mercoledì 3 ottobre 2018

Intervista a Jeffrey Archer, sulla scrittura come missione, le saghe e il bisogno di reinventarsi sempre

Jeffrey Archer è un autore amato in tutto il mondo, ma i lettori italiani hanno potuto godere della vista dei suoi titoli sugli scaffali grazie ad HarperCollins, che ha acquisito e tradotto "La saga dei Clifton": il secondo volume, I peccati del padre, è arrivato in libreria a settembre ed è stata l'occasione per incontrarlo a Milano, prima della presentazione al pubblico, e scoprire qualche retroscena di quella che è stata una vita emozionante e che è confluita in parte nei protagonisti di questa grande saga familiare.

A proposito di scrivere saghe familiari, un genere che possiamo trovare nella letteratura classica e in quella contemporanea (pensiamo alle saghe fantasy che appassionano i lettori di tutto il mondo), lei aveva già in partenza l'idea di scrivere una saga oppure questa si è sviluppata in seguito?
A settant'anni anni ho deciso che avevo bisogno di una missione, di qualcosa da fare per cui alzarmi ogni mattina, e mi sono messo in testa di scrivere una saga in cinque capitoli che avrei chiamato La cronaca dei Clifton, in cui tre personaggi principali, Harry, Giles ed Emma, partissero dall'infanzia per raggiungere i settant'anni e chiudere la storia.
Quando però ho finito i cinque romanzi, mi sono reso conto che i personaggi avevano soltanto quarantuno e quarantadue anni, e che in realtà non avevo terminato la storia che avevo pensato di scrivere, per cui ho dovuto aggiungere altri due capitoli, in cui i tre protagonisti arrivano a essere ultrasettantenni come desideravo in partenza.
Nel momento in cui ho avuto la prima idea della saga, però, avevo in mente solo le prime dieci pagine del primo romanzo e nient'altro: non avevo la minima idea di tutto ciò che sarebbe venuto dopo, che è arrivato perché io sono un narratore. Il dono della narrazione è un talento che ti viene dato da Dio, non si inventa: è quello che mi ha permesso di arrivare alla fine della saga.

C'è molta autobiografia nei suoi romanzi. Questo secondo libro si apre con il protagonista che finisce ingiustamente in carcere, esperienza che anche lei ha vissuto.
Io scrivo storie, non racconto la mia vita, ma ci sono senz'altro molti elementi autobiografici nella narrazione. Harry è decisamente il sottoscritto, Giles è stato ispirato da un mio caro amico, anche se possiede a sua volta qualche mio tratto personale, ed Emma è mia moglie praticamente sotto ogni punto di vista. Anche molti altri personaggi rispecchiano persone reali, che ho conosciuto e con cui ho lavorato, amici e conoscenti. Se qualcuno di voi aspira a scrivere un romanzo o magari l'ha già fatto, lo fareste di sicuro prendendo spunto da ciò che conoscete già, perché per me un vero scrittore scrive di cose che conosce. È probabile, ad esempio, che voi decidiate di ambientare le vostre storie a Milano, perché è la realtà che conoscete, mentre io non potrei mai farlo. I miei libri sono ambientati a Bristol, a Londra, in parte negli Stati Uniti, perché sono i luoghi che conosco bene e perché questo mi fa sentire a mio agio quando scrivo.
Anche se scrive di luoghi che conosce, le sue storie partono comunque dal passato e quindi avrà per forza dovuto fare delle ricerche per capire come fossero questi luoghi all'epoca in cui si svolgono i fatti narrati. Come si organizza tra ricerche e struttura creativa?
Quando scrivo i miei romanzi lo faccio senza interruzioni dall'inizio alla fine, quindi non mi sono preoccupato del lavoro di ricerca e mi sono basato soltanto su ciò che sapevo io del passato, sulla mia conoscenza dell'ambiente, sulle passioni che ho sempre avuto per l'arte, per la politica e per i viaggi. Solo quando sono arrivato alla fine della stesura del romanzo ho compiuto un processo inverso e sono tornato indietro per documentarmi. Quando scrivo lo devo fare seguendo un flusso continuo e ininterrotto dall'inizio alla fine. Non voglio e non posso interrompermi, perché il mio obiettivo è quello di fare in modo che il lettore legga il libro avidamente dall'inizio alla fine, che non avverta pause. Dopo c'è tutto il tempo di controllare i dettagli.

