Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Ci è voluto qualche giorno per metterla in ordine, ma eccola qui.
L'intervista a Glenn Cooper, che Nord mi ha gentilmente permesso di fare, assieme alla quale ho pensato di riportare anche qualche spunto interessante emerso dalla sua presentazione al "Circolo dei lettori" a Torino, è tutta per voi!
1) Vorrei partire proprio dal motivo per cui siamo qui oggi, per la conclusione di questa trilogia "infernale". Sorge spontaneo chiedere se avesse in mente questa struttura tripartita per la sua opera fin dall'inizio, e soprattutto come sia per uno scrittore gestire un'opera di questo tipo: dev'essere difficile non "annoiare" il lettore con troppe ripetizioni o riferimenti a quanto accaduto in precedenza, ma allo stesso tempo aiutarlo a non perdere il filo e a godersi ogni volume allo stesso modo.
Penso che, qualora uno scrittore inizi a scrivere una serie (che sia una serie di libri, o di film, o televisiva), debba assolutamente sapere dove la sua storia lo porterà.
Questa volta sapevo come la mia storia si sarebbe conclusa ancora prima di scrivere la prima parola.
Dal punto di vista della struttura, "Dannati" è sostanzialmente un unico, lunghissimo libro più che una vera e propria trilogia.
Chi ha letto il primo volume, o anche il secondo, sa che si chiudono con un cliffhanger, ed è chiaro in entrambi i casi che i protagonisti debbano tornare all'Inferno e affrontare una nuova fase della battaglia.
Devo ammettere che come lettore detesto quando gli scrittori ricorrono a questo stratagemma, per me è un po' uno scherzo di cattivo gusto; per fortuna Nord ha accettato di fare qualcosa di straordinario, pubblicando questa trilogia in tempi estremamente brevi. Dal primo al terzo libro è passato circa un anno e mezzo, mentre sul mercato tradizionale sarebbero passati tre anni.
Anzi, colgo l'occasione per promettere due cose ai lettori: il terzo libro ha un vero e proprio finale, e alla fine non troverete John ed Emily che si svegliano esclamando "Oddio, era tutto un sogno!".
Questo finale significa molto per me, e spero lo troverete sorprendente e scioccante, e che vi farà pensare per un po'.
Un anno e mezzo per la pubblicazione, ma per la stesura?
Credo circa tre anni, e non so dire se siano molti o pochi.
Di sicuro scrivo più velocemente di George R. R. Martin, ma lui è un genio assoluto e sicuramente i suoi lavori sono di livello superiore al mio. E' una delle mie fonti d'ispirazione, tra l'altro.
Altre fonti d'ispirazione?
Da ragazzo ero come tanti affascinato da quelli che sono i grandi narratori, soprattutto nel contesto della fantascienza: Ray Bradbury, Isaac Asimov, e poi Ian Fleming: ne ero quasi dipendente.
Ciò che li accomuna è sicuramente la loro capacità di catturare l'attenzione del lettore, e gli rendono impossibile distogliere lo sguardo dalla pagina.
2) Parliamo ancora un momento di scrittura, e del suo processo creativo.
Quanto tempo passa da quando la prima scintilla di un'idea si manifesta nella sua mente a quando può stringere la prima bozza del suo libro tra le mani?
Ha una routine collaudata, o per ogni libro è differente?
Ovviamente la prima cosa che faccio, quando mi viene un'idea, è vedere se mi resta in testa per più di uno o due giorni. Se me la dimentico, probabilmente non era un granchè come idea.
Se invece è lì per restare, se mi trovo a pensarci e ripensarci, allora la scrivo per essere sicuro di non perderla. Poi la lascio riposare.
Ho una sorta di "libro delle idee", anzi per essere precisi un "file delle idee" dato che si trova sul mio computer, e una volta messa nero su bianco è il momento di studiarla, per capire se possa diventare effettivamente una storia, o parte di essa.
Credo, tra l'altro, di essere un pianificatore anche nel corso del mio processo creativo.
