Per i suoi 102000 follower su Instagram è @larotten, ma in libreria ci arriva co il suo nome e cognome:Valentina Schifilliti, autrice di L'ora del te. Le (dis)avventure di Alice in Fashionland (Giunti) ha una personalità travolgente e una prosa che conquista.
L'abbiamo incontrata a Milano, nella sede di Giunti, ed ecco cosa ci ha raccontato!
Partiamo dal sottotitolo del tuo romanzo: da dove viene l'affinità con il personaggio di Alice nel paese delle Meraviglie?
Non sono scelte che si fanno a tavolino, ma nascono d'istinto. Confesso che per la protagonista mi sono ispirata alla mia amica Alice Basso, che è una delle poche persone che conosco a essersi mantenuta pura e coerente nel mondo social - mi piaceva che il personaggio avesse il suo nome - ma non saprei dire quando ho iniziato a pensare anche al romanzo di Carroll: in un certo senso, è come se fosse stato sempre lì. Ho letto e riletto il libro da bambina e anche crescendo, ho amato il cartone Disney anche se lo trovo un po' inquietante. Sicuramente mi ritrovo nella curiosità di Alice.
Hai un personaggio preferito, all'interno del tuo romanzo?
Quello di Margherita è l'unico personaggio che esiste davvero, mentre tutti gli altri sono frutto della mia fantasia. Lei nella realtà è una mia amica che, come Margherita, gestiva un bar. È il mio personaggio preferito di tutto il romanzo, ed è nella vita reale la prima persona che mi ha spinto a stare sui social nonostante il bello e il cattivo tempo.
Il tuo libro segue molti stilemi tipici della narrativa di sentimenti, anche se con degli scarti abbastanza marcati. Che rapporto hai con la narrativa rosa?
Da lettrice, nessuno. Amo i gialli e dei thriller, ma mi piacciono anche i libri di Guido Catalano. In generale, mi piace mixare i generi, che poi è anche una caratteristica del mio stile, perché mi piace sempre sdrammatizzare e mescolare argomenti seri e meno seri.
Gestisci un profilo instagram, per cui lavori associando sempre parole e immagini, ma scrivendo un romanzo hai dovuto lasciare da parte le immagini. Il tuo rapporto con la scrittura è cambiato molto passando dai post al romanzo?
No, ho scritto i capitoli del romanzo esattamente come scrivo di solito i post da mettere in rete: a mano, su una Moleskine. Io non sono una pura nativa digitale e resto legata alle agende, ai fogli e alle penne. Ho scritto i capitoli a mano trasferendoli a poco a poco sul computer. Con la penna riesco a seguire i pensieri meglio che attraverso la tastiera.
Quando hai aperto il tuo profilo Instagram era già il 2013. Com'era la tua vita prima di approdare in rete?
Lavoravo in comunità per tossicodipendenti e detenuti in misura alternativa al carcere, però sapevamo che gli ultimi arrivati tra noi sarebbero stati presto rimandati a casa. Instagram stava prendendo piede in quel periodo e avevo iniziato a seguire diversi profili. Una sera, a cena con amici, mi sono ritrovata a commentare le foto di alcune fashion blogger, finché qualcuno mi ha suggerito di aprire una pagina in cui prendere in giro quel mondo. Così ho cominciato a postare parodie delle foto di moda, a seguire le Fashion Week, cosa che poi mi è servita per scrivere una parte del libro. Non avete idea di quanto poco sappia di moda la gente che frequenta le sfilate...
A un certo punto volevo chiudere il profilo, poi ho cercato di migrare con calma verso altri argomenti: come avevo iniziato smitizzando il mondo della moda, poi mi sono divertita a parlare delle tisane, dei bibitoni, delle varie mode pseudoscientifiche.
L'importante era parlare di argomenti che mi piacessero. E poi le dinamiche del web sono strane: anche se hai trent'anni e pensi di essere una persona sana e razionale, capita che ti chiedi perché un tuo post abbia meno like di un altro.
E il personaggio della influencer che descrivi così bene nel romanzo?
È un mix di persone che ho conosciuto in questi anni, sono tutte in lotta una con l'altra contando i rispettivi follower.
È un mondo in cui si possono fare anche incontri autentici?
Assolutamente sì. Pochi, ma io ho amiche a cui sono legata fin dall'inizio. Cerco la compagnia di persone a cui, come me, in realtà non importi molto di quel mondo. Non mi preoccupo più di tanto dei follower, perché parto dal presupposto che loro sanno chi sono io, ma io non so chi sono loro, per cui non può mancarmi qualcuno che non conosco.
Se Instagram ti venisse a mancare continueresti a scrivere di te?
Sì, certo. Del resto sto scrivendo un altro libro, che avevo iniziato prima che Giunti mi chiedesse di scrivere questo, che perla delle mie esperienze in comunità.
C'è un contrasto tra il mondo effimero della rete e il fatto che Alice voglia fare la sarta, prima ancora che la stilista, perché le piace cucire fisicamente i suoi vestiti. Da dove è venuta l'idea di questo contrasto? L'abbandono del mondo concreto, materiale, anche creativo, in favore dell'effimero non è in fondo un problema che interessa le ultime generazioni?
Alice riesce a compiere il suo percorso proprio perché parte da una base materiale: è molto legata alla nonna sarta e al suo mondo di affetti. Lei stessa si percepisce come una mosca bianca rispetto alle influencer con cui entra in contatto: è proprio la materialità a renderla speciale e diversa.
Alice ha qualcosa di me e molto di diverse persone che conosco, che sono riuscite a vivere le loro esperienze in rete con delle difficoltà, ma senza perdere mai di vista se stessi e senza farsi schiavi del numero dei follower. Alice è il lato buono delle influencer.
Eppure anche Alice a un certo punto si perde dietro alle lusinghe della rete.
A te è capitato di trovarti in quella situazione?
A me è capitato di trovarmi a corto di argomenti o di foto da postare, perché non riuscivo più a mettere quello che sapevo che la gente si aspettava da me. Evitavo di mostrare me stessa, finché ho capito cosa volessi fare veramente. Bisogna anche dire che quando ho aperto il mio profilo avevo già ventisette anni, non ero più una ragazzina.
Cosa consigli per non smarrirsi nel mondo dei social?
Dipende molto dal punto da cui parti tu, da quanto tu cerchi di piacere agli altri anche nella vita offline. La ricerca del consenso può diventare un'ossessione anche fuori dalla rete. Io mi sento una persona completa: ho la mia vita, la famiglia, il lavoro, le amicizie e non cerco completamenti in rete
Come ti senti col tuo libro in mano?
Dopo due anni passati a scriverlo, correggerlo, editarlo, è una soddisfazione e una rivincita, pensando per esempio ai professori per i quali non dovevo nemmeno frequentare il liceo... Il pensiero di aver pubblicato un libro senza dover andare a bussare alle porte degli editori basta per dire che il web non è poi tutto il male. Senza Instagram non sarebbe stato possibile.
La mia sensazione comunque è che la gente si stia stancando di seguire un certo tipo di influencer, che adesso sia più alla ricerca di cose concrete. Per esempio consigli utili, pratici, da usare nella vita di ogni giorno.
L'ora del te. Le (dis)avventue di Alice in Fashionland di Valentina Schifilliti (Giunti) è in libreria, al prezzo di copertina di 14,90€.
mercoledì 27 marzo 2019
venerdì 22 marzo 2019
Quando l'amicizia è più forte di ogni avversità: Vicious e Jaime, dal romanzo di L.J. Shen
Quello dell'amicizia è un tema spesso trascurato, quando si parla di letteratura rosa.
In alcuni casi, però, non si può non parlarne, soprattutto quando a definire i protagonisti sono i legami stretti con gli amici più cari.
Di Vicious. Senza pietà di L.J. Shen (Always Publishing) si è parlato molto sul web, e per una ragione: chi può dire di no a quattro protagonisti, uno più affascinante dell'altro?
Sebbene ad aprire le danze sia stato quello dal carattere più difficile, Baron "Vicious" Spencer, la serie ne mette più volte in mostra il lato più dolce, soprattutto quando entrano in gioco gli amici....a cominciare da Jaime.
«Un amico è uno che ti conosce come sei,
che capisce dove sei stato,
che accetta quello che sei diventato,
e che tuttavia, gentilmente ti permette di crescere.»
William Shakespeare
Jaime e Vicious sono migliori amici, sono fratelli, sono gli opposti che si compensano. Laddove Vicious è rude e spietato, Jaime è socievole e riflessivo. Quando Vicious si comporta male, è Jaime a rimetterlo in riga. Viceversa, quando Jaime non ci sta più con la testa (come le lettrici italiane avranno modo di scoprire nella novella a lui dedicata, di prossima uscita), Vicious lo riporta sulla giusta via. Sono due metà perfette della mela dell'amicizia, importante quanto il pomo d'amore.
«Vicious non è un gran modello da seguire.
Sta solo facendo una piccola pausa
fino a che non tornerà a bruciare questa città.
Lo sappiamo entrambi.»
Jaime scosse la testa, comparve un sorriso triste sul suo volto.
«Anche se lo facesse,
lo aiuterei ad accendere la miccia.
Gli HotHoles restano uniti.
Questo è quello che siamo.»
Sono tornato a Todos Santos il martedì seguente, lasciando Vicious e Jaime insieme.
Sembravano divertirsi senza di me, essendo BFF (Migliori amici) e tutto il resto.
Quindi ho deciso di lasciargli lo spazio di cui avevano bisogno per provarsi il make up a vicenda, provare i tampax o qualsiasi cosa le ragazzine facciano insieme.
Perché sul serio: quei due sono davvero troppo in simbiosi per essere dei maschi.
«Quando atterra Jaime?» Il mio migliore amico stava venendo da Londra per me.
Sta solo facendo una piccola pausa
fino a che non tornerà a bruciare questa città.
Lo sappiamo entrambi.»
Jaime scosse la testa, comparve un sorriso triste sul suo volto.
«Anche se lo facesse,
lo aiuterei ad accendere la miccia.
Gli HotHoles restano uniti.
Questo è quello che siamo.»
Sono tornato a Todos Santos il martedì seguente, lasciando Vicious e Jaime insieme.
Sembravano divertirsi senza di me, essendo BFF (Migliori amici) e tutto il resto.
Quindi ho deciso di lasciargli lo spazio di cui avevano bisogno per provarsi il make up a vicenda, provare i tampax o qualsiasi cosa le ragazzine facciano insieme.
Perché sul serio: quei due sono davvero troppo in simbiosi per essere dei maschi.
«Quando atterra Jaime?» Il mio migliore amico stava venendo da Londra per me.
La community delle blogger ha deciso di supportare questa serie attraverso un divertente gioco a squadre, ognuna dedicata a uno dei quattro protagonisti, e in occasione dell'ultima sfida i team di supporto a Vicious e Jaime sosterranno insieme il secondo (anche in previsione dell'uscita della sua novella).
Le sfide si svolgeranno sulla pagina Facebook ufficiale L.J. Shen - The Saints' series Italia che prima della sfida condividerà tutte le tappe create dai vari team.
Dalle 13.00 sulla pagina ufficiale partirà la votazione tramite reactions.
Per votare il TEAM JAIME (o in questo caso #JaimeEVicInsiemePerLaVittoria) dovrete usare il LIKE (Pollice in su). Vince la sfida la squadra che totalizza più reactions entro le 22.
Che vinca il migliore, o meglio, che vinca l'amicizia!
Vicious. Senza pietà di L.J. Shen (Always Publishing) è in libreria, al prezzo di copertina di 13,90€.
martedì 19 marzo 2019
Cene di carta: Vicious, dal romanzo di L.J. Shen
Invitare a cena il protagonista di un romanzo? E se fosse possibile?
Immaginarlo in carne e ossa, seduto al tavolo del proprio soggiorno, è divertente e stuzzicante, e quindi ecco cosa cucinare qualora Baron "Vicious" Spencer bussasse alla vostra porta.
Un piatto da consumare con le mani (non vorrete rinunciare alla possibilità di imboccarlo e farvi imboccare?), pronto in meno di un'ora e dal gusto vietnamita - le più attente lettrici sapranno riconoscere che è una delle cucine che vengono più spesso citate in Vicious. Senza pietà di L.J. Shen (Always Publishing) la "casa di carta" di Vic.
Ecco cosa vi serve per poter servire al vostro Fidanzato di Carta dei gustosi involtini vietnamiti, accompagnati da una salsa agrodolce quanto il suo carattere:
Ingredienti per 8 involtini
Carta di riso: 8 fogli
Acqua a temperatura ambiente (per reidratare)
Zucchine: 120 g
Carote: 120 g
Porri: 100 g
Gamberi (da sgusciare): 250 g
Olio di semi: 10 g
Salsa di soia: 30 g
Per preparare la salsa agrodolce
Acqua: 80 g
Aceto di riso: 120 g
Zucchero di canna: 80 g
Peperoncino fresco: 1
Concentrato di pomodoro: q.b.
Immaginarlo in carne e ossa, seduto al tavolo del proprio soggiorno, è divertente e stuzzicante, e quindi ecco cosa cucinare qualora Baron "Vicious" Spencer bussasse alla vostra porta.
Un piatto da consumare con le mani (non vorrete rinunciare alla possibilità di imboccarlo e farvi imboccare?), pronto in meno di un'ora e dal gusto vietnamita - le più attente lettrici sapranno riconoscere che è una delle cucine che vengono più spesso citate in Vicious. Senza pietà di L.J. Shen (Always Publishing) la "casa di carta" di Vic.
Ecco cosa vi serve per poter servire al vostro Fidanzato di Carta dei gustosi involtini vietnamiti, accompagnati da una salsa agrodolce quanto il suo carattere:
Ingredienti per 8 involtini
Carta di riso: 8 fogli
Acqua a temperatura ambiente (per reidratare)
Zucchine: 120 g
Carote: 120 g
Porri: 100 g
Gamberi (da sgusciare): 250 g
Olio di semi: 10 g
Salsa di soia: 30 g
Per preparare la salsa agrodolce
Acqua: 80 g
Aceto di riso: 120 g
Zucchero di canna: 80 g
Peperoncino fresco: 1
Concentrato di pomodoro: q.b.
