Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Forse conoscerete il suo nome se associato a Fanpage.it, ma Saverio Tommasi è anche autore di "Siate ribelli, praticate gentilezza", edito Sperling & Kupfer (rilegato a 16,90€), e io non vedevo l'ora di parlarvi di questo libro che ho potuto leggere in vacanza:
«Un pilota perde un secondo a giro a ogni figlio che gli nasce» diceva Enzo Ferrari. È una frase bellissima. Significa capire che c'è qualcosa di più importante fuori da sé, e che quando ti nasce un figlio il successo non si misura più con i traguardi con cui l'hai misurato fino a quel momento. I figli sono l'occasione che ti regala la vita di guardarti allo specchio. Tutto quello che sei, quello in cui credi, quello per cui lotti non sono più solo il tuo modo di stare al mondo, ma si caricano di una nuova responsabilità. Da quando sono arrivate Caterina e Margherita (quattro anni e due scarsi), per Saverio raccontare storie con immagini e parole non è più solo un modo per fare il proprio lavoro. È gettare sul mondo uno sguardo che sarà, almeno inizialmente, anche il loro, è fare scelte di cui a loro più che a chiunque altro dovrà rendere conto.
In una lettera alle sue figlie, tra pappe dai colori indecenti e cambi di pannolini in alta quota, terribili gaffe e momenti di grande tenerezza, Saverio affronta i temi che più gli stanno a cuore: la tolleranza, i diritti dei più deboli, la lotta per l'uguaglianza, la denuncia di qualunque forma di razzismo e fascismo, i pericoli della rete. Con grande spontaneità, toni appassionati e talvolta irriverenti, Saverio Tommasi ci regala il gesto d'amore più grande che un uomo possa fare per i propri figli: raccontarsi davvero, a costo di abbassare qualunque difesa.
Un volume che conquista già dal titolo, che piacerà ai fan di Matteo Bussola e Andrea Pilotta (ricordate Papo Superhero?), e che l'autore ci ha raccontato da Mondadori Store a Milano: ecco di cos'abbiamo parlato!
Iniziamo con una domanda scontata, forse: chi te lo fa fare di scrivere un libro, cosa oggi non molto facile?
Perché è divertentissimo! Credo di non avere tante qualità ma trovo divertente quello che faccio, sia quando realizzo video, sia quando intervisto le persone, sia quando scrivo, anche se per me scrivere è più faticoso che realizzare un video o preparare un'intervista.
La parte di presa in giro delle questioni fa parte dell'inevitabile, se ci si vuole mettere la faccia, ma mi diverto anche a rigirare le questioni di cui sopra, il che non significa "purché se ne parli va sempre bene", perché io non condivido tecnicamente questo pensiero. Quando ti gettano fango addosso, in parte ti rimane attaccato. Però considero questo inevitabile in cambio della libertà di poter fare quello che voglio, anche di provare a girare le cose: quando ho ricevuto commenti molto cattivi sul libro li ho ripubblicati con il link all'acquisto. Questo per me è favoloso.
Ieri c'era qualcuno che lo comprava solo perché Nina Moric aveva scritto una cosa cattiva contro di me. Mi sono preso una specie di rivincita, insomma, anche se questo non sempre mi riesce.
Per divertimento intendo il suo senso più alto, a parte la risata facile, cioè entrare in storie dove altrimenti non sarei mai riuscito ad entrare, empatizzare con delle persone in modalità che non avrei potuto avere: se non ci avessi mai messo la faccia, non avrei raccolto certe emozioni.
Mi diverto anche quando vado a fare interviste alle manifestazioni della Lega Nord: in quel momento sono cosciente della possibilità di raccontare nel mio modo un pezzetto d'Italia che altrimenti resterebbe minoritario.
E pensando proprio alla politica, tante persone adesso guardano a te come a una persona che presta attenzione a certi temi, che cerca di vedere e di raccontare quelle notizie che vengono traviate da altri media. Avverti questa responsabilità, oppure prevalgono l'incoscienza e il piacere del divertimento?
Sento la responsabilità, perché ci sono varie modalità di divertimento, e io mi diverto di più dove la responsabilità è un po' più alta.
Accanto al divertimento c'è anche la voglia di lasciare una traccia?
Sì, pensavo che aggiungessi "e poi ti pagano"... Questo tutto sommato va detto.
In realtà facevo queste cose anche quando ero io a dover mettere soldi di tasca mia.
Ho iniziato facendo teatro: giravo dei video, dopo essermi comprato da solo la prima videocamera nascosta coi soldi guadagnati dal lavoro teatrale, e la usavo per raccontare delle storie che non potevo raccontare in teatro, perché non sempre le storie hanno gli stessi linguaggi.
Volevo provare a cambiare un granellino dell'esistenza, non solo lasciare una mia traccia nel mondo. Lo considero un impegno sociale, che però non sento come così gravoso.
"Siate ribelli, praticate gentilezza": quanto può la gentilezza aiutare effettivamente a cambiare qualcosa nel mondo?
Parecchio, perché è destabilizzante e ciò che destabilizza e disequilibra, secondo me, può dare una gran mano. Abbiamo certe parole che vengono usate con una valenza positiva, che per me non hanno, mentre altre assumono una valenza negativa e invece per me sono bellissime.
"Utopia" è una delle parole che usiamo spesso in senso negativo, eppure è una parola bellissima, perché indica la voglia e la capacità di vedere la libertà oltre il recinto. Oggi viene usata spesso dal padre che critica un figlio, come se essere utopico siginificasse essere sciocco.
Poi ci sono le parole come disequilibrare, mandare in difficoltà rispetto a un equilibrio apparente, destabilizzare, che invece per me hanno un senso molto positivo perché indicano una capacità di muoversi, di cambiare. L'equilibrio buono si trova muovendosi più che restando fermi, e questo è uno dei temi su cui provo a lavorare di più.
