Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata, per l'appunto, alla chiacchierata con Garth Risk Hallberg alla quale ho avuto modo di partecipare grazie a Mondadori, che ringrazio TANTISSIMO.
"Città in fiamme" è un capolavoro, e incontrarne l'autore è stato molto interessante.
1) Oltre ad essere un romanziere, insegni anche scrittura. Hai qualche consiglio per chi, tra i tuoi lettori, volesse diventare uno scrittore a sua volta?
Credo che sia importante, per lo scrittore, rimanere in un certo senso "distaccato" dal mercato, e restare in quella che potremmo anche definire una condizione dii semi-esilio.
Detto così suona molto solitario, ma in realtà è una situaizone di grande potere: in fondo, tutto ciò che serve per essere uno scrittore sono una matita e un pezzo di carta.
Dico sempre ai miei studenti di scrivere il libro che solo loro potrebbero scrivere e poi, se una volta finito qualcuno volesse pubblicarlo, perfetto.
Se invece nessuno volesse pubblicarlo, almeno avrebbero scritto ciò che volevano: se scrivessero pensando solo alla pubblicazione, e poi questa non dovesse arrivare, si ritroverebbero ad aver buttato il loro tempo facendo qualcosa che magari nemmeno volevano.
2) Parliamo ora nello specifico di "Città in fiamme", partendo dai numerosi riferimenti musicali. Quarant'anni fa nasceva il punk, nel 1976: quanto è importante questo movimento per te, e quanto nell'economia del romanzo?
Per me è importantissimo. Il mio incontro con la musica punk è avvenuto a metà degli anni Novanta, quando, come uno dei protagonisti del mio romanzo, mi sentivo in un certo senso estraniato dalla società che mi circondava e parecchio solo, oltre a ritenermi incompreso come ogni adolescente.
Ho finito per scappare dalla piccola cittadina di provincia nella quale sono cresciuto per ritrovarmi in quella che era la scena punk di Washington DC.
Molti la definiscono una città noiosa, ma allora era pervasa da un movimento che mirava alla costruzione di qualcosa di assolutamente nuovo, senza chiedere il permesso a nessuno.
Mi ha cambiato profondamente vedere come il valore di una persona potesse essere determinato non da cosa indossasse o dalla sua posizione nella scala sociale al liceo, ma da ciò che sapeva creare.
3) La struttura del romanzo è molto singolare, soprattutto guardando a come le varie storie si intrecciano tra loro e sempre rispettando l'equilibrio dei salti temporali avanti e indietro.
Che tipo di schema bisogna costruire per raccontare questo tipo di storia senza perdersi o contraddirsi?
Possiamo dire che da questo punto di vista è stato molto vicino a una gravidanza, a livello di impegno e fatica. L'idea per il romanzo mi è venuta nel 2003, e ho passato quattro anni a non scriverlo.
Ho scritto altre cose, ma una parte di me stava letteralmente fuggendo terrorizzata dalla prospettiva di affrontare questo lavoro, perchè sapevo di che impegno stessi parlando.
Quando ho deciso di riprendere la mia idea in mano, da un lato mi è sembrato che la storia scorresse fluida nella mia mente, e di passare con semplicità da una storyline all'altra come se aprissi una porta e cambiassi stanza, ma dall'altro ricordo di aver passato sei settimane cercando di capire dove sistemare una specifica scena (l'autore ha citato la scena ma era uno spoiler, ndr). Alla fine, in questo caso, il fatto di muovermi nel tempo e nello spazio mi ha aiutato a presentare quella scena al lettore nella sua pienezza, da ogni prospettiva.
Ci sono sette parti, sei interludi, un prologo e un epilogo: potevo dire "ok, io so che ci sarà una sparatoria qui, e so che ci sarà qualcuno in questo posto più o meno qui", e avevo più o meno una mezza dozzina di elementi che sapevo dove sistemare, ma tutto il resto è venuto dopo.
Ho pensato che se avessi realizzato una mappa il risultato sarebbe stato un lavoro troppo controllato, e quindi l'ho scritto senza, a volte arrancando un po'.
Hai detto che l'idea ti è venuta nel 2003. Ricordi anche come/perchè? Cosa l'ha scatenata?
Credo che la storia mi abbia scelto. Ho passato due anni viaggiando avanti e indietro tra Washingotn DC e New York, quando avevo intorno ai 22/23 anni. Nell'estate del 2003 ero seduto su un autobus che attraversava il New Jersey, e quando sono arrivato a scorgere lo skyline newyorchese la vista che mi era sempre sembrata invitante ora sembrava ferita: era un disastro.