In alternativa alla salsa agrodolce, potete servirli con una maionese aromatizzata con erbe o spezie a vostra scelta |
Per realizzare gli involtini vietnamiti, iniziate preparando la salsa agrodolce di accompagnamento.
In un pentolino versate l’aceto di riso, l’acqua, lo zucchero di canna e il peperoncino tritato grossolanamente.
Lasciate addensare a fuoco dolce mescolando spesso, per circa 10 minuti. Quindi aggiungete il concentrato di pomodoro a fuoco spento e mescolate bene. Lasciate riposare la vostra salsa per qualche minuto prima di versarla in una ciotola.
Una volta preparata la salsa dedicatevi alla preparazione delle verdure.
Lavate bene le carote, pelatele e spuntatele. Aiutandovi con una mandolina ricavate delle fette spesse circa 2 mm. Tagliatele a julienne e nuovamente a metà.
Lavate bene anche le zucchine e sempre aiutandovi con la mandolina ricavate delle fette dello stesso spessore delle carote (2 mm). Tagliate anche queste fette prima a julienne e poi nuovamente a metà.
Prendete il porro, eliminate la parte più verde e le foglie, e facendo un incisione verticale prelevate solo la parte centrale, quindi tagliatela a metà. Passate anche questo con la mandolina e tagliate nuovamente in 2 le listarelle di porro.
Pulite i gamberi, privandoli della testa, del carapace e dell’intestino interno. Posizionateli su un tagliere e tagliateli grossolanamente con un coltello.
In un wok riscaldate l’olio di semi e aggiungete il porro e le carote. Lasciate appassire per un paio di minuti e aggiungete circa metà della salsa di soia.
A questo punto unite anche le zucchine e insaporite con la salsa di soia rimasta. Cuocete il tutto per altri 2-3 minuti, spegnete il fuoco, unite i gamberi e mescolate il tutto.
Reidratate in acqua i fogli di carta di riso, posizionateli su un tagliere e farcitelo con il ripieno, lasciando un bordo esterno di circa 1 cm e mezzo. Richiudete la parte più lunga del foglio di carta di riso sul ripieno. A questo punto richiudete anche i bordi esterni, verso l’interno e iniziate ad arrotolare l’involtino partendo dal basso.
Arrivate fino in fondo in modo da chiudere perfettamente i vostri involtini. Ripetete questa operazione anche per gli altri fogli di carta di riso fino a terminare il ripieno. Serviteli accompagnandoli con la salsa agrodolce.
E soprattutto, serviteli a Vicious, che sicuramente apprezzerà!
Vicious. Senza pietà di L.J. Shen (Always Publishing) è in libreria, al prezzo di copertina di 13,90€.
lunedì 18 marzo 2019
"Il caso dei sessantasei secondi" di Tommaso Percivale: scarica subito il segnalibro esclusivo del romanzo!
Il trafiletto sul "Morning Post" attira l'attenzione di Lucy, Kaja, Candice e Mei Li, quattro inseparabili amiche accomunate dalla grande passione per la ricerca della verità. Nell'annuncio, una donna che viaggia tutte le sere sulla tratta Marylebone-Aylesbury si lamenta del fatto che il treno fa una fermata non prevista in una stazione fantasma, e che questa fermata dura sempre sessantasei secondi esatti. Il caso incuriosisce le ragazze, che si mettono sulle tracce del treno di mezzanotte e finiscono dritte nei sotterranei di Londra, convocate dalla regina Vittoria in persona. Ad attenderle ci sarà un complotto in cui sono coinvolti il capo dello spionaggio inglese, il medico personale della regina, una banda di sicari internazionali e un marinaio irlandese, che le aiuterà in un'indagine degna del più celebre degli investigatori.
Questa la trama accattivante di Il caso dei sessantasei secondi di Tommaso Percivale (Mondadori), primo titolo della serie L'Ordine della Ghirlanda, in libreria dal 19 marzo.
Un giallo per ragazzi che sa di Sherlock Holmes, di Agatha Christie e sì, anche un po' di #girlpower perchè a indagare sul misterioso treno di mezzanotte sono quattro ragazze intrepide, curiose e determinate che conquisteranno lettrici e lettori sin dalle prime pagine.
E quale modo migliore di accompagnarne la lettura, che non una serie di segnalibri da collezione, da scaricare, stampare e ritagliare subito?
Sono sei, tutti da collezionare:
Windows: clic con tasto destro sull'immagine e selezionare Salva immagine con nome dal menu a tendina.
iOs: trascinare l'immagine in Download.
L'appuntamento è per mercoledì 20 marzo sul blog Esmeralda Viaggi e Libri per il secondo segnalibro della collezione: non mancate!
Il caso dei sessantasei secondi di Tommaso Percivale (Mondadori) è in libreria dal 19 marzo, al prezzo di copertina di 17€.
TNS Firenze "Altrove": la nuova capsule collection per la primavera 2019
«Il racconto di una nuova femminilità, sospesa tra primavera ed estate: Altrove è un omaggio alla tua bellezza. In dieci imperdibili nuance.»
Nuova stagione, nuova collezione: TNS Cosmetics torna a stupire con dieci smalti vibranti di colore e di energia, per unghie che si faranno notare anche in primavera.
I colori dell'alba e del tramonto, e del mare: il rosa morbido e intenso di Aurora o l’azzurro iperglitterato di Fumo Blu sono ideali per le luci tenui della sera, da indossare poco prima che il sole
sparisca del tutto; il viola luccicante di Dedalo e il tiffany, elegantissimo, di La Quiete anticipano l’estate che verrà. Il marrone più classico della collezione, Ricordo, scurisce di velluto il ruggine iperbrillante di Risveglio, avvolgendo l’unghia di calde ombre cioccolato.
I prodotti TNS Firenze hanno formulazioni sicure, non contengono parabeni.
Distribuiti esclusivamente attraverso centri estetici e saloni professionali, garantiscono uno standard qualitativo alto e sicuro. Sono cruelty free e non testati su animali.
Per informazioni sulla collezione, su TNS Firenze e sui rivenditori sul territorio italiano: info@tnscosmetics.it
Nuova stagione, nuova collezione: TNS Cosmetics torna a stupire con dieci smalti vibranti di colore e di energia, per unghie che si faranno notare anche in primavera.
I colori dell'alba e del tramonto, e del mare: il rosa morbido e intenso di Aurora o l’azzurro iperglitterato di Fumo Blu sono ideali per le luci tenui della sera, da indossare poco prima che il sole
sparisca del tutto; il viola luccicante di Dedalo e il tiffany, elegantissimo, di La Quiete anticipano l’estate che verrà. Il marrone più classico della collezione, Ricordo, scurisce di velluto il ruggine iperbrillante di Risveglio, avvolgendo l’unghia di calde ombre cioccolato.
VENTO D'ESTATE e FIORI D'ARANCIO |
RICORDO e RISVEGLIO |
ALTROVE e VANITÁ |
DEDALO e AURORA |
LA QUIETE e FUMO BLU |
I prodotti TNS Firenze hanno formulazioni sicure, non contengono parabeni.
Distribuiti esclusivamente attraverso centri estetici e saloni professionali, garantiscono uno standard qualitativo alto e sicuro. Sono cruelty free e non testati su animali.
Per informazioni sulla collezione, su TNS Firenze e sui rivenditori sul territorio italiano: info@tnscosmetics.it
venerdì 15 marzo 2019
"Love, Death & Robots": la serie animata antologica prodotta da Tim Miller e David Fincher arriva su Netflix
Diciotto episodi per quello che è forse una delle produzioni d'animazione più coraggiose di Netflix, affidata alle menti capaci di Tim Miller (Deadpool) e David Fincher (Gone Girl/L'amore bugiardo, House of Cards): Love, Death & Robots, disponibile dal 15 marzo.
Brevi storie animate, della durata compresa tra i 6 e i 17 minuti, capaci di spaziare tra fantascienza, fantasy, horror e comedy, che si ripromettono di essere indimenticabili: impresa non facile, oggi, con un pubblico abituato a saltare da una serie all'altra nell'arco di pochi minuti.
Presentata alla stampa a Milano in una location d'eccezione, Il Cinemino (per i milanesi, un piccolo tesoro), Love Death & Robots non appare agli occhi dello spettatore tanto come una serie quanto come una raccolta di corti d'animazione capaci di abbracciare ogni sfumatura, anche la meno prevedibile, di quello che è forse il genere che ha saputo reinventarsi maggiormente negli ultimi anni.
Fortissime le influenze del gaming, ma anche quelle del Giappone, dello splatter, del mondo sci-fy: difficile trovare qualcosa di così originale, online ed offline.
Da vedere assolutamente, non necessariamente nell'ordine previsto dalla piattaforma, e da vedere nel suo complesso per apprezzarne il cinismo, l'arguzia e la perfetta padronanza di ogni tecnologia utilizzata. Sesso, violenza, ambientalismo, sarcasmo per un prodotto innovativo che difficilmente avrebbe trovato uno spazio altrove, non senza pesanti censure o senza trovarsi limitato a festival di settore, non raggiungendo il grande pubblico.
Le perle (quelle vere) da vedere a ogni costo?
Il vantaggio di Sonnie, affilato come una lama e dal finale inaspettato. Incisivo come poche narrazioni video riescono a essere;
Il dominio dello yogurt, perchè è il vero corto horror della serie. Cosa terrorizza più della consapevolezza he sì, potremmo ridurci a fari dominare da un latticino?
Del resto, siamo la civiltà che accetta senza difficoltà di farsi controllare dalle sigarette, dall'alcol e dai like. Il passo da questo allo yogurt è forse molto più breve di quel che crediamo;
Tre robot, il più esilarante e il più profondamente vero. La gita turistica di tre robot in quello che resta di una città umana dopo l'apocalissi che ha spazzato via la nostra cività è lo spunto per un'ironia graffiante sul nostro quotidiano, sulle nostre dipendenze, e sui gatti.
Se vi sembra impossibile coniugare in modo vincente robot, critica ambientalista e gattini... guardatelo per primo;
Oltre Aquila, sorprendente. Le fortissime influenze del gamning, che già si fanno sentire in Il vantaggio di Sonnie, tornano per portare lo spettatore nello spazio profondo e senza ritorno, con un risvolto inatteso anche se non del tutto imprevedibile per i più attenti;
Dare una mano, imperdibile per coloro che hanno guardato Gravity e Interstellar col fiato sospeso fino all'ultima inquadratura.
Love, Death & Robots è disponibile su Netflix dal 15 marzo.
Brevi storie animate, della durata compresa tra i 6 e i 17 minuti, capaci di spaziare tra fantascienza, fantasy, horror e comedy, che si ripromettono di essere indimenticabili: impresa non facile, oggi, con un pubblico abituato a saltare da una serie all'altra nell'arco di pochi minuti.
Presentata alla stampa a Milano in una location d'eccezione, Il Cinemino (per i milanesi, un piccolo tesoro), Love Death & Robots non appare agli occhi dello spettatore tanto come una serie quanto come una raccolta di corti d'animazione capaci di abbracciare ogni sfumatura, anche la meno prevedibile, di quello che è forse il genere che ha saputo reinventarsi maggiormente negli ultimi anni.
Il vantaggio di Sonnie |
Da vedere assolutamente, non necessariamente nell'ordine previsto dalla piattaforma, e da vedere nel suo complesso per apprezzarne il cinismo, l'arguzia e la perfetta padronanza di ogni tecnologia utilizzata. Sesso, violenza, ambientalismo, sarcasmo per un prodotto innovativo che difficilmente avrebbe trovato uno spazio altrove, non senza pesanti censure o senza trovarsi limitato a festival di settore, non raggiungendo il grande pubblico.
Le perle (quelle vere) da vedere a ogni costo?
Il vantaggio di Sonnie, affilato come una lama e dal finale inaspettato. Incisivo come poche narrazioni video riescono a essere;
Il dominio dello yogurt, perchè è il vero corto horror della serie. Cosa terrorizza più della consapevolezza he sì, potremmo ridurci a fari dominare da un latticino?
Del resto, siamo la civiltà che accetta senza difficoltà di farsi controllare dalle sigarette, dall'alcol e dai like. Il passo da questo allo yogurt è forse molto più breve di quel che crediamo;
Tre robot, il più esilarante e il più profondamente vero. La gita turistica di tre robot in quello che resta di una città umana dopo l'apocalissi che ha spazzato via la nostra cività è lo spunto per un'ironia graffiante sul nostro quotidiano, sulle nostre dipendenze, e sui gatti.
Se vi sembra impossibile coniugare in modo vincente robot, critica ambientalista e gattini... guardatelo per primo;
Tre robot |
Dare una mano, imperdibile per coloro che hanno guardato Gravity e Interstellar col fiato sospeso fino all'ultima inquadratura.
La locandina |
Intervista a Christopher Paolini su "La forchetta, la strega e il drago", il Ciclo dell'Eredità e la scrittura
Christopher Paolini: basta pronunciare il suo nome, per pensare a quella che è stata una delle serie fantasy più amate e discusse degli ultimi 15 anni: il Ciclo dell'Eredità, giunto oggi a quota quattro romanzi e una raccolta di novelle, La forchetta, la strega e il drago. Racconti da Alagaësia (Rizzoli).
Ho incontrato l'autore a Milano, prima del firmacopie attesissimo dai lettori accorsi in massa anche da fuori città, ed ecco cosa mi ha raccontato!
Sono cresciuta con i tuoi romanzi, ed è un vero onore intervistarti oggi in occasione del tuo ritorno in libreria.
Un nuovo tuffo nel mondo di Eragon, che per noi lettori è stato fonte di grande gioia: per te, com’è stato tornare a scrivere di questo universo?
Quando la tetralogia è giunta a conclusione, ci avevi lasciati con un mondo del quale molte aree erano rimaste inesplorate, ed eravamo molto curiosi di scoprire cosa sarebbe accaduto!
