lunedì 12 dicembre 2016

Chiacchierata con Carlos Ruiz Zafón, su "Il labirinto degli spiriti" e l'importanza del ricordo

Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Il quattro dicembre ho avuto l'opportunità, insieme ad altri blogger e giornalisti, di intervistare Carlos Ruiz Zafón in occasione dell'uscita di "Il labirinto degli spiriti", quarto e ultimo volume della tetralogia apertasi con 'L''ombra del vento":
Barcellona, fine anni '50. Daniel Sempere non è più il ragazzino che abbiamo conosciuto tra i cunicoli del Cimitero dei Libri Dimenticati, alla scoperta del volume che gli avrebbe cambiato la vita. Il mistero della morte di sua madre Isabella ha aperto una voragine nella sua anima, un abisso dal quale la moglie Bea e il fedele amico Fermín stanno cercando di salvarlo.
Proprio quando Daniel crede di essere arrivato a un passo dalla soluzione dell'enigma, un complotto ancora più oscuro e misterioso di quello che avrebbe potuto immaginare si estende fino a lui dalle viscere del Regime.
È in quel momento che fa la sua comparsa Alicia Gris, un'anima emersa dalle ombre della guerra, per condurre Daniel al cuore delle tenebre e aiutarlo a svelare la storia segreta della sua famiglia, anche se il prezzo da pagare sarà altissimo.
Dodici anni dopo "L'ombra del vento", Carlos Ruiz Zafón torna con un'opera monumentale per portare a compimento la serie del Cimitero dei Libri Dimenticati.
"Il Labirinto degli Spiriti" è un romanzo inebriante, fatto di passioni, intrighi e avventure. Attraverso queste pagine ci troveremo di nuovo a camminare per stradine lugubri avvolte nel mistero, tra la Barcellona reale e il suo rovescio, un riflesso maledetto della città. E arriveremo finalmente a scoprire il gran finale della saga, che qui raggiunge l'apice della sua intensità e al tempo stesso celebra, maestosamente, il mondo dei libri, l'arte di raccontare storie e il legame magico che si stabilisce tra la letteratura e la vita.

Una splendida chiusura per una serie che mi appassiona sin dall'uscita di "L'ombra del vento" nel 2004, perchè ricordo ancora di averlo visto sul tavolo delle novità e aver pensato "mio!" appena finito di leggere la trama. Da lì è stato amore.
Poter incontrare l'autore e intervistarlo è stato l'avverarsi di un sogno che nemmeno credevo di poter fare, figuriamoci vivere.
Nella splendida cornice dell'hotel Principe di Savoia a Milano, ecco cosa ci ha raccontato Carlos Ruiz Zafón!
1) La serie ruota attorno a un luogo incredibile, il Cimitero dei libri dimenticati. Cosa ne ha ispirato la creazione?
Per quanto mi riguarda, la maggior parte delle storie nascono a partire da un’immagine, e stavolta si trattava di questa biblioteca misteriosa: ho iniziato a pensarci su, a costruirla nella mia mente e a provare a capire di che luogo si trattasse davvero e perchè ci stessi riflettendo.
Cosa significava per me questo luogo?
Ho realizzato che si trattava di una metafora: non si trattava solo di libri dimenticati, ma anche di idee dimenticate, di persone di cui si è persa la memoria.
Si trattava di una riflessione più ampia su cosa ci renda davvero noi stessi e ciò che siamo, e ho pensato che in un certo senso noi siamo ciò che ricordiamo: meno ricordiamo, meno siamo.
È da quest’idea che ho iniziato a costruire una storia, dei personaggi e così via.

