La ricerca di Francesco Gungui parte da qui, e tutto ciò che ha scoperto, studiato e provato è finito tra le pagine di Il meglio di noi (Giunti), il suo ultimo libro, appena arrivato in libreria.
Abbiamo incontrato l'autore a Milano grazie a un'inviata d'eccezione, Annamaria Trevale, già collaboratrice di Sul Romanzo, ed ecco cosa ci ha raccontato!
Cosa puoi raccontarci di questo nuovo romanzo, senza fare troppi spoiler ai lettori?
Considero questo libro molto diverso dal precedente: ci ho messo molta più vita e meno commedia.
È il frutto di tre anni di indagini in un mondo a parte, che comprende il coaching e tante altre cose, molto sintetizzate. La difficoltà con la mia povera editor Annalisa è stata che io avevo un bagaglio infinito di cose possibili da raccontare, ma la storia ne richiedeva solo alcune. Ho cercato di mettere quello che è stato importante per me: le parti sul coaching sono quelle che sono servite a me nella vita reale. Altri temi sono quelli dell'ipersensibilità e dei separati in casa. Quest'ultimo si riallaccia in parte al romanzo precedente, ma è trattato un po' fuori dai soliti cliché. Il percorso di Sara è come il viaggio dell'eroe nella mitologia: io sono un fan del mito del viaggio dell'eroe, ma ho disobbedito il più possibile allo schema classico per lasciare una struttura narrativa molto più libera.
E a proposito di Sara, come mai hai scelto di raccontare questa storia attraverso un personaggio femminile? Come hai lavorato per arrivare a un risultato più che convincente?
Mi fa piacere che lo consideriate credibile. Il mio primo romanzo per adolescenti, scritto nel 2008, era raccontato da un punto di vista femminile, quello di una ragazza di sedici anni.
Io sono uomo, sposato e con figli, ma sono consapevole da sempre di avere un tipo di sensibilità femminile: esisto anche dentro il personaggio di Michele, ma sono proprio Sara al cento per cento. Per me è stata una scelta naturale, non il frutto di una ricerca.
La coppia oggi ha ruoli non tanto invertiti, ma piuttosto molto variegati, incertezze comprese.
Di fatto, penso che una coppia in crisi si ritrovi completamente nella storia che ho raccontato, ma qualsiasi coppia normale può riconoscersi in qualcosa che ho scritto.
Avevi già in mente la sua storia familiare dall'inizio, oppure si è costruita scrivendo?
In parte sì e in parte no. Sapevo che Sara doveva seguire un suo percorso e che Nicolò doveva avere certe caratteristiche, il resto è nato a poco a poco.
È il personaggio a cui è più legato?
Direi di sì, perché facevo il tifo per lei mentre scrivevo. È possibile seguire in pochi mesi un percorso di crescita e migliorare davvero la propria vita. L'importante forse è capire che non è necessario pianificare tutto e subito, ma che un cambiamento può avvenire iniziando con un piccolo passo per volta, fermandosi e ripartendo. Esiste anche il diritto di regalarsi delle pause.
Anche quello del libraio Achille è un personaggio molto particolare.
Si è ispirato a persone reali?
Ho conosciuto tanti coach che sono spesso un po' esaltati, perché molte volte in loro mancano un po' di saggezza e di esperienza della vita, per cui ho creato un coach invecchiato e realista. Quello del mentore del resto è un archetipo letterario, ma è sempre una persona delusa dalla vita, che spera che il suo allievo riesca meglio di lui. Pensando al mito del viaggio dell'eroe, mi sono sempre appassionato alla figura del mentore, a partire da Virgilio che guida Dante: lui conosce la strada per il Paradiso, ma si deve fermare prima e lasciare che sia solo Dante a entrarci, e questa è una delle maggiori ingiustizie della storia della letteratura. Achille è una specie di Virgilio.
Il problema maggiore dei percorsi di coaching, secondo me, è che quelli che li intraprendono si lasciano affabulare un po' troppo dai coach.
E del personaggio di Michele, cosa possiamo anticipare ai lettori?
Che era nato come puro maschio egoista. Ne ho discusso tanto con la mia editor, ma a un certo punto ho deciso di dargli una possibilità di riscatto. Il mondo è pieno di uomini che reprimono la propria sensibilità sotto birre e calcett ... Rispecchia comunque quella percentuale di maschi italiani, siamo all'incirca all'uno su tre, che non fa nulla in casa. Si riscatta perché in questa storia alla fine non ci sono buoni e cattivi.
In questo romanzo affronti moltissimi temi e argomenti: per esempio, troviamo la teoria dell'ipersensibilità.
Riguardo alla teoria dell'ipersensibilità, devo dire che l'ho scoperta qualche tempo fa: è una teoria del 1999 secondo la quale almeno una persona su cinque ne sarebbe afflitta. La trovo molto affascinante, un bel tema da approfondire. Per il bambino Nicolò non ho inventato nulla: da bambino io ero proprio così. La meditazione l'ho sperimentata in tempi recenti e la trovo ormai indispensabile, a me dà una ricarica energetica incredibile. Prendersi cura di se stessi è anche quello: sembrano poche cose - meditare, andare a correre - ma messe insieme funzionano tantissimo.
Nessun commento:
Posta un commento