Spiegare la Sicilia agli eschimesi?
Ci prova Ottavio Cappellani, con il divertente e sfrontato volumetto intitolato esattamente così: La Sicilia spiegata agli eschimesi (SEM).
Un saggio, una guida, quasi una raccolta di racconti - è difficile classificare l'ultimo lavoro dell'autore di Sicilian Tragedi e Sicilian Comedi. L'unica cosa certa è che è una lettura appassionante e che stimola a più riprese la curiosità dei lettori che, giunti all'ultima pagina, si troveranno a cercare una pasticceria siciliana nelle vicinanze e a prenotare una vacanza con visita alla valle del templi inclusa.
Abbiamo incontrato l'autore a Milano, ed ecco cosa ci ha raccontato sul libro, la Sicilia e la scrittura!
Com'è nata l'idea di raccontare la Sicilia, e di farlo così?
Conoscete Manlio Sgalambro? Un filosofo di Lentini, che nell'ultima parte della sua vita si è dedicato alla stesura di testi di canzoni per Franco Battiato (La cura, tra gli altri, è suo, ndr).
Scrisse un bellissimo libro intitolato Del pensare breve, anticipando i tempi moderni.
Immaginò un'epoca in cui il pensiero si accorcia, che in effetti è la nostra: l'epoca di Facebook, di Twitter, degli slogan. Del passaggio veloce da un argomento all'altro.
La sua sfida era però quella di riuscire a "pensare breve" senza rinunciare all'idea di costruire un sistema di pensiero, riconoscendo che non era più tempo di grandi opere e testi lunghi.
Una bella scommessa, alla quale mi sono ispirato, ed è stata una sfida: ci ho messo molto più tempo a scrivere questo libro che non il mio lavoro precedente.
Il lavoro di "lima" non dev'essere stato facile.
Esattamente, è stato molto più difficile sintetizzare.
C'è stato anche un lavoro di ricerca?
Certo, anche se non la classica "ricerca fatta per scrivere il libro".
Questo è frutto di ricerche fatte per scrivere altri libri, per mia curiosità personale, aneddoti personali o che mi sono stati raccontati.
Questa lettura, per chi come me ha origini siciliane pur essendo nato e cresciuto a Milano, non è solo divertente ma anche istruttiva. Per esempio, è stato curioso scoprire di più sul carrubo, albero così amato in questa regione ma del quale sapevo molto poco.
Il carrubo è un albero magico, l'albero del mito e delle radici del desiderio.
Ti racconto un aneddoto. Negli anni Settanta, lo Stato diede finanziamenti ai coltivatori per convertire le loro coltivazioni e piantare agrumi. Moltissimi hanno accettato.
Allo stesso tempo, in quegli anni ci fu un grosso incendio che spazzò via buona parte degli alberi di carrubo. Negli anni Duemila, i miei genitori decisero di tornare a occuparsi della campagna abbandonata da tempo, piantando mille alberi di carrubo. Ora, il carrubo dà i primi frutti dopo vent'anni, quindi era chiaro che i miei genitori non avrebbero mai visto i frutti di quell'investimento, e da qui la sorpresa di amici e conoscenti.
Mio padre rispose che quella era terra di carrubi e di olive, e che altre cose non ne avrebbe piantate.
C'è da chiedersi se mio padre sia impazzito, o se invece ci fosse un significato più alto in quel gesto.
La mia generazione è quella che, più che restare in Sicilia, l'hanno lasciata per trasferirsi al Nord - per studiare e/o lavorare - ed è facile ascoltare racconti nostalgici, degni di Ulisse che prova nostalgia della sua amata Itaca.
La Sicilia è la culla del mito.
C'è un attaccamento alla terra profondo, anche se, come dici tu e io confermo, i siciliani sono quelli che più di tutti lasciano la loro regione.
Questo attaccamento alla terra è poi in realtà un attaccamento alle tradizioni, più un fatto psichico che geografico.
Una curiosità, sorta immediatamente leggendo il tuo libro: perché Palermo non fa parte della Sicilia?
Perché non ha ospitato i greci.
Se diamo come assunto, e io lo do, che la Sicilia è fondamentalmente un luogo caratterizzato da una fortissima componente greca, classica, del mito allora Palermo non è Sicilia.
Palermo era alleata cartaginese, e respinse la dominazione greca.
Per questo il palermitano è molto simile al sardo, per molti aspetti.
E poi a Palermo non friggono la cotoletta!
La Sicilia è terra di sensualità e, allo stesso tempo, di forte religiosità.
Apparentemente è una contraddizione, che però racconti molto bene nella descrizione della processione di Sant'Agata.
C'è questa commistione perché le nostre feste sacre derivano da feste pagane.
Il paganesimo e i suoi riti sono confluiti nel cristianesimo con più fluidità rispetto ad altre zone meno periferiche dell'impero. Forse anche il nostro essere stati molto vicini all'Africa ha influito.
La festa di Sant'Agata deriva da un rito dedicato a Iside, e cade a febbraio, nel mese del Carnevale.
Non possiamo non citare il tuo brano sulla mafia.
Se penso alla realtà di movimenti come Addio Pizzo, ci vedo un a risposta forte della mia generazione a un meccanismo che pare irreversibile.
Alla domanda "come si elimina la mafia?" tu rispondi "eliminando gli ultimi duecento anni".
Anche di più, in realtà.
La realtà è che la Sicilia è una terra che ha subito ripetute dominazioni. Anche se siamo abituati a vederle come fonti di arricchimento pensando solo all'eredità artistica e culturale, la verità è che queste popolazioni si scannavano sul (e per il) suolo siculo, bagnandolo di sangue.
La mafia è anche frutto di questi scontri perenni, che fanno intrinsecamente parte dell'identità storica della regione. Un fenomeno violento da condannare, ma difficile immaginarne la scomparsa.
Dire "eliminiamo la mafia" è un po' come dichiarare di volere "la pace nel mondo".
La Sicilia spiegata agli eschimesi di Ottavio Cappellani (SEM) è in libreria, al prezzo di copertina di 12€.
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