giovedì 27 aprile 2017

L'ultimo amore di Van Gogh: intervista a Jean-Micheal Guennasia

Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Oggi sul blog parliamo di Van Gogh, di notti stellate e di amori.
E lo facciamo con Jean-Michel Guennasia, che è tornato in libreria con "Il valzer degli alberi e del cielo", edito Salani (brossurato a 16,90€):
Nella torrida estate del 1890, a Auvers-sur-Oise, un uomo si presenta a casa del dottor Gachet: dall’aspetto, Marguerite, figlia del medico, lo scambia per uno dei tanti braccianti agricoli che lavorano nella zona. L’uomo è Vincent van Gogh, e per Marguerite, che ama dipingere ma si dibatte tra l’insoddisfazione di non riuscire a creare nulla di apprezzabile e una condizione di figlia predestinata a un matrimonio borghese, egli assume, giorno dopo giorno, le fattezze del maestro, del genio, dell’amore. Guardandolo dipingere, la giovane vede ora i paesaggi in cui è cresciuta – le case dai tetti di paglia, le acque del fiume, i fiori, gli alberi, il cielo – con nuovi occhi: la potenza della vera arte si dispiega davanti a lei, mentre la relazione con Vincent si fa sempre più stretta, più pericolosa e infine fatale. Mettendo insieme, come nel Club degli incorreggibili ottimisti, potenza del racconto e verità documentaria, e consegnandoci pagine di vera poesia quando assistiamo insieme a Marguerite alla nascita dei capolavori di van Gogh, Guenassia fa rivivere l’epoca d’oro degli impressionisti e getta una nuova luce sulla tragica fine dell’artista e sui misteri che circondano alcune delle sue opere; e lo fa come sempre da un’angolatura originale, tratteggiando ancora una volta un’indimenticabile figura femminile.

Abbiamo potuto incontrare l'autore nella splendida cornice della Triennale di Milano, per un aperitivo e una chiacchierata che ha visti protagonisti il romanzo, Van Gogh, l'arte... ecco cosa ci ha raccontato!