Avevo l'iPod in modalità shuffle, e all'improvviso ho sentito le prime note di una canzone di Billy Joel su New York negli anni Settanta (probabilmente "New York State of Mind", ma non lo ha specificato. Ipotesi mia. Ndr): ho pensato come quel periodo fosse simile alla mia contemporaneità, con lo stesso clima di disordine e lo stesso senso di pericolo.
4) Una domanda sui personaggi: il tuo romanzo ne è pieno, e seguiamo le storie di alcuni di loro. Da "papà" di tutti, hai un preferito o comunque un personaggi al quale ti senti particolarmente legato? E, al contrario, ce n'è uno che ti piace decisamente meno degli altri?
Non posso rispondere a questa domanda, non perchè io non abbia effettivamente un preferito, ma perchè è cambiato ogni volta che ho riletto il libro.
Scrivendo, ovviamente, passi molto del tuo tempo a rileggere ciò che hai già steso, e quindi ogni volta che riempivo l'equivalente di un quaderno (andando più o meno a finire una sezione, visto che questa era la lunghezza che volevo) lo trascrivevo, poi lo stampavo e lo rileggevo, cambiando, tagliando e via dicendo.
Magari a una prima lettura adoravo un particolare personaggio, e alla seconda mi trovavo a pensare che fosse un cretino. Ma questo è ciò che succede anche nella vita vera con le persone, e volevo ci fosse anche nei miei personaggi.
Parlando con i lettori, poi, è emerso come ognuno di loro avesse sempre due o tre personaggi preferiti, al punto che quasi quasi sarebbe stato interessante costruire un test del tipo "Se ti piace X, allora sei...". Però mi chiedo se anche per loro i preferiti cambierebbero a un'eventuale rilettura.
5) Mi è piaciuto moltissimo il personaggio di William, un uomo che nella sua solitudine cerca di reinventare la propria vita. Cerca di farlo anche cambiando la città, e quindi mi chiedevo come reinventeresti tu New York oggi, e se la scrittura non sia in fondo anche questo: una possibilità di reinventare il mondo.
Tornando indietro fino a Sant'Agostino troviamo l'idea di una città Giusta, di una città Perfetta, e credo che il bello della città è che possa accogliere e dare una casa a praticamente ogni tipo di persona, mentre la peggiore è che in una grande città trovi anche i senzatetto che dormono in strada accanto alle boutique di lusso.
Questa è sicuramente l'ingiustizia più visibile che la grande città ci mette davanti agli occhi, ed è anche la più grande sfida che si presenta a tutti noi.
Vorrei sicuramente che le città continuassero ad essere il simbolo dell'ospitalità e delle differenze, anche a livello economico, ma dovrebbero sicuramente funzionare meglio sul piano della giustizia sociale.
6) Il romanzo è ambientato nel 1976, prima della tua nascita. E' stato difficile immedesimarti nei tuoi personaggi e nell'atmosfera di quegli anni, o in fondo non così tanto?
Sono nato nel 1978, quindi possiamo dire che sono stato concepito nel 1977.
Forse il punto è, più che altro, la nostra idea che la storia sia suddivisibile in blocchi definiti. Il mondo dei miei ricordi più vecchi è sicuramente il mondo dei miei personaggi.
Anche qui in Italia gli anni Settanta sono stati anni di tumulti sociali, ad esempio ricordo mia madre che cercava con tutta se stessa di spiegarmi cosa fosse l'Esercito di Liberazione Simbionese, e se guardiamo ai primi anni Ottanta in America sicuramente troviamo nel clima culturale un qualcosa che era una reazione a ciò che accadeva in Europa (e nell'America stessa) appena prima.
E in fondo l'essere convincente nel raccontare qualcosa di non vissuto fa parte dell'essere scrittore: se pensiamo a Hilary Mantel, lei ha dovuto fare un salto indietro di 450 anni con la sua macchina del tempo narrativa. A me è bastato andare indietro di diciotto mesi.
7) Il tuo romanzo è meraviglioso, ma non solo dal punto di vista narrativo. Mi è piaciuto moltissimo il lavoro grafico che è stato fatto, a partire dal fanzine inserito all'interno del volume. Mi chiedevo se fosse opera tua, o se fosse stato realizzato insieme ad un grafico sotto la guida della casa editrice.
Questo sono io. Pensavo che fosse importante, in un romanzo così lungo, dare al lettore qualche "fermata", anche per poter apprezzare di più la struttura dell'opera nel suo complesso e assimilare quanto letto prima.