Ho sempre pensato di tornare nel mondo di Eragon, scrivendo un altro romanzo, ma ho lavorato ad altri progetti e continuato ad avere idee per storie diverse.
Finalmente mi sono seduto e ho deciso di scrivere dei racconti: scriverli è stato come tornare a casa dopo un lungo viaggio.
Incredibilmente nostalgico, ma anche confortante ed eccitante: mi sono divertito immensamente durante la scrittura, e anzi ricordo di aver fatto una pausa dopo aver scritto le prime tre pagine, essermi allontanato dalla scrivania e aver pensato “ma perché ho aspettato così tanto?”
Non intendo aspettare così a lungo in futuro: ci saranno altri volumi di racconti, e anche un romanzo come mi ero ripromesso.
Sto anche per ultimare la stesura di un romanzo sci-fy, un progetto molto impegnativo che però dovrebbe raggiungere il suo compimento tra non molto
Non possiamo non parlare di draghi: fin da bambina, quella del drago è una figura mitologica e fantastica che mi ha affascinata. la troviamo nelle letterature e nella mitologia di quasi ogni cultura, con accezioni differenti, così come abbiamo una selezione più che abbondante di saggi e manuali sul tema.
Quanto di tutto questo bagaglio culturale sul drago è entrato nel tuo immaginario e ti ha ispirato prima e durante la stesura della tua saga?
Come te, ho letto moltissimi saggi e miti sul tema, inclusi classici come Beowulf e saghe fantasy di vario tipo.
Il punto di forza della narrativa è che puoi letteralmente fare ciò che desideri, e questo mi ha permesso di rielaborare sicuramente tante ispirazioni diverse in quello che poi è diventato il “mio” drago. Quando leggo di draghi penso spesso “mi piace come hanno sviluppato il tema in questo romanzo”, oppure “che idea interessante, quella di tratteggiare un drago in questo modo”, e chiaramente tutto ciò mi ha influenzato e continua a influenzarmi.
Tra i titoli che voglio citare c’è la serie Earthsea Cycle di Ursula K. Le Guin, il ciclo di Pern di Anne McCaffrey, Lo Hobbit.
Pensando invece ai personaggi a due gambe che popolano la tua serie, potresti indicarne uno che ti rappresenta di più, e perché?
Quando ho iniziato a scrivere, quel personaggio era sicuramente Eragon, perché per un ragazzino di quindici anni la cosa più semplice da fare è scrivere di un ragazzino di quindici anni.
Tuttavia, già nel corso del primo romanzo, molte delle azioni di Eragon non mi rappresentavano poi così tanto, oltre ad essere ovviamente irrealizzabili per me (una su tutte, cavalcare un drago… anche se mi sarebbe piaciuto!), e questo lo ha reso fin dall’inizio una persona a sé, staccato da me.
Ti direi che mi sentivo un mix in parti uguali di Eragon, suo cugino Roran e il suo fratellastro Murtagh.
Voglio aprire una parentesi sui personaggi femminili, perché la letteratura sempre più spesso propone protagoniste molto diverse da quelle che i lettori trovavano in libreria anche solo dieci anni fa. Ragazze e donne forti, determinati, che siano fonte d’ispirazione invece di essere donzelle da salvare.
Pensando ai tuoi personaggi femminili, e al fatto che soprattutto a quindici anni le donne dovevano essere ancora un “mistero” per te (come per ogni ragazzo di quell’età), come sono nati, e quanto è stato difficile svilupparli?
Hai centrato il punto: quando ho iniziato a scrivere, il personaggio per me più difficile è stato proprio quello di Arya.
Scrivendo, ho cercato di raccontare le mie protagoniste allo stesso modo in cui raccontavo le loro controparti maschili.
In questa raccolta, per esempio, è stato veramente un caso trovarmi con tre novelle con al centro personaggi femminili: ha sorpreso me prima di tutti gli altri.
Devo ringraziare tutte le figure femminili forti che ho avuto attorno crescendo, a cominciare dalle donne della mia famiglia, che hanno sempre letto ciò che scrivevo e che mi rimettevano in carreggiata quando andavo fuori strada.
Hai iniziato a scrivere questa serie quando avevi solo quindici anni, e se oggi sono sempre di più i fenomeni letterari “teen”, quando è stato il tuo turno eri un’eccezione e questo forse ti ha reso, per certi versi, anche un outsider nel mondo della letteratura.
Da scrittore e dal punto di vista personale, quanto ti ha influenzato crescere insieme alla tua scrittura?
Non posso fare paragoni non avendo sperimentato una realtà differente, ma da un lato è stato un conforto.
I miei personaggi e il mio mondo mi hanno accompagnato per anni, e sono maturati con me, così come è maturata la mia scrittura di libro in libro.
Dall’altro lato, questo mondo e questa serie ha dominato la mia vita: ci ho lavorato e ne ho parlato senza pause dal 1998, e ventun anni sono davvero tanti da dedicare a un progetto.
Sono sicuramente stato un outsider, sia per la mia giovane età, sia perché in principio Eragon era un’autopubblicazione.
Oggi quello dell’autopubblicazione è un tema caldo, e molto discusso.
È sicuramente utile per un autore che non riesce a farsi notare dagli editori sfruttando i canali tradizionali, e inoltre i tuoi profitti per libro sono più alti.
Ovviamente non si ha il supporto e la competenza di un editore, la sua guida.
Pensiamo alla distribuzione, ma anche all’editing e al design di una copertina.
L’autopubblicazione oggi è molto più semplice di quanto non fosse vent’anni fa, ma allo stesso tempo è molto più difficile farsi notare perché la concorrenza è cento, mille volte maggiore.
Devi scrivere qualcosa di incredibile per farti notare, o qualcosa che va incontro a un’esigenza precisa e al momento giusto.
Attorno a Eragon è nata e cresciuta nel corso degli anni una folta community: qual è il tuo rapporto con essa, e quanto interagisci con i tuoi lettori?
Ho un ottimo rapporto con i lettori, anche se è sicuramente molto più facile averlo oggi piuttosto che ai miei inizi.
I social media non esistevano, e io vivevo in un posto sperduto in mezzo al Montana: incontravo i lettori ogni due, tre anni.
Ho iniziato interagire con i lettori tramite i social media nel 2011, e da allora sono attivo su Facebook, Twitter e Instagram.
Adoro incontrare i lettori dal vivo, quando sono in tour, e ciò che ogni volta mi lascia senza fiato è che ci sono lettori che mi hanno scoperto da ragazzi e ora vengono ai miei incontri con mogli, mariti e figli. Sono cresciuti con le mie storie, e io insieme a loro.
Ci sono lettori che hanno tatuaggi legati alla mia serie, o che hanno dato ai figli i nomi di alcuni miei personaggi, e questo è pazzesco!
La forchetta, la strega e il drago. Racconti da Alagaësia di Christopher Paolini (Rizzoli) è in libreria, al prezzo di copertina di 17€.
Ho incontrato l'autore a Milano, prima del firmacopie attesissimo dai lettori accorsi in massa anche da fuori città, ed ecco cosa mi ha raccontato!
Sono cresciuta con i tuoi romanzi, ed è un vero onore intervistarti oggi in occasione del tuo ritorno in libreria.
Un nuovo tuffo nel mondo di Eragon, che per noi lettori è stato fonte di grande gioia: per te, com’è stato tornare a scrivere di questo universo?
Quando la tetralogia è giunta a conclusione, ci avevi lasciati con un mondo del quale molte aree erano rimaste inesplorate, ed eravamo molto curiosi di scoprire cosa sarebbe accaduto!
Ho sempre pensato di tornare nel mondo di Eragon, scrivendo un altro romanzo, ma ho lavorato ad altri progetti e continuato ad avere idee per storie diverse.
Finalmente mi sono seduto e ho deciso di scrivere dei racconti: scriverli è stato come tornare a casa dopo un lungo viaggio.
Incredibilmente nostalgico, ma anche confortante ed eccitante: mi sono divertito immensamente durante la scrittura, e anzi ricordo di aver fatto una pausa dopo aver scritto le prime tre pagine, essermi allontanato dalla scrivania e aver pensato “ma perché ho aspettato così tanto?”
Non intendo aspettare così a lungo in futuro: ci saranno altri volumi di racconti, e anche un romanzo come mi ero ripromesso.
Sto anche per ultimare la stesura di un romanzo sci-fy, un progetto molto impegnativo che però dovrebbe raggiungere il suo compimento tra non molto
Non possiamo non parlare di draghi: fin da bambina, quella del drago è una figura mitologica e fantastica che mi ha affascinata. la troviamo nelle letterature e nella mitologia di quasi ogni cultura, con accezioni differenti, così come abbiamo una selezione più che abbondante di saggi e manuali sul tema.
Quanto di tutto questo bagaglio culturale sul drago è entrato nel tuo immaginario e ti ha ispirato prima e durante la stesura della tua saga?
Come te, ho letto moltissimi saggi e miti sul tema, inclusi classici come Beowulf e saghe fantasy di vario tipo.
Il punto di forza della narrativa è che puoi letteralmente fare ciò che desideri, e questo mi ha permesso di rielaborare sicuramente tante ispirazioni diverse in quello che poi è diventato il “mio” drago. Quando leggo di draghi penso spesso “mi piace come hanno sviluppato il tema in questo romanzo”, oppure “che idea interessante, quella di tratteggiare un drago in questo modo”, e chiaramente tutto ciò mi ha influenzato e continua a influenzarmi.
Tra i titoli che voglio citare c’è la serie Earthsea Cycle di Ursula K. Le Guin, il ciclo di Pern di Anne McCaffrey, Lo Hobbit.
Pensando invece ai personaggi a due gambe che popolano la tua serie, potresti indicarne uno che ti rappresenta di più, e perché?
Quando ho iniziato a scrivere, quel personaggio era sicuramente Eragon, perché per un ragazzino di quindici anni la cosa più semplice da fare è scrivere di un ragazzino di quindici anni.
Tuttavia, già nel corso del primo romanzo, molte delle azioni di Eragon non mi rappresentavano poi così tanto, oltre ad essere ovviamente irrealizzabili per me (una su tutte, cavalcare un drago… anche se mi sarebbe piaciuto!), e questo lo ha reso fin dall’inizio una persona a sé, staccato da me.
Ti direi che mi sentivo un mix in parti uguali di Eragon, suo cugino Roran e il suo fratellastro Murtagh.
Voglio aprire una parentesi sui personaggi femminili, perché la letteratura sempre più spesso propone protagoniste molto diverse da quelle che i lettori trovavano in libreria anche solo dieci anni fa. Ragazze e donne forti, determinati, che siano fonte d’ispirazione invece di essere donzelle da salvare.
Pensando ai tuoi personaggi femminili, e al fatto che soprattutto a quindici anni le donne dovevano essere ancora un “mistero” per te (come per ogni ragazzo di quell’età), come sono nati, e quanto è stato difficile svilupparli?
Hai centrato il punto: quando ho iniziato a scrivere, il personaggio per me più difficile è stato proprio quello di Arya.
Scrivendo, ho cercato di raccontare le mie protagoniste allo stesso modo in cui raccontavo le loro controparti maschili.
In questa raccolta, per esempio, è stato veramente un caso trovarmi con tre novelle con al centro personaggi femminili: ha sorpreso me prima di tutti gli altri.
Devo ringraziare tutte le figure femminili forti che ho avuto attorno crescendo, a cominciare dalle donne della mia famiglia, che hanno sempre letto ciò che scrivevo e che mi rimettevano in carreggiata quando andavo fuori strada.
Hai iniziato a scrivere questa serie quando avevi solo quindici anni, e se oggi sono sempre di più i fenomeni letterari “teen”, quando è stato il tuo turno eri un’eccezione e questo forse ti ha reso, per certi versi, anche un outsider nel mondo della letteratura.
Da scrittore e dal punto di vista personale, quanto ti ha influenzato crescere insieme alla tua scrittura?
Non posso fare paragoni non avendo sperimentato una realtà differente, ma da un lato è stato un conforto.
I miei personaggi e il mio mondo mi hanno accompagnato per anni, e sono maturati con me, così come è maturata la mia scrittura di libro in libro.
Dall’altro lato, questo mondo e questa serie ha dominato la mia vita: ci ho lavorato e ne ho parlato senza pause dal 1998, e ventun anni sono davvero tanti da dedicare a un progetto.
Sono sicuramente stato un outsider, sia per la mia giovane età, sia perché in principio Eragon era un’autopubblicazione.
Oggi quello dell’autopubblicazione è un tema caldo, e molto discusso.
È sicuramente utile per un autore che non riesce a farsi notare dagli editori sfruttando i canali tradizionali, e inoltre i tuoi profitti per libro sono più alti.
Ovviamente non si ha il supporto e la competenza di un editore, la sua guida.
Pensiamo alla distribuzione, ma anche all’editing e al design di una copertina.
L’autopubblicazione oggi è molto più semplice di quanto non fosse vent’anni fa, ma allo stesso tempo è molto più difficile farsi notare perché la concorrenza è cento, mille volte maggiore.
Devi scrivere qualcosa di incredibile per farti notare, o qualcosa che va incontro a un’esigenza precisa e al momento giusto.
Attorno a Eragon è nata e cresciuta nel corso degli anni una folta community: qual è il tuo rapporto con essa, e quanto interagisci con i tuoi lettori?
Ho un ottimo rapporto con i lettori, anche se è sicuramente molto più facile averlo oggi piuttosto che ai miei inizi.
I social media non esistevano, e io vivevo in un posto sperduto in mezzo al Montana: incontravo i lettori ogni due, tre anni.
Ho iniziato interagire con i lettori tramite i social media nel 2011, e da allora sono attivo su Facebook, Twitter e Instagram.
Adoro incontrare i lettori dal vivo, quando sono in tour, e ciò che ogni volta mi lascia senza fiato è che ci sono lettori che mi hanno scoperto da ragazzi e ora vengono ai miei incontri con mogli, mariti e figli. Sono cresciuti con le mie storie, e io insieme a loro.
Ci sono lettori che hanno tatuaggi legati alla mia serie, o che hanno dato ai figli i nomi di alcuni miei personaggi, e questo è pazzesco!
