mercoledì 6 marzo 2019

Intervista a Cinzia Leone su "Ti rubo la vita", le donne che non si piegano e la scrittura

Vite rubate. Come quella di Miriam, moglie di un turco musulmano che nel 1936 decide di sostituirsi al mercante ebreo con cui è in affari, costringendo anche lei a cambiare nome e religione. A rubare la vita a Giuditta nel 1938 sono le leggi razziali: cacciata dalla scuola, con il padre in prigione e i fascisti alle calcagna, può essere tradita, venduta e comprata; deve imparare a nascondersi ovunque, persino in un ospedale e in un bordello. Nel 1991, a rubare la vita a Esther è invece un misterioso pretendente che le propone un matrimonio combinato, regolato da un contratto perfetto...
Ebree per forza, in fuga o a metà, Miriam, Giuditta ed Esther, protagoniste di Ti rubo la vita di Cinzia Leone (Mondadori), sono donne capaci di difendere la propria identità dalle scabrose insidie degli uomini e della Storia. Strappando i giorni alla ferocia dei tempi, imparano ad amare e a scegliere il proprio destino. Una saga familiare piena di inganni e segreti che si dipana da Istanbul ad Ancona, da Giaffa a Basilea, da Roma a Miami, dalla Turchia di Atatürk all'Italia di fine Novecento, passando attraverso la Seconda guerra mondiale e le persecuzioni antisemite, con un finale a sorpresa.


Abbiamo incontrato Cinzia Leone a Milano, ospiti di Chiara Beretta Mazzotta, ed ecco cosa ci ha raccontato sul suo ultimo romanzo, le sue protagoniste e la scrittura.

Il tuo libro mi ha fatto ricordare fin dalle prime pagine Mille splendidi soli di Khaled Hosseini.
Ci sono queste storie di donne legate da un fil rouge, l'idea di vite rubate e di donne che non si piegano facilmente al farsele rubare, l'attraversare diversi tempi e luoghi.
Quali sono state le scintille alla base dell'ispirazione di un romanzo così ricco e complesso?
La vera scintilla è l'idea di ciò che accade all'inizio della terza parte, quando entra in scena Esther, per cui si può dire che ho iniziato dalla fine. Il mio tema di fondo è sempre il mistero della vita e degli antenati, il fatto che aprendo l'album di famiglia non sappiamo cosa potremmo scoprire.
Ho scritto questo romanzo vicino a pile di libri da consultare, perché è un romanzo storico, anche se è una storia raccontata dal basso: non ho messo la Shoah di proposito per non sovraccaricarla, anche se rimane sullo sfondo. La generazione che si muove alla fine del Novecento è quella che ha rimescolato tutto, distruggendo molto del passato - regole, legami sociali - a prezzi anche molto alti. Si è buttata negli ideali, ha infranto barriere, ma in definitiva ha sofferto per la mancanza delle  regole che ha infranto.  E poi mi affascinava il tema dell'ibridazione, il fatto che nessuno di noi conosca davvero le proprie origini, in un momento storico in cui tutti pensano di sapere cosa sono, tutti credono di essere italiani veri. Ho voluto sottolineare il fatto che nessuno è perfetto e tutti possiamo scoprire di essere qualcosa d'altro, in più, in meno o diverso rispetto a cosa pensiamo.
Questo è il vero centro del libro. Esther, per esempio, è in bilico tra due religioni, ma anche tra il nuovo mondo e quello vecchio che l'ha lasciata senza certezze. Dobbiamo cercare le nostre radici sapendo che potrebbero anche essere diverse da come le immaginiamo.

Da dove è nata l'idea del cambio di identità di Ibrahim? Ti sei basata su storie vere, dato che ci sono stati tanti casi del genere soprattutto durante la seconda guerra mondiale, e come mai hai deciso di inserire questo tema così forte nel romanzo?
Ho impiegato tre anni a scrivere questo libro e lo amo profondamente. Amo i cambiamenti e penso che a tutti nella vita possa capitare di desiderare essere al posto di un altro. In fondo siamo tutti ladri. La storia dell'umanità nasce dal furto di una mela e noi siamo tutti figli di quel furto.
L'amore è un furto: non vuoi appropriarti della vita dell'altro quando t'innamori?
Per questo ho scelto un titolo così forte.
La vita è un furto, la proprietà è un furto, la letteratura è un colossale furto: tu scrittore conservi dentro di te le vite di tutti e le consumi scrivendo. Ho scelto il personaggio di Ibrahim perché è un uomo moderno, che si mette in gioco e accetta di cambiare, perché la modernità è cambiamento, in contrasto con la moglie che è antica, radicata. Sono una coppia perfetta e imperfetta allo stesso tempo. E poi mi piaceva l'idea di far scoprire gli ebrei da un musulmano: la curiosità per gli altri ti viene solo se hai un bisogno. Oggi questa curiosità sparisce: non siamo interessati alle vite degli altri, mentre io resto una persona curiosa e custodisco le storie dei miei amici.
Se mi raccontano storie preziose chiedo il permesso di usarle quando scrivo.
Arabi ed ebrei li ho messi sullo stesso piano. Arabo, ebraico ed aramaico sono tre lingue avocaliche simili tra loro. Miriam è un nome uguale in tutte le lingue e le religioni. Ebrei ed arabi sono ugualmente circoncisi, anche se pochi lo sanno.