L'ho notato anche nei romanzi di molti grandi autori, a cominciare da Don DeLillo ma arrivando anche fino a Charles Dickens: questa offerta al lettore di un momento di pausa è una scelta ricorrente.
Ad esempio in un romanzo picaresco, troveremmo il nostro protagonista che, nel bel mezzo del suo viaggio, arriverebbe ad una radura e deciderebbe di fare una pausa e riposarsi, interrompendo così la narrazione anche per il lettore.
Io mi sono trovato invece a scrivere questi documenti in prima persona, che avrebbero interrotto la narrazione in terza, e quando sono arrivato al fanzine mi sono preoccupato, chiedendomi "Come faccio a far arrivare al lettore il fatto che sia un fanzine punk, senza troppe didascalie?".
Ho deciso che l'unica soluzione era realizzare concretamente il fanzine, e io non so fare quasi nulla con Photoshop: mi sono trovato a passare un mese e mezzo a ritagliare e incollare contenuto per contenuto, in un modo che di sicuro lo ha reso credibile come prodotto artigianale.
Pensavo che l'editore avrebbe affidato a un grafico il compito di rifarlo, e invece è piaciuto: solo, hanno dovuto risistemare i miei file perchè erano un disastro e pesantissimi.
C'è da dire che questi fanzine li facevo a mano con gli amici quando ero un ragazzino, ben prima dell'arrivo di Internet.
8) In Italia è uscito da poco il romanzo "Giorni di fuoco" di Ryan Gattis (edito da Guanda, ndr) che tratta una tematica affine a quella del tuo romanzo, ovvero i disordini del 1992 a Los Angeles.
Per caso l'hai letto, e se sì, ci hai trovato qualcosa di affine ai temi da te svolti?
Credo di aver letto una recensione, ma non ho letto il romanzo.
Sono sicuro, comunque, che ci siano un sacco di parallelismi.
Anche nell'East Village a New York ci sono stati dei disordini negli anni Ottanta, e io me ne sono "appropriato" e li ho trasposti nella mia storia.
9) "Città in fiamme" è uno dei casi letterari più discussi degli ultimi anni. Fino a che punto questo livello di attenzione e di fama pesa sulla prospettiva di accingerti a lavorare a un altro romanzo?
L'unico successo vero, e lo stesso vale per il riconoscimento, che può essere attribuito a un libro, è quello che nasce in privato, con la lettura da parte del lettore.
E qui non ci sono nè l'autore nè l'editore ad assistere.
Ragionando in questo modo, passerà davvero molto tempo prima di sapere sul serio quanto questo romanzo sia stato un successo o no, e di sicuro non sarò io a poterlo dire.
E' un pensiero che mi confortava molto, soprattutto nel momento in cui stavo scrivendo qualcosa che mi sembrava impossibile da pubblicare.
Quindi aggiungo ai consigli dati sopra ai giovani scrittori quello di non perdere mai la speranza, e di cercare di concentrarsi non tanto sulla pressione esterna, quanto su quella interna. Sul loro desiderio di creare qualcosa che valga e che duri nel tempo.
10) Ultima domanda, e questa è una domanda che faccio sempre, perchè dietro a un grande scrittore c'è (quasi) sempre un grande lettore. Se tu dovessi indicare uno o più libri ai tuoi lettori, invitandoli a scoprirli, quali sceglieresti?
Apprezzo moltissimo il lavoro di un'autrice di racconti americana, Deborah Eisenberg, che ha scritto 27 novelle che prese nel loro insieme sembrano comporre una vera e propria sinfonia.
Adoro i romanzi ambientati a New York scritti da Saul Bellow (ad esempio "La vittima", uscito nel 1947, ndr), e tornando veramente indietro, se non hai letto "I fratelli Karazamov" di Dostoevskij non hai vissuto davvero.
Su questo consiglio letterario importante io vi saluto, sperando che la chiacchierata vi sia piaciuta, e che vi abbia incuriositi riguardo a "Città in fiamme". Lo so, 1000 pagine di romanzo possono spaventare, ma vi assicuro che ne vale la pena!
Un bacio a tutte fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
Bellissima intervista e avevo già lasciato un commento qui sul blog quando l'avevi recensito perché è nella mia wishlist da quando l'ho visto in originale su Goodreads, ma dopo questa chiacchierata che hai avuto con l'autore ne sono ancora più convinta!
RispondiEliminaL'atmosfera del romanzo è la cosa che mi ispira di più.
come sempre bellissima intervista! Non conoscevo l'autore e il romanzo ma dalle risposte credo proprio che andrà nella TBR <3
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