La forchetta, la strega e il drago. Racconti da Alagaësia di Christopher Paolini (Rizzoli) è in libreria, al prezzo di copertina di 17€.
Intervista a Maurizio De Giovanni su "Le parole di Sara", il noir italiano e il racconto delle città
«Le parole di Sara ha, nella mia stessa produzione, un elemento di novità assoluta: è il mio primo libro manifestamente politico» racconta Maurizio De Giovanni, mentre incontra blogger e influencer per presentare loro il suo ultimo lavoro (Rizzoli).
Le indagini di Sara sono arrivate al loro secondo capitolo, ed è proprio dalla protagonista che ha inizio la discussione sul romanzo, Napoli e le ispirazioni letterarie di Maurizio De Giovanni.
È evidente che Sara e Teresa vengono percepite come speculari una all'altra.
Quanto sei partito da Sara per costruire la sua controparte, e quanto pensi invece che scrivere di Teresa abbia regalato qualcosa anche a Sara?
Sara e Teresa hanno un passato professionale in comune, ma in realtà la loro amicizia resta un po' un mistero. Sara e Teresa hanno condiviso tutto ed erano complementari, Sara nella silenziosa interpretazione, Teresa nell'effervescenza delle conclusioni, come due segmenti di uno stesso processo. Si completavano, avevano bisogno una dell'altra.
Quando hanno finito di lavorare insieme si sono separate, ma si reincontrano nel terreno fragile dell'amore. L'amore ci rende fragili, e ci scopre la gola. Teresa si scopre nel momento in cui deve rinunciare a un certo tipo di avvenenza e ha bisogno di conforto: è una lupa rimansta senza branco, e ha bisogno di Sara a completarla. Sara la salva con la menzogna, perché la bugia è sempre meglio della verità, altrimenti non sarebbe necessaria. Questo libro in realtà è la storia di un'amicizia.
Rispetto al libro precedente, Sara appare un po' meno invisibile, si rivela di più al lettore.
È la nuova famiglia a cambiarla?
È l'interesse nei confronti del futuro. Prima aveva solo in mente una gestione personale della giustizia, ora si sente responsabile verso il futuro, che deve essere migliore del presente.
In realtà, più che una famiglia, attorno a Sara hai costruito una squadra di supereroi e il libro è molto più corale del precedente. Come ti sei rapportato a tutti questi personaggi?
Se vuoi affrontare un personaggio e raccontarlo gli devi volere bene, anche se è un personaggio terribile, un pedofilo, uno stragista o un omicida: se non gli vuoi bene, non sei grado di comprenderlo. Il mio coinvolgimento nei confronti di Sara e della sua cerchia è sempre maggiore perché conosco sempre di più i loro sentimenti, le paure, le fragilità.
Un autore scrivendo entra in contatto con i suoi personaggi e più ne scrive più li conosce.
Da autore, credo che Le parole di Sara sia migliore del precedente volume della serie proprio perché conosco meglio i personaggi.
Ci racconterai qualcosa di più del passato di Sara nei prossimi romanzi?
A me interessa il riflesso del passato sul presente, e anche se mi piacerebbe andare a ficcare il naso nel mistero di Ustica o in quello di Emanuela Orlandi - sarebbe pure commercialmente vantaggioso -, il mio compito è quello di raccontare il presente che non vediamo. Sara mi serve a questo, non a raccontare di papa Luciani o del delitto Moro. Anche l'invisibilità di Sara è una grossa tentazione.
Non l'ho quasi mai descritta come nonna, ad esempio.
Il grande amore può giustificare l'abbandono del figlio? Sara è forte perché ha seguito l'amore, oppure è debole perché non ha avuto la forza di rinunciare e restare in famiglia?
Sara ha un principio di fondo: io non mento. Il mio lavoro è smascherare la menzogna e la mia vita riflette tutto questo. Non mi tingo i capelli, non porto le scarpe col tacco, non mi vesto con abiti eleganti ma scomodi. Quando s'innamora, Sara capisce che non può fare altro che seguire l'amore, anche se questo contempla l'abbandono del figlio. Eticamente la sua scelta è atroce, soprattutto per me che ho vissuto nella realtà come il marito di Sara, crescendo i miei figli da solo, ma come personaggio non poteva fare altrimenti.
Teresa, donna alfa che demoliva tutte le convenzioni sul suo sesso, alla fine sembra quasi punita per le sue scelte. Perché?
Il romanzo nero racconta una cosa: le imperfezioni. Noi non raccontiamo i muri, ma le crepe, i buchi, le feritoie, l'amore che diventa odio. I personaggi sono tanto più riusciti quanto meno perfetti.
La donna alfa o l'uomo forte che restano uguali dalla prima all'ultima pagina danno un brutto libro.
La realtà non è manichea, se i personaggi non sono sbagliati non sono veri.
Teresa è fortissima ma fragile, come è giusto che sia.
Sono rimasta colpita dal modo di raccontare Napoli, che qui appare molto diversa rispetto a quella descritta in altri tuoi libri. Come sei arrivato a descriverla così fredda, grigia e anonima, tanto che porebbe essere qualsiasi altra città?
Napoli con Sara offre la migliore interpretazione di se stessa, perché in realtà è un personaggio. Interpreta un ruolo accorato, dolente, dignitoso e disperato nei romanzi di Ricciardi, così come diventa rumorosa, policroma, polifona, plirale, invadente e anche pericolosa nella serie dei Bastardi di Pizzofalcone. Con Sara è fredda, distante, borghese e ostile. Guarda l'orticello e difende se stessa.
Se venite a Napoli e andate nel Vomero, che è il quartiere dove vive Sara, lo trovate come l'ho descritto.
Anche il linguaggio secondo me è cambiato, molto scarno e meno ricco. Negli altri tuoi romanzi era più barocco. Torna più ricco quando parli della storia d'amore passata di Sara.
Quella di Sara e Massimiliano è la più bella storia d'amore che ho mai scritto. Il ricordo di un amore così è talmente vasto che colma tutti i vuoti successivi.
Nonostante il generedi appartenenza, l'amore ha un ruolo importante in entrambi i romanzi di Sara, soprattutto nel secondo. Quanto è importante parlare d'amore in un romanzo noir?
Io parlo sempre d'amore. Non c'è un mio romanzo o racconto dove non ci sia. L'amore è un inferno, perché chi s'innamora scende in un inferno, non va in paradiso. Ti fa vedere la felicità dietro un vetro, è una debolezza, un'incrinatura dalle conseguenze imprevedibili. Per me è impossibile scrivere un romanzo noir senza l'amore. Sara non mente e non si nasconde, però nasconde le sue manifestazioni d'amore. Le nasconde perché potrebbe parlarne solo in caso di necessità, ma parlarne non serve a nessuno. Ricciardi ha dentro di sè la compassione, Lojacono l'orgoglio ferito, Sara il pianto.
Quanto divertimento, invece, c'è nella tua scrittura?
Non c'è autore napoletano che, per quanto tragico, non abbia in sè vene comiche, e viceversa. Gomorra è un libro terribile, ma il capitolo in cui i camorristi si attribuiscono i soprannomi è divertentissimo. È una cifra precisa degli autori napoletani. Dai senso al nero solo se fai vedere anche il bianco.
In passato hai citato Stephen King come uno dei tuoi maestri, in cosa ti ha ispirato?
Parliamo di uno che si sente un nano di fronte a un gigante, anche se vendessi quattro volte i libri che vendo mi sentirei solo un pallido imitatore. Direi che da Stephen King ho preso la modalità narrativa dei romanzi di Ricciardi, così come McBain mi ha ispirato i bastardi di Pizzofalcone e Le Carré il mondo di Sara.
Le indagini di Sara sono arrivate al loro secondo capitolo, ed è proprio dalla protagonista che ha inizio la discussione sul romanzo, Napoli e le ispirazioni letterarie di Maurizio De Giovanni.
È evidente che Sara e Teresa vengono percepite come speculari una all'altra.
Quanto sei partito da Sara per costruire la sua controparte, e quanto pensi invece che scrivere di Teresa abbia regalato qualcosa anche a Sara?
Sara e Teresa hanno un passato professionale in comune, ma in realtà la loro amicizia resta un po' un mistero. Sara e Teresa hanno condiviso tutto ed erano complementari, Sara nella silenziosa interpretazione, Teresa nell'effervescenza delle conclusioni, come due segmenti di uno stesso processo. Si completavano, avevano bisogno una dell'altra.
Quando hanno finito di lavorare insieme si sono separate, ma si reincontrano nel terreno fragile dell'amore. L'amore ci rende fragili, e ci scopre la gola. Teresa si scopre nel momento in cui deve rinunciare a un certo tipo di avvenenza e ha bisogno di conforto: è una lupa rimansta senza branco, e ha bisogno di Sara a completarla. Sara la salva con la menzogna, perché la bugia è sempre meglio della verità, altrimenti non sarebbe necessaria. Questo libro in realtà è la storia di un'amicizia.
Rispetto al libro precedente, Sara appare un po' meno invisibile, si rivela di più al lettore.
È la nuova famiglia a cambiarla?
È l'interesse nei confronti del futuro. Prima aveva solo in mente una gestione personale della giustizia, ora si sente responsabile verso il futuro, che deve essere migliore del presente.
In realtà, più che una famiglia, attorno a Sara hai costruito una squadra di supereroi e il libro è molto più corale del precedente. Come ti sei rapportato a tutti questi personaggi?
Se vuoi affrontare un personaggio e raccontarlo gli devi volere bene, anche se è un personaggio terribile, un pedofilo, uno stragista o un omicida: se non gli vuoi bene, non sei grado di comprenderlo. Il mio coinvolgimento nei confronti di Sara e della sua cerchia è sempre maggiore perché conosco sempre di più i loro sentimenti, le paure, le fragilità.
Un autore scrivendo entra in contatto con i suoi personaggi e più ne scrive più li conosce.
Da autore, credo che Le parole di Sara sia migliore del precedente volume della serie proprio perché conosco meglio i personaggi.
Ci racconterai qualcosa di più del passato di Sara nei prossimi romanzi?
A me interessa il riflesso del passato sul presente, e anche se mi piacerebbe andare a ficcare il naso nel mistero di Ustica o in quello di Emanuela Orlandi - sarebbe pure commercialmente vantaggioso -, il mio compito è quello di raccontare il presente che non vediamo. Sara mi serve a questo, non a raccontare di papa Luciani o del delitto Moro. Anche l'invisibilità di Sara è una grossa tentazione.
Non l'ho quasi mai descritta come nonna, ad esempio.
Il grande amore può giustificare l'abbandono del figlio? Sara è forte perché ha seguito l'amore, oppure è debole perché non ha avuto la forza di rinunciare e restare in famiglia?
Sara ha un principio di fondo: io non mento. Il mio lavoro è smascherare la menzogna e la mia vita riflette tutto questo. Non mi tingo i capelli, non porto le scarpe col tacco, non mi vesto con abiti eleganti ma scomodi. Quando s'innamora, Sara capisce che non può fare altro che seguire l'amore, anche se questo contempla l'abbandono del figlio. Eticamente la sua scelta è atroce, soprattutto per me che ho vissuto nella realtà come il marito di Sara, crescendo i miei figli da solo, ma come personaggio non poteva fare altrimenti.
Teresa, donna alfa che demoliva tutte le convenzioni sul suo sesso, alla fine sembra quasi punita per le sue scelte. Perché?
Il romanzo nero racconta una cosa: le imperfezioni. Noi non raccontiamo i muri, ma le crepe, i buchi, le feritoie, l'amore che diventa odio. I personaggi sono tanto più riusciti quanto meno perfetti.
La donna alfa o l'uomo forte che restano uguali dalla prima all'ultima pagina danno un brutto libro.
La realtà non è manichea, se i personaggi non sono sbagliati non sono veri.
Teresa è fortissima ma fragile, come è giusto che sia.
Sono rimasta colpita dal modo di raccontare Napoli, che qui appare molto diversa rispetto a quella descritta in altri tuoi libri. Come sei arrivato a descriverla così fredda, grigia e anonima, tanto che porebbe essere qualsiasi altra città?
Napoli con Sara offre la migliore interpretazione di se stessa, perché in realtà è un personaggio. Interpreta un ruolo accorato, dolente, dignitoso e disperato nei romanzi di Ricciardi, così come diventa rumorosa, policroma, polifona, plirale, invadente e anche pericolosa nella serie dei Bastardi di Pizzofalcone. Con Sara è fredda, distante, borghese e ostile. Guarda l'orticello e difende se stessa.
Se venite a Napoli e andate nel Vomero, che è il quartiere dove vive Sara, lo trovate come l'ho descritto.
Anche il linguaggio secondo me è cambiato, molto scarno e meno ricco. Negli altri tuoi romanzi era più barocco. Torna più ricco quando parli della storia d'amore passata di Sara.
Quella di Sara e Massimiliano è la più bella storia d'amore che ho mai scritto. Il ricordo di un amore così è talmente vasto che colma tutti i vuoti successivi.
Nonostante il generedi appartenenza, l'amore ha un ruolo importante in entrambi i romanzi di Sara, soprattutto nel secondo. Quanto è importante parlare d'amore in un romanzo noir?
Io parlo sempre d'amore. Non c'è un mio romanzo o racconto dove non ci sia. L'amore è un inferno, perché chi s'innamora scende in un inferno, non va in paradiso. Ti fa vedere la felicità dietro un vetro, è una debolezza, un'incrinatura dalle conseguenze imprevedibili. Per me è impossibile scrivere un romanzo noir senza l'amore. Sara non mente e non si nasconde, però nasconde le sue manifestazioni d'amore. Le nasconde perché potrebbe parlarne solo in caso di necessità, ma parlarne non serve a nessuno. Ricciardi ha dentro di sè la compassione, Lojacono l'orgoglio ferito, Sara il pianto.
Quanto divertimento, invece, c'è nella tua scrittura?