2) Barcellona è la sua città natale, anche se da anni trascorre più tempo a Los Angeles: com’è il suo rapporto con la città spagnola e come preferisce descriverla - e raccontarla - ai lettori?
Barcellona è mia madre. È da dove vengo, e io sono il prodotto di quel luogo.
Ciò che provo a fare è ciò che prima o poi devono fare tutti gli scrittori: tornare a casa, e cercare di definire il rapporto che si ha con le proprie radici.
Era ciò che desideravo fare, e volevo davvero riuscire a descrivere la città in modo efficace: come tutte le altre città del mondo, ha infatti molteplici identità.
Quindi sono partito dalla creazione di un personaggio, basata sulla città di Barcellona, e questo mi avrebbe permesso di esplorarla attraverso di lui e arrivare a quella che credo sia l’essenza della città.
La Barcellona dei miei romanzi è una città misteriosa, e ho creduto che avrebbe permesso ai lettori di andare oltre la patina di allegria e all’atmosfera da vacanza che associamo spesso alla città: ci vai, frequenti caffè e locali, ti diverti e poi torni a casa.
Questa non è l’essenza della città, e quindi ho provato a tirarla fuori nei miei romanzi e svelarla al lettore.

3) Come ha vissuto la sua famiglia il periodo della guerra civile e degli anni successivi?
Come ha influenzato la sua storia?
Sono nato nel 1964, e questo vuol dire che durante gli ultimi anni della dittatura franchista ero un bambino.
Ai tempi era un regime già indebolito.
Ciò che però mi colpiva era il silenzio su tutto ciò che era venuto prima di questo periodo più vivibile del regime: nel corso degli anni, provavo a chiedere informazioni sulla guerra civile, sulla questione non si pronunciava nessuno.
Nessuno voleva parlarne, e quindi dovevo arrangiarmi raccogliendo allusioni e commenti fatti sovrappensiero dai miei nonni o da mio padre quando credevano non fossi nei paraggi, e cercare di ricostruire il puzzle completo.
L’unica cosa che sapevo per certo era che qualcosa di brutto doveva essere successo se nessuno voleva parlarne, e credo che ancora oggi camminando per Barcellona sia possibile “sentire” che è una città in cui è accaduto qualcosa di terribile. Più o meno quello che succede anche camminando per le strade di Berlino.
4) Molti dei personaggi che popolano il mondo che ha creato, a partire da “L'ombra del vento”, fino ad arrivare a “Il labirinto degli spiriti” sono scrittori. Pensiamo a Julián Carax, David Martín e Víctor Mataix. Tra i tanti nomi fittizi però, in quest'ultimo libro, viene citata, due volte, un'autrice spagnola non molto conosciuta in Italia, Carmen Laforet. Mi chiedevo quanta letteratura spagnola scorra - in modo più o meno sotterraneo - tra le pagine della tetralogia del Cimitero dei Libri Dimenticati. Quali sono stati gli autori che più l'hanno influenzata nella scrittura di questi quattro romanzi e che vorrebbe consigliare?
Nessuno scrittore opera nel vuoto cosmico: nel mio lavoro ci sono certamente influenze di autori e di libri delle quali sono consapevole, e altre delle quali probabilmente non lo sono.
“Nada” di Carmen Laforet è forse il romanzo che mi ha influenzato di più, e credo che se dovessi raccomandare un libro a qualcuno per cercare di capire davvero Barcellona consiglierei sicuramente questo, perchè permette al lettore di compiere un vero e proprio tuffo nella città durante gli anni quaranta.
Ma parlando di autori che mi hanno influenzato non posso non citare anche Eduardo Mendoza.

5) Pensa di scrivere ancora libri rivolti ai lettori più giovani?
Non lo so, perchè in realtà è stato un mero caso che io abbia iniziato a scrivere romanzi per ragazzi.
Non era pianificato, non credevo nemmeno di sapere come fare.
Quello che è successo è stato che il mio primo libro ha vinto un premio importante dedicato ai libri per ragazzi.
All’epoca ero uno scrittore a tempo pieno, e volevo sopravvivere in un mondo in cui non è assolutamente facile farlo. Avevo ottenuto un discreto successo, e quindi non ero pronto a smettere di scrivere per ragazzi, ma quello che mi chiedevo era se in fondo io sapessi davvero come farlo.
Non era nemmeno mia intenzione limitarmi a quello, non in eterno.
Quello che posso dire è che cerco di scrivere i libri che i lettori possano amare, e che non chiedo loro la patente prima di scriverne uno.
Credo che alcuni lettori molto giovani siano incredibilmente maturi, e magari alcuni lettori più anziani non lo siano affatto.
Ho anche notato che sebbene i miei ultimi quattro libri siano intesi per un pubblico adulto, molti dei miei lettori sono giovani e li apprezzano, e chi sono io per dire che non dovrebbero leggerli?
Sicuramente se deciderò di lavorare a un progetto interessante e mi renderò conto che si tratta di qualcosa di adatto a lettori più giovani, non escluderò a priori l’idea.

