Germania, 1944. Iris, la protagonista di A un passo da un mondo perfetto di Daniela Palumbo (Il battello a vapore), ha undici anni, quando si trasferisce con la famiglia in un paese vicino a Berlino.
Il padre è un capitano delle SS promosso a vicecomandante del campo di concentramento che sorge laggiù, mentre la madre è una donna autoritaria con una grande passione per i fiori.
La nuova casa è bellissima, grande e circondata da un immenso giardino, di cui si prende cura un giardiniere. Di lui Iris sa ben poco, sa solo che è ebreo e che tutte le mattine arriva dal campo, per poí tornarci dopo il tramonto. A Iris è vietato rivolgergli la parola perché è pericoloso, ma la curiosità è più forte di lei. Comincia ad avvicinarsi di nascosto a quello sconosciuto con la testa rasata e la divisa a righe. Comincia anche a lasciargli piccoli regali nel capanno degli attrezzi, in un cassetto segreto, e lui ricambia con disegni abbozzati su un quaderno.
Giorno dopo giorno, tra i due nasce un'amicizia clandestina fatta di gesti nascosti e occhiate fugaci, un'amicizia in grado di far crollare il muro invisibile che li separa e di capovolgere il mondo perfetto in cui Iris credeva di vivere.
Abbiamo incontrato Daniela Palumbo a Milano, per scoprire qualcosa di più sul nuovo romanzo dell'autrice già nota ai lettori grazie a romanzi come Le valigie di Auschwitz (Il battello a vapore) e a Fino a quando la mia stella brillerà, scritto insieme a Liliana Segre (Il battello a vapore).
Per una recensione del romanzo, vi rimando alle parole di Paola di MyPoBlog, che ha fatto uno splendido lavoro: le trovate qui.
Raccontare una delle pagine più buie e dolorose della nostra storia ai bambini: che scelte ti trovi a fare nel momento in cui scrivi, pensando a un pubblico di lettori più giovani che ancora si stanno facendo il proprio sguardo sul mondo?
Ho incontrato la Shoah a tredici anni, attraverso la visione di documentari, e ho iniziato a chiedermi come fosse stato possibile un simile orrore, come ci si fosse potuti arrivare.
Ho iniziato a studiare, a volerlo capire.
Per quanto riguarda le scelte, di sicuro quella di non raccontare l'orrore.
Non porto il lettore all'interno del campo di sterminio, non racconto la sofferenza. Sarebbe più facile, forse, ma io preferisco raccontare quello che considero il punto cruciale: l'indifferenza.
La Shoah inizia dall'esclusione, dalle leggi razziali che da un giorno all'altro rendono diversi e isolati bambini che fino al giorno prima si sentivano come tutti gli altri: il campo di sterminio è l'ultimo passo.
I bambini si chiedono questo: come mi sarei comportato? Da che parte sarei stato?
Pensando soprattutto agli ultimi due anni, penso sia impossibile non leggere queste storie ritrovandoci il nostro presente.
Dire ai bambini che i loro coetanei che vengono dal mare meritano meno e valgono meno è qualcosa di molto, troppo simile al dire loro che il compagno di scuola è diverso perché è ebreo.
Ti si pone il problema di gestire questo parallelismo, nei tuoi incontri con i bambini?
Non puoi raccontare la memoria di settanta, ottant'anni fa e pensare che si tratti di una mera cartolina del Novecento. Non è così, e non ha senso.
Se la memoria non ci fa da ponte verso quella che è la realtà presente, non serve a niente.
Di fatto, nel momento in cui ci sediamo a un tavolo e decidiamo che il posto di quelle persone è nei campi libici in cui sappiamo benissimo cosa accade, abbiamo già replicato la storia.
Quello che cerco di trasmettere ai bambini è la necessità di guardarsi attorno, e di porsi di fronte alle ingiustizie ai loro coetanei in difficoltà la domanda: ma io da che parte sto?
La storia non ci racconta solo che ottant'anni fa sono state proclamate le leggi razziali, ce ne racconta il percorso. La Germania degli anni trenta fu territorio fertile perché attraversata da una profonda crisi economica, esattamente come sta succedendo adesso in Italia e in Europa, e come allora la reazione è di seguire il grido che ci proclama migliori e più meritevoli. Bisogna rifletterci.
Nel tuo romanzo non mancano gli estremi: da un lato Iris si trova a vivere in quello che sembra un paradiso, una grande casa con il giardino in cui la madre può dedicarsi al giardinaggio e il padre può sentirsi affermato e "riuscito", dall'altro la ragazzina è a pochi passi dall'inferno in terra.
Lo stesso inferno al quale ci avviciniamo sempre più seguendola, un passo alla volta, e che scopriamo attraverso i suoi occhi.
Ho dovuto estremizzare, hai detto bene.
La mia paura era quella di riuscire a far convergere piano piano il mondo perfetto di Iris e quello con cui si scontra. E il suo percorso è accidentato. Iris ha causato la morte di un prigioniero, ed è qualcosa che poi porterà con sé tutta la vita: da quando qualcuno le dice, per la prima volta, che le sue azioni hanno delle conseguenze, inizia la sua crescita e la sua strada verso la piena consapevolezza di sé.
Ogni persona che entra nella sua orbita all'interno del libro rappresenta una fase di questo percorso, che non è lineare e che comporta una presa in carico di parte del senso di colpa che l'accompagnerà anche da adulta. Imparare che ogni nostra azione ha delle conseguenze fa parte del processo di crescita di tutti noi, e Iris non poteva fare eccezione.
A un passo da un mondo perfetto di Daniela Palumbo è una lettura emozionante e coinvolgente, consigliata a ogni età perché portatrice di un messaggio universale, quello di non cedere all'indifferenza e di non perdere la propria capacità di provare empatia verso il prossimo.
A prescindere da chi cerca di dipingerlo come "diverso".
A un passo da un mondo perfetto di Daniela Palumbo (Il battello a vapore) è in libreria dal 22 gennaio, al prezzo di copertina di 16€.
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