storie e ne vengono influenzati, anche nel momento in cui non vogliono ascoltare nessuno. È questa la ragione per cui siamo qui: le persone non ascoltano più, ma gli scrittori possono ancora raccontare loro delle storie e farci sentire.
Dipende da noi, continuare a raccontare la verità anche attraverso quelle che sono opere d'invenzione, e riuscire a farci sentire» propone Kate Mosse, sottolineando l'importante ruolo della cultura ma anche dei prodotti d'intrattenimento.
Viene da qui la scelta del tema dell'amicizia, e del nome Friendship Tour?
«Abbiamo avuto tutti la sensazione che l'amicizia fosse (e sia) l'antidoto migliore al sentimento di rottura che anima la Brexit. È una manovra che vuole dividerci, distanziarci, e quello che voglia enfatizzare è che, se sono stati fatti errori a livello politico, le persone possono ancora alzarsi e dire che siamo ancora amici, e ci sentiamo ancora europei a prescindere da ciò che dicono i governi o le manovre politiche» conclude Lee Child.
Grazie a Newton Compton Editori per la possibilità di partecipare, e agli autori per la loro disponibilità nel rispondere a tutte le domande loro rivolte.
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venerdì 15 novembre 2019
I miei grandi classici: Angela Frenda, e la rivalutazione della crostata
«Restituiamo dignità alla crostata, che sembra semplice ma è in realtà un piatto trasformista. Basta cambiare un solo ingrediente, e si ottiene qualcosa di totalmente diverso. Lanciamo un movimento per la rivalutazione della crostata!»
Angela Frenda è frizzante, divertente, esplosiva: impossibile incontrarla e non trovarsi ad ascoltarla incantati mentre racconta la sua ultima fatica, I miei grandi classici (Solferino). Ed è altrettanto impossibile non volersi precipitare a casa, indossare un grembiule e infornare un pollo arrosto con patate.
Quella raccontata da Angela Frenda tra le pagine de I miei grandi classici è la cucina di casa, nella sua accezione più emozionale: i grandi classici del titolo sono «i piatti che rassicurano, che preparo quando salta fuori una cena all'improvviso e devo essere sicura che riesca bene».
I suoi cavalli di battaglia, e chi non ne ha almeno un paio?
Sfogliare il suo libro vuol dire entrare in casa sua e nella sua cucina, e allo stesso tempo sentirsi davvero a casa propria, e dalla lettura al trovarsi con le mani affondate in un impasto il passo è davvero brevissimo.
Un grande desiderio era anche quello di restituire alla cucina di casa la sua dignità, ed è un tema a cui Angela Frenda tiene particolarmente.
«Tutte noi, quano portiamo in tavola un piatto, cerchiamo di presentarlo al meglio. Cucina di casa non significa cucina raffazzonata, e il messaggio che vorrei che arrivasse è che sì, questa è una cucina semplice, ma anche molto curata e bella da vedere.»
I grandi classici di Angela Frenda sono piatti italiani, tradizionali, ma non solo: ci si trova a passeggiare in Francia e in Inghilterra, per citarne due, e non ci si ferma qui.
«Sono convinta che le ricette nascondano delle storie, universali e personali, e sono le storie a renderle speciali: dal dolce che un'amica ci ha insegnato a preparare al piatto che abbiamo gustato quando siamo usciti a cena per la prima volta con il nostro compagno.
Dobbiamo riportare le storie nei ricettari, perchè se no le sviliamo. Quando ricette ci sono per gli spaghett al pomodoro? Eppure la mia non sarà mai uguale a quella di nessun altro.
Si parla molto di storytelling, e credo vada riportato anche in cucina.»
Uno storytelling e una narrazione che sono, per tradizione, prettamente femminili (con l'eccezione di qualche voce maschile), nonostante in Italia abbiamo grandi ricettari ma non un grande food writing.
I miei grandi classici è un volume di inedita eleganza, soprattutto nella sua componente fotografica, che riesce a trasmettere il calore della casa e dell'intimità domestica senza rinunciare a uno scatto di altissimo livello.
«Quando dico di voler restituire alla cucina di casa la sua dignità, mi riferisco al fatto che, alla fine, le persone dove cucinano? A casa. Quanti di noi sono chef, e quanti di noi sono persone che cucinano ogni giorno senza farlo di professione? Basti pensare, tra l'altro, al fatto che anche la cucina stellata stia recuperando molto delle radici personali, delle ricette tramandate. Per forza, altrimenti ci perdiamo.»
Ed è anche in quest'ottima che, secondo Angela Frenda bisogna fare qualcosa per salvare i secondi piatti, vittima del nostro mangiare meno, e nel notro privilegiare gli antipasti (più leggeri e su cui si sperimenta di più) e i primi (a cui, oggettivamente, non rinunceremmo mai).
«Abbiamo lavorato su questo, e alleggerito molti dei secondi proposti, anche pensando al fatto che, inevitabilmente, si mangia sempre meno carne» aggiunge l'autrice, sottolineando però che il filetto al forno alle erbe è un piatto molto semplice da preparare, e quindi perchè non cimentarsi?
I miei grandi classici è un invito a riscoprire la gioia di cucinare e di mangiare insieme a chi amiamo, a sporcarci le mani di farina e a infornare una crostata in un pomeriggio di pioggia: esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.
Consigliato.
I miei grandi classici di Angela Frenda (Solferino) è in libreria, al prezzo di copertina di 18€.
Angela Frenda è frizzante, divertente, esplosiva: impossibile incontrarla e non trovarsi ad ascoltarla incantati mentre racconta la sua ultima fatica, I miei grandi classici (Solferino). Ed è altrettanto impossibile non volersi precipitare a casa, indossare un grembiule e infornare un pollo arrosto con patate.
Quella raccontata da Angela Frenda tra le pagine de I miei grandi classici è la cucina di casa, nella sua accezione più emozionale: i grandi classici del titolo sono «i piatti che rassicurano, che preparo quando salta fuori una cena all'improvviso e devo essere sicura che riesca bene».
I suoi cavalli di battaglia, e chi non ne ha almeno un paio?
Sfogliare il suo libro vuol dire entrare in casa sua e nella sua cucina, e allo stesso tempo sentirsi davvero a casa propria, e dalla lettura al trovarsi con le mani affondate in un impasto il passo è davvero brevissimo.
Un grande desiderio era anche quello di restituire alla cucina di casa la sua dignità, ed è un tema a cui Angela Frenda tiene particolarmente.