Cosa cercava - e cosa ha trovato - scrivendo questo libro su Van Gogh?
Quello che mi ha attratto prima di tutto è il mistero di Van Gogh, sulla sua morte e sui tanti falsi quadri suoi che circolano nel mondo: tutto questo è un materiale fantastico per una persona che scrive come me. Poi volevo concentrarmi sull'uomo e cercare di capire chi fosse, non "Van Gogh" ma "Vincent", come del resto lui amava firmare i suoi quadri.
Van Gogh è un personaggio abbastanza criticato e discusso. Si è fatto un'idea personale sull'uomo?
Credo che in realtà sia stato più ammirato che criticato. La sua malattia per lui era qualcosa di secondario: oggi si sa che era bipolare, con dei giorni buoni e dei giorni cattivi. Oltretutto aveva anche smesso di bere, e nel complesso stava molto meglio. Quando è arrivato a Auvers-sur-Oise nel 1890 era un uomo che aveva tantissimi progetti, brulicava di idee e sicuramente non aveva tendenze suicide: aveva in mente di organizzare delle mostre e di ritrovare il suo amico Gaugain, col quale aveva riallacciato i rapporti. Aveva tantissime speranze, che emergono dalla corrispondenza che è stata ritrovata.
La leggenda dell'artista maledetto, suicida perché respinto dalla società, in realtà è del tutto falsa.
In quel momento possiamo dire che tutti erano maledetti, perché Pisarro non vendeva niente, Gauguin era un morto di fame... La teoria del suo suicidio è stata costruita a tavolino.
Però gli è capitato quello che succede spesso con le persone di talento che muoiono giovani, magari che hanno una morte brutale, e che vengono circondate da una sorta di aureola dall'immaginario collettivo: pensiamo a John Kennedy, di cui parliamo ancora tanto perché è morto giovane e in modo violento, oppure ricordiamo Marylin Monroe e non Elizabeth Taylor, perché la prima è scomparsa da giovane e la seconda a ottant'anni. Chi muore giovane ci rimane di più nel cuore. Piangiamo ancora James Dean, anche se ci piacciono Brigitte Bardot o Robert De Niro, che però adesso hanno ottant'anni e non risvegliano le stesse emozioni.
Si dice che Van Gogh fosse bipolare, si è anche ipotizzato che fosse schizofrenico.
Dai suoi studi cosa è venuto fuori?
Non c'era affatto schizofrenia in Van Gogh. Se leggiamo la sua corrispondenza appare come una persona normale. Era bipolare, ma a quell'epoca non si conosceva la patologia e non c'erano medicinali per curarla. Forse era epilettico, ma non schizofrenico. Il suo grande problema era che beveva tantissimo: si ubriacava continuamente con l'assenzio. L'episodio dell'orecchio tagliato, che coinvolge Gauguin, avvenne in un momento in cui entrambi erano ubriachi fradici.
Quando è stato ricoverato nell'ospedale di Saint-Rémy, Vincent ha incontrato un medico che l'ha preso particolarmente a cuore e l'ha convinto a smettere di bere, e da quel momento la sua salute è migliorata tantissimo. Basta leggere le sue lettere per capire che tutto sommato stava bene, e leggendole senza conoscere i suoi problemi precedenti non li si intuisce per nulla.
In più, lavorava tantissimo.
Il personaggio principale del romanzo, comunque, è Marguerite, una giovane donna che a 19 anni, nel 1890, si rivolta contro la condizione di donna, l'obbligo di sposarsi e di non lavorare. Rivendica la sua libertà, s'innamora della pittura e di un uomo.
Mi ha fatto piacere ritrovare questo tema delle donne che cercano l'autonomia, soprattutto come artista, ma  la cosa che mi ha intrigato di più è la questione dei falsi.
C'è la verità e c'è la licenza poetica. È sicuro che ci sono molti falsi di pittori famosi, e che pittori meno famosi ricevono denaro per copiarli. Già nel Rinascimento i grandi pittori erano circondati da falsari. Van Gogh è il primo della sua generazione ad aver avuto molto successo. Il prezzo delle sue opere è schizzato in su già nei primi anni del Novecento, e molti di coloro che l'avevano conosciuto hanno iniziato a dipingere dei falsi. Si sa con certezza che molti dei falsi sono usciti dalla casa del dottor Gachet, e che Marguerite e suo fratello hanno fatto una favolosa donazione di 53 tele al Museo degli Impressionisti, quando era ancora al Louvre, e che in questa donazione c'erano otto falsi, cinque di Van Gogh e tre di Cézanne. Lo stesso Gachet aveva regalato alla cognata di Van Gogh, la moglie del fratello Theo, tre falsi che oggi sono al Museo Van Gogh di Amsterdam.
Aveva anche venduto delle tele false a degli americani, che le hanno rivendute al Metropolitan Museum: in tutti i musei c'è qualche quadro falso di Van Gogh.
Oggi disponiamo dei mezzi scientifici che consentono di scoprire, nella maggior parte dei casi, chi ha dipinto quei falsi, e tra loro non c'è Marguerite Gachet. Però mi piaceva l'idea che lei dipingesse per amore i quadri di Vincent che non c'era più, questa è una mia licenza poetica.
Visto che si sa che questi quadri sono falsi, perché sono rimasti nei musei?
Perché in molti casi queste tele sono state contestate da poco, e anche perché a un museo non fa mai piacere dover ritirare un dipinto famosissimo ammettendo che è un falso: ne va del suo prestigio.
Al Museo Van Gogh di Amsterdam hanno ritirato alcuni quadri tre anni fa, senza dire il motivo, ma li hanno fatti comunque sparire. Anche il Museo d'Orsay ha fatto la stessa cosa, ma non ha eliminato il secondo ritratto del dottor Gachet che pare proprio sia falso. Per risalire alla veridicità delle tele di Van Gogh c'è un sistema che passa attraverso le lettere che scriveva al fratello elencandogli i quadri fatti.
Non dobbiamo dimenticare che Vincent era protestante, voleva fare il pastore, era entrato in seminario anche se poi ne era stato cacciato, ma aveva comunque un grande rigore morale e non avrebbe mai fatto nulla d'illegale: era molto scrupoloso. Theo era il suo mercante e lui gli rendeva conto di tutto ciò che faceva. Basta fare la lista dei quadri nominati nelle lettere per averne il conto esatto. Se di alcune tele non c'è traccia nella corrispondenza, vuol dire che sono quantomeno sospette.
Quando poi avrebbe potuto dipingere tutte queste tele che gli vengono attribuite?