Con questo libro affronti molti temi importanti: il viaggio, le religioni, il guardare gli altri.
In quel periodo storico sono successe cose orribili e la Shoah, anche se non ne parlo direttamente, influenza tutta la storia.
Come mai ha scelto di parlare a lungo del periodo tra gli anni Trenta e Quaranta e di passare poi direttamente agli anni Novanta?
Io volevo tre protagoniste: Miriam, la donna musulmana, che serve a equilibrare le fibrillazioni di Ibrahim, che è una molla creativa forte; poi Giuditta, un'ebrea ma italiana. In Italia gli ebrei erano molto integrati nella società, anche attraverso tanti matrimoni misti, e si rende conto di essere ebrea solo al momento della proclamazione delle leggi razziali, che rompono un patto di convivenza.
Questo libro si sarebbe potuto chiamare anche Il contratto, che è uno dei temi di fondo.
La vicenda di Ibrahim e Miriam parte da un contratto, quella di Giuditta si sviluppa dopo la rottura del patto sociale che la rende diversa. Miriam è radicata nell'oppressione femminile e si sente protetta dal suo velo, che poi fino a poco tempo fa anche qui da noi le donne non uscivano di casa se non avevano un fazzoletto in testa. Giuditta è meno radicata, perché la rottura del contratto la resa una fuorilegge. Infine la terza donna, Esther, mi serviva per raccontare come tutto questo in apparenza è migliorato, ma ha creato anche un vuoto di regole, un vuoto di amore e di promesse, che lei cerca di ritrovare. Miriam distrugge le regole, Giuditta le infrange per difendersi e per amore, Esther le cerca.

Il libro mi ha fatto riflettere sull'identità, anche come tentativo contemporaneo di sfuggire alle regole della programmazione, che ci lega a concetti come la nascita in un luogo più che in un altro, all'identità religiosa o a quella sessuale. Non siamo forse più prigionieri oggi che negli anni trenta?
Sì, senz'altro. Oggi siamo tutti registrati, schedati, mentre in passato, negli anni trenta come durante la guerra, era molto più semplice sparire o cambiare identità.
Ho tagliato un pezzo da questo romanzo perché raccontavo una storia che ho scoperto essere troppo simile a quella dell'ultimo romanzo di Isaac B. Singer ripubblicato da Adelphi, Nemici, il cui protagonista, che si è rifatto una vita in America dopo la guerra, scopre dopo diversi anni che la prima moglie creduta morta nel conflitto è in realtà sopravvissuta.
Avevo affrontato il problema di come avvenivano i ricongiungimenti dopo la guerra, in un momento in cui capitava di ritrovare marito o moglie risposati con qualcun altro.
Una vicenda come quella che racconto oggi non potrebbe assolutamente succedere, perché siamo registrati ovunque. Io sono contro tutte le etichette, anche quelle di tipo sessuale. Per me i confini non sono mai così ben definiti, c'è molto di più nel cangiante, nell'indefinito.
Noi siamo sempre in trasformazione.

Nel libro c'è una frase sull'amore, quando si dice che a far convincere Esther al matrimonio è il cognome della suocera, in cui ritrova un pezzetto della sua identità e lo considera una garanzia per ricucire i lembi del suo cuore ferito, ma l'amore non è una questione di ago e filo e un rammendo non può avere più fascino dello strappo. Io ho ritrovato tutte le amiche che hanno sempre ceduto al fascino dell'amore che fa male rispetto all'amore che fa bene e vorrei sapere cosa ne pensi.
Ho tantissime amiche, anche persone che mi hanno fatto confidenze senza avermi nemmeno mai visto, perché so tenere i segreti. La confessione del resto è una lavatrice fantastica.
L'amore conta, ma conta anche lo strappo del saper lasciare qualcuno. Spesso pensiamo che tutto funzioni meglio restando a casa nostra, nella famiglia d'origine, ma è davvero così?

Nel romanzo affronti con padronanza i molti aspetti delle diverse culture e religioni.
Questo faceva già parte del tuo bagaglio culturale o ti sei documentata di più per scrivere questo libro?
Io sono stata vicina a molte religioni. Nel romanzo si parla di ebrei, musulmani, copti, degli ebrei riformati americani, c'è persino un personaggio che aderisce a una setta religiosa. Mi sono attrezzata con tutti i calendari degli anni di cui si parla, ho costruito gli alberi genealogici dei personaggi.
Le religioni mi hanno sempre affascinato, perché sono figlia di genitori con religioni diverse e trovo bello guardare l'altro. Una mia grande amica è ortodossa. Le diversità per me sono un valore assoluto,  tenendo salde le proprie radici.

Cos'hai provato quando hai scritto la parola FINE
Un libro non è mai finito.
Ho persino fatto dei disegni dei personaggi perché ho bisogno di farli vivere sotto un altro aspetto.

Quanto ti ha cambiata scrivere questo libro, e come ti senti adesso?
Decisamente felice. Da giornalista sono stata condannata per anni a scrivere pezzi brevi, rispettando un limite rigido di battute, e anche nelle graphic novel i testi sono brevissimi, per cui la possibilità di scrivere un romanzo così lungo è stata meravigliosa, anche se ho anche tagliato molto.
Nelle graphic poi non facevo mai morire nessuno, mentre qui mi sono potuta permettere di separarmi dai personaggi e farne anche morire qualcuno.
Mi piace sapere che adesso tante persone leggano le storie che per tre anni ho conosciuto solo io, perché io non faccio mai leggere a nessuno quello che sto scrivendo.
Non prima di aver finito.


Ti rubo la vita di Cinzia Leone (Mondadori) è in libreria, al prezzo di copertina di 20€.

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