Mi capita di trovarmi seduto alla mia scrivania e dirmi "Ok, so di cosa parla il libro che sto scrivendo. Sono quasi sicuro di cosa parlerà il mio prossimo libro. Però mi sentirei più tranquillo se sapessi anche di cosa tratterà il libro dopo quello. E' ora di trovare un'idea!"
Quello che faccio per trovare un'idea è un procedimento che chiamo "active day-dreaming", un fantasticare in modo costruttivo durante il quale mi costringo letteralmente a tirare fuori un'idea.
A volte funziona, a volte no.
Per esempio, con "La biblioteca dei morti", avevo in testa quest'immagine di una biblioteca sotterranea piena di volumi, ma non sapevo di quali libri si trattasse, o che genere di biblioteca fosse, o anche dove si trovasse. Nel corso di un anno, partendo da quella singola immagine, ho sviluppato un'intera storia.
Appena ho un'idea solida, di cui sono convinto, inizia la fase di ricerca, che comprende la lettura di moltissimi libri, soprattutto se nel mio libro la componente storica è molto rilevante a livello di trama e ambientazione. Leggo da cento a trecento libri, per intero o in parte.
Contando il processo creatvo, il fantasticare e le ricerche, direi che mi serve un anno prima di avere tra le mani una bozza.
E cosa succede se alla rilettura la bozza risulta orribile?
Le è mai capitato?
Oh, sì.
Alcuni libri mi sono risultati più semplici da scrivere fin dall'inizio, per altri sono sorti dei problemi che ho dovuto risolvere.
Posso però dire in tutta sincerità di non aver mai avuto un problema tale da non riuscire a vedere come portare la mia storia dal punto A al punto B, e poi al punto C, e alla fine.
Questo perchè conosco già il finale che voglio dare alla mia storia, e perchè quando ti trovi a gestire trame molto ricche, fitte di eventi e con un numero elevato di personaggi, il rischio di perderti è altissimo.
Infatti è un tratto comune a molti scrittori, quello di sapere fin dall'inizio come vogliono concludere il loro racconto.
Ah, io devo conoscere il finale prima di poter anche solo iniziare a scrivere.
Anche nel caso della trilogia "Dannati" sapevo come si sarebbe concluso il terzo libro prima ancora di scrivere una sola parola.
Ed è un finale strepitoso. E' inaspettato, ne ho apprezzato l'imprevedibilità.
Mi fa davvero piacere che tu lo dica. I lettori più veloci hanno già finito di leggere il libro, e i feedback che ho avuto finora sono stati buoni. Prima sapevo solo che piaceva a me.
In passato alcuni lettori non hanno accettato facilmente i finali delle mie storie, perchè a me piace lasciarli leggermente aperti, come nel caso di "Il calice della vita", ed invece a molti serve una chiusura più definitiva.
Io sono di parte, perchè a volte trovo i finali troppo definiti una sorta d'imposizione nei confronti del lettore, mentre invece un finale aperto è un dono che l'autore fa ai suoi lettori, permettendo loro di immaginare cos'accada dopo, e dopo ancora, e dopo ancora.
Da scrittore, penso che ci sia ancora una questione più delicata, che è il contratto morale tra autore e lettore: è mio dovere come autore quello di far sì che ci sia un pensiero chiaro dietro alle mie serie, e che sia trasparente per tutti quello che è il filo conduttore che lega i vari volumi.
3) Sempre parlando di scrittura, le va di condividere un aneddoto, magari del periodo del suo esordio come scrittore?
Assolutamente. Ricordo quando ho scritto "La biblioteca dei morti", e ho iniziato a proporlo agli agenti letterari. A 66 di loro, per la precisione, e ci è voluta tutta la mia perseveranza per far sì che uno solo mi dicesse di sì. Forse questo lo troverai divertente, ma quando "La biblioteca dei morti" è stato accettato era uno stand-alone. Non mi aspettavo che venisse pubblicato, ero perfettamente consapevole che molte opere prime non vedono mai la luce del sole. Poi il mio agente mi ha chiamato e detto "Senti, ma esiste un seguito? Perchè come duologia avrebbe molte più possibilità di essere pubblicato." e io ho subito risposto "Ma certo!", mentendo spudoratamente.
