giovedì 13 aprile 2017

"Una storia nera" di Antonella Lattanzi: scopriamo il romanzo insieme all'autrice!

Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata a "Una storia nera" di Antonella Lattanzi, edito Mondadori (brossurato a 18€):
Roma, 7 agosto 2012. Il giorno dopo la festa di compleanno della figlia minore, Vito Semeraro scompare nel nulla. Vito si è separato da qualche tempo dalla moglie Carla. Ma la piccola Mara il giorno del suo terzo compleanno si sveglia chiedendo del papà. Carla, per farla felice, lo invita a cena. In realtà, anche lei in fondo ha voglia di rivedere Vito. Sono stati insieme per tutta la vita, da quando lei era una bambina, sono stati l'uno per l'altra il grande amore, l'unico, lo saranno per sempre. Vito però era anche un marito geloso, violento, capace di picchiarla per un sorriso al tabaccaio, per un vestito troppo corto. "Può mai davvero finire un amore così? anche così tremendo, anche così triste." A due anni dal divorzio, la famiglia per una sera è di nuovo unita: Vito, Carla, Mara e i due figli più grandi, Nicola e Rosa. I regali, la torta, lo spumante: la festa va sorprendentemente liscia. Ma, nelle ore successive, di Vito si perdono le tracce. Carla e i ragazzi lo cercano disperatamente; e non sono gli unici, perché Vito da anni ha un'altra donna e un'altra quasi figlia, una famiglia clandestina che da sempre relega in secondo piano. Ma ha anche dei colleghi che lo stimano e, soprattutto, una sorella e un padre potenti, giù a Massafra, in Puglia, i cui amici si mobilitano per scoprire la verità a modo loro. Sarà però la polizia a trovarla, una verità. E alla giustizia verrà affidato il compito di accertarla. Ma in questi casi può davvero esistere una sola, chiara, univoca verità?

Ho avuto la splendida opportunità di chiacchierare del romanzo insieme all'autrice, ed ecco cosa ci ha raccontato di sè e del suo romanzo - senza svelare troppo!
Impossibile non partire da quello che forse è uno degli aspetti che saltano subito all'occhio del romanzo: il modo in cui si parla di violenza, e di come a questa risponda la legge. Quasi si avvertono delle stoccate al sistema italiano della giustizia.
Sì, perché è vero che le donne vittime di violenza sono spesso lasciate sole a morire. E quindi una donna in questa situazione è costretta a chiedersi: cosa faccio? Devo proprio morire?
Nel tuo romanzo però vai oltre: il giudice è una donna, e anche lei sembra però disinteressarsene.
La violenza è dunque qualcosa che non colpisce finché non tocca personalmente?
È difficile aiutare una donna vittima di violenza, perché in lei rimane sottile il confine tra odio per la violenza e amore che resta. Credo che il confine sia di tutti noi. Tutti noi possiamo vivere un amore che ci fa male senza uscirne. Sta a ciascuno di noi capire che se una persona ti fa male vuol dire che non ti ama, anche se subito dopo ci fa del bene. Questa è la trappola, soprattutto da parte degli uomini violenti che diventano angeli dopo averti picchiato.
Non c'è una sola classe sociale in cui accadono queste cose, possono capitare  a tutti ed è molto importante descrivere come un uomo violento può essere anche ricco, benvoluto, stimato, perché queste cose non accadono solo nelle classi sociali basse.
In questo caso poi abbiamo un uomo come Vito, abituato ad avere comunque una doppia faccia - quella ufficiale e quella domestica. Forse per una persona che ha comunque una facciata pubblica è più facile nascondere quello che fa in casa, anche se si tratta di violenza?
Vito è uno che non ma mai piacchiato altre persone, nemmeno i figli, ma soltanto la moglie. La sua famiglia lo vede come un santo o un eroe e per lui picchiare la moglie è un segno d'insicurezza.
Lui si sente sicuro dell'amore dei figli, ma non di quello della moglie di cui è geloso.
La violenza esprime la sua insicurezza: questo non lo giustifica, ovviamente.

Nel tuo romanzo presenti moltissimi legami famigliari interessanti - un singolare rapporto tra fratelli, per esempio, che però non approfondiamo per non fare spoiler. Cosa volevi fare emergere come dinamiche fondamentali della famiglia di Vito e Carla, e dei loro figli?
L'impossibilità di staccarsi completamente dall'imprinting familiare, l'impossibilità di essere persone senza passato. Tu puoi essere migliore dei tuoi genitori, però il tuo passato è quello e tu sei un loro prodotto. Non puoi cancellare o dimenticare, puoi lottare per essere diverso ma non sarà mai una lotta semplice.

