A un anno di distanza da Addicted, Paolo Roversi regala ai lettori un nuovo thriller travolgente: Psychokiller (SEM) è in libreria, e abbiamo incontrato l'autore per scoprire qualcosa di più sulla genesi dell'opera e i suoi protagonisti.
Il tuo Psychokiller si racconta in prima persona. Raccontaci qualcosa di più sulla scrittura di questa parte del romanzo!
Non ho avuto nessuna difficoltà, forse dovrei preoccuparmi! Si dice che gli scrittori scrivano per risparmiare i soldi della psicanalisi, forse è vero!
Scherzi a parte, il piacere che c’è nella scrittura di un thriller o di un noir è proprio nello scrivere del personaggio oscuro, del cattivo, dell’uomo nero. Sono figure che ci attraggono, e che anzi, più sono cattivi e più ci piacciono. Uno dei personaggi più amati del genere è Hannibal Lecter, ed era uno che quando voleva cenare con te intendeva proprio “con te”.
Sono i bassi istinti, quelli meno condizionati e tollerati, ad affascinarci di più.
Partendo dai bassi istinti, arriviamo all’estremo opposto, quello delle regole.
Nel tuo romanzo hanno un ruolo chiave. Abbiamo le regole che il tuo protagonista si dà per convincere se stesso e il prossimo di stare meglio di quanto in realtà non stia, per esempio. Abbiamo le regole che il tuo psychokiller, molto metodico, segue pedissequamente nella sua follia.
Quanto peso hanno avuto le regole e gli schemi durante la costruzione del romanzo?
Avevo un protagonista alcolista, la cui vita è scandita dai fantomatici dodici passi e dalle regole che lui stesso inventa per aggirare questo schema, per lui insopportabile. Sono regole create apposta per infrangerne altre. La stessa profiler non è molto brava nel rispetto di regole e procedure.
E che ruolo hanno le regole nella tua vita di scrittore?
Le regole hanno un ruolo fondamentale. Quelle che ti imponi per scrivere (tempi, momento, stesura di scalette e sinossi) sono essenziali. Nella scrittura di un thriller è tutto dosato, bisogna stare attenti al ritmo, alla lunghezza dei capitoli. C’è una serie di regole che rispetti, che non sono limitanti ma anzi, costituiscono una sfida.
Parliamo della profiler, la tua protagonista femminile: Gaia Virgili non è una che rispetta facilmente le regole, ma allo stesso tempo si costringe in abiti molto castigati che non danno spazio alla sua femminilità, e si limita in quella che è una parte essenziale di lei.
Come nasce questo personaggio?
Nasce dalla mia passione per Criminal Minds, essenzialmente. Mi piaceva l’idea di una persona che, quando la incontriamo, è ancora agli inizi, e che vediamo vivere poco dopo il suo momento di massimo fulgore. È pienamente protagonista insieme a Ruiz e allo psychokiller.
È anche una donna orgogliosa di come preparar le tagliatelle, da brava emiliana!
Ho una curiosità: nelle ultime pagine del romanzo ci racconti cosa contenga la valigetta di Ruiz. Visto che un autore mette sempre qualcosa di sè in ciò che scrive, nella tua ipotetica valigetta cosa troveremmo?
Nella mia valigetta credo ci sia solo un passaporto, ed ecco, se dovessi aggiungere qualcosa forse un computer per poter scrivere. Se posso viaggiare e scrivere, non mi serve altro.
Ti senti più a tuo agio nella serialità o nel dedicarti a romanzo auto-conclusivi?
È una cosa completamente diversa: scrivere thriller adrenalinici, densi di colpi di scena, è differente da quanto mi dedico invece a un protagonista seriale. Quando sono con Radeschi è un po’ come tornare a casa, sia per me che per i lettori, mentre nel caso di Addicted e di Psychokiller ogni volta è una novità e una sfida. Con un nuovo romanzo ci sono quelle 30/40 pagine che servono per entrare in sintonia, e spesso non succede. Io per primo, da lettore, se non scatta qualcosa entro le prime 50 pagine, perdo entusiasmo.
Psychokiller di Paolo Roversi (SEM) è in libreria, al prezzo di copertina di 17€.
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