Ha passato settanta giorni a Auvers e sembra che abbia dipinto settantacinque o addirittura ottantacinque tele in quel periodo, ma dalla corrispondenza ne risultano solo cinquantotto.
Anche dal punto di  vista delle opere, che erano piene di dettagli, non è possibile che sia riuscito a dipingerne così tante. Ufficialmente, però, da tutte le tele presenti nei musei del mondo sembra che ne abbia dipinte settantacinque.
C'è anche un altro aspetto: lui era  molto povero, comprava tutto il materiale sempre nello stesso negozio di Montmartre ed era sempre quello più economico, dalla tela ai colori.
Se un dipinto è su una tela di alta qualità e fatto con pigmenti costosi, sicuramente non è suo.
Van Gogh, più che pazzo, sembra in effetti malato del suo lavoro.
Dipinge furiosamente e non ce la fa a smettere di creare, tanto da rifiutarsi di avere una famiglia perché la sua vita è dedicata all'arte.
La pittura è il solo soggetto che l'interessa, la sola cosa di cui parla nelle sue lettere: ne era pazzo, ma si rendeva conto che non avrebbe potuto mantenere una famiglia.
Vede attorno a lui altri pittori che hanno famiglie che non riescono a mantenere: Gauguin aveva abbandonato moglie e cinque figli in Danimarca lasciando loro dei quadri che non valevano nulla, mentre Pizarro aveva ottofigli che quasi morivano di fame.
Lui, con la piccola pensione che gli passava il fratello riusciva a vivere dignitosamente, ma una moglie avrebbe avuto delle necessità che lui non sarebbe riuscito a soddisfare.
La pittura è stata per lui una religione, come se avesse preso i voti, ed era felice così.
Dalle sue ultime lettere non sembra un uomo malato, ma solo ossessionato dalla pittura: è così per tutti i grandi artisti e lui ha raggiunto il suo livello perché lavorava come un forsennato.
Monet è morto a 83 anni e ha dipinto fino a tre giorni prima, e lo stesso ha fatto Renoir, nonostante avesse le mani ormai deformate dall'artrite.
Lei, da scrittore, ha mai sentito questa sensazione così totalizzante?
Sì, anch'io un po' vivo queste sensazioni, perché scrivere ti occupa tantissimo tempo.
Per scrivere "Il club degli incorreggibili ottimisti" ho impiegato sei anni.
C'è un momento in cui capita di perderti nella scrittura.
Adesso però vado un po' più veloce, e per fortuna non ho raggiunto i livelli di follia di Van Gogh.
A un certo punto mi sento quasi intontito: arriva un momento in cui, dopo una giornata di lavoro, non ce la faccio più. Non ci vedo neanche più, e capisco che mi devo fermare.
Come mai ha deciso di interrompere e di arrichire la narrazione inserendo passi di lettere e di articoli dell'epoca?
Mi sono reso conto che non conoscevo abbastanza quell'epoca.
Non mi rendevo conto di quanto fosse violenta e brutale, razzista, antisemita e inverosimilmente misogina. Le donne non avevano alcun diritto, tanto che oggi si dimentica che Van Gogh non poteva nemmeno immaginare che una donna dipingesse. Però citatemi una sola donna pittrice di fama nel XIX secolo: non ce ne sono. In Francia forse ce n'è stata una.
Ce n'erano prima, nel XVII o XVIII secolo, ma non nel XIX secolo.
La società era completamente chiusa: in particolar modo in Francia le donne erano escluse dalle attività professionali. Pensate alle protagoniste dei romanzi di Henry James o alla stessa Madame Bovary, a come dovessero soffrire.
Quando Marguerite vuole dipingere, Van Gogh pensa che sia per distrarsi, non certo per esporre - ma non è lui il misogino, è tutta la società che è così.
Non volendo scrivere un romanzo storico, ho deciso di adottare questa forma degli intercalari per creare un background, in cui il lettore potesse immergersi nel contesto dell'epoca e capire, contestualizzare la storia che stavo raccontando.
Prima ha detto che è difficilissimo scrivere di pittura o di musica: come ha fatto a calarsi nei panni di Van Gogh?
Quando ho iniziato a scrivere questo libro mi sono detto che se non fossi riuscito a raccontare la pittura in modo viscerale non l'avrei scritto.
Ho cercato di esprimere la pittura nel modo più semplice possibile in modo che il lettore sentisse la pittura che stavo cercando di descrivere, facendo leva sul sentimento e su quello che la persona percepisce e non sul modo intellettuale.
Le descrizioni sono fatte con gli occhi di Marguerite, che attraverso l'arte vede il mondo in modo diverso. Questa cosa induce il lettore a guardare Van Gogh con occhi nuovi.
Non avrei potuto raccontare la storia dal punto di vista di Van Gogh. Il narratore è Marguerite, perché lei non vede Van Gogh, ma un uomo che si chiama Vincent. Vi faccio notare che in 276 pagine mai una volta scrivo "Van Gogh" ma sempre e solo "Vincent". Siete voi che lo pensate, io non l'ho mai scritto. Solo nell'ultima pagina, quando lui è già morto, allora lo chiamo così, perché è solo dopo la sua morte che diventa Van Gogh, che diventa l'icona, il personaggio famoso, e non prima.
Noi vediamo attraverso gli occhi di Marguerite e le sue parole. Ho voluto così questa storia perché mi sono sempre chiesto: chissà cos'avranno pensato le persone quando hanno visto per la prima volta un quadro di Van Gogh? Non so come andò in Italia, ma in Francia le prime mostre degli impressionisti furono accolte in modo terribile, con fischi, perché si diceva che non erano pittori e che dipingevano come delle scimmie. Questo è quello che ho cercato di raccontare.
E cos'ha pensato lei la prima volta che ha visto un quadro di Van Gogh?
Non saprei, perché è passato moltissimo tempo. Noi siamo nati con queste bellezze: non siamo mai stati scioccati da una cosa completamente nuova. Una cosa però mi ha intrigato: visito molti musei perché mi piace, in Italia e in Francia. Vado spesso al Museo d'Orsay dove ammiravo i Van Gogh, poi a un certo punto ho scoperto la storia dei quadri falsi. Quando ho rivisto queste tele, pur sapendo che erano false le trovavo comunque splendide, per cui mi sono chiesto: ma perché, chi sto ammirando? Un falsario, eppure è lo stesso un quadro meraviglioso, ad esempio il secondo ritratto del dottor Gachet. So che è falso, ma è comunque bellissimo.
È il nostro rapporto con la pittura che va indagato.