Non c'è autore napoletano che, per quanto tragico, non abbia in sè vene comiche, e viceversa. Gomorra è un libro terribile, ma il capitolo in cui i camorristi si attribuiscono i soprannomi è divertentissimo. È una cifra precisa degli autori napoletani. Dai senso al nero solo se fai vedere anche il bianco.
In passato hai citato Stephen King come uno dei tuoi maestri, in cosa ti ha ispirato?
Parliamo di uno che si sente un nano di fronte a un gigante, anche se vendessi quattro volte i libri che vendo mi sentirei solo un pallido imitatore. Direi che da Stephen King ho preso la modalità narrativa dei romanzi di Ricciardi, così come McBain mi ha ispirato i bastardi di Pizzofalcone e Le Carré il mondo di Sara.
Le parole di Sara di Maurizio De Giovanni (Rizzoli) è in libreria, al prezzo di copertina di 19€.
martedì 12 marzo 2019
"La bambina che somigliava alle cose scomparse" di Sergio Claudio Perroni
Sergio Claudio Perroni torna in libreria con una favola per adulti che hanno bisogno di sentirsi più vicini al loro io infantile, che crede nell'incanto e nella magia.
La bambina che somigliava alle cose scomparse (La nave di Teseo) è questo, e molto di più grazie anche alle splendide illustrazioni di Leila Marzocchi.
«Ma a che ti serviva la nuvola?»
Si chiama Pulce e risolve problemi. Per farlo, ricorre all'antico e desueto stratagemma di porre domande. Interroga chi incontra sul motivo di una paura inspiegabile, di una particolare malinconia, di una speranza tradita. Gira e rigira, le risposte sono altre domande: d'amore o d'amicizia, di protezione o di salvezza.
«Mi serviva a nascondermi», le risponde il passero, terrorizzato dal falco che lo insegue.
Detto, fatto: il volto di Pulce diventa la nuvola in cui rifugiarsi!
È scappata di casa, Pulce. Si è presa una vacanza dalle lamentele della mamma e del papà per quello che fa o non fa, per ciò che è o non è. Ha sette anni, gli occhi color tatuaggio e un'energia visionaria. In un battibaleno è capace di trasformarsi in chiunque e in qualunque cosa: un ruscello, un affetto perduto, una stella cadente, una madre scomparsa, un paio di occhioni blu... E così, facendo da ponte tra quello che c'era e quello che non c'è più, rimedia di volta in volta alla perdita di cui soffrono i personaggi in cui si imbatte. Per riuscirci, attinge all'esperienza che zampilla dalle sue "fonti", un popolo buffo e saggio raccontato in parallelo dalle geniali note a piè di sogno.
Una protagonista indimenticabile, Pulce, che accompagna il lettore attraverso un labirinto di incontri e riflessioni su temi quanto mai attuali (il consumismo sfrenato della nostra epoca, la troppa importanza data all'apparenza invece che alla sostanza, ma anche l'importanza degli affetti che rischiamo troppo spesso di trascurare, per citarne alcuni) senza che questi lo privino mai del puro piacere dato dalla magia della favola.
Magiche sono anche le illustrazioni di Leila Marzocchi (una preferita è sicuramente quella a pagina 110) che ben accompagnano quello che è l'ottavo libro per Sergio Claudio Perroni, e che stavolta è davvero un libro per tutti.
Se è vero che ogni piccolo lettore vedrà se stesso in Pulce, nelle sue domande e nel suo desiderio di esplorare il mondo, lo è altrettanto che ogni adulto rifletterà sulle cose perdute e sull'importanza di saper dire addio.
Amy Harmon nel 2015 scriveva che è meglio essere persi che soli, perchè «chi è perso può essere ritrovato» e in parte è così per ogni personaggio che popola questo libro: l'incontro con Pulce permette loro di superare il dolore della perdita fisica, ma allo stesso tempo di realizzare che nulla è mai perduto, finchè lo si porta nel cuore.
Una lettura incantevole, promossa a pieni voti e consigliatissima.
La bambina che somigliava alle cose scomparse di Sergio Claudio Perroni (La nave di Teseo) è in libreria, al prezzo di copertina di 13€.
La bambina che somigliava alle cose scomparse (La nave di Teseo) è questo, e molto di più grazie anche alle splendide illustrazioni di Leila Marzocchi.
«Ma a che ti serviva la nuvola?»
Si chiama Pulce e risolve problemi. Per farlo, ricorre all'antico e desueto stratagemma di porre domande. Interroga chi incontra sul motivo di una paura inspiegabile, di una particolare malinconia, di una speranza tradita. Gira e rigira, le risposte sono altre domande: d'amore o d'amicizia, di protezione o di salvezza.
«Mi serviva a nascondermi», le risponde il passero, terrorizzato dal falco che lo insegue.
Detto, fatto: il volto di Pulce diventa la nuvola in cui rifugiarsi!
È scappata di casa, Pulce. Si è presa una vacanza dalle lamentele della mamma e del papà per quello che fa o non fa, per ciò che è o non è. Ha sette anni, gli occhi color tatuaggio e un'energia visionaria. In un battibaleno è capace di trasformarsi in chiunque e in qualunque cosa: un ruscello, un affetto perduto, una stella cadente, una madre scomparsa, un paio di occhioni blu... E così, facendo da ponte tra quello che c'era e quello che non c'è più, rimedia di volta in volta alla perdita di cui soffrono i personaggi in cui si imbatte. Per riuscirci, attinge all'esperienza che zampilla dalle sue "fonti", un popolo buffo e saggio raccontato in parallelo dalle geniali note a piè di sogno.
Una protagonista indimenticabile, Pulce, che accompagna il lettore attraverso un labirinto di incontri e riflessioni su temi quanto mai attuali (il consumismo sfrenato della nostra epoca, la troppa importanza data all'apparenza invece che alla sostanza, ma anche l'importanza degli affetti che rischiamo troppo spesso di trascurare, per citarne alcuni) senza che questi lo privino mai del puro piacere dato dalla magia della favola.
Magiche sono anche le illustrazioni di Leila Marzocchi (una preferita è sicuramente quella a pagina 110) che ben accompagnano quello che è l'ottavo libro per Sergio Claudio Perroni, e che stavolta è davvero un libro per tutti.
Se è vero che ogni piccolo lettore vedrà se stesso in Pulce, nelle sue domande e nel suo desiderio di esplorare il mondo, lo è altrettanto che ogni adulto rifletterà sulle cose perdute e sull'importanza di saper dire addio.
Amy Harmon nel 2015 scriveva che è meglio essere persi che soli, perchè «chi è perso può essere ritrovato» e in parte è così per ogni personaggio che popola questo libro: l'incontro con Pulce permette loro di superare il dolore della perdita fisica, ma allo stesso tempo di realizzare che nulla è mai perduto, finchè lo si porta nel cuore.
Una lettura incantevole, promossa a pieni voti e consigliatissima.
La bambina che somigliava alle cose scomparse di Sergio Claudio Perroni (La nave di Teseo) è in libreria, al prezzo di copertina di 13€.
lunedì 11 marzo 2019
365 giorni di fotoprotezione prêt-à-porter, con ISDIN
Una pelle perfetta non è solo una questione di make up, ma è frutto di una cura costante, e di una protezione a 360° per 365 giorni l’anno da fattori esterni quali inquinamento e raggi solari.
Le radiazioni UV che colpiscono la pelle sono infatti responsabili dell’80% del foto-invecchiamento, e da qui la necessità di contrastarlo grazie a due prodotti pratici firmati ISDIN, da indossare e portare con sè ogni giorno.
Foto Ultra Age Repair SPF50, con la sua texture a base d’acqua che non brucia gli occhi, opacizza la pelle ed è ideale come base per il trucco.
È resistente all’acqua, ipoallergenico, adatto alla pelle sensibile ed a tendenza atopica.
Non è comedogenico, non contiene alcol ed è oil-free.
È studiato per svolgere una tripla azione:
I migliori dermatologi consigliano di applicare la fotoprotezione ogni due ore, ma diciamoci la verità: chi si applica la crema solare sopra il trucco? ISDIN ha pensato anche a questo, proponendo la prima e unica fotoprotezione del mercato in pennello:
FotoProtector SunBrush Mineral SPF30 è una fotoprotezione minerale in pennello, con filtri 100% minerali che, con la sua texture ultraleggera e incolore, dissimula l’effetto lucido e può essere usata anche sopra il make up.
Grazie a microparticelle che riflettono la luce, la pelle appare più liscia e senza imperfezioni.
I filtri minerali creano una barriera sulla pelle, offrendo inoltre una protezione anti-inquinamento.
È indicato anche per la pelle sensibile e a tendenza atopica, ipoallergenico e non comedogenico.
Da usare in abbinamento all'integratore SunISDIN, da scoprire qui, per prepararsi all'estate e all'abbronzatura migliore di sempre.
Le radiazioni UV che colpiscono la pelle sono infatti responsabili dell’80% del foto-invecchiamento, e da qui la necessità di contrastarlo grazie a due prodotti pratici firmati ISDIN, da indossare e portare con sè ogni giorno.
Foto Ultra Age Repair SPF50, con la sua texture a base d’acqua che non brucia gli occhi, opacizza la pelle ed è ideale come base per il trucco.
È resistente all’acqua, ipoallergenico, adatto alla pelle sensibile ed a tendenza atopica.
Non è comedogenico, non contiene alcol ed è oil-free.
È studiato per svolgere una tripla azione:
- proteggere dal danno solare, grazie al fattore di protezione UVB/UVA SPF 50;
- riparare il danno solare a livello cellulare, grazie ai DNA Repairsomes;
- rigenerare correggendo i segni visibili dell’invecchiamento, grazie al Collagen Booster Peptide, al Lipopeptide Q10 e all’acido ialuronico.
I migliori dermatologi consigliano di applicare la fotoprotezione ogni due ore, ma diciamoci la verità: chi si applica la crema solare sopra il trucco? ISDIN ha pensato anche a questo, proponendo la prima e unica fotoprotezione del mercato in pennello:
FotoProtector SunBrush Mineral SPF30 è una fotoprotezione minerale in pennello, con filtri 100% minerali che, con la sua texture ultraleggera e incolore, dissimula l’effetto lucido e può essere usata anche sopra il make up.
Grazie a microparticelle che riflettono la luce, la pelle appare più liscia e senza imperfezioni.
I filtri minerali creano una barriera sulla pelle, offrendo inoltre una protezione anti-inquinamento.
È indicato anche per la pelle sensibile e a tendenza atopica, ipoallergenico e non comedogenico.
Da usare in abbinamento all'integratore SunISDIN, da scoprire qui, per prepararsi all'estate e all'abbronzatura migliore di sempre.
"Heart talk. Il cuore parla" di Cleo Wade
«Questo libro è una raccolta di appunti che ho preso chiusa nel mio appartamento. Contiene anche poesie sull'amore, sulla vita e sulla guarigione, che sono state per me una scialuppa di salvataggio quando mi sembrava di non saper nuotare nelle acque del mondo. Troverai anche alcuni di quei buoni vecchi consigli che ti darei se fossimo seduti al tavolo della mia cucina (a proposito: grazie, mamma, di avermi insegnato il potere terapeutico delle conversazioni al tavolo della cucina). Spero che leggendo questo libro ti ricorderai di quanto sei tenace e resistente, e ricomincerai a volerti bene.»
Forte di una voce chiara e diretta e di un seguito sui social, Cleo Wade, artista, poetessa e attivista, ha affidato a Heart talk. Il cuore parla (tre60) la sua prima raccolta di pensieri e poesie. Sono testi carichi di un'energia positiva dirompente che invitano ad affrontare le sfide della vita con una nuova consapevolezza di sé e con una rinnovata speranza. Accettazione, generosità, determinazione, empatia sono le parole chiave della sua poetica, rivolta con particolare attenzione alle donne e alla loro condizione. Heart talk. Il cuore parla è un libro per ritrovare ogni giorno la voglia di darsi da fare e di lottare per il meglio, e per imparare, di nuovo, ad accettarsi e a volersi bene.
Cosa dire di questo libro, se non che è un abbraccio di conforto fatto di carta e inchiostro?
Se le poesie di Cleo Wade sono a tratti quasi ermetiche (Come andare avanti è un componimento di sole sette parole), è con i brevi testi che le accompagnano che il suo messaggio si arricchisce di ulteriori sfumature e arriva alla mente del lettore, oltre che al cuore.
Il successo di Cleo Wade non è difficile da comprendere, perchè la sua è una voce che, al di là della poesia e della ricchezza di pensiero, si manifesta come quella di un'amica.
Dice al lettore quello che ha bisogno di sentirsi dire quando attraversa un momento difficile, lo incoraggia quando ha bisogno di essere spronato, lo conforta e lo avvolge in un rassicurante abbraccio.
Sono davvero poesie e pensieri per vivere meglio, come recita la copertina del volume, e mai come oggi ognuno di noi dovrebbe averne una copia sul comodino. In borsa. Nel cassetto della scrivania in ufficio.
Consigliatissimo, e di diritto tra le letture da non perdere del 2019.
Heart Talk. Il cuore parla di Cleo Wade (tre60) è in libreria, al prezzo di copertina di 14€.
Forte di una voce chiara e diretta e di un seguito sui social, Cleo Wade, artista, poetessa e attivista, ha affidato a Heart talk. Il cuore parla (tre60) la sua prima raccolta di pensieri e poesie. Sono testi carichi di un'energia positiva dirompente che invitano ad affrontare le sfide della vita con una nuova consapevolezza di sé e con una rinnovata speranza. Accettazione, generosità, determinazione, empatia sono le parole chiave della sua poetica, rivolta con particolare attenzione alle donne e alla loro condizione. Heart talk. Il cuore parla è un libro per ritrovare ogni giorno la voglia di darsi da fare e di lottare per il meglio, e per imparare, di nuovo, ad accettarsi e a volersi bene.
Cosa dire di questo libro, se non che è un abbraccio di conforto fatto di carta e inchiostro?
Se le poesie di Cleo Wade sono a tratti quasi ermetiche (Come andare avanti è un componimento di sole sette parole), è con i brevi testi che le accompagnano che il suo messaggio si arricchisce di ulteriori sfumature e arriva alla mente del lettore, oltre che al cuore.