Nel libro e nella saga ci sono personaggi positivi, ma anche altri molto negativi.
Di quali preferisce scrivere?
Mia moglie dice sempre che le pagine più divertenti da leggere sono quelle dove si parla dei cattivi, che per lei sono i personaggi più interessanti. Devo dire che per me è molto più facile scrivere le pagine che riguardano i personaggi negativi rispetto a quelle dei personaggi positivi e leggendo le email che ricevo dai lettori mi rendo conto che la maggior parte di loro adora i personaggi più cattivi, anche se magari si augura che alla fine della storia vadano incontro a una morte terribile.

Solo sorrisi, dopo l'intervista.
Lei ha avuto una vita molto intensa, ha intrapreso carriere poi interrotte. Se potesse tornare indietro vorrebbe essere sempre uno scrittore oppure compiere una brillante carriera politica e diventare magari primo ministro, come poteva accadere quando era vicepresidente del partito conservatore ai tempi di Margaret Tatcher?
Non avrei potuto prendere il posto di Margaret Tatcher perché lavoravo per lei, l'ho fatto per diciassette anni. Al massimo avrei potuto diventare ministro dei trasporti... In Italia sarebbe più semplice perché voi cambiate il primo ministro molto più spesso che in Inghilterra, quindi ci sono più probabilità di diventarlo. Margaret è stata un grande primo ministro, una grande leader e una cara amica, per cui non avrei mai potuto prendere il suo posto. In compenso ho venduto duecentottanta milioni di libri e quindi non mi posso certo lamentare di aver fatto lo scrittore.
Nella vita ha esercitato diverse professioni, e anche nei suoi personaggi troviamo differenti tipi di umanità. Quale tipo di uomo può incidere di più nella società di oggi, un politico, un romanziere o uno scienziato?
Mia moglie è uno scienziato, ha studiato e insegnato chimica a Oxford, attualmente dirige il Museo delle Scienze di Londra, ed è stata la prima donna inglese a dirigere un museo nazionale.
Di questi tempi le vite si sono allungate e viviamo fino a un'età molto avanzata: non è più pensabile avere un solo lavoro nel corso di un'esistenza. Le cose possono cambiare. Ho un amico che ha fatto il medico per diciassette anni e poi ha aperto una galleria d'arte e ora fa il gallerista.
Anch'io ho avuto due o tre vite diverse, oggi ho settantotto anni, scrivo e continuerò a scrivere.
Credo che un politico, in particolare, debba avere anche altre esperienze nella vita, se vuole incidere nella società.

Quale fra tutti i suoi libri vorrebbe vedere come film sullo schermo?
Alcune mie serie sono state sceneggiate in passato, ma ultimamente Netflix sta mostrando un certo interesse per questa "saga dei Clifton", per cui vediamo come andrà. Hugh Jackman non sarebbe male come protagonista nel ruolo di Harry.
Dovrebbe comunque essere una lunga serie e non un film, visto che sono sette libri che portano dalla nascita alla morte di Harry. Netflix lo sta considerando appunto per farne una serie televisiva in più puntate.

Nei suoi romanzi sembra voler dire che il nostro destino ce lo costruiamo noi, contro ogni difficoltà, contro la nascita in una classe sociale svantaggiata, contro le ingiustizie. Quale capitolo della sua vita lei conserverebbe così com'è e quale cancellerebbe?
Credo che non cambierei nulla. Ricordatevi che la "saga dei Clifton" è una serie di romanzi e non la mia autobiografia,  perché si può scrivere di ogni cosa. Ci sono narratori come Jane Austen che parlano sostanzialmente sempre di se stessi: Jane racconta del tentativo di trovare un marito, di avere in fondo una vita semplice e normale, ma è una narratrice favolosa, per cui qualunque cosa scriva spinge il lettore ad andare avanti nella lettura. Il talento narrativo è un dono naturale, se l'avete potete parlare di qualsiasi cosa.

Grazie ad HarperCollins e a Jeffrey Archer per la splendida chiacchierata, e in attesa di scoprire se i Clifton arriveranno su Netflix (incrociamo le dita!), i primi due volumi della saga vi aspettano in libreria.


I peccati del padre di Jeffrey Archer (HarperCollins) è in libreria, al prezzo di copertina di 9,90€.

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