«Tutte noi, quano portiamo in tavola un piatto, cerchiamo di presentarlo al meglio. Cucina di casa non significa cucina raffazzonata, e il messaggio che vorrei che arrivasse è che sì, questa è una cucina semplice, ma anche molto curata e bella da vedere.»
I grandi classici di Angela Frenda sono piatti italiani, tradizionali, ma non solo: ci si trova a passeggiare in Francia e in Inghilterra, per citarne due, e non ci si ferma qui.
«Sono convinta che le ricette nascondano delle storie, universali e personali, e sono le storie a renderle speciali: dal dolce che un'amica ci ha insegnato a preparare al piatto che abbiamo gustato quando siamo usciti a cena per la prima volta con il nostro compagno.
Dobbiamo riportare le storie nei ricettari, perchè se no le sviliamo. Quando ricette ci sono per gli spaghett al pomodoro? Eppure la mia non sarà mai uguale a quella di nessun altro.
Si parla molto di storytelling, e credo vada riportato anche in cucina.»
Uno storytelling e una narrazione che sono, per tradizione, prettamente femminili (con l'eccezione di qualche voce maschile), nonostante in Italia abbiamo grandi ricettari ma non un grande food writing.
I miei grandi classici è un volume di inedita eleganza, soprattutto nella sua componente fotografica, che riesce a trasmettere il calore della casa e dell'intimità domestica senza rinunciare a uno scatto di altissimo livello.
«Quando dico di voler restituire alla cucina di casa la sua dignità, mi riferisco al fatto che, alla fine, le persone dove cucinano? A casa. Quanti di noi sono chef, e quanti di noi sono persone che cucinano ogni giorno senza farlo di professione? Basti pensare, tra l'altro, al fatto che anche la cucina stellata stia recuperando molto delle radici personali, delle ricette tramandate. Per forza, altrimenti ci perdiamo.»
Ed è anche in quest'ottima che, secondo Angela Frenda bisogna fare qualcosa per salvare i secondi piatti, vittima del nostro mangiare meno, e nel notro privilegiare gli antipasti (più leggeri e su cui si sperimenta di più) e i primi (a cui, oggettivamente, non rinunceremmo mai).
«Abbiamo lavorato su questo, e alleggerito molti dei secondi proposti, anche pensando al fatto che, inevitabilmente, si mangia sempre meno carne» aggiunge l'autrice, sottolineando però che il filetto al forno alle erbe è un piatto molto semplice da preparare, e quindi perchè non cimentarsi?
I miei grandi classici è un invito a riscoprire la gioia di cucinare e di mangiare insieme a chi amiamo, a sporcarci le mani di farina e a infornare una crostata in un pomeriggio di pioggia: esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.
Consigliato.
I miei grandi classici di Angela Frenda (Solferino) è in libreria, al prezzo di copertina di 18€.
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mercoledì 13 novembre 2019
"La vita gioca con me" di David Grossman
Uno dei titoli più attesi dell'autunno era, senza dubbio, La vita gioca con me di David Grossman (Mondadori), una storia famigliare fatta di segreti e incomprensioni che, dopo aver marcato irrimediabilmente il passato, vengono svelati nel presente... affinché non siano dimenticati in futuro.
«Tuvia era mio nonno. Vera è mia nonna. Rafael, Rafi, mio padre, e Nina… Nina non c'è. Nina non è qui. È sempre stato questo il suo contributo particolare alla famiglia», annota Ghili nel suo quaderno.
Ma per la festa dei novant'anni di Vera, Nina è tornata; ha preso tre aerei che dall'Artico l'hanno portata al kibbutz, tra l'euforia di sua madre, la rabbia di sua figlia Ghili, e la venerazione immutata di Rafi, l'uomo che ancora, nonostante tutto, quando la vede perde ogni difesa. E questa volta sembra che Nina non abbia intenzione di fuggire via; ha una cosa urgente da comunicare. E una da sapere. Vuole che sua madre le racconti finalmente cosa è successo in Iugoslavia, nella "prima parte" della sua vita, quando, giovane ebrea croata, si è caparbiamente innamorata di MiloŠ, figlio di contadini serbi senza terra. E di quando MiloŠ è stato sbattuto in prigione con l'accusa di essere una spia stalinista. Vuole sapere perché Vera è stata deportata nel campo di rieducazione sull'isola di Goli Otok, abbandonandola all'età di sei anni e mezzo.
Di più, Nina suggerisce di partire alla volta del luogo dell'orrore che ha risucchiato Vera per tre anni e che ha segnato il suo destino e poi quello della giovane Ghili.
Il viaggio di Vera, Nina, Ghili e Rafi a Goli Otok finisce per trasformarsi in una drammatica resa dei conti e rompe il silenzio, risvegliando sentimenti ed emozioni con la violenza della tempesta che si abbatte sulle scogliere dell'isola. Un viaggio catartico affidato alle riprese di una videocamera, dove memoria e oblio si confondono in un'unica testimonianza imperfetta.
Questa, in sintesi estrema, la storia al centro de La vita gioca con me, nuovo romanzo di David Grossman, e come accade con i suoi lavori, la storia è solo un frammento di ciò che l'autore intende raccontare ai suoi lettori.
La storia di Nina, e della madre Vera - alle due donne spetta senza ombra di dubbio un ruolo centrale - , è narrata attraverso un gioco di opposizioni e contrasti: tra passato e presente, tra ricordo e oblìo, tra amore e odio, tra assenza e presenza. Quelle stesse forze contrastanti che non cessano di governare l'animo umano.
Abbandonata a sei anni dalla madre Vera al campo di rieducazione di Goli Otok, Nina ha avuto un'infanzia difficile e traumatica, e nemmeno il rapporto positivo con il fratellastro adottivo Rafael (Rafi) è riuscito a colmare la voragine che le è rimasta nel cuore. I due hanno avuto una figlia, Ghili, che si è trovata a subire il medesimo abbandono materno quando Nina, incapace di gestire la quotidianità e i sentimenti, ha messo tra se stessa e la famiglia migliaia di chilometri.
Una storia di abbandoni, e di storie che si ripetono, quindi, ma anche di ritorni e cambiamenti: il compleanno di Vera (novant'anni, una data importante), fanno sì che Nina si faccia coraggio e affronti il lungo viaggio dal rigido Artico e torni al kibbutz, suscitando reazioni contrastanti nei membri della famiglia. Se la madre riesce a stento a contenere l'entusiasmo, e Rafi fa fatica (come sempre) a provare qualcosa per Nina che non sia ammirazione, Ghili non perdona.