Poi il libro è stato accettato, e ho avuto un contratto per due libri, ho capito di essere nei guai.
Per fortuna ho avuto l'idea per il secondo libro, e poi per un terzo e ultimo libro.
Dovendola definire, direi che la trilogia della biblioteca è una trilogia accidentale: ci tengo a dire che è un modo davvero stupido di scrivere una serie, e non lo consiglio a nessuno.
4) Siamo in Italia, e sia per tradizione che per formazione scolastica la concezione dell'Inferno più diffusa è senza dubbio quella dantesca. Cosa l'ha spinta a creare un oltretomba con queste particolari caratteristiche, prima tra tutte il suo essere un mondo parallelo al nostro?
Credo che sia bene che dal punto di vista letterario si continui a guardare all'inferno dantesco.
Sapevo bene di dovermi confrontare con quello che probabilmente è uno dei più grandi autori di sempre, e questo mi ha reso estremamente cauto nella creazione del "mio" Inferno.
A me serviva comunque un modo diverso, e più che una gerarchia del male che fosse anche geografica mi incuriosiva mettere insieme tutti i malvagi di tutte le poche, dall'età della pietra ai tempi moderni, in uno stesso luogo e in uno stesso tempo.
Questo mi ha permesso anche di giocare e divertirmi con scenari e situazioni molto interessanti.
Credo che tutti nella vita abbiamo giocato a "Se potessi invitare a cena cinque personaggi storici, chi inviteresti?", ed ecco, io a questo gioco ci ho giocato moltissimo nella stesura della serie.
La struttura del portale, inoltre, mi ha permesso di fare di più, e portare nel mondo moderno personaggi di altre epoche, con risultati spesso esilaranti, almeno per me.
Ha parlato di una gerarchia del male all'Inferno, ma forse ciò che mi ha incuriosita di più del suo Oltretomba è che ci sia anche la possibilità di sentimenti positivi: compassione, rispetto, e anche amore. Rientra in questo discorso, o è piuttosto una derivazione dell'umanità dei suoi personaggi, che quindi non sono ridotti a mera cattiveria?
Questa è una domanda molto interessante.
Credo che possiamo concordare tutti sul fatto che ci siano atti compiuti dall'umanità che possiamo definire senza esitazione "malvagi", e ho voluto affrontare questa questione da un punto di vista laico, mai religioso. Ammettiamolo, se davvero la blasfemia o l'adulterio fossero il biglietto d'ingresso per l'Inferno saremmo quasi tutti nei guai.
Commettere un atto malvagio rende automaticamente una persona malvagia a sua volta?
Ogni assassino è davvero una persona terribile?
Io rispondo con un "no" ad entrambe le domande, perchè esiste una gerarchia del male: ci sono mostri, persone che raggiungono un livello di malvagità tale da lasciare poco altro di sè al mondo, ma ci sono anche persone che sono in grado di redimersi, e questo significa che sì, anche all'Inferno l'amore può brillare e illuminare il luogo più oscuro che si possa immaginare.
5) Abbiamo parlato molto di struttura, di trama: ora passiamo ai personaggi?
Quando ho letto "Dannati", la prima cosa che ho sentito è stata la somiglianza di John Camp a un tuo precedente protagonista, Will Piper. Alcuni tratti caratteriali, qualcosa nella gestualità.
E' stata solo una mia impressione, o era tua intenzione proporre questa sorta di sensazione di deja-vu?
Io la chiamo "reincarnazione dei personaggi". Battute a parte, il punto è che a me piace questo tipo di personaggio, e quindi credo che in effetti quasi ogni personaggio maschile finito nei miei libri sia una variazione di uno stesso modello. Posso arrivare a dire che probabilmente sono proiezioni di ciò che sono, o di ciò che vorrei essere. Di fatto anche il protagonista della mia nuova serie è una variazione di questo tipo di personaggio.
