Iniziamo la settimana in compagnia di un'ospieta speciale: Teresa Ciabatti, autrice di "La più amata", edito Mondadori (brossurato a 18€)!
«Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quattro anni, e sono la figlia, la gioia, l'orgoglio, l'amore del Professore.» Il Professore - un inchino in segno di gratitudine e rispetto - è Lorenzo Ciabatti, primario dell'ospedale di Orbetello. Lo è diventato presto, dopo un tirocinio in America, rinunciando a incarichi più prestigiosi, perché è pieno di talento ma modesto, un benefattore, qualcuno dice, un santo. Tutti lo amano, tutti lo temono, e Teresa è la sua figlia adorata. È lei la bambina speciale che fa il bagno nella smisurata piscina della villa al Pozzarello, che costruisce un castello d'oro per le sue Barbie coi 23 lingotti trovati in uno dei cassetti del padre. Teresa: l'unica a cui il Professore consente di indossare l'anello con lo zaffiro da cui non si separa mai. L'anello dell'Università Americana, dice lui. L'anello del potere, bisbigliano alcuni - medici, infermieri e gente del paese: il Professore è un uomo potente. Teresa che dall'infanzia scivola nell'adolescenza, e si rende conto che la benevolenza che il mondo le riserva è un effetto collaterale del servilismo nei confronti del padre. La bambina bella e coccolata è diventata una ragazzina fiera e arrogante, indisponente e disarmante. Ingrassa, piange, è irascibile, manipolatrice, è totalmente impreparata alla vita. Chi è Lorenzo Ciabatti? Il medico benefattore che ama i poveri o un uomo calcolatore, violento? Un potente che forse ha avuto un ruolo in alcuni degli eventi più bui della storia recente? Ormai adulta, Teresa decide di scoprirlo, e si ritrova immersa nel liquido amniotico dolce e velenoso che la sua infanzia è stata: domande mai fatte, risposte evasive. Tutto, nei racconti famigliari, è riadattato, trasformato. E questa stessa contrarietà della verità a mostrare un solo volto Teresa la ritrova quando si mette a scrivere, ossessivamente prova a capire, ad aggrapparsi a un bandolo e risalire alle risposte. Esagerazione, mitomania, oppure semplici constatazioni? Con una scrittura densa, nervosa, lacerante, che affonda nella materia incandescente del vissuto e la restituisce con autenticità illuminandone gli aspetti più ambigui, Teresa Ciabatti ricostruisce la storia di una famiglia e, con essa, le vicende di un'intera epoca. Un'autofiction sincera, feroce, perturbante, che nasce dall'urgenza di fare i conti con un'infanzia felice bruscamente interrotta.
Subito prima dell'annuncio dei dodici autori in lizza per il premio Strega, abbiamo potuto incontrare l'autrice allo spazio Punto & Zeta, e dopo la nostra chiacchierata era impossibile non fare il tifo per lei ed essere contenti della sua conferma tra i dodici!
Ecco cosa ci ha raccontato:
Com'è scrivere un libro come questo, che ci porta dritti dritti alla tua infanzia, a quarantaquattro anni? Com'è stato per te voltarti indietro e ripercorrere così nel dettaglio un periodo complesso come quello dell'infanzia? Quanto ti tocca e quanto ti cambia un processo simile?
Innanzitutto ci tengo a dire che io parto e finisco come una donna incompiuta, perché non c'è stata una crescita nel libro: pensa che io mi toglievo gli anni perché mi vergognavo di quella che ero! Modificavo la mia data di nascita, e persino su Wikipedia era sbagliata (a mio favore), ma alla fine ho dovuto dirla perché la editor mi ha avvertito che c'era una grande confusione di date.
Ho scritto diverse versioni in cui l'Italia andava avanti e io avevo sempre sei anni...
Alla fine ho dovuto dichiarare la mia vera età, che è stata la mia prima presa di responsabilità nei confronti di quella che sono.