In questo libro il dottor Gachet, considerato da sempre un mecenate e protettore degli impressionisti, appare come una figura piuttosto meschina. Come è avvenuto questo ribaltamento?
Non sono d'accordo. Il dottor Gachet non è poi così cattivo, visto che curava gratis tutti quegli artisti che poi lo pagavano con tele che, allora, non avevano nessun valore. Era un po' radical chic: amava tutto ciò che era avanguardia. Quello che non poteva immaginare era che sua figlia avesse una storia con Van Gogh. Lui ha fatto tutto quello che facevano i padri dell'epoca - che avevano il diritto di correzione, cioè di picchiare mogli, figli e servitù senza incorrere in nessun tipo di sanzione. È la figlia che fa cose che una ragazza di buona famiglia dell'epoca non avrebbe mai pensato di fare.
Il dottor Gachet in definitiva appare cattivo soprattutto agli occhi di Marguerite, perché tutto il romanzo è scritto dal suo punto di vista.
In principio Marguerite appare più che altro come la classica adolescente ribelle, poi cresce e diventa un personaggio più rotondo e si comprendono di più le sue ragioni. Del resto, s'innamora di Vincent proprio perché è Vincent, non perché pensa sia un grande pittore.
Non si può essere pittori accanto a Van Gogh: solo Gauguin lo era, e infatti non andavano molto d'accordo. Una cosa molto bella tra loro era però il sentimento di ammirazione reciproca che li animava. Ognuno pensava che l'altro fosse migliore, ma senza gelosia. Avevano del resto due stili molto diversi, e infatti i seguaci di Gauguin sono stati pochi, mentre Van Gogh ha aperto una via enorme dopo di lui.
Il romanzo si svolge a fine Ottocento, mentre oggi le cose sono molto cambiate. L'arte contemporanea è diversa, le cifre sono esorbitanti. Come sarebbe scrivere un romanzo su un artista contemporaneo?
Per scrivere un libro su Jeff Koons dovrebbe prima di tutto lui essere un artista...
Non sono sensibile all'arte contemporanea perché per me tutto ciò che non mi fa provare emozioni è qualcosa che non mi arriva.
Cosa resterà allora, secondo lei, dell'arte contemporanea?
C'è qualche grande artista, come Basquiat, ce ne sono anzi parecchi, ma l'arte ha sempre avuto un valore monetizzato e monetizzabile, infatti esistono i falsari ed esiste la speculazione.
Pensate a Vermeer, che ora è tra i grandi ma quand'era in vita le sue tele non avevano nessun valore.
In Francia certi pittori hanno avuto valore per un certo periodo, e magari oggi non ne hanno più, per cui non si può ridurre l'arte a un valore monetario.
La cosa importante è guardare un quadro per quello che è e per la gioia che ti fa provare.

Grazie di cuore a Salani e all'autore per questa splendida opportunità di confronto e di arricchimento: "Il valzer degli alberi e del cielo" è un romanzo splendido, davvero imperdibile per gli amanti dell'arte - e non.

Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3

1 commento:

  1. Devo assolutamente leggere questo libro! <3 Grazie per questa fantastica intervista!
    Ps. Le foto sono come sempre fantastiche <3

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