Per Nina non è facile gestire il rifiuto e la rabbia della figlia, né difendersi dall'eccessiva ammirazione di Rafi, ma la decisione di registrare tutti insieme un documentario per conservare la memoria della vita della nonna rappresenta un punto di svolta.
È la sua occasione di raccontare cosa le sia accaduto in Iugoslavia, spiegare perchè ha sentito di dover lasciare la figlia quando aveva solo sei anni e più di tutto avrebbe avuto bisogno di lei... e per Nina di non perdere i suoi ricordi.
Senza svelare quale sia il vero motivo del suo ritorno, si può però identificare nel ricordo, e nell'importanza della sua conservazione, uno dei temi centrali affrontati dal romanzo.
Che si legge tutto d'un fiato, nonostante racconti una storia dolorosa, a tratti faticosa da assorbire fino in fondo. E che fa ancora una volta riflettere sull'identità, su quanto sia modellata dai ricordi e dalle esperienze, e quanto dall'amore (e dalla sua assenza).
La Nina che prende congedo dai lettori a fine volume è molto diversa da quella che viene loro presentata nei primi capitoli, e il lettore non potrà fare a meno di compiere, intenzionalmente o no, il suo stesso percorso, ritrovandosi, a lettura ultimata, più consapevole. E forse, capace di perdonare.
La vita gioca con me di David Grossman (Mondadori) è in libreria al prezzo di copertina di 21€.
«Tuvia era mio nonno. Vera è mia nonna. Rafael, Rafi, mio padre, e Nina… Nina non c'è. Nina non è qui. È sempre stato questo il suo contributo particolare alla famiglia», annota Ghili nel suo quaderno.
Ma per la festa dei novant'anni di Vera, Nina è tornata; ha preso tre aerei che dall'Artico l'hanno portata al kibbutz, tra l'euforia di sua madre, la rabbia di sua figlia Ghili, e la venerazione immutata di Rafi, l'uomo che ancora, nonostante tutto, quando la vede perde ogni difesa. E questa volta sembra che Nina non abbia intenzione di fuggire via; ha una cosa urgente da comunicare. E una da sapere. Vuole che sua madre le racconti finalmente cosa è successo in Iugoslavia, nella "prima parte" della sua vita, quando, giovane ebrea croata, si è caparbiamente innamorata di MiloŠ, figlio di contadini serbi senza terra. E di quando MiloŠ è stato sbattuto in prigione con l'accusa di essere una spia stalinista. Vuole sapere perché Vera è stata deportata nel campo di rieducazione sull'isola di Goli Otok, abbandonandola all'età di sei anni e mezzo.
Di più, Nina suggerisce di partire alla volta del luogo dell'orrore che ha risucchiato Vera per tre anni e che ha segnato il suo destino e poi quello della giovane Ghili.
Il viaggio di Vera, Nina, Ghili e Rafi a Goli Otok finisce per trasformarsi in una drammatica resa dei conti e rompe il silenzio, risvegliando sentimenti ed emozioni con la violenza della tempesta che si abbatte sulle scogliere dell'isola. Un viaggio catartico affidato alle riprese di una videocamera, dove memoria e oblio si confondono in un'unica testimonianza imperfetta.
Questa, in sintesi estrema, la storia al centro de La vita gioca con me, nuovo romanzo di David Grossman, e come accade con i suoi lavori, la storia è solo un frammento di ciò che l'autore intende raccontare ai suoi lettori.
La storia di Nina, e della madre Vera - alle due donne spetta senza ombra di dubbio un ruolo centrale - , è narrata attraverso un gioco di opposizioni e contrasti: tra passato e presente, tra ricordo e oblìo, tra amore e odio, tra assenza e presenza. Quelle stesse forze contrastanti che non cessano di governare l'animo umano.
Abbandonata a sei anni dalla madre Vera al campo di rieducazione di Goli Otok, Nina ha avuto un'infanzia difficile e traumatica, e nemmeno il rapporto positivo con il fratellastro adottivo Rafael (Rafi) è riuscito a colmare la voragine che le è rimasta nel cuore. I due hanno avuto una figlia, Ghili, che si è trovata a subire il medesimo abbandono materno quando Nina, incapace di gestire la quotidianità e i sentimenti, ha messo tra se stessa e la famiglia migliaia di chilometri.
Una storia di abbandoni, e di storie che si ripetono, quindi, ma anche di ritorni e cambiamenti: il compleanno di Vera (novant'anni, una data importante), fanno sì che Nina si faccia coraggio e affronti il lungo viaggio dal rigido Artico e torni al kibbutz, suscitando reazioni contrastanti nei membri della famiglia. Se la madre riesce a stento a contenere l'entusiasmo, e Rafi fa fatica (come sempre) a provare qualcosa per Nina che non sia ammirazione, Ghili non perdona.
Per Nina non è facile gestire il rifiuto e la rabbia della figlia, né difendersi dall'eccessiva ammirazione di Rafi, ma la decisione di registrare tutti insieme un documentario per conservare la memoria della vita della nonna rappresenta un punto di svolta.
È la sua occasione di raccontare cosa le sia accaduto in Iugoslavia, spiegare perchè ha sentito di dover lasciare la figlia quando aveva solo sei anni e più di tutto avrebbe avuto bisogno di lei... e per Nina di non perdere i suoi ricordi.
Senza svelare quale sia il vero motivo del suo ritorno, si può però identificare nel ricordo, e nell'importanza della sua conservazione, uno dei temi centrali affrontati dal romanzo.
Che si legge tutto d'un fiato, nonostante racconti una storia dolorosa, a tratti faticosa da assorbire fino in fondo. E che fa ancora una volta riflettere sull'identità, su quanto sia modellata dai ricordi e dalle esperienze, e quanto dall'amore (e dalla sua assenza).
La Nina che prende congedo dai lettori a fine volume è molto diversa da quella che viene loro presentata nei primi capitoli, e il lettore non potrà fare a meno di compiere, intenzionalmente o no, il suo stesso percorso, ritrovandosi, a lettura ultimata, più consapevole. E forse, capace di perdonare.
La vita gioca con me di David Grossman (Mondadori) è in libreria al prezzo di copertina di 21€.
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venerdì 8 novembre 2019
Boy's Love: tre titoli da scoprire, firmati MangaSenpai
Di cuccioli di foca e telescopi dalle lenti incrinate, di musicisti diventati domestici diventati imprenditori (restate con me) e aspiranti rockstar con un guardaroba degno di Francesca Cacace: immergersi nella lettura dei titoli della collana Boy's Love di Mangasenpai Edizioni è così, un'altalena di emozione, tenerezza e divertimento.
