New York, all'alba del nuovo millennio. La protagonista di Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh (Feltrinelli) gode di molti privilegi, almeno in apparenza. È giovane, magra, carina, da poco laureata alla Columbia e vive, grazie a un'eredità, in un appartamento nell'Upper East Side di Manhattan. Ma c'è qualcosa che le manca, c'è un vuoto nella sua vita che non è semplicemente legato alla prematura perdita dei genitori o al modo in cui la tratta il fidanzato che lavora a Wall Street. Afflitta, decide di lasciare il lavoro in una galleria d'arte e di imbottirsi di farmaci per riposare il più possibile. Si convince che la soluzione sia dormire un anno di fila per non provare alcun sentimento e forse guarire.
Questa la trama di quello che era uno dei romanzi più attesi dell'anno, e che abbiamo potuto scoprire in Fondazione Feltrinelli incontrando l'autrice, Ottessa Moshfegh.
Ecco cosa ci ha svelato!
Il tuo romanzo parla soprattutto delle conseguenze di questo oblio, di questo sonno che separa la protagonista dal mondo circostante. Quali sono le cause scatenanti di questo "scollamento" dalla realtà?
Sono da ricercare soprattutto nella sua natura. È una donna che è stata cresciuta da persone che non sapevano comunicare, nè tra loro, nè con lei: al padre non è mai importato molto di conoscere la moglie o la figlia, la madre era un'alcolista che sfruttava la figlia a livello emotivo invece di costruire un rapporto basato sull'affetto. Credo che questo sia alla base del suo cinismo.
Dall'altro lato, ci sono i privilegi: i soldi, la bellezza, un'ottima educazione. Si può permettere di essere pigra e maleducata sul lavoro, al punto da arrivare a vandalizzare la galleria in cui lavora e licenziarsi senza preoccuparsi troppo del domani. È una persona che ha potuto studiare, ma questo l'ha trasformata in una donna che esprime giudizi a ripetizione. È più complesso parlare della sua bellezza, perchè sebbene sia un privilegio per lei è stato più un fardello, anche se è ovviamente un privilegio non doversi mai preoccupare del suo aspetto, e anzi, sfruttare il suo aspetto per manipolare il prossimo a suo piacimento.
È qui che troviamo le cause del suo desiderio di oblio e "scollamento", perchè è arrivata al punto in cui tutto ciò che può salvarla è la spiritualità, ma dal punto di vista spirituale è in bancarotta.
Ma questo mettere in stand-by la vita, da parte della protagonista, non è in fondo una forma di suicidio?
Io penso di sì, ma non nella sua forma usuale: l'obbiettivo non è la morte, ma la morte dell'ego, dell'identità. Non quella del corpo.
Nella realtà probabilmente sarebbe impossibile sopravvivere a un tale consumo di farmaci, ma nel mio romanzo chiedo al lettore di rinunciare, almeno per un po', alla sua comprensibile incredulità. Ho volutamente inventato alcuni dei farmaci, e donato una sorta di nota "magica" ad alcuni degli effetti collaterali, in modo da creare una realtà sospesa tra realtà e irrealtà.
Quella dell'abuso di farmaci è ormai una piaga, e anche se non volevo scrivere un romanzo sull'argomento è impossibile non pensarci adesso.
Il tema stesso del sonno, della sua importanza, e della sua qualità è molto attuale: dormiamo sempre meno e sempre peggio, e questo nel lungo periodo non potrà dare buoni risultati.
Credo che la tv e internet abbiano avuto un ruolo non indifferente.
Sono nata nel 1981, e quando ero giovane al momento di andare a dormire leggevo un libro.
Oggi ho trentotto anni, sono una scrittrice, ed eppure prima di dormire non leggo più: guardo Netflix.
Sappiamo ancora molto poco di quanto questa carenza di sonno, e quanto l'abbassamento della sua qualità, influenzerà la nostra salute, ma soprattutto l'evoluzione.
È vero che abbiamo vite più frenetiche, ma è anche vero che forse dormivamo meglio quando faticavamo di più. Non so se ho davvero risposto alla domanda, ma è un tema interessante e complesso, che andrebbe approfondito di più.
Nella vita della tua protagonista c'è però Reva, un'amica che si rivela spesso la sua antitesi, che tanto più lei rifiuta il contatto con il mondo esterno quanto più cerca di coinvolgerla e riportarla "alla vita".
È anche la persona che le ripete spesso "ti voglio bene", un'espressione di affetto alla quale la protagonista non riesce a rispondere proprio a causa della sua apatia emotiva.
Reva è il complemento perfetto della mia protagonista. Dice tutto ciò che la mia protagonista si vergogna di esprimere, e la spinge a rivendicare la sua identità di persona "fredda".
Reva definisce la mia protagonista attraverso il costante contrasto, e serve anche la lettore, che può così sentirsi coinvolto dalla storia di un personaggio più accessibile, e di conseguenza avvicinarsi alla protagonista e al suo viaggio personale.
Un'ultima domanda: la tua storia è ambientata a Manhattan. Difficile accostare una città frenetica come New York al riposo e all'oblio! Quanto credi che una città influisca su una persona, e sulla sua storia?
Trasferirsi a New York è un'esperienza che cambia chiunque, inclusa la mia protagonista.
Credo che nella mia storia, New York sia colta nel suo momento di maggior trasformazione: a fine anni Novanta e inizio Duemila, era una città piena di eccessi, privilegi, pervasa da un senso di assurdità e di libertà. Dall'11 settembre 2001 è diventata una città meno libera, e senza il senso di sicurezza che la pervadeva prima. Da un certo punto di vista l'attentato ha svegliato la città, riconnettendo le persone alla loro mortalità e le une alle altre. Da un altro punto di vista, questa vulnerabilità è stata vista dal governo come un vantaggio, e ha dato il via a una guerra per il petrolio.
Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh (Feltrinelli) è in libreria, al prezzo di copertina di 17€.
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