Possiamo definirlo "l'eroe imperfetto"?
Assolutamente sì. Io odio gli eroi perfetti. Sembrano usciti da un brutto fumetto.
Persino in un buon fumetto l'eroe ha qualche debolezza, qualche imperfezione.
6) Ho trovato molto interessanti anche i personaggi secondari, soprattutto coloro che hai posto nell'Inferno. Ritroviamo moltissimi volti noti della storia moderna e contemporanea, e forse la maggior parte di loro è europea: re inglesi, dittatori tedeschi...
Ho un debole per la storia europea, e sicuramente mi affascina più di quella americana.
La storia americana è come slavata in confronto: basti pensare che probabilmente i primi abitanti del Nord America hanno attraversato lo stretto di Bering 15000 anni fa.
Per i miei libri amo sviluppare trame ricche e personaggi ancor più ricchi, e l'ho fatto soprattutto con questa trilogia. Mi è venuto naturale attingere moltissimo dalla vostra storia.
Uno dei personaggi celebri che troviamo all'Inferno è Garibaldi: la sua condanna è frutto di una ricerca o solo della sua immaginazione?
L'Inferno è popolato da uomini e donne che abbiano commesso atti malvagi, questo è scontato.
Ma volevo che ci fosse una gerarchia del male, e avevo comunque bisogno di eroi.
Me ne serviva uno in particolare, che avesse una visione e che volesse creare un posto migliore e più umano nonostante non ci fosse speranza di salvezza e redenzione.
Il libro è ambientato in Europa, e Garibaldi mi è venuto in mente abbastanza presto, per via del suo ruolo di unificatore. Non sapevo molto della sua vita, ma per mia fortuna ci sono eccellenti biografie di questo personaggio tradotte in lingua inglese, e ho potuto documentarmi.
Leggendo, speravo di trovare una sua azione malvagia che fosse storicamente documentata, per poter giustificare la sua presenza all'Inferno. Non l'ho trovata, ma ho letto invece della sua esperienza da mercenario in Uruguay, e diciamo che non è stato uno sforzo di immaginazione troppo grande attribuirgli un omicidio ingiustificato in quel periodo meno luminoso della sua vita.
Di sicuro altri personaggi mi hanno reso il loro posizionamento più semplice.
I miei preferiti restano però quelli la cui malvagità è solo una sfumatura della loro personalità, come ad esempio Caravaggio, pittore straordinario che però ha effettivamente commesso un omicidio nel corso della sua vita, evirando un uomo e uccidendolo probabilmente solo per errore.
Possiamo dire che era più abile con il pennello che con il coltello.
7) Non posso non chiederle nulla sul cinema. Soprattutto pensando che la sua vita da scrittore è iniziata proprio con la stesura di sceneggiature, e al fatto che possiede una casa di produzione cinematografica. E' un caso che non esista un film tratto da un suo libro, o è una scelta personale?
E' un problema di budget. I libri che scrivo richiedono film dal budget elevato, o serie tv di alto livello, e invece per quanto riguarda il mio business trovo finanziariamente accessibili solo progetti che richiedano meno di un milione di dollari per essere realizzati.
Al momento ci sono migliaia di progetti aperti a Hollywood, e i miei libri sono comunque stati presi in considerazione da diverse case di produzione. Oggi però non c'è nulla di deciso.
E' comunque qualcosa che spera possa accadere?
Sì, ma come in ogni cosa devi stare attento a ciò che desideri.
Soprattutto pensando a casi come quello dello scrittore Clive Cussler, che dopo aver visto la realizzazione cinematografica di un suo romanzo ("Sahara", con Matthew McConaughey) la trovò così catastrofica da ritenere che il suo contratto e il suo libro fossero stati violati, portandolo a ingaggiare una lotta giudiziaria con la casa di produzione risoltasi a suo sfavore dopo più di dodici anni di confronti e appelli.