"Una storia nera" è senza dubbio un romanzo coraggioso che racconta grandi passioni senza filtri nel bene e nel male.
I personaggi sono tutti spinti dalle loro passioni, dall'amore e dall'odio che provano l'uno per l'altro. Mimma - la figlia - ama talmente tanto il fratello da descriverlo come un santo anche se sa benissimo che è un violento, per esempio.
È più difficile scrivere d'odio o d'amore?
Per me forse d'amore. Scrivo più facilmente storie nere che storie felici, quindi per me sarebbe più difficile scrivere una storia d'amore positiva, forse perché c'è meno da dire.
In fondo c'è più da dire delle storie infelici, anche senza l'elemento noir, che fanno nascere più riflessioni e offrono più argomenti. La felicità in fondo è sempre una.
Qual è il tuo pensiero sulla gelosia?
Sono una persona gelosa, ma penso malissimo della gelosia, che per me non ha tanto a che fare con l'amore quanto con l'insicurezza e con il possesso. Io per me tento di tenerla a bada perché non è un bel sentimento. Forse l'ho raccontata anche per questo, per esorcizzarla. Se poi diventa ossessione e poi violenza, non solo fisica ma anche psicologica, diventa un sentimento orrendo, che può distrugggere la libertà dell'altro.
Io l'ho vissuta e subita. Non sei mai creduto, perché la persona vede in te cose che non esistono se non nella sua mente. Porta alla morte di una relazione.
Cambiamo registro - quanta importanza hanno nei tuoi romanzi le ambientazioni?
Roma è ricorrente, qui c'è anche Massafra, mentre nel libro precedente si parlava di Bari.
Sono importanti perché cerco sempre di scrivere di luoghi che conosco. Bari è la mia città d'origine, ma io vivo a Roma ormai dal 2001 e quindi la conosco bene. Per me le città nei romanzi sono importantissime: qui c'è il caldo dell'estate romana, il freddo che avvolge il processo, i gabbiani che sono il simbolo di una Roma nera che incombe sui personaggi, le descrizioni di luoghi precisi dove ti puoi riconoscere, per me sono trama tanto quanto il resto.
Cerco di raccontarli come parte della trama e non come contorno.

Continuiamo a parlare di scrittura: sei partita sapendo già tutta la storia dall'inizio alla fine o si è costruita scrivendo?
Sono partita da una scaletta che comprendeva circa metà libro. Quando sono arrivata a metà ho fatto l'altra parte, perchè era un libro troppo basato sulla trama per poter improvvisare. L'ho trattato come se fosse la sceneggiatura per un film, segnando punto per punto tutto quello che doveva accadere e come dovevano evolversi  i personaggi. Poi, naturalmente, mentre scrivi tante cose cambiano e aggiusti il tiro, però il meccanismo doveva essere preciso, a differenza dei miei libri precedenti.
Avevo rimaneggiato molto di più il mio primo libro, riscrivendo più volte certe parti e soprattutto il finale, mentre qui il finale l'ho scritto una volta sola perché era stato pensato molto prima della stesura. Quando con la mia editor abbiamo provato a togliere o ad aggiungere qualcosa, ad esempio per cercare di ampliare il ruolo di un personaggio che ci piaceva, tutto finiva per crollare.
Quando è giusto che la storia finisca?
Appena prima di pensarlo. Va finita sempre appena un po' prima di quando hai detto tutto.
Se sfami il lettore, quando uno chiude il libro è soddisfatto e invece dovrebbe avere ancora fame.
Se il lettore deve restare con la fame, come ti rapporti con la letteratura di genere, che deve concludersi sempre?
Infatti non è un noir in senso classico. Alla fine tendi a chiederti cosa faranno dopo i personaggi e questo succede anche con i romanzi di Simenon e di Scerbanenco, che poi sono i miei eroi preferiti di questo genere.
Hai scritto tre romanzi autoconclusivi. Non hai mai pensato di creare un personaggio seriale?
Non mi sono mai vista come una scrittrice seriale, cerco di dire in un romanzo tutto quello che ho da dire su quella storia. Poi non si sa mai. Un mio amco mi ha suggerito di scrivere la storia di Mara (la figlia minore) adulta, del resto questo è il mio unico libro che potrebbe avere un seguito.

Chiudiamo su una nota positiva: quali sono per te gli ingredienti di un amore sano?
Libertà, rispetto, felicità della felicità dell'altro.

Ringrazio moltissimo sia Mondadori che l'autrice per questa bella opportunità di confronto e di dialogo, e vi invito a scoprire "Una storia nera" - sono sicura che vi conquisterà!

Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3

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