Ma quella che sono ha una grande parte legata all'infanzia, con un'enfasi eccessiva su certi aspetti.
La letteratura femminile è legata alla saggezza, e spesso le donne sono in grado di fornire molte risposte, mentre io proprio non ne ho. In questo sono una voce femminile atipica.
È un libro pieno di domande, ma senza risposte.
Non ho la saggezza da donna e da madre, e la voce del libro mi corrisponde pienamente.
È difficile tornare indietro, assolutamente, ma questa è sempre stata la mia ossessione.
Continuavo a percepirmi come appartenente alla mia famiglia d'origine – i genitori, il fratello – anziché alla mia famiglia attuale – marito e figlia. Sono davvero ossessionata dal passato.
No, non ci spero. Ci sono domande che ci si porta dietro per tutta la vita.
Ho cominciato cercando di capire chi è stato mio padre, e questa è diventata la mia ossessione nella vita. Il mio presente sembrava legato a quelle risposte, e di sicuro scrivendo il libro mi sono liberata. A un certo punto la risposta su mio padre non m'interessava più, perché la domanda era diventata "chi è Teresa Ciabatti?" e la risposta alla fine arriva: è nessuno, una donna qualunque, senza nessun privilegio.
La bambina ricca di Orbetello, con tutti i suoi privilegi, come la bambola che faceva la cacca e avevo solo io, è una che il lettore odia, perché è veramente fastidiosa.
In quel mondo non c'erano la morte, la fine, la perdita.
Mi sono confrontata molto tardi con la morte e ci sono arrivata del tutto impreparata: prima non mi era morto nemmeno un criceto! Il lettore è quasi felice quando quella bambina odiosa perde il suo regno.
Nella realtà io sono una donna comune.
Perché si deve rinunciare a vivere attaccati al passato?
Più che altro, se hai dei figli è necessario. In questo ho fatto dei grandi passi avanti.
Quando mia figlia andava all'asilo era la tata a occuparsi di tutto: nessuno mi conosceva.
Ora la seguo molto di più.
Ho voluto tantissimo questa bambina e me l'ero immaginata in un mondo rosa, quasi una proiezione di quello che ero stata io. Le avevo preparato una magnifica casa delle bambole che lei non ha mai neanche sfiorato, perché mia figlia è dark, completamente diversa da come la immaginavo.
La maternità per me è iniziata quando ho preso coscienza che questo essere umano non ero io, e nemmeno la mia bambina ideale. In un'intervista ho detto che io e mia figlia stavamo facendo conoscenza e che ci stavamo simpatiche, ma sono stata attaccata pesantemente perché la cosa è stata giudicata molto riduttiva. per me invece era un andare oltre il semplice "ti amo perchè sei mia figlia" e arrivare al "ti amo perchè mi piaci come individuo".
Parlavo di "fare conoscenza" perchè anche la conoscenza dei figli si modifica nel tempo, soprattutto perché loro cambiano davvero in fretta e molte, molte volte.
Mia figlia, per esempio, adesso va col monopattino per casa e me la distrugge, eppure la cosa non mi dispiace: mi fa troppo ridere!
La tua sincerità è rinfrescante, ma a giudicare da quanto si legge in rete e sui giornali sembra che tu stia pagando un prezzo alto per la tua onestà.
Non avendo una verità in più degli altri, posso solo essere molto sincera, a partire da me stessa e senza puntare un dito accusatore.
La famiglia che racconto può essere riparo, minaccia e/o pericolo, perché ogni giorno può assumere una forma diversa. Mi piaceva riuscire a ricreare con la scrittura questo cambiamento continuo.
Alla fine tu non saprai mai chi saranno stati i tuoi genitori e cosa sarà stata la tua famiglia.
Mio padre, un uomo pieno di ombre e che ha fatto cose che non condivido, ha creato un mondo di cui io comunque facevo parte. Vengo da lì. Quello che tento di fare, non avendo una saggezza o una visione superiore, è dare una visione diretta e sincera.
