Ballerine sinuose, interni di caffè, corse di cavalli, ritratti di famiglia, eleganti nudi femminili. Ricerca costante, studio dei maestri del passato, visite continue al Museo del Louvre.
È questo il mondo in cui vi trasporterà DEGAS. Passione e perfezione, il docufilm diretto da David Bickerstaff che inaugura la stagione 2019 della Grande Arte al Cinema di Nexo Digital in collaborazione con i media partner Radio Capital, Sky Arte e MYmovies.it.
In programma il 28, 29 e 30 gennaio, DEGAS. Passione e perfezione vi farà attraversare le sale del Fitzwilliam Museum di Cambridge, sede della più ampia collezione di Degas del Regno Unito, per spostarsi quindi a Parigi e in Italia, dove Degas trascorse gli anni della formazione e dove ebbe modo di ricongiungersi anche col nonno paterno, René Hilaire De Gas, trasferitosi a Napoli a seguito della Rivoluzione francese.
Il film-evento offrirà una visione unica sulla vita personale e creativa di Degas, indagando la sua relazione con il movimento impressionista, la sua fascinazione per la danza e i problemi di vista che lo attanagliarono sin dagli anni novanta. Gli spettatori scopriranno così la storia della sua ossessiva ricerca della perfezione attraverso la sperimentazione di nuove tecniche e lo studio dei maestri del passato, tra cui artisti del Rinascimento italiano e pittori contemporanei come Ingres e Delacroix. Uno studio che cominciò sin dal suo personale Grand Tour in Italia e che si sviluppò anno dopo anno grazie alle continue frequentazione di gallerie e musei parigini, primo tra tutti il Louvre.
Come spiega lo storico francese Daniel Halévy, Edgar Degas (1834-1917) era un lavoratore indefesso e quasi sempre insoddisfatto che teneva la maggior parte delle sue opere nascoste in scatole: le estraeva solo quando era costretto a venderle per vivere. Degas, che gli amici descrivevano come un uomo brillante capace di sprigionare allegria ma anche terrore in chi gli stava vicino, era un artista interessato più al processo artistico in sé che al risultato finale, tanto da essere noto per l’ossessiva rielaborazione delle opere. Una mania che, in alcune occasioni, lo spinse persino a chiedere ai committenti di riavere i suoi quadri per poterli ulteriormente ritoccare anche dopo averli consegnati.
Per raccontare il quotidiano che tanto lo colpiva - la vita nei caffè parigini (dal celebre Café Guerbois al Nouvelle Athènes), le corse di cavalli, i ritratti di famiglia, i nudi femminili - Degas non si limitò alla pittura ma realizzò anche numerose statue, prediligendo però la cera o l’argilla: sosteneva di non poter lasciare nulla dietro di sé in bronzo perché «il metallo era per l’eternità». Il mercante d’arte Ambroise Vollard raccontò come un giorno Degas gli avesse mostrato una ballerina che aveva ritoccato per la ventesima volta esclamando «Non scambierei nemmeno con un secchio d’oro il piacere che sento nel distruggerla e nel ricominciare da capo».
Alla morte di Degas, nel 1917, più di 150 sculture in cera, argilla e plastilina furono trovate nel suo studio, molte delle quali conservate proprio al Fitzwilliam Museum. Saranno queste sculture, assieme allo studio di alcuni dei suoi quadri più celebri, ai racconti di chi gli stava vicino e alle sue stesse lettere a rivelare la complessa interiorità di uno degli artisti più influenti e amati dell’impressionismo.
Da non perdere anche Degas parla dello stesso Daniel Halévy (Adelphi), raccolta di aneddoti, ricordi e frammenti di diari che permettono di scoprire un lato inedito di Edgar Degas: un uomo a tratti ironico, a volte sarcastico, socievole con chi contasse davvero ma restìo alla chiacchiera vuota da salotto. Per andare oltre le ballerine, e scoprire la mano che reggeva il pennello - fino a quando la cecità non glielo rese impossibile.
La famiglia Halévy era una delle poche a casa delle quali si sentisse a proprio agio, e per Daniel l'artista (ben più grande di lui) è un amico e confidente, oltre che un mentore a cui guardare con ammirazione: nei suoi diari ne riporta con accuratezza le parole, e si rammarica qualora non fosse riuscito a farlo.
Un volume biografico senza essere una biografia, uno zibaldone di ricordi che sa di rispetto e nostalgia, ma soprattutto un titolo imprescindibile nella bibioteca di ogni estimatore di quello che fu un vero artista a tutto tondo, affascinato in ultima istanza anche dalla fotografia. Un interessante l'inserto fotografico, infatti, arricchisce il volume, con scatti realizzati dallo stesso artista, a riprova di quanto non vedesse nello strumento un nemico del suo pennello ma solo una stimolante novità.
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