6) Lei è anche un musicista: che relazione c’è tra il comporre musica e lo scrivere libri?
La musica è ciò che amo di più al mondo, a pari merito con i libri ovviamente.
L’ho amata fin da bambino, ma sfortunatamente non ho avuto la possibilità di ricevere un’educazione musicale.
Va anche detto che sin da bambino sapevo che sarei diventato uno scrittore, e che il mio obbiettivo finale era questo.
Non l’ho però mai accantonata. Anzi, mi ci dedico traendone molto piacere.
Per me il comporre e lo scrivere sono assolutamente legati e questo perchè ad affascinarmi prima di tutto è il loro linguaggio.
 È sempre stato così: di qualsiasi libro, fumetto o film cercavo di comprendere la struttura e il perchè “funzionasse”.
In questo senso anche la musica è fondata sì su un linguaggio tecnico, ma soprattutto su un linguaggio capace di suscitare emozioni - esattamente come lo fanno un bel film o un buon libro.
La musica può anche raccontare storie, e ancora oggi mentre scrivo un romanzo ne scrivo anche la musica di sottofondo.
Mi serve a comprendere appieno l’atmosfera di ogni scena, e vedere cosa funziona e cosa no.
E in fondo io penso anche al linguaggio nello stesso modo in cui penso alla musica: ragiono sulle armonie, sui timbri, sulle vibrazioni, sui tempi, sia quando suono che quando scrivo.
7) Incontriamo Daniel bambino, e ci congediamo da lui adulto.
Di quale età della sua vita ha preferito scrivere e perchè?
È stato interessante in entrambi i casi, perchè quello che stavo cercando di fare con Daniel era proprio di esplorarne l’evoluzione e comprendere come una persona diventi ciò che è. A condizionarlo sono ovviamente anche le circostanze esterne da lui incontrollabili, ma poi subentrano le sue scelte, le decisioni che prende nel corso della sua vita e tutto questo lo rende la persona dalla quale ci congediamo.
In “L’ombra del vento” ho voluto creare una sorta di romanzo di formazione: lo seguiamo a partire da quando è solo un bambino che ha perso la madre ed è terrorizzato dal fatto di non ricordarne il viso, e lo vediamo imbarcarsi nella ricerca spasmodica di questo autore dimenticato, come se così facendo sperasse di recuperare anche la sua, di memoria.
Esploriamo il mondo attravero i suoi occhi di bambino e poi di ragazzo, e per me è stato molto interessante scrivere sapendo che buona parte di ciò che veniva presentato attraverso il filtro degli occhi di un bambino sarebbe poi stato riproposto da una prospettiva differente nei romanzi successivi.

8) Ci può parlare del personaggio di Fermín? Com’è nato? 
È stato difficile da raccontare ai lettori?
Non è stato difficile scrivere di Fermín perchè è una parte di me.
È nei miei pensieri sin da quando ero un ragazzo, e a un certo punto ho voluto farne un personaggio vero e proprio, che fosse anche un omaggio alla tradizione picaresca presente nella letteratura spagnola.
C’è una parte di lui che è difficile da scrivere, però: quella divertente. Fermín deve sempre essere buffo, ed è difficile esserlo, soprattutto perchè quando provi ad esserlo e non lo sei il risultato è orribile.
Anche nella vita, se provi disperatamente a essere divertente e non lo sei sembri un idiota.
Fermín è anche quello che, quando tutti attorno a lui sembrano aver perso la bussola, rimette tutti in carreggiata ricordando loro dove andare e perchè: non perde mai l’orientamento o la motivazione, anzi. È una sorta di bussola morale del racconto.
Il suo ruolo è anche quello tradizionale del “folle”, l’unico a cui è concesso di dire la verità proprio perchè pazzo (e quindi non considerato attendibile).