Spiegare il successo della letteratura LGBT (in ogni sua accezione) identificandolo con il mero raggiungimento del bacino omosessuale, che finalmente può identificarsi nei protagonisti e che quindi acquista di più, sarebbe riduttivo e, forse peccherebbe di ingenuità.
La verità è che i maggiori acquirenti di opere di narrativa LGBT, soprattutto se si tratta di M/M (male to male, ndr), sono di sesso femminile.
Gli autori e le autrici, di romanzi così come di manga, o di graphic novel, lo sanno bene, però, e ci sono tre titoli, nella collana Boy's Love di Mangasenpai Edizioni, che rappresentano i tre fattori di attrazione (soprattutto pensando al pubblico femminile).
Servant Lord, di Lo & Lorynell Yu: in ricchezza e in povertà
Christian, nove anni e un rapporto complicato con il padre (capace di riempire la sua vita di lussi ma non di affetto), si prende una cotta clamorosa per Daniel, figlio di una coppia di amici del padre.
Daniel, già quasi adulto, è un pianista e compositore di grande talento, e diventa per Christian non solo un insegnante di pianoforte, ma un amico fidato e la sua compagnia preferita.
Un rovescio di fortuna fa sì che sulle spalle di Daniel ricada un grosso debito contratto dai genitori, e per ripagare l'aiuto del padre di Christian si presta a lavorare come domestico a tempo pieno.
Il rapporto con Christian, mentre quest'ultimo passa da bambino tormentato ad adolescente nervoso e arrabbiato col mondo, si complica nel momento in cui l'attrazione che il più giovane prova per il più vecchio è sempre più manifesta.
Le loro strade si dividono, per ricongiungersi anni dopo: ritroviamo Christian decisamente cresciuto, in compagnia di un altro aspirante musicista come lui che va in giro con la frangetta e un cappotto che sarebbe piaciuto moltissimo a Francesca Cacace (incontenibile protagonista de La tata, ndr) , e Daniel... invecchiato molto bene, così bene che sostanzialmente ha un po' di mento in più. Fine.
Urge il nome della sua crema viso, perchè l'alternativa è che nella sua cantina ci sia un ritratto rugoso e con parecchi capelli bianchi.
Da rampollo di buona famiglia a domestico, e ora da domestico a imprenditore di successo: Daniel perde e accumula migliaia di yen come se fossero penne Bic.
È la storia perfetta per chi apprezza gli amori che nascono in gioventù e resistono alla prova del tempo, per chi ha un debole per le rockstar e per chi trova irresistibile il ping-pong verbale macchiato d'ironia e sarcasmo.
Whispering Blue, di CHASM (Marika Herzog e Michel Decomain): cuccioli di foca e pucciosità assortite
Sicuramente una delle punte di diamante della collana, sia dal punto di vista artistico che narrativo.
In breve, Adrian, da bambino appassionato osservatore delle foche alla Seal Station della città si è trasformato in un adolescente vittima di bullismo, e proprio trascinato dai bulli ha fatto qualcosa che non avrebbe mai voluto: strappare dall'acqua un cucciolo di foca, rendendogli così impossibile tornare con la sua famiglia (una volta toccati, i cuccioli di foca cambiano odore e le madri non li riconoscono più, ndr). Come se non bastasse, è stato l'unico a essere scoperto e condannato ai servizi socialmente utili. Indovinate dove? Esatto, alla Seal Station, dove è stato nel mentre accolto lo stesso cucciolo, chiamato Blu.
Qui Adrian impara quanta passione e fatica ci siano, dietro ai cuccioli di foche che guardava sguazzare da bambino al di là del vetro, e soprattutto incontra Marc, che dapprima lo tratta con severità (in fondo, Adrian è lì perchè ha fatto una cosa che, per chi si impegna per salvare i cuccioli di foca e reinserirli nel loro ambiente naturale, è atroce...), ma con il passare dei giorni finisce per esserne conquistato... ricambiato.
Alla Seal Station, Adrian impara a conoscersi, e a guardarsi dentro, scoprendo qualcosa di sè e sui suoi gusti che ignorava fino a quel momento. Impara che i bulli vincono solo se glielo si permette, e che l'amore e una relazione rassicurante non sono la stessa cosa.
Da segnalare, una buffa doppia pagina illustrata dedicata ai funny facts sui cuccioli di foca, e la pucciosità atomica di Blu e degli altri cuccioli di foca, pieni protagonisti della storia e del volume.
Non stupitevi, se vi troverete tutti a cercare online il posto più vicino a voi in cui vedere dei cuccioli di foca: è l'effetto Blu.
Il collezionista di stelle, di Anna Backhausen e Sophie Schönhammer: everything is dramatic
L'unico limite di questo volume è l'evidente divario tra la disinvoltura che accompagna il disegno di ogni figura maschile e la sua assenza quando in scena ci sono le donne.
La madre e l'ex-fidanzata di Fynn sono decisamente androgine, e se nel caso della ragazza poteva essere un indicatore della reale natura omosessuale di Fynn, non è giustificato nel caso della madre.
Qualche perplessità sulla traduzione di alcuni dialoghi (un'adolescente di oggi userebbe davvero l'aggettivo "fannullone"?), e su qualche esplosione di "drama" spesso ingiustificata, che rientra immeditamente e che quindi pare fuori posto.
Ma cosa, invece, funziona nella storia di Fynn e Niko, e nel loro conoscersi per caso in cima a una collina dove il primo si siede a fumare e riordinare i pensieri, e il secondo attende con il suo telescopio le Perseidi, sciame meteoritico visibile solo una volta all'anno?
Tutto il resto. Il loro avvicinarsi, conoscersi sera dopo sera, condividere con l'altro, l'umorismo.
Una bella lezione sull'accettazione di sè, e sull'accettare chi ci sta vicino, perchè se per Fynn non è difficile iniziare la sua relazione con Niko è anche perchè Zoe, passato un momento di gelosia (del tutto giustificato, del resto stavano insieme e si erano appena lasciati), è la prima a comprenderlo e sostenerlo.
È un primo volume di serie, ma racchiude tra le sue pagine un arco narrativo completo e ha un vero finale che rende possibile la lettura a prescindere che si voglia continuare la collezione leggendo anche il secondo volume. Ma voi fatelo lo stesso: ne vale davvero la pena.
Scoprite questi (e i prossimi!) titoli della collana Boy's Love di Mangasenpai Edizioni sul sito dell'editore.
Spiegare il successo della letteratura LGBT (in ogni sua accezione) identificandolo con il mero raggiungimento del bacino omosessuale, che finalmente può identificarsi nei protagonisti e che quindi acquista di più, sarebbe riduttivo e, forse peccherebbe di ingenuità.
La verità è che i maggiori acquirenti di opere di narrativa LGBT, soprattutto se si tratta di M/M (male to male, ndr), sono di sesso femminile.
Gli autori e le autrici, di romanzi così come di manga, o di graphic novel, lo sanno bene, però, e ci sono tre titoli, nella collana Boy's Love di Mangasenpai Edizioni, che rappresentano i tre fattori di attrazione (soprattutto pensando al pubblico femminile).
Servant Lord, di Lo & Lorynell Yu: in ricchezza e in povertà
Christian, nove anni e un rapporto complicato con il padre (capace di riempire la sua vita di lussi ma non di affetto), si prende una cotta clamorosa per Daniel, figlio di una coppia di amici del padre.
Daniel, già quasi adulto, è un pianista e compositore di grande talento, e diventa per Christian non solo un insegnante di pianoforte, ma un amico fidato e la sua compagnia preferita.
Un rovescio di fortuna fa sì che sulle spalle di Daniel ricada un grosso debito contratto dai genitori, e per ripagare l'aiuto del padre di Christian si presta a lavorare come domestico a tempo pieno.
Il rapporto con Christian, mentre quest'ultimo passa da bambino tormentato ad adolescente nervoso e arrabbiato col mondo, si complica nel momento in cui l'attrazione che il più giovane prova per il più vecchio è sempre più manifesta.
Le loro strade si dividono, per ricongiungersi anni dopo: ritroviamo Christian decisamente cresciuto, in compagnia di un altro aspirante musicista come lui che va in giro con la frangetta e un cappotto che sarebbe piaciuto moltissimo a Francesca Cacace (incontenibile protagonista de La tata, ndr) , e Daniel... invecchiato molto bene, così bene che sostanzialmente ha un po' di mento in più. Fine.
Urge il nome della sua crema viso, perchè l'alternativa è che nella sua cantina ci sia un ritratto rugoso e con parecchi capelli bianchi.
Da rampollo di buona famiglia a domestico, e ora da domestico a imprenditore di successo: Daniel perde e accumula migliaia di yen come se fossero penne Bic.
È la storia perfetta per chi apprezza gli amori che nascono in gioventù e resistono alla prova del tempo, per chi ha un debole per le rockstar e per chi trova irresistibile il ping-pong verbale macchiato d'ironia e sarcasmo.
Whispering Blue, di CHASM (Marika Herzog e Michel Decomain): cuccioli di foca e pucciosità assortite
Sicuramente una delle punte di diamante della collana, sia dal punto di vista artistico che narrativo.
In breve, Adrian, da bambino appassionato osservatore delle foche alla Seal Station della città si è trasformato in un adolescente vittima di bullismo, e proprio trascinato dai bulli ha fatto qualcosa che non avrebbe mai voluto: strappare dall'acqua un cucciolo di foca, rendendogli così impossibile tornare con la sua famiglia (una volta toccati, i cuccioli di foca cambiano odore e le madri non li riconoscono più, ndr). Come se non bastasse, è stato l'unico a essere scoperto e condannato ai servizi socialmente utili. Indovinate dove? Esatto, alla Seal Station, dove è stato nel mentre accolto lo stesso cucciolo, chiamato Blu.
Qui Adrian impara quanta passione e fatica ci siano, dietro ai cuccioli di foche che guardava sguazzare da bambino al di là del vetro, e soprattutto incontra Marc, che dapprima lo tratta con severità (in fondo, Adrian è lì perchè ha fatto una cosa che, per chi si impegna per salvare i cuccioli di foca e reinserirli nel loro ambiente naturale, è atroce...), ma con il passare dei giorni finisce per esserne conquistato... ricambiato.
Alla Seal Station, Adrian impara a conoscersi, e a guardarsi dentro, scoprendo qualcosa di sè e sui suoi gusti che ignorava fino a quel momento. Impara che i bulli vincono solo se glielo si permette, e che l'amore e una relazione rassicurante non sono la stessa cosa.
Da segnalare, una buffa doppia pagina illustrata dedicata ai funny facts sui cuccioli di foca, e la pucciosità atomica di Blu e degli altri cuccioli di foca, pieni protagonisti della storia e del volume.
Non stupitevi, se vi troverete tutti a cercare online il posto più vicino a voi in cui vedere dei cuccioli di foca: è l'effetto Blu.
Il collezionista di stelle, di Anna Backhausen e Sophie Schönhammer: everything is dramatic
L'unico limite di questo volume è l'evidente divario tra la disinvoltura che accompagna il disegno di ogni figura maschile e la sua assenza quando in scena ci sono le donne.
La madre e l'ex-fidanzata di Fynn sono decisamente androgine, e se nel caso della ragazza poteva essere un indicatore della reale natura omosessuale di Fynn, non è giustificato nel caso della madre.
Qualche perplessità sulla traduzione di alcuni dialoghi (un'adolescente di oggi userebbe davvero l'aggettivo "fannullone"?), e su qualche esplosione di "drama" spesso ingiustificata, che rientra immeditamente e che quindi pare fuori posto.
Ma cosa, invece, funziona nella storia di Fynn e Niko, e nel loro conoscersi per caso in cima a una collina dove il primo si siede a fumare e riordinare i pensieri, e il secondo attende con il suo telescopio le Perseidi, sciame meteoritico visibile solo una volta all'anno?
Tutto il resto. Il loro avvicinarsi, conoscersi sera dopo sera, condividere con l'altro, l'umorismo.
Una bella lezione sull'accettazione di sè, e sull'accettare chi ci sta vicino, perchè se per Fynn non è difficile iniziare la sua relazione con Niko è anche perchè Zoe, passato un momento di gelosia (del tutto giustificato, del resto stavano insieme e si erano appena lasciati), è la prima a comprenderlo e sostenerlo.
È un primo volume di serie, ma racchiude tra le sue pagine un arco narrativo completo e ha un vero finale che rende possibile la lettura a prescindere che si voglia continuare la collezione leggendo anche il secondo volume. Ma voi fatelo lo stesso: ne vale davvero la pena.
Scoprite questi (e i prossimi!) titoli della collana Boy's Love di Mangasenpai Edizioni sul sito dell'editore.
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giovedì 7 novembre 2019
La seconda porta: intervista a Raul Montanari
Da quest'anno, il blog ospita le recensioni e le interviste di Veronica Lempi, già collaboratrice de Gli Amanti dei Libri. Ecco cosa ha le ha raccontato Raul Montanari su La seconda porta (Baldini+Castoldi)!
Nell’era delle influencer, si può ancora sensibilizzare con un libro?
Il protagonista de La seconda porta di Raul Montanari (Baldini +Castoldi), sa bene come fare a influenzare l’opinione pubblica su temi delicati. E se la voce del protagonista, è anche quella dell’autore, la risposta vien da sé.
Milo, uomo (forse Alfa) bianco, milanese, separato, con problemi di insonnia e dipendenza da alcolici, è Co-Founder di un’agenzia creativa specializzata in campagne sociali. Lui è la mente che macina idee sui temi ostici, che però non portano fatturato, il suo socio, Carminati, è il braccio artefice della campagne commerciali - quelle che portano budget.
Un equilibrio perfetto che si rompe non appena ci si addentra di un passo nelle loro vite.
Seppur specializzato in messaggi efficaci, che vanno dritti al punto mixando la giusta dose di razionalità ed emozione, Milo non si è mai trovato occhi negli occhi con uno dei soggetti dei suoi spot. O quanto meno, non con un ragazzo che in quelle condizioni ci vive davvero.
Finché si trova a condividere spazio e tempo con Adam, un bellissimo giovane egiziano che, senza chiedere, otterrà da Milo molto di più di quanto lui si credeva capace di dare.
La seconda porta apre una finestra su un tema che "conosciamo" molto bene, ma che forse troppe volte abbiamo dato per scontato.
Questo libro è - nella sua intensità - una ventata d'aria fresca.
Una via semplice, ma non più scontata, per raccontare aspetti rilevanti della nostra attualità quotidiana.
Come si è documentato sul tema scafisti e "viaggi"?
Dato che la cialtroneria è un peccato mortale per un narratore, specialmente oggi che è molto più facile che in passato procurarsi informazioni, ho seguito tutti i canali possibili per documentarmi. In particolare, ho parlato con persone che lavorano in centri di prima e di seconda accoglienza. Altre ricerche le ho fatte naturalmente in rete e su libri recenti che parlano di questi argomenti. Segnalo in particolare il bellissimo reportage di Alessandro Leogrande, La frontiera (Feltrinelli).
Argomento delicato: come è stato affrontarlo da scrittore?
Sono abituato ad affrontare temi scabrosi usando come unico criterio l’obiettività. Per un romanziere il bene e il male esistono, sono anzi alla base di tutte le storie che raccontiamo. Ma sono sempre distribuiti in modo imprevedibile, non stanno schierati comodamente in modo manicheo da una parte o dall’altra. Su questo argomento io, come cittadino, ho le mie idee; non credo che queste idee interessino a qualcuno, mentre immagino che interessi una storia appassionante in cui tutti i personaggi hanno le loro zone oscure, tutti mentono (come facciamo noi nella vita, ogni giorno), nessuno è innocente.
Alla base di questo storia ci sono sicuramente migliaia di storie vere. Tutti i giorni.
Ma Adam esiste? Da dove ha tratto informazioni così dettagliate?
Adam esiste nel senso che dava Aristotele alla narrazione d’invenzione: non è una persona storicamente determinata con nome, cognome e data di nascita, ma è un personaggio universale. Adam quindi è un diciassettenne che due anni fa è arrivato in Italia su un barcone, il che fa di lui prima di tutto un animale spaventato, un cucciolo che ringhia, morde, seduce, inganna, usa tutti i mezzi per difendersi e salvarsi. È sopravvissuto alle peripezie drammatiche che lo accomunano a tanti altri ragazzi, ma oggi (nell’oggi della storia raccontata) deve affrontare nuovi pericoli. È per questo che chiede aiuto a Milo.
Perché la scelta di un personaggio buono (Milo) ma estremamente dipendente? E di
dipendenze quasi "feticiste" - come i video la notte.
Non so se definirei Milo un personaggio dipendente, visto che alla fine i suoi vizi sono solo due: l’alcol (che tutto sommato non influenza i suoi comportamenti) e i video atroci che cerca in rete quando è torturato dall’insonnia. Due vizi non sono tanti... io per esempio ne ho di più.
Milo è soprattutto un personaggio tormentato e contraddittorio, un guru della comunicazione sociale, acclamato e riverito, che nel privato ha ben poca stima di se stesso e non è incline a perdonarsi i propri errori. L’avventura che il libro racconta gira intorno a una domanda fondamentale: è possibile fare del bene? Ha senso provarci, quando la vita e il mondo sembrano suggerirti che non ne valga la pena? Milo si pone questa domanda a ogni passo della vicenda che vive nel romanzo; non se la pone in forma di ragionamento ma di comportamenti, scelte, azzardi. Credo che sia anche un personaggio molto simpatico perché è intelligente, divertente, auto-ironico all’eccesso e profondamente onesto nel raccontarsi al lettore senza risparmiargli nulla di sé, mettendosi a nudo senza riserve.
Dal punto di vista linguistico e grammaticale, come è stato immedesimarsi in Adam e scrivere con i tempi sfalsati?
Per formazione sono un linguista - il mio primo titolo universitario è stato una laurea in glottologia - quindi elaborare linguaggi mi riesce facile. Devo anche dire che nella vita reale sono molto attratto dalle anomalie nel modo di parlare delle persone... per esempio ho una vera passione per i balbuzienti, perché i loro intoppi nell’articolare le parole mi sembrano qualcosa di più profondo rispetto a un semplice difetto, come se la balbuzie ci rivelasse la difficoltà, a volte l’insensatezza, dei tentativi che facciamo di comunicare fra noi. Penso che prima o poi mi metterò a tartagliare anch’io! Adam sbaglia i tempi delle subordinate, tende ad appiattirli su un presente indicativo buono per tutti gli usi, e questa è una piccola manchevolezza che si nota spesso negli stranieri.
Che ruolo ha oggi un libro, a proposito di temi così delicati quali i tanti che ha toccato con La seconda porta? Temi che vanno dal confronto con una cultura diversa alle situazioni di genitorialità e fecondazione assistita, fino al ruolo della lettura e del mezzo cartaceo.
In tempi in cui i cambiamenti nei modi e nei mezzi con cui comunichiamo sono così vertiginosi, la sopravvivenza del libro, questo oggetto tanto antico, ha del miracoloso.
E non solo sopravvive, anche se perde lettori in un lento stillicidio, ma è più che mai prestigioso: a dimostrarlo bastano le decine di migliaia di persone che seguono corsi di scrittura o cercano di arrivare in qualche modo alla pubblicazione, ma anche il fatto che perfino chi ha già un ruolo sociale prestigioso, o fa un lavoro invidiabile, appena può presenta a un editore il suo romanzo, o la raccolta di poesie, o il memoir e così via. I temi che lei ha citato sono tutti cruciali e vengono tutti affrontati nel modo più obiettivo e interessante che mi è riuscito di escogitare... senza peraltro che vengano date risposte univoche. O, peggio ancora, risposte di comodo.
Nell’era delle influencer, si può ancora sensibilizzare con un libro?
Il protagonista de La seconda porta di Raul Montanari (Baldini +Castoldi), sa bene come fare a influenzare l’opinione pubblica su temi delicati. E se la voce del protagonista, è anche quella dell’autore, la risposta vien da sé.
Milo, uomo (forse Alfa) bianco, milanese, separato, con problemi di insonnia e dipendenza da alcolici, è Co-Founder di un’agenzia creativa specializzata in campagne sociali. Lui è la mente che macina idee sui temi ostici, che però non portano fatturato, il suo socio, Carminati, è il braccio artefice della campagne commerciali - quelle che portano budget.
Un equilibrio perfetto che si rompe non appena ci si addentra di un passo nelle loro vite.
Seppur specializzato in messaggi efficaci, che vanno dritti al punto mixando la giusta dose di razionalità ed emozione, Milo non si è mai trovato occhi negli occhi con uno dei soggetti dei suoi spot. O quanto meno, non con un ragazzo che in quelle condizioni ci vive davvero.
Finché si trova a condividere spazio e tempo con Adam, un bellissimo giovane egiziano che, senza chiedere, otterrà da Milo molto di più di quanto lui si credeva capace di dare.
La seconda porta apre una finestra su un tema che "conosciamo" molto bene, ma che forse troppe volte abbiamo dato per scontato.
Questo libro è - nella sua intensità - una ventata d'aria fresca.
Una via semplice, ma non più scontata, per raccontare aspetti rilevanti della nostra attualità quotidiana.
Come si è documentato sul tema scafisti e "viaggi"?
Dato che la cialtroneria è un peccato mortale per un narratore, specialmente oggi che è molto più facile che in passato procurarsi informazioni, ho seguito tutti i canali possibili per documentarmi. In particolare, ho parlato con persone che lavorano in centri di prima e di seconda accoglienza. Altre ricerche le ho fatte naturalmente in rete e su libri recenti che parlano di questi argomenti. Segnalo in particolare il bellissimo reportage di Alessandro Leogrande, La frontiera (Feltrinelli).
Argomento delicato: come è stato affrontarlo da scrittore?
Sono abituato ad affrontare temi scabrosi usando come unico criterio l’obiettività. Per un romanziere il bene e il male esistono, sono anzi alla base di tutte le storie che raccontiamo. Ma sono sempre distribuiti in modo imprevedibile, non stanno schierati comodamente in modo manicheo da una parte o dall’altra. Su questo argomento io, come cittadino, ho le mie idee; non credo che queste idee interessino a qualcuno, mentre immagino che interessi una storia appassionante in cui tutti i personaggi hanno le loro zone oscure, tutti mentono (come facciamo noi nella vita, ogni giorno), nessuno è innocente.
Alla base di questo storia ci sono sicuramente migliaia di storie vere. Tutti i giorni.
Ma Adam esiste? Da dove ha tratto informazioni così dettagliate?
Adam esiste nel senso che dava Aristotele alla narrazione d’invenzione: non è una persona storicamente determinata con nome, cognome e data di nascita, ma è un personaggio universale. Adam quindi è un diciassettenne che due anni fa è arrivato in Italia su un barcone, il che fa di lui prima di tutto un animale spaventato, un cucciolo che ringhia, morde, seduce, inganna, usa tutti i mezzi per difendersi e salvarsi. È sopravvissuto alle peripezie drammatiche che lo accomunano a tanti altri ragazzi, ma oggi (nell’oggi della storia raccontata) deve affrontare nuovi pericoli. È per questo che chiede aiuto a Milo.
Perché la scelta di un personaggio buono (Milo) ma estremamente dipendente? E di
dipendenze quasi "feticiste" - come i video la notte.
Non so se definirei Milo un personaggio dipendente, visto che alla fine i suoi vizi sono solo due: l’alcol (che tutto sommato non influenza i suoi comportamenti) e i video atroci che cerca in rete quando è torturato dall’insonnia. Due vizi non sono tanti... io per esempio ne ho di più.
Milo è soprattutto un personaggio tormentato e contraddittorio, un guru della comunicazione sociale, acclamato e riverito, che nel privato ha ben poca stima di se stesso e non è incline a perdonarsi i propri errori. L’avventura che il libro racconta gira intorno a una domanda fondamentale: è possibile fare del bene? Ha senso provarci, quando la vita e il mondo sembrano suggerirti che non ne valga la pena? Milo si pone questa domanda a ogni passo della vicenda che vive nel romanzo; non se la pone in forma di ragionamento ma di comportamenti, scelte, azzardi. Credo che sia anche un personaggio molto simpatico perché è intelligente, divertente, auto-ironico all’eccesso e profondamente onesto nel raccontarsi al lettore senza risparmiargli nulla di sé, mettendosi a nudo senza riserve.
Dal punto di vista linguistico e grammaticale, come è stato immedesimarsi in Adam e scrivere con i tempi sfalsati?
Per formazione sono un linguista - il mio primo titolo universitario è stato una laurea in glottologia - quindi elaborare linguaggi mi riesce facile. Devo anche dire che nella vita reale sono molto attratto dalle anomalie nel modo di parlare delle persone... per esempio ho una vera passione per i balbuzienti, perché i loro intoppi nell’articolare le parole mi sembrano qualcosa di più profondo rispetto a un semplice difetto, come se la balbuzie ci rivelasse la difficoltà, a volte l’insensatezza, dei tentativi che facciamo di comunicare fra noi. Penso che prima o poi mi metterò a tartagliare anch’io! Adam sbaglia i tempi delle subordinate, tende ad appiattirli su un presente indicativo buono per tutti gli usi, e questa è una piccola manchevolezza che si nota spesso negli stranieri.
Che ruolo ha oggi un libro, a proposito di temi così delicati quali i tanti che ha toccato con La seconda porta? Temi che vanno dal confronto con una cultura diversa alle situazioni di genitorialità e fecondazione assistita, fino al ruolo della lettura e del mezzo cartaceo.
In tempi in cui i cambiamenti nei modi e nei mezzi con cui comunichiamo sono così vertiginosi, la sopravvivenza del libro, questo oggetto tanto antico, ha del miracoloso.
E non solo sopravvive, anche se perde lettori in un lento stillicidio, ma è più che mai prestigioso: a dimostrarlo bastano le decine di migliaia di persone che seguono corsi di scrittura o cercano di arrivare in qualche modo alla pubblicazione, ma anche il fatto che perfino chi ha già un ruolo sociale prestigioso, o fa un lavoro invidiabile, appena può presenta a un editore il suo romanzo, o la raccolta di poesie, o il memoir e così via. I temi che lei ha citato sono tutti cruciali e vengono tutti affrontati nel modo più obiettivo e interessante che mi è riuscito di escogitare... senza peraltro che vengano date risposte univoche. O, peggio ancora, risposte di comodo.
La seconda porta di Raul Montanari (Baldini+Castoldi) è in libreria, al prezzo di copertina di 18€.
lunedì 4 novembre 2019
"La verità è che non ti odio abbastanza" di Felicia Kingsley
L'hanno definita la nuova Sophie Kinsella, ma ha pieno diritto a essere definita invece "la prima Felicia Kingsley": il suo nuovo romanzo, La verità è che non ti odio abbastanza (Newton Compton Editori) è appena arrivato in libreria, ed era uno dei più attesi dell'autunno.
Lei è Felicia Kingsley, e a incantare e divertire le migliaia di lettrici che la seguono con entusiasmo sarà la storia di Lexi Sloan ed Eric Chambers. Lei è una giovane ereditiera che, della vita, conosce solo il lato più lussuoso, lui un incorruttibile ed affascinante detective dell' FBI impegnato in un'indagine tra le più importanti della sua carriera, quella che mira a portare alla luce del sole i responsabili di una truffa a dieci cifre che sì, avete indovinato: coinvolge anche la famiglia di Lexi.
L'adorato zio di Lexi scappa con la cassa, lasciano la nipote e suo padre a becco asciutto, mentre l'FBI congela loro i conti e gli espropria ogni singola proprietà.
Privata delle sue carte di credito, della possibilità di fare shopping sfrenato e persino di un tetto sopra la testa, cosa potrà mai fare la ragazza se non farsi aiutare proprio da Eric?
Al suo quinto romanzo, Felicia Kingsley continua a farci viaggiare e stavolta ci porta a Manhattan, presentandoci una protagonista difficile da dimenticare.
Lexi è per molti versi irraggiungibile, una principessa contemporanea che molte di noi possono solo ammirare sulle pagine delle riviste, e allo stesso tempo incredibilmente autentica e "vicina".
Il suo temperamento vivace, i suoi gusti, il suo sostenere con passione una causa importante in cui crede fermamente fanno sì che, nell'arco di pochi capitoli, sia già nostra amica.
Come non sentirsi solidali quando persino il fidanzato non esita a voltarle le spalle?
Ma è qui che entra in gioco Eric, che vede la sua vita ordinata travolta da un uragano rosa che reclama il suo aiuto: in fondo, se si trova senza una dimora è anche colpa sua, no?
I rapporti tra i due sono a dir poco esilaranti, e vedono l'uomo, abituato a una vita molto più ordinata e prevedibile, scoprire che, forse, quell'esuberante e scoppiettante ragazza dal guardaroba (a volte) discutibile gli piace. Gli piace parecchio.
Se c'è una cosa che riesce bene a Felicia Kingsley è la costruzione di dialoghi dal ritmo serrato, un susseguirsi di battute che non possono non strappare una risata in più di un'occasione, senza venire poi meno quando è il momento delle emozioni e del romanticismo.
Si ride, si piange, un po' ci si innamora: per chi cerca la stessa magia delle rom-com più riuscite (una su tutte, Notting Hill), questa è l'autrice da scoprire.
Consigliatissimo.
La verità è che non ti odio abbastanza di Felicia Kingsley (Newton Compton Editori) è in libreria, al prezzo di copertina di 10€.
Lei è Felicia Kingsley, e a incantare e divertire le migliaia di lettrici che la seguono con entusiasmo sarà la storia di Lexi Sloan ed Eric Chambers. Lei è una giovane ereditiera che, della vita, conosce solo il lato più lussuoso, lui un incorruttibile ed affascinante detective dell' FBI impegnato in un'indagine tra le più importanti della sua carriera, quella che mira a portare alla luce del sole i responsabili di una truffa a dieci cifre che sì, avete indovinato: coinvolge anche la famiglia di Lexi.
L'adorato zio di Lexi scappa con la cassa, lasciano la nipote e suo padre a becco asciutto, mentre l'FBI congela loro i conti e gli espropria ogni singola proprietà.
Privata delle sue carte di credito, della possibilità di fare shopping sfrenato e persino di un tetto sopra la testa, cosa potrà mai fare la ragazza se non farsi aiutare proprio da Eric?
Al suo quinto romanzo, Felicia Kingsley continua a farci viaggiare e stavolta ci porta a Manhattan, presentandoci una protagonista difficile da dimenticare.
Lexi è per molti versi irraggiungibile, una principessa contemporanea che molte di noi possono solo ammirare sulle pagine delle riviste, e allo stesso tempo incredibilmente autentica e "vicina".
Il suo temperamento vivace, i suoi gusti, il suo sostenere con passione una causa importante in cui crede fermamente fanno sì che, nell'arco di pochi capitoli, sia già nostra amica.
Come non sentirsi solidali quando persino il fidanzato non esita a voltarle le spalle?
Ma è qui che entra in gioco Eric, che vede la sua vita ordinata travolta da un uragano rosa che reclama il suo aiuto: in fondo, se si trova senza una dimora è anche colpa sua, no?
I rapporti tra i due sono a dir poco esilaranti, e vedono l'uomo, abituato a una vita molto più ordinata e prevedibile, scoprire che, forse, quell'esuberante e scoppiettante ragazza dal guardaroba (a volte) discutibile gli piace. Gli piace parecchio.
Se c'è una cosa che riesce bene a Felicia Kingsley è la costruzione di dialoghi dal ritmo serrato, un susseguirsi di battute che non possono non strappare una risata in più di un'occasione, senza venire poi meno quando è il momento delle emozioni e del romanticismo.
Si ride, si piange, un po' ci si innamora: per chi cerca la stessa magia delle rom-com più riuscite (una su tutte, Notting Hill), questa è l'autrice da scoprire.
Consigliatissimo.
La verità è che non ti odio abbastanza di Felicia Kingsley (Newton Compton Editori) è in libreria, al prezzo di copertina di 10€.
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