È una scelta precisa, l'unica che posso fare come scrittrice, anche perché se mi metto di fianco a Dacia Maraini faccio ridere!
Non sono eroica, perché ho scritto il libro dopo la morte dei miei genitori.
Fossero ancora vivi, mi avrebbero denunciato.
"La più amata", in fondo, è un finto memoir perché c'è una scelta e una manipolazione narrativa del senso degli accadimenti: c'è molto, in termini di invenzione e narrazione.
Nella mia ricerca sulla verità su mio padre, a un certo punto ho capito che non ero più interessata, ma che mi bastava capire meglio il suo comportamento nell'ambito familiare, sopratuttto nei confronti di mia madre, che alla fine risulta anche più inquietante.
Nessuno allora aveva percepito come violenza il fatto che mio padre avesse obbligato mia madre a sottoporsi alla cura del sonno per un periodo lunghissimo, sottraendole una fetta di vita.
Oggi io posso dire che è stata una violenza enorme.
Il lettore forse si aspetta che il personaggio si comporti in questo modo, e non resta sorpreso.
Da mio padre ho avuto il dono di un'infanzia meravigliosa.
L'ho amato molto e non posso dire che fosse un mostro.
Però quella bambina che considerava tutto, anche le persone, come suoi giocattoli, in realtà emulava il padre, facendo lo stesso esercizio di potere. Se lui è un mostro, lo sono anch'io.
Mi ricollego a quanto hai detto in un'intervista, in cui ti sei definita "cattiva".
Questa cattiveria com'è stata sviluppata nel romanzo?
Quella della cattiva è una maschera che indosso, ma in qualche modo mi spaventano più le persone che esibiscono la bontà, e poi di colpo non si rendono conto delle proprie mancanze o cattiverie. Preferisco una dichiarazione di odio liberatoria, che poi invece possa essere seguita da gesti di sensibilità. È il racconto di se stessi che mi spaventa.
Raccontarsi buoni è pericolosissimo.
Poi c'è chi si racconta cattivo, ma invece ti sorprende.
Nel libro il mio sguardo su di me e sulla famiglia non è affatto indulgente, però quella per me non è cattiveria.
Questo libro è stato molto apprezzato ma anche molto criticato, spesso anche in toni non troppo pertinenti. Fresca di candidatura allo Strega (che non viene vinto da una donna dal 2003, quando vinse Melania Gaia Mazzucco con "Vita", ndr), come rispondi alle critiche?
Dicendo che vengo da diciassette anni di scrittura, in cui non esistevo.
I miei libri precedenti non se li è letti nessuno, e il mio primo romanzo era addirittura stato definito "il più brutto romanzo dell'anno".
Di sicuro non sono mai stata una privilegiata ma, anzi, una ampiamente criticata e soprattutto ignorata.
Questo libro è il risultato di un percorso: non credo di essere stata ignorata per ingiustizia, prima, ma perché semplicemente non scrivevo abbastanza bene.
Sono stata bombardata di insulti su Facebook e ho chiuso temporaneamnte il profilo, ma dopo aver scritto il libro più brutto dell'anno posso reggere qualsiasi critica!
Comunque ogni anno sorgono polemiche intorno alle candidature ai vari premi letterari...
La candidatura allo Strega ha generato malumore.
Sono consapevole del fatto che alla mia generazione appartengano tante scrittrici che meriterebbero di essere al mio posto, però le critiche non sono venute da loro (con cui tra l'altro sono in ottimi rapporti), ma da altre persone.
Del resto, ci tengo a dire che sì, sono onoratissima di essere stata scelta, ma vincere un premio come lo Strega non è che ti cambi la vita.
Ringrazio moltissimo Mondadori e l'autrice per la disponibilità e la bellissima opportunità di confronto.
"La più amata" è un romanzo-memoir intenso, appassionato e, soprattutto, appassionante: inseritelo nei vostri #StregaThon, nelle vostre letture del ponte del primo Maggio, nella pila sul comodino.
Vi piacerà!
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
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