Il successo di Cleo Wade non è difficile da comprendere, perchè la sua è una voce che, al di là della poesia e della ricchezza di pensiero, si manifesta come quella di un'amica.
Dice al lettore quello che ha bisogno di sentirsi dire quando attraversa un momento difficile, lo incoraggia quando ha bisogno di essere spronato, lo conforta e lo avvolge in un rassicurante abbraccio.
Sono davvero poesie e pensieri per vivere meglio, come recita la copertina del volume, e mai come oggi ognuno di noi dovrebbe averne una copia sul comodino. In borsa. Nel cassetto della scrivania in ufficio.
La paura si preoccupa:
«Come arriverò fin lì?»
La fiducia sorride saggia:
«Ci arriveremo.»
Consigliatissimo, e di diritto tra le letture da non perdere del 2019.
Heart Talk. Il cuore parla di Cleo Wade (tre60) è in libreria, al prezzo di copertina di 14€.
mercoledì 6 marzo 2019
Intervista a Loreta Minutilli su "Elena di Sparta", l'attualità del mito e la scrittura
Elena di Sparta è il personaggio femminile che da 2500 anni occupa l'immaginario della letteratura, dell'arte, ed è l'archetipo, se ne esiste uno, della figura femminile.
Quasi sempre cantata e raccontata da uomini, ma oggi tocca a Loreta Minutilli (laureata in Fisica e laureanda in Astrofisica e finalista con questo romanzo al Premio Calvino Opera Prima, ndr) raccogliere il testimone e rendere Elena ciò che non è mai stata: un essere umano.
Fa sì che sia Elena stessa a raccontarsi e raccontare la sua vita ai lettori, con una freschezza che mancava e di cui abbiamo più che mai bisogno oggi.
Abbiamo incontrato Loreta Minutilli a Milano, nella splendida sede di Baldini+Castoldi, ed ecco cosa ci ha raccontato sul suo romanzo, il suo rapporto con il mito e la scrittura.
Partiamo dall'inizio: da dove nasce il desiderio di raccontare la storia di Elena di Sparta?
Ho frequentato il liceo classico, e per me è sempre stato fondamentale rielaborare per conto mio ciò che apprendevo in aula.
La mitologia mi affascina sin dall'inizio, perchè l'idea stessa che potessero esistere più versioni della stessa storia tramandate nel corso dei secoli era incredibilmente stimolante.
Mi è sempre piaciuto scrivere, e scrivere di miti: questo che avete tra le mani è l'esperimento meglio riuscito, ma ho più volte preso un personaggio secondario del mito e provato a dargli una voce.
La mitologia mi dava l'idea di potermi inserire, visto che per secoli lo avevano fatto in tanti.
Mi affascinava l'idea di questa donna che nell'Iliade non parla quasi mai, nonostante sia la causa scatenante della guerra. Senza Elena non esisterebbe l'Iliade!
Alla sua figura è sempre legata una colpa, sia che la si voglia scagionare sia che la si accusi: la colpa non smette di esistere.
Ho iniziato a scrivere la sua storia dopo l'arrivo all'università, perchè ho cambiato completamente ambiente trovandomi in un contesto prettamente maschile, e in cui dovevo insistere un po' di più per far sentire la mia voce.
Ho capito che non era affatto scontato avere qualcuno che ascoltasse, e a ragionare sulla figura di Elena sotto questa luce.
Sembra che la grande colpa di Elena sia, innanzitutto, quella di essere bella.
Hai ragione, e lei stessa spesso la percepisce così.
Fin dall'infanzia viene trattata in modo diverso a causa del suo essere bella, e considerata più un oggetto da contemplare e proteggere più che una figlia da amare: la sorella, meno bella, ha un rapporto più stretto con i genitori e più libertà di movimento e pensiero di lei.
Poi c'è la colpa legata al tradimento e all'abbandono del marito.
Nella mia lettura della sua figura, Elena sceglie di essere colpevole: nel momento in cui deve scegliere tra una vita tranquilla, priva di avvenimenti e una in cui grazie alla sua bellezza può davvero vedere qualcosa e sperimentare qualcosa, lei sceglie la colpa e parte.
È una donna moderna, sotto questo punto di vista.
Certamente, e ci tengo a dire che la mia non è un'Elena storica: ho deciso di farla parlare come avrei parlato io, perchè mi sembrava il modo migliore di far rivivere il mito oggi.
I miti greci hanno il grande potere di raccontare l'uomo attraverso la narrazione del divino.
Penso che fosse il loro scopo: tutte le emozioni della natura umana vengono rappresentate in modo molto più efficace da un dio, separato da te, e alla fine quello che vai a leggere non è un mito ma sei tu. In questa chiave, leggere la storia di Elena raccontata così, permette di trovare molto delle donne di oggi. Secondo te, perchè 2500 anni dopo, il mito greco continua a parlare di noi?
Sono d'accordo sul fatto che il mito servisse per raccontare gli uomini agli uomini, ed è proprio questo a renderli attuali anche 2500 anni dopo.
La chiave è quella della bellezza di una storia semplice, che si presta a essere affrontato da diverse prospettive. Il mito è impersonale, è una vicenda che viene raccontata in modo così lineare che può essere letta da più punti di vista.
Sappiamo chi sia Elena di Sparta, la donna più bella del mondo, ma sta a noi in fondo immaginarne i pensieri e i desideri.
Parliamo del suo rapporto con Paride: nel mito si presuppone che scappi con lui per amore, ma il tuo Paride non è assolutamente l'uomo affascinante che saremmo portati ad immaginare, anzi! Quasi ci si chiede cos'abbia visto in lui Elena.
È stata la prima decisione che ho preso: non volevo che quella di Elena fosse una fuga d'amore.
Sia per rendere originale la mia storia, sia perchè volevo creare un personaggio razionale e trasgressivo. Mi piaceva che fosse più vicina a Menelao che non a Paride: volevo che la sua scelta fosse più cinica, calcolata, che partisse con Paride per ottenere qualcosa per se stessa.
Ho letto il tuo romanzo come un monologo, una confessione e la liberazione di Elena dal peso della sua storia. Nella seconda parte del romanzo, quando subentra il disincanto, dice «sono cresciuta troppo lentamente». È un'Elena che si rende conto di essere stata bambina e figlia troppo a lungo.
Sì, e rientra sempre nell'idea che lei non abbia mai conosciuto il mondo perchè intrappolata tra le mura di Sparta, e anzi, la sua bellezza l'ha fatta vivere in una gabbia dorata dalla quale non poteva uscire.
Quando arriva a Troia inizia a rendersi conto che la sua bellezza la rende unica, ma che in un ambiente in cui deve guadagnarsi il rispetto del prossimo non basta a renderla speciale.
Deve dimostrare di saper dare qualcosa al prossimo. Se non avesse seguito Paride non avrebbe mai lasciato Sparta, e forse avrebbe sempre creduto di essere unica al mondo: lasciare la sua casa le permette di scoprire che non è così.
Nel tuo romanzo fa la sua comparsa anche la sessualità di Elena, e in particolare un evento molto doloroso che non dev'essere stato facile mettere su carta.
La scelta che Elena fosse vittima di violenza perchè in parte serviva a spiegare la sua difficoltà nel costruire un rapporto col prossimo, e in parte perchè offriva un contrasto tra l'idea di lussuria associata alla sua straordinaria bellezza e il fatto che invece lei fosse bloccata nel godere della sua sessualità.
Per lei quello della sessualità è un mondo incomprensibile, ma è anche questo uno stimolo a partire per cercare di essere di più di un corpo bellissimo.
Viene in mente anche la figura di Ulisse, anch'egli in viaggio spinto dalla curiosità.
All'inizio volevo persino mettere una citazione dall'Odissea!
Ulisse è il personaggio che nel mito rappresenta l'avventura, la curiosità estrema, le esperienze straordinarie: non esiste un suo corrispettivo femminile, ma per me Elena è l'unica che esce dal conosciuto compiendo una scelta, e vive una vita diversa da quella già scritta per lei.
Per me Elena parte anche per vivere un'avventura.
Inoltre, così come Ulisse racconta a Penelope il suo viaggio, così fa la "mia" Elena con Menelao, perchè è anche il racconto del viaggio a dargli un senso e una dimensione.
Quello di Menelao è il personaggio più bello, almeno per me.
All'inizio non era così sviluppato, è stato solo scrivendo che ho iniziato a vedere degli aspetti di questo personaggio che nel mito non erano sviluppati: in fondo è anche lui in secondo piano nonostante la guerra scoppi proprio perchè bisogna riprendersi sua moglie.
L'ho visto come un uomo in balìa delle scelte della moglie, e che non si trova del tutto a suo agio nel mondo di guerrieri che lo circonda non avendo però potuto scegliere altro - esattamente come Elena non ha potuto andare oltre il suo essere la donna più bella del mondo. Sono spiriti affini.
Una curiosità personale riguardo il finale del romanzo.
Ho sempre visto Elena come una donna che è fuggita dalla vita prestabilita senza trovare però soddisfazione nemmeno nella fuga, e leggendo le tue parole questa convinzione si è radicata.
Nel momento in cui si rende conto che Paride morirà, tutto sommato è una liberazione.
Come tutte le donne in procinto di scaricare il compagno, diventa quasi più gentile nei suoi confronti, perchè in fondo le dispiace.
Lo rassicura, lo coccola, lo incoraggia ma perchè sa che manca poco, e anzi, pensa già a ciò che dovrà fare dopo: lui sostanzialmente è già morto, per Elena.
Al giorno d'oggi avrebbe cambiato taglio e colore di capelli e avremmo capito tutti che on Paride era finita.
Ti sei divertita nel raccontarla in modo così moderno, traslando magari su di lei gli atteggiamenti contemporanei, e vedi anche tu nel suo fare un passo indietro, tornando da Menelao, farne in realtà uno avanti?
Assolutamente sì, e anzi, scrivendo la vedevo come una donna di oggi.
La immaginavo studentessa di una facoltà scientifica, per esempio, pensando alla sua curiosità sul mondo. Elena torna al passato dopo un percorso: ha avuto bisogno di andare via per rendersi conto di volere la sua vita di prima, e che non era meno rispetto a ciò che avevano le altre donne.
Ritorna cambiata, e torna a quello che è comunque un punto finale, che ora è rifugio e non più prigione.
Hai raccontato l'unico νόστος che mancava, perchè il ritorno a casa di Elena era l'unico che non era ancora stato raccontato.
Lo studio della fisica e dell'astrofisica ha cambiato la tua visione del mito? E come riesci a conciliare studio e scrittura?
Mi serve sicuramente avere entrambe le cose nella mia vita, lo studio scientifico e la scrittura.
Se dovessi solo studiare o solo scrivere... non credo funzionerebbe, per me.
Passare da uno all'altro è un avere una via di fuga che mi aiuta.
Studiare astrofisica mi ha aiutata a mettere ordine, anche nel mio modo di scrivere: è uno studio che ti rende disciplinato, e ha fatto sì che imparassi a scrivere in maniera più chiara, oltre a darmi gli strumenti per portare a termine ciò che iniziavo.
Ho iniziato e abbandonato tante storie, prima di questa.
Elena di Sparta di Loreta Minutilli (Baldini+Castoldi) è in libreria, al prezzo di copertina di 17€.
Quasi sempre cantata e raccontata da uomini, ma oggi tocca a Loreta Minutilli (laureata in Fisica e laureanda in Astrofisica e finalista con questo romanzo al Premio Calvino Opera Prima, ndr) raccogliere il testimone e rendere Elena ciò che non è mai stata: un essere umano.
Fa sì che sia Elena stessa a raccontarsi e raccontare la sua vita ai lettori, con una freschezza che mancava e di cui abbiamo più che mai bisogno oggi.
Abbiamo incontrato Loreta Minutilli a Milano, nella splendida sede di Baldini+Castoldi, ed ecco cosa ci ha raccontato sul suo romanzo, il suo rapporto con il mito e la scrittura.
Partiamo dall'inizio: da dove nasce il desiderio di raccontare la storia di Elena di Sparta?
Ho frequentato il liceo classico, e per me è sempre stato fondamentale rielaborare per conto mio ciò che apprendevo in aula.
La mitologia mi affascina sin dall'inizio, perchè l'idea stessa che potessero esistere più versioni della stessa storia tramandate nel corso dei secoli era incredibilmente stimolante.
Mi è sempre piaciuto scrivere, e scrivere di miti: questo che avete tra le mani è l'esperimento meglio riuscito, ma ho più volte preso un personaggio secondario del mito e provato a dargli una voce.
La mitologia mi dava l'idea di potermi inserire, visto che per secoli lo avevano fatto in tanti.
Mi affascinava l'idea di questa donna che nell'Iliade non parla quasi mai, nonostante sia la causa scatenante della guerra. Senza Elena non esisterebbe l'Iliade!
Alla sua figura è sempre legata una colpa, sia che la si voglia scagionare sia che la si accusi: la colpa non smette di esistere.
Ho iniziato a scrivere la sua storia dopo l'arrivo all'università, perchè ho cambiato completamente ambiente trovandomi in un contesto prettamente maschile, e in cui dovevo insistere un po' di più per far sentire la mia voce.
Ho capito che non era affatto scontato avere qualcuno che ascoltasse, e a ragionare sulla figura di Elena sotto questa luce.
Sembra che la grande colpa di Elena sia, innanzitutto, quella di essere bella.
Hai ragione, e lei stessa spesso la percepisce così.
Fin dall'infanzia viene trattata in modo diverso a causa del suo essere bella, e considerata più un oggetto da contemplare e proteggere più che una figlia da amare: la sorella, meno bella, ha un rapporto più stretto con i genitori e più libertà di movimento e pensiero di lei.
Poi c'è la colpa legata al tradimento e all'abbandono del marito.
Nella mia lettura della sua figura, Elena sceglie di essere colpevole: nel momento in cui deve scegliere tra una vita tranquilla, priva di avvenimenti e una in cui grazie alla sua bellezza può davvero vedere qualcosa e sperimentare qualcosa, lei sceglie la colpa e parte.