D'altro canto credo che Dan Brown possa dirsi molto soddisfatto del lavoro di Ron Howard e Tom Hanks con i suoi romanzi, quindi...
Solo per divertimento, ha mai pensato a un attore noto nei panni di Will Piper, o di John Camp?
Io sono un grandissimo fan di Russell Crowe, e lo vedrei bene nel ruolo di Will Piper.
Probabilmente anche di John Camp, visto che come dicevo prima le loro personalità presentano numerosi tratti in comune.
8) La mia ultima domanda è su una questione che al momento è al centro del dibattito politico internazionale: il problema dei rifugiati.
So che lei ha lavorato in un campo per rifugiati, il "Khao-I-Dang Refugee Camp" in Thailandia, quando ancora esercitava la professione medica.
Posso chiederle un'opinione personale sulla questione, da persona che ha affrontato il problema da molto vicino?
Proprio perchè ho vissuto questa situazione drammatica da vicino, mi sono ovviamente fatto diverse opinioni sull'argomento.
Penso che si possa sicuramente avere una visione globale, a livello geopolitico, delle migrazioni che derivano da alcune situazioni tragiche. Probabilmente la classe politica ha questo tipo di visione, attraverso una macrolente.
Però quando ti trovi in prima persona in un campo rifugiati, e lavori come medico, o come infermiere, quello che vedi sono persone.
Vedi persone in condizioni disperate, e tutte le "grandi questioni" perdono ogni importanza, lasciandoti solo con quel bambino, o quell'uomo, e ciò che puoi fare per loro.
Forse se riuscissimo a vederli più come persone e meno come gruppi, saremmo più umani anche noi.
Poi ci sono immagini, come quella del bimbo morto sulla spiaggia, che sembrano in grado di sconvolgere l'opinione pubblica e forse risvegliare anche un po' di questa umanità.
Se ci pensi, per ogni crisi o evento drammatico della nostra storia recente, c'è stata un'immagine in grado di sconvolgere, e poi plasmare, il pensiero collettivo.
Per la guerra del Vietnam abbiamo le immagini agghiaccianti di una bambina ustionata dal Napalm.
Oggi è sicuramente l'immagine di quel bambino a fare esattamente ciò che hai suggerito, e questo vale soprattutto per tutte quelle persone che probabilmente non incontreranno mai un rifugiato nel corso della loro vita. Nonostante questo, le loro opinioni vengono plasmate da quello che altre persone condividono sulla questione, dai giornalisti ai fotografi.
Io ringrazio moltissimo Glenn Cooper per la pazienza, per non aver riso del mio provare a pronunciare il nome thailandese del campo in modo corretto (ce l'ho fatta al secondo tentativo) e per aver autografato una pila di libri alta quasi come me.
Ringrazio ovviamente anche Nord per la possibilità di incontrare un autore straordinario.
Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3
Che intervista meravigliosa!
RispondiEliminaGlenn Cooper è passato anche dalle mie.parti, ma proprio quel giorno ho dovuto sostituire un collega... E addio ;_;
Come sempre un'intervista meravigliosa! Continuo a dire che sei bravissima! Baci <3
RispondiEliminaComplimenti per l'intervista!! Davvero bella :D ovviamente ho aggiunto la trilogia in WL xD non ho mai letto nulla di Cooper prima d'ora e credo che sia arrivato il momento di rimediare! :)
RispondiEliminaBellissima intervista! Ho letto quasi tutti i libri di questo autore e ti ringrazio di questa intervista molto approfondita e interessante :)
RispondiEliminaMi sono piaciute tutte le domande, che ho trovato intelligenti e non banali. Ho tratto insegnamento anche da ogni risposta perché Cooperda grande scrittore ci ha omaggiato con tanti spunti. Bellissima anche l'ultima domanda
RispondiEliminaSi può dire brava bravissima?baci