9) Che rapporto c’è secondo lei tra la vita e la letteratura?
Come esseri umani, impariamo e percepiamo ciò che può essere strutturato come una storia: pensiamo per sequenze di ricordi, impressioni e sensazioni interconnesse, che vanno di fatto a comporre una storia.
Abbiamo trasmesso tutto il nostro sapere attraverso il racconto, ed è così che comunichiamo tra noi: raccontandoci.
Persino il pensiero matematico, o la musica, sono strutturati in questo modo.
Da un certo momento abbiamo iniziato a sviluppare l’ “arte del narrare”, esattamente come lo diventarono la pittura o la musica.
Per me il raccontare storie è un vero è proprio stile di vita: le ho sempre raccontate, le ho sempre ascoltate e ho sempre ragionato su come fossero costruite e sviluppate.
Le storie - ascoltate, lette o raccontate che siano - ci permettono di vivere avventure che mai potremmo vivere nella realtà di ogni giorno, di imparare qualcosa sul mondo o anche su noi stessi.
10) C’è qualche aneddoto particolare legato ai suoi libri o alla sua carriera di scrittore che vorrebbe condividere con i suoi lettori italiani?
Ho molti ricordi e aneddoti legati alle esperienze fatte nel corso degli anni o alle reazioni dei lettori.
Molti anni fa, per esempio, molti lettori si innamorarono del Cimitero dei libri dimenticati, e in molti mi chiedevano dove si trovasse, come se fosse un luogo reale.
Alcuni si presentavano persino con delle mappe, chiedendomi di indicarne la posizione precisa.
Il sindaco di Barcellona propose addirittura di costruirlo sul serio, e così anche una società privata di produzione e gestione di eventi. Purtroppo per loro, ho sempre detto di no a ogni proposta perchè quello del Cimitero dei libri dimenticati è e deve restare un luogo dell’immaginazione, e deve esistere solo nella mente dei lettori. Non voglio che diventi un parco divertimenti.
Altra cosa divertente, una libraia si è sentita chiedere più volte i romanzi di Julian Caràx, e ha persino dubitato del fatto che forse esistesse davvero, nonostante fosse a conoscenza del fatto che fosse solo un personaggio fittizio, protagonista dei miei romanzi.

11) Il primo volume di questa serie è uscito in Italia nel 2004, il quarto nel 2016. Parliamo di un’opera che si è sviluppata nel corso di molti anni, e mi chiedevo: quanto è cambiata, se è cambiata, l’idea che aveva in origine?
Non è cambiata granchè.
Sapevo però fin dall’inizio che sì, potevo pianificare il più possibile, ma avrei anche dovuto essere elastico e accettare il fatto che nel corso degli anni io stesso sarei cambiato, e così i miei pensieri e, di conseguenza, la mia scrittura.
Sapevo che nel corso degli anni, per esempio, un personaggio avrebbe potuto rivelarsi più importante di un altro, o una scena avrebbe potuto rivelarsi migliore se scritta in modo diverso.
Ma l’importante, affrontando un lavoro così, resta il fatto di avere una solida struttura di partenza ben chiara in mente, in modo da essere poi in grado di essere flessibile là dove serve.

È stata un'esperienza meravigliosa incontrare l'autore di uno dei miei romanzi preferiti di sempre, e so che mi porterò questo ricordo nel cuore a lungo.
Un grazie grande come un grattacielo a Mondadori per l'incredibile opportunità, e spero che l'intervista vi piaccia ;)

Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3

1 commento:

  1. Ho letto "Il principe della nebbia" nel lontano 2001 e, da lì, ho iniziato a seguire Zafon. Grazie per questa intervista!

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