La gentilezza, quando mi riesce, credo sia una delle strade migliori per ritrovare un equilibrio che tenderebbe all'immobilismo.
Hai scritto questo libro per le tue figlie che però sono ancora troppo piccole per leggerlo e per capirlo.
Come te le immagini quando lo leggeranno, come pensi che reagiranno? E come immagini che potrà essere il mondo circostante: migliore o peggiore di quello che hai descritto?
Come sarà il mondo non lo so, credo che dipenda sempre molto da che parte del mondo uno sceglie di stare. Non so nemmeno come potranno reagire le mie figlie, ma in questo mio non sapere c'è una consapevolezza maggiore: m'impongo di non volerlo sapere, perché saperlo significherebbe che so già esattamente come crescerle. Io ho diecimila idee, anche su come mi piacerebbe che crescessero, però non sono così presuntuoso da non sperare che in un po' di cose mi deludano. Io ho comunque cambiato una serie di idee nel tempo, perciò spero che fra dieci anni loro abbiano una capacità di lettura del mondo migliore di quella che ho io oggi. Spero che abbraccino alcune cose ma che trovino il modo di migliorarne altre.
Le mamme si sono sempre raccontate, almeno ad altre mamme, i papà invece non quanto le mamme, ma negli ultimi anni ci sono stati diversi libri scritti da papà (Matteo Bussola, Andrea Pilotta). Questa apertura dei papà non può dipendere proprio dai social network, e dal fatto che raccontandosi lì anche agli uomini adesso venga più spontaneo fare una cosa che prima era una prerogativa soprattutto femminile?
Non ci avevo mai pensato, però penso che sì, possa derivare sia dall'uso dei social, sia da un generale cambiamento dei tempi, anche se quando vado in ludoteca e firmo all'ingresso la stragrande maggioranza delle firme che vedo al mattino è ancora di mamme e nonne.
Però c'è stato di sicuro un cambiamento, e c'è una maggiore necessità di raccontare pezzi di se stessi. Anch'io senza Facebook non avrei scritto certe cose e non avrei letto quelle scritte da amici e amiche. Ci sta quindi anche di raccontarsi di più come padre. Il trend dei libri, al di là di qualche moda editoriale, non credo sia puramente fittizio.
Ecco, parliamo di questi papà: come sono, oggi?
Sono più presenti, meno presenti, cosa è cambiato se è cambiato qualcosa?
Dipende sempre dalle persone, e anche dai momenti della propria vita, e qui parlo a titolo personale. Ho scritto questo libro e adesso so che nei prossimi mesi avrò un periodo in cui sarò meno presente in famiglia perché dovrò dedicare i sabati e le domeniche alle presentazioni. Sono equilibri difficili da trovare, ad esempio è probabile che mia moglie abbia dei cambiamenti nel suo lavoro e in quel caso so che riuscirò io a stare un po' di più a casa. Adesso sono io ad approfittare un po' della sua disponibilità, poi si cambierà.
Cosa pensi del famoso spaccato della gente che dice "il social è il demonio" oppure "il social è una grossa opportunità"? Tu in che modo lo vedi?
Per tanto tempo ho detto che i social erano un' opportunità staordinaria, ma per me ora siamo anche un po' oltre, nel senso che questa domanda va bene ma è anche un po' superata. I social ci sono e con questi ci confrontiamo ogni giorno. Non esiste di parlare con un ragazzo o una ragazza adolescenti ignorando l'uso che fanno dei social. Non è obbligatorio, puoi anche non iscriverti, però se il tuo obiettivo è, per esempio, andare nelle scuole a parlare con i giovani, non puoi restare fuori. È come chi dice che non guarda Sanremo o Miss Italia. Può non interessarti, ma almeno un po' devi guardare queste trasmissioni, perché devi capire quali sono i modelli di riferimento delle persone.
I social presentano una serie di opportunità che non c'erano quand'ero più giovane.
Io, ad esempio, ho trovato lavoro tramite i social. Ho iniziato a lavorare con Fanpage.it perché loro videro dei miei video e mi proposero di girarne almeno cinque, pagandomi un tanto l'uno, e da lì in poi il rapporto è diventato sempre più stretto. Anche il mio primo contatto con Lara, l'editor del libro, è avvenuto via Facebook.
Il che non significa che oggi il lavoro si trovi solo stando sui social, e tantomeno andando a giocare a calcetto con quelli giusti, però i social non sono il demonio: gli amici si possono scegliere e si può anche avere un profilo privato solo per gli amici.
Il tema degli hater è pregnante, però.
Sì, certo, soprattutto per quanto riguarda i giovani, i ragazzini. È devastante vedere le foto prese e utilizzate per denigrare e abbattere le persone, ma le prese in giro esistevano anche prima dei social. Prima ancora di lavorare in teatro come attore facevo l'animatore, e andavo in giro con uno spettacolino di magia alle feste dei bambini. I social non esistevano ancora ma c'erano già i bambini di sei-sette anni che per offendere le bambine le chiamavano troia o puttana... Non esiste solo ora la degenerazione totale del rapporto tra i due sessi, i social ce l'hanno solo reso più evidente e più chiaro. Se fosse solo un problema dei social sarebbe anche molto più facile eliminarlo.
Invece non basterebbe chiudere Facebook, per risolvere questo problema.
Grazie a Sperling&Kupfer e a Saverio Tommasi per la possibilità di incontrarci e scoprire insieme il suo libro: "Siate ribeli, praticate gentilezza" è una lettura dolce, divertente ed intelligente, ed è stato un piacere leggerlo e conoscerne l'autore!
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
Nessun commento:
Posta un commento