È una donna moderna, sotto questo punto di vista.
Certamente, e ci tengo a dire che la mia non è un'Elena storica: ho deciso di farla parlare come avrei parlato io, perchè mi sembrava il modo migliore di far rivivere il mito oggi.
I miti greci hanno il grande potere di raccontare l'uomo attraverso la narrazione del divino.
Penso che fosse il loro scopo: tutte le emozioni della natura umana vengono rappresentate in modo molto più efficace da un dio, separato da te, e alla fine quello che vai a leggere non è un mito ma sei tu. In questa chiave, leggere la storia di Elena raccontata così, permette di trovare molto delle donne di oggi. Secondo te, perchè 2500 anni dopo, il mito greco continua a parlare di noi?
Sono d'accordo sul fatto che il mito servisse per raccontare gli uomini agli uomini, ed è proprio questo a renderli attuali anche 2500 anni dopo.
La chiave è quella della bellezza di una storia semplice, che si presta a essere affrontato da diverse prospettive. Il mito è impersonale, è una vicenda che viene raccontata in modo così lineare che può essere letta da più punti di vista.
Sappiamo chi sia Elena di Sparta, la donna più bella del mondo, ma sta a noi in fondo immaginarne i pensieri e i desideri.
Parliamo del suo rapporto con Paride: nel mito si presuppone che scappi con lui per amore, ma il tuo Paride non è assolutamente l'uomo affascinante che saremmo portati ad immaginare, anzi! Quasi ci si chiede cos'abbia visto in lui Elena.
È stata la prima decisione che ho preso: non volevo che quella di Elena fosse una fuga d'amore.
Sia per rendere originale la mia storia, sia perchè volevo creare un personaggio razionale e trasgressivo. Mi piaceva che fosse più vicina a Menelao che non a Paride: volevo che la sua scelta fosse più cinica, calcolata, che partisse con Paride per ottenere qualcosa per se stessa.
Ho letto il tuo romanzo come un monologo, una confessione e la liberazione di Elena dal peso della sua storia. Nella seconda parte del romanzo, quando subentra il disincanto, dice «sono cresciuta troppo lentamente». È un'Elena che si rende conto di essere stata bambina e figlia troppo a lungo.
Sì, e rientra sempre nell'idea che lei non abbia mai conosciuto il mondo perchè intrappolata tra le mura di Sparta, e anzi, la sua bellezza l'ha fatta vivere in una gabbia dorata dalla quale non poteva uscire.
Quando arriva a Troia inizia a rendersi conto che la sua bellezza la rende unica, ma che in un ambiente in cui deve guadagnarsi il rispetto del prossimo non basta a renderla speciale.
Deve dimostrare di saper dare qualcosa al prossimo. Se non avesse seguito Paride non avrebbe mai lasciato Sparta, e forse avrebbe sempre creduto di essere unica al mondo: lasciare la sua casa le permette di scoprire che non è così.
Nel tuo romanzo fa la sua comparsa anche la sessualità di Elena, e in particolare un evento molto doloroso che non dev'essere stato facile mettere su carta.
La scelta che Elena fosse vittima di violenza perchè in parte serviva a spiegare la sua difficoltà nel costruire un rapporto col prossimo, e in parte perchè offriva un contrasto tra l'idea di lussuria associata alla sua straordinaria bellezza e il fatto che invece lei fosse bloccata nel godere della sua sessualità.
Per lei quello della sessualità è un mondo incomprensibile, ma è anche questo uno stimolo a partire per cercare di essere di più di un corpo bellissimo.
Viene in mente anche la figura di Ulisse, anch'egli in viaggio spinto dalla curiosità.
All'inizio volevo persino mettere una citazione dall'Odissea!
Ulisse è il personaggio che nel mito rappresenta l'avventura, la curiosità estrema, le esperienze straordinarie: non esiste un suo corrispettivo femminile, ma per me Elena è l'unica che esce dal conosciuto compiendo una scelta, e vive una vita diversa da quella già scritta per lei.
Per me Elena parte anche per vivere un'avventura.
Inoltre, così come Ulisse racconta a Penelope il suo viaggio, così fa la "mia" Elena con Menelao, perchè è anche il racconto del viaggio a dargli un senso e una dimensione.
Quello di Menelao è il personaggio più bello, almeno per me.
All'inizio non era così sviluppato, è stato solo scrivendo che ho iniziato a vedere degli aspetti di questo personaggio che nel mito non erano sviluppati: in fondo è anche lui in secondo piano nonostante la guerra scoppi proprio perchè bisogna riprendersi sua moglie.
L'ho visto come un uomo in balìa delle scelte della moglie, e che non si trova del tutto a suo agio nel mondo di guerrieri che lo circonda non avendo però potuto scegliere altro - esattamente come Elena non ha potuto andare oltre il suo essere la donna più bella del mondo. Sono spiriti affini.
Una curiosità personale riguardo il finale del romanzo.
Ho sempre visto Elena come una donna che è fuggita dalla vita prestabilita senza trovare però soddisfazione nemmeno nella fuga, e leggendo le tue parole questa convinzione si è radicata.
Nel momento in cui si rende conto che Paride morirà, tutto sommato è una liberazione.
Come tutte le donne in procinto di scaricare il compagno, diventa quasi più gentile nei suoi confronti, perchè in fondo le dispiace.
Lo rassicura, lo coccola, lo incoraggia ma perchè sa che manca poco, e anzi, pensa già a ciò che dovrà fare dopo: lui sostanzialmente è già morto, per Elena.
Al giorno d'oggi avrebbe cambiato taglio e colore di capelli e avremmo capito tutti che on Paride era finita.
Ti sei divertita nel raccontarla in modo così moderno, traslando magari su di lei gli atteggiamenti contemporanei, e vedi anche tu nel suo fare un passo indietro, tornando da Menelao, farne in realtà uno avanti?
Assolutamente sì, e anzi, scrivendo la vedevo come una donna di oggi.
La immaginavo studentessa di una facoltà scientifica, per esempio, pensando alla sua curiosità sul mondo. Elena torna al passato dopo un percorso: ha avuto bisogno di andare via per rendersi conto di volere la sua vita di prima, e che non era meno rispetto a ciò che avevano le altre donne.
Ritorna cambiata, e torna a quello che è comunque un punto finale, che ora è rifugio e non più prigione.
Hai raccontato l'unico νόστος che mancava, perchè il ritorno a casa di Elena era l'unico che non era ancora stato raccontato.
Lo studio della fisica e dell'astrofisica ha cambiato la tua visione del mito? E come riesci a conciliare studio e scrittura?
Mi serve sicuramente avere entrambe le cose nella mia vita, lo studio scientifico e la scrittura.
Se dovessi solo studiare o solo scrivere... non credo funzionerebbe, per me.
Passare da uno all'altro è un avere una via di fuga che mi aiuta.
Studiare astrofisica mi ha aiutata a mettere ordine, anche nel mio modo di scrivere: è uno studio che ti rende disciplinato, e ha fatto sì che imparassi a scrivere in maniera più chiara, oltre a darmi gli strumenti per portare a termine ciò che iniziavo.
Ho iniziato e abbandonato tante storie, prima di questa.
Elena di Sparta di Loreta Minutilli (Baldini+Castoldi) è in libreria, al prezzo di copertina di 17€.
Intervista a Cinzia Leone su "Ti rubo la vita", le donne che non si piegano e la scrittura
Vite rubate. Come quella di Miriam, moglie di un turco musulmano che nel 1936 decide di sostituirsi al mercante ebreo con cui è in affari, costringendo anche lei a cambiare nome e religione. A rubare la vita a Giuditta nel 1938 sono le leggi razziali: cacciata dalla scuola, con il padre in prigione e i fascisti alle calcagna, può essere tradita, venduta e comprata; deve imparare a nascondersi ovunque, persino in un ospedale e in un bordello. Nel 1991, a rubare la vita a Esther è invece un misterioso pretendente che le propone un matrimonio combinato, regolato da un contratto perfetto...
Ebree per forza, in fuga o a metà, Miriam, Giuditta ed Esther, protagoniste di Ti rubo la vita di Cinzia Leone (Mondadori), sono donne capaci di difendere la propria identità dalle scabrose insidie degli uomini e della Storia. Strappando i giorni alla ferocia dei tempi, imparano ad amare e a scegliere il proprio destino. Una saga familiare piena di inganni e segreti che si dipana da Istanbul ad Ancona, da Giaffa a Basilea, da Roma a Miami, dalla Turchia di Atatürk all'Italia di fine Novecento, passando attraverso la Seconda guerra mondiale e le persecuzioni antisemite, con un finale a sorpresa.
Abbiamo incontrato Cinzia Leone a Milano, ospiti di Chiara Beretta Mazzotta, ed ecco cosa ci ha raccontato sul suo ultimo romanzo, le sue protagoniste e la scrittura.
Il tuo libro mi ha fatto ricordare fin dalle prime pagine Mille splendidi soli di Khaled Hosseini.
Ci sono queste storie di donne legate da un fil rouge, l'idea di vite rubate e di donne che non si piegano facilmente al farsele rubare, l'attraversare diversi tempi e luoghi.
Quali sono state le scintille alla base dell'ispirazione di un romanzo così ricco e complesso?
La vera scintilla è l'idea di ciò che accade all'inizio della terza parte, quando entra in scena Esther, per cui si può dire che ho iniziato dalla fine. Il mio tema di fondo è sempre il mistero della vita e degli antenati, il fatto che aprendo l'album di famiglia non sappiamo cosa potremmo scoprire.
Ho scritto questo romanzo vicino a pile di libri da consultare, perché è un romanzo storico, anche se è una storia raccontata dal basso: non ho messo la Shoah di proposito per non sovraccaricarla, anche se rimane sullo sfondo. La generazione che si muove alla fine del Novecento è quella che ha rimescolato tutto, distruggendo molto del passato - regole, legami sociali - a prezzi anche molto alti. Si è buttata negli ideali, ha infranto barriere, ma in definitiva ha sofferto per la mancanza delle regole che ha infranto. E poi mi affascinava il tema dell'ibridazione, il fatto che nessuno di noi conosca davvero le proprie origini, in un momento storico in cui tutti pensano di sapere cosa sono, tutti credono di essere italiani veri. Ho voluto sottolineare il fatto che nessuno è perfetto e tutti possiamo scoprire di essere qualcosa d'altro, in più, in meno o diverso rispetto a cosa pensiamo.
Questo è il vero centro del libro. Esther, per esempio, è in bilico tra due religioni, ma anche tra il nuovo mondo e quello vecchio che l'ha lasciata senza certezze. Dobbiamo cercare le nostre radici sapendo che potrebbero anche essere diverse da come le immaginiamo.
Da dove è nata l'idea del cambio di identità di Ibrahim? Ti sei basata su storie vere, dato che ci sono stati tanti casi del genere soprattutto durante la seconda guerra mondiale, e come mai hai deciso di inserire questo tema così forte nel romanzo?
Ho impiegato tre anni a scrivere questo libro e lo amo profondamente. Amo i cambiamenti e penso che a tutti nella vita possa capitare di desiderare essere al posto di un altro. In fondo siamo tutti ladri. La storia dell'umanità nasce dal furto di una mela e noi siamo tutti figli di quel furto.
L'amore è un furto: non vuoi appropriarti della vita dell'altro quando t'innamori?
Per questo ho scelto un titolo così forte.
La vita è un furto, la proprietà è un furto, la letteratura è un colossale furto: tu scrittore conservi dentro di te le vite di tutti e le consumi scrivendo. Ho scelto il personaggio di Ibrahim perché è un uomo moderno, che si mette in gioco e accetta di cambiare, perché la modernità è cambiamento, in contrasto con la moglie che è antica, radicata. Sono una coppia perfetta e imperfetta allo stesso tempo. E poi mi piaceva l'idea di far scoprire gli ebrei da un musulmano: la curiosità per gli altri ti viene solo se hai un bisogno. Oggi questa curiosità sparisce: non siamo interessati alle vite degli altri, mentre io resto una persona curiosa e custodisco le storie dei miei amici.
Se mi raccontano storie preziose chiedo il permesso di usarle quando scrivo.
Arabi ed ebrei li ho messi sullo stesso piano. Arabo, ebraico ed aramaico sono tre lingue avocaliche simili tra loro. Miriam è un nome uguale in tutte le lingue e le religioni. Ebrei ed arabi sono ugualmente circoncisi, anche se pochi lo sanno.
Con questo libro affronti molti temi importanti: il viaggio, le religioni, il guardare gli altri.
In quel periodo storico sono successe cose orribili e la Shoah, anche se non ne parlo direttamente, influenza tutta la storia.
Come mai ha scelto di parlare a lungo del periodo tra gli anni Trenta e Quaranta e di passare poi direttamente agli anni Novanta?
Io volevo tre protagoniste: Miriam, la donna musulmana, che serve a equilibrare le fibrillazioni di Ibrahim, che è una molla creativa forte; poi Giuditta, un'ebrea ma italiana. In Italia gli ebrei erano molto integrati nella società, anche attraverso tanti matrimoni misti, e si rende conto di essere ebrea solo al momento della proclamazione delle leggi razziali, che rompono un patto di convivenza.
Questo libro si sarebbe potuto chiamare anche Il contratto, che è uno dei temi di fondo.
La vicenda di Ibrahim e Miriam parte da un contratto, quella di Giuditta si sviluppa dopo la rottura del patto sociale che la rende diversa. Miriam è radicata nell'oppressione femminile e si sente protetta dal suo velo, che poi fino a poco tempo fa anche qui da noi le donne non uscivano di casa se non avevano un fazzoletto in testa. Giuditta è meno radicata, perché la rottura del contratto la resa una fuorilegge. Infine la terza donna, Esther, mi serviva per raccontare come tutto questo in apparenza è migliorato, ma ha creato anche un vuoto di regole, un vuoto di amore e di promesse, che lei cerca di ritrovare. Miriam distrugge le regole, Giuditta le infrange per difendersi e per amore, Esther le cerca.
Il libro mi ha fatto riflettere sull'identità, anche come tentativo contemporaneo di sfuggire alle regole della programmazione, che ci lega a concetti come la nascita in un luogo più che in un altro, all'identità religiosa o a quella sessuale. Non siamo forse più prigionieri oggi che negli anni trenta?
Sì, senz'altro. Oggi siamo tutti registrati, schedati, mentre in passato, negli anni trenta come durante la guerra, era molto più semplice sparire o cambiare identità.
Ho tagliato un pezzo da questo romanzo perché raccontavo una storia che ho scoperto essere troppo simile a quella dell'ultimo romanzo di Isaac B. Singer ripubblicato da Adelphi, Nemici, il cui protagonista, che si è rifatto una vita in America dopo la guerra, scopre dopo diversi anni che la prima moglie creduta morta nel conflitto è in realtà sopravvissuta.
Avevo affrontato il problema di come avvenivano i ricongiungimenti dopo la guerra, in un momento in cui capitava di ritrovare marito o moglie risposati con qualcun altro.
Una vicenda come quella che racconto oggi non potrebbe assolutamente succedere, perché siamo registrati ovunque. Io sono contro tutte le etichette, anche quelle di tipo sessuale. Per me i confini non sono mai così ben definiti, c'è molto di più nel cangiante, nell'indefinito.
Noi siamo sempre in trasformazione.
Nel libro c'è una frase sull'amore, quando si dice che a far convincere Esther al matrimonio è il cognome della suocera, in cui ritrova un pezzetto della sua identità e lo considera una garanzia per ricucire i lembi del suo cuore ferito, ma l'amore non è una questione di ago e filo e un rammendo non può avere più fascino dello strappo. Io ho ritrovato tutte le amiche che hanno sempre ceduto al fascino dell'amore che fa male rispetto all'amore che fa bene e vorrei sapere cosa ne pensi.
Ho tantissime amiche, anche persone che mi hanno fatto confidenze senza avermi nemmeno mai visto, perché so tenere i segreti. La confessione del resto è una lavatrice fantastica.
L'amore conta, ma conta anche lo strappo del saper lasciare qualcuno. Spesso pensiamo che tutto funzioni meglio restando a casa nostra, nella famiglia d'origine, ma è davvero così?
Nel romanzo affronti con padronanza i molti aspetti delle diverse culture e religioni.
Questo faceva già parte del tuo bagaglio culturale o ti sei documentata di più per scrivere questo libro?
Io sono stata vicina a molte religioni. Nel romanzo si parla di ebrei, musulmani, copti, degli ebrei riformati americani, c'è persino un personaggio che aderisce a una setta religiosa. Mi sono attrezzata con tutti i calendari degli anni di cui si parla, ho costruito gli alberi genealogici dei personaggi.
Le religioni mi hanno sempre affascinato, perché sono figlia di genitori con religioni diverse e trovo bello guardare l'altro. Una mia grande amica è ortodossa. Le diversità per me sono un valore assoluto, tenendo salde le proprie radici.
Cos'hai provato quando hai scritto la parola FINE?
Un libro non è mai finito.
Ho persino fatto dei disegni dei personaggi perché ho bisogno di farli vivere sotto un altro aspetto.
Quanto ti ha cambiata scrivere questo libro, e come ti senti adesso?
Decisamente felice. Da giornalista sono stata condannata per anni a scrivere pezzi brevi, rispettando un limite rigido di battute, e anche nelle graphic novel i testi sono brevissimi, per cui la possibilità di scrivere un romanzo così lungo è stata meravigliosa, anche se ho anche tagliato molto.
Nelle graphic poi non facevo mai morire nessuno, mentre qui mi sono potuta permettere di separarmi dai personaggi e farne anche morire qualcuno.
Mi piace sapere che adesso tante persone leggano le storie che per tre anni ho conosciuto solo io, perché io non faccio mai leggere a nessuno quello che sto scrivendo.
Non prima di aver finito.
Ti rubo la vita di Cinzia Leone (Mondadori) è in libreria, al prezzo di copertina di 20€.
Ebree per forza, in fuga o a metà, Miriam, Giuditta ed Esther, protagoniste di Ti rubo la vita di Cinzia Leone (Mondadori), sono donne capaci di difendere la propria identità dalle scabrose insidie degli uomini e della Storia. Strappando i giorni alla ferocia dei tempi, imparano ad amare e a scegliere il proprio destino. Una saga familiare piena di inganni e segreti che si dipana da Istanbul ad Ancona, da Giaffa a Basilea, da Roma a Miami, dalla Turchia di Atatürk all'Italia di fine Novecento, passando attraverso la Seconda guerra mondiale e le persecuzioni antisemite, con un finale a sorpresa.
Abbiamo incontrato Cinzia Leone a Milano, ospiti di Chiara Beretta Mazzotta, ed ecco cosa ci ha raccontato sul suo ultimo romanzo, le sue protagoniste e la scrittura.
Il tuo libro mi ha fatto ricordare fin dalle prime pagine Mille splendidi soli di Khaled Hosseini.
Ci sono queste storie di donne legate da un fil rouge, l'idea di vite rubate e di donne che non si piegano facilmente al farsele rubare, l'attraversare diversi tempi e luoghi.
Quali sono state le scintille alla base dell'ispirazione di un romanzo così ricco e complesso?
La vera scintilla è l'idea di ciò che accade all'inizio della terza parte, quando entra in scena Esther, per cui si può dire che ho iniziato dalla fine. Il mio tema di fondo è sempre il mistero della vita e degli antenati, il fatto che aprendo l'album di famiglia non sappiamo cosa potremmo scoprire.
Ho scritto questo romanzo vicino a pile di libri da consultare, perché è un romanzo storico, anche se è una storia raccontata dal basso: non ho messo la Shoah di proposito per non sovraccaricarla, anche se rimane sullo sfondo. La generazione che si muove alla fine del Novecento è quella che ha rimescolato tutto, distruggendo molto del passato - regole, legami sociali - a prezzi anche molto alti. Si è buttata negli ideali, ha infranto barriere, ma in definitiva ha sofferto per la mancanza delle regole che ha infranto. E poi mi affascinava il tema dell'ibridazione, il fatto che nessuno di noi conosca davvero le proprie origini, in un momento storico in cui tutti pensano di sapere cosa sono, tutti credono di essere italiani veri. Ho voluto sottolineare il fatto che nessuno è perfetto e tutti possiamo scoprire di essere qualcosa d'altro, in più, in meno o diverso rispetto a cosa pensiamo.
Questo è il vero centro del libro. Esther, per esempio, è in bilico tra due religioni, ma anche tra il nuovo mondo e quello vecchio che l'ha lasciata senza certezze. Dobbiamo cercare le nostre radici sapendo che potrebbero anche essere diverse da come le immaginiamo.
Da dove è nata l'idea del cambio di identità di Ibrahim? Ti sei basata su storie vere, dato che ci sono stati tanti casi del genere soprattutto durante la seconda guerra mondiale, e come mai hai deciso di inserire questo tema così forte nel romanzo?
Ho impiegato tre anni a scrivere questo libro e lo amo profondamente. Amo i cambiamenti e penso che a tutti nella vita possa capitare di desiderare essere al posto di un altro. In fondo siamo tutti ladri. La storia dell'umanità nasce dal furto di una mela e noi siamo tutti figli di quel furto.
L'amore è un furto: non vuoi appropriarti della vita dell'altro quando t'innamori?
Per questo ho scelto un titolo così forte.
La vita è un furto, la proprietà è un furto, la letteratura è un colossale furto: tu scrittore conservi dentro di te le vite di tutti e le consumi scrivendo. Ho scelto il personaggio di Ibrahim perché è un uomo moderno, che si mette in gioco e accetta di cambiare, perché la modernità è cambiamento, in contrasto con la moglie che è antica, radicata. Sono una coppia perfetta e imperfetta allo stesso tempo. E poi mi piaceva l'idea di far scoprire gli ebrei da un musulmano: la curiosità per gli altri ti viene solo se hai un bisogno. Oggi questa curiosità sparisce: non siamo interessati alle vite degli altri, mentre io resto una persona curiosa e custodisco le storie dei miei amici.
Se mi raccontano storie preziose chiedo il permesso di usarle quando scrivo.
Arabi ed ebrei li ho messi sullo stesso piano. Arabo, ebraico ed aramaico sono tre lingue avocaliche simili tra loro. Miriam è un nome uguale in tutte le lingue e le religioni. Ebrei ed arabi sono ugualmente circoncisi, anche se pochi lo sanno.
Con questo libro affronti molti temi importanti: il viaggio, le religioni, il guardare gli altri.
In quel periodo storico sono successe cose orribili e la Shoah, anche se non ne parlo direttamente, influenza tutta la storia.
Come mai ha scelto di parlare a lungo del periodo tra gli anni Trenta e Quaranta e di passare poi direttamente agli anni Novanta?
Io volevo tre protagoniste: Miriam, la donna musulmana, che serve a equilibrare le fibrillazioni di Ibrahim, che è una molla creativa forte; poi Giuditta, un'ebrea ma italiana. In Italia gli ebrei erano molto integrati nella società, anche attraverso tanti matrimoni misti, e si rende conto di essere ebrea solo al momento della proclamazione delle leggi razziali, che rompono un patto di convivenza.
Questo libro si sarebbe potuto chiamare anche Il contratto, che è uno dei temi di fondo.
La vicenda di Ibrahim e Miriam parte da un contratto, quella di Giuditta si sviluppa dopo la rottura del patto sociale che la rende diversa. Miriam è radicata nell'oppressione femminile e si sente protetta dal suo velo, che poi fino a poco tempo fa anche qui da noi le donne non uscivano di casa se non avevano un fazzoletto in testa. Giuditta è meno radicata, perché la rottura del contratto la resa una fuorilegge. Infine la terza donna, Esther, mi serviva per raccontare come tutto questo in apparenza è migliorato, ma ha creato anche un vuoto di regole, un vuoto di amore e di promesse, che lei cerca di ritrovare. Miriam distrugge le regole, Giuditta le infrange per difendersi e per amore, Esther le cerca.
Il libro mi ha fatto riflettere sull'identità, anche come tentativo contemporaneo di sfuggire alle regole della programmazione, che ci lega a concetti come la nascita in un luogo più che in un altro, all'identità religiosa o a quella sessuale. Non siamo forse più prigionieri oggi che negli anni trenta?
Sì, senz'altro. Oggi siamo tutti registrati, schedati, mentre in passato, negli anni trenta come durante la guerra, era molto più semplice sparire o cambiare identità.
Ho tagliato un pezzo da questo romanzo perché raccontavo una storia che ho scoperto essere troppo simile a quella dell'ultimo romanzo di Isaac B. Singer ripubblicato da Adelphi, Nemici, il cui protagonista, che si è rifatto una vita in America dopo la guerra, scopre dopo diversi anni che la prima moglie creduta morta nel conflitto è in realtà sopravvissuta.
Avevo affrontato il problema di come avvenivano i ricongiungimenti dopo la guerra, in un momento in cui capitava di ritrovare marito o moglie risposati con qualcun altro.
Una vicenda come quella che racconto oggi non potrebbe assolutamente succedere, perché siamo registrati ovunque. Io sono contro tutte le etichette, anche quelle di tipo sessuale. Per me i confini non sono mai così ben definiti, c'è molto di più nel cangiante, nell'indefinito.
Noi siamo sempre in trasformazione.
Nel libro c'è una frase sull'amore, quando si dice che a far convincere Esther al matrimonio è il cognome della suocera, in cui ritrova un pezzetto della sua identità e lo considera una garanzia per ricucire i lembi del suo cuore ferito, ma l'amore non è una questione di ago e filo e un rammendo non può avere più fascino dello strappo. Io ho ritrovato tutte le amiche che hanno sempre ceduto al fascino dell'amore che fa male rispetto all'amore che fa bene e vorrei sapere cosa ne pensi.
Ho tantissime amiche, anche persone che mi hanno fatto confidenze senza avermi nemmeno mai visto, perché so tenere i segreti. La confessione del resto è una lavatrice fantastica.
L'amore conta, ma conta anche lo strappo del saper lasciare qualcuno. Spesso pensiamo che tutto funzioni meglio restando a casa nostra, nella famiglia d'origine, ma è davvero così?
Nel romanzo affronti con padronanza i molti aspetti delle diverse culture e religioni.
Questo faceva già parte del tuo bagaglio culturale o ti sei documentata di più per scrivere questo libro?
Io sono stata vicina a molte religioni. Nel romanzo si parla di ebrei, musulmani, copti, degli ebrei riformati americani, c'è persino un personaggio che aderisce a una setta religiosa. Mi sono attrezzata con tutti i calendari degli anni di cui si parla, ho costruito gli alberi genealogici dei personaggi.
Le religioni mi hanno sempre affascinato, perché sono figlia di genitori con religioni diverse e trovo bello guardare l'altro. Una mia grande amica è ortodossa. Le diversità per me sono un valore assoluto, tenendo salde le proprie radici.
Cos'hai provato quando hai scritto la parola FINE?
Un libro non è mai finito.
Ho persino fatto dei disegni dei personaggi perché ho bisogno di farli vivere sotto un altro aspetto.
Quanto ti ha cambiata scrivere questo libro, e come ti senti adesso?
Decisamente felice. Da giornalista sono stata condannata per anni a scrivere pezzi brevi, rispettando un limite rigido di battute, e anche nelle graphic novel i testi sono brevissimi, per cui la possibilità di scrivere un romanzo così lungo è stata meravigliosa, anche se ho anche tagliato molto.
Nelle graphic poi non facevo mai morire nessuno, mentre qui mi sono potuta permettere di separarmi dai personaggi e farne anche morire qualcuno.
Mi piace sapere che adesso tante persone leggano le storie che per tre anni ho conosciuto solo io, perché io non faccio mai leggere a nessuno quello che sto scrivendo.
Non prima di aver finito.
Ti rubo la vita di Cinzia Leone (Mondadori) è in libreria, al